Laici Missionari Comboniani

Il ruolo ministeriale del fratello

Joel Cruz
Joel Cruz

INCARNAZIONE DELLA PAROLA, FRATERNITÀ E PROMOZIONE UMANA

Qui di seguito presentiamo l’esperienza di Fratel Joel Cruz Reyes in Ecuador. In cui le caratteristiche del ministero del Fratello si distinguono per una nuova prospettiva di promozione umana che ha come fondamento la Parola.

1. Incontro con la missione

Nel 1997 sono arrivato in Ecuador, assegnato al Centro Culturale Afro-Ecuadoriano della città di Guayaquil. All’epoca, l’accompagnamento degli afro-discendenti ruotava intorno alla religiosità, alla formazione liturgico-sacramentale e socio-politica, con l’obiettivo di renderli socialmente ed ecclesialmente consapevoli. A questo scopo si è cercato il supporto di esperti laici in psicologia, antropologia, sociologia, politica.

Dal comportamento, dagli atteggiamenti e dalle motivazioni che ho percepito negli afro-discendenti che venivano al Centro, mi sono reso conto che la loro dipendenza dal missionario era cronica. Si erano abituati a considerarsi materialmente, spiritualmente e moralmente indigenti. Certamente questo comportamento è stato un riflesso delle ombre della loro storia ancora operanti nel presente, ma è stato anche una conseguenza della visione paternalistica che aveva prevalso nel loro accompagnamento. Questo non ha permesso loro di crescere in umanità e in spirito; li ha bloccati ruolo di “oggetto”, non ha permesso loro di avanzare verso il ruolo di “soggetto” ecclesiale e sociale.

2. Capire e avviare i processi

A poco a poco ho capito che questi processi, pur essendo molto buoni, erano scollegati dalla fede e dalla Parola, come se la “rigenerazione dell’essere umano afro-discendente fosse solo un problema umano-sociale”. Mi sono reso conto che i processi non hanno raggiunto la contemplazione dell’afro-discendente come figlio di Dio, immagine e somiglianza di Lui, scolpito dalla storia, anche dalle circostanze sociali ed ecclesiali avverse, vero, ma soprattutto pensiero dell’essere umano, voluto da Dio e con una specifica missione nella Chiesa, nella società, nel mondo.

I risultati sono stati logici perché, da un lato, l’accompagnamento gerarchico ereditato dalla tradizione pastorale predominante nella Chiesa li ha resi “oggetti-dipendenti” dall’azione del “soggetto” che era il missionario. D’altra parte, l’intervento di specialisti laici senza una visione religiosa, di fede e scollegati dalla Parola di Dio, non poteva offrire altro che un modo di vedere l’afro-discendente e la sua storia, come un “problema” personale e sociale. Non si vedevano come “esseri umani”, ma come un “problema sociale” e “oggetto” di abusi, maltrattamenti ed esclusione. Erano convinti di essere solo “vittime” e non esseri umani con una responsabilità ecclesiale e sociale.

3. Presenza che condivide la vita

Quando ho cominciato a camminare con loro, mi sono reso conto che la presenza del Fratello che, per la sua natura vocazionale, è spogliato del sacro, a poco a poco sta “trasformando” la gerarchia relazionale nelle strutture culturali, sociali ed ecclesiali, fino a consolidare la circolarità della fraternità ministeriale voluta da Gesù. Che il Fratello, proprio perché religioso, è capace di contemplare l’umanità delle persone che accompagna e di metterla in moto (promozione umana) nella Chiesa e nella società.

Ho capito che il Fratello è un ponte tra la scienza e la fede, tra il Vangelo e la società, tra la Chiesa e il mondo, tra la vita religiosa e laica, tra il ministero sacerdotale e quello laico. Senza la sua presenza, spesso i processi diventano “estremi”: vanno all'”estremo liturgico-sacramentale” o all'”estremo politico-sociale”. E il Fratello ha un piede ad ogni estremità. Egli è quindi capace di equilibrare i processi di evangelizzazione e di far vedere all’essere umano la sua storia non come una tragedia umana senza Dio, ma come una storia sacra di salvezza, dove Dio non solo è presente, ma si fa carne e assume come proprie le cause di quell’essere umano.

4. I miracoli della fraternità

Il Signore mi ha dato l’opportunità di vedere i miracoli della fraternità che nascono dalla consapevolezza di sapere che siamo tutti fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre. Con la stessa dignità e responsabilità missionaria di Cristo e, quindi, inteso come il Corpo Nero di Cristo in quella società discriminante ed escludente che ha messo in ombra la Chiesa anche in quel contesto. Mi ha dato l’opportunità di sperimentare il potere liberatorio di questo “diventare uno in più tra loro”, di non aver paura di “abbassarsi”, proprio come Gesù (Filippesi 2, Emmaus) e di cercare con loro le vie, le risposte, le soluzioni.

Questo essere tra il popolo di origine africana come “compagno di viaggio” e non come guida o insegnante, ha fatto sì che si iniziasse a gustare e ad assaporare la comunione e la partecipazione, a comprendere il valore e la potenza del “cenacolo degli apostoli” sognato da san Daniele Comboni. Così è nata la Confraternita dei missionari afro-ecuadoriani, il Cammino afro-biblico, i processi di etno-educazione e di ricreazione culturale in un contesto urbano, le organizzazioni e associazioni afro con finalità culturali e sociopolitiche e la pastorale giovanile afro.

Il cammino fraterno con gli afro-discendenti mi ha permesso di contemplare come “l’oggetto” si è trasformato in un “soggetto” sociale ed ecclesiale. E tutto è cominciato quando hanno scoperto se stessi come esseri umani, figli di Dio, missionari del Padre. E questa consapevolezza si semina vivendo con loro, discutendo con loro, come Gesù fece con i suoi discepoli: sulla strada, in casa, alla festa, lì dove si trovavano; conversando, rispondendo alle loro preoccupazioni, spiegando, condividendo senza fretta, senza luoghi fissi, solitamente lontano dal tempio.

Avendo sperimentato il potere rigenerante della fraternità negli esseri umani, ho pensato e immaginato il Fratello missionario comboniano come una “levatrice” di ministeri laici che vanno oltre le strutture del tempio e le questioni religiose. Di un ministero che tocca temi umani e sociali; come compagno di quei ministeri che nascono con una proiezione secolare per infondere loro lo Spirito e per essere la forza trasformatrice di Dio nella società.

Il cammino con la gente mi ha fatto riconoscere come un Fratello religioso, cioè un “esperto” nello stabilire la profonda connessione tra il mondo e Dio, tra la carne e lo spirito, tra l’umano e il divino. Un esperto nell’aiutare l’essere umano a comprendere Dio da cittadino che agisce nella società e da essere umano che si riconosce come sua presenza.

5. Strategia e sguardo al futuro

Ma come far sì che la fraternità che promuove l’umanità della gente si rafforzi e non finisca per diluirsi nella tradizione evangelizzatrice che guarda più al liturgico-sacramentale? Come rendere più visibile e significativo il ministero dell’incarnazione del Verbo in ministeri che toccano temi umani e sociali nell’Istituto, nella Chiesa e nella società? A queste domande ha trovato risposta nella proposta di San Daniele Comboni di istituire Centri di formazione dove l’africano non cambia e il missionario non muore.

Questa strategia mi è sembrata la più adeguata alla realtà numerica e dispersa del Fratello nell’Istituto e, quindi, per poter pensare ad una forma che accompagni il ministero del Fratello, lo identifichi, lo definisca e lo renda più comprensibile. Per questo motivo, proprio come il sacerdote è accompagnato dalla figura della parrocchia, un’opera che spiega e rende comprensibile il suo ministero, così ho iniziato a immaginare un’opera che potesse far esplodere tutta la forza ministeriale della fraternità nell’Istituto. Nacque così l’idea delle Opere Comboniane per la Promozione Umana (OCPH) e il Centro Culturale Afro-Ecuadoriano di Guayaquil divenne la prima di queste opere.

PER UNA RIFLESSIONE PERSONALE E COMUNITARIA:

1. Cosa mi colpisce di più di questa esperienza religiosa? Perché?

2. Che cosa suscita in me questa esperienza? Per quale motivo?

3. Cosa ci dice come comunità?

4. Quale parte o quali parti di questa esperienza possono illuminare il lavoro parrocchiale o i progetti missionari nelle nostre comunità/missioni?

PER APPROFONDIRE

Orientamenti di Papa Francesco e Benedetto XVI sulla fraternità

Riflessioni prese dal documento “Appunti per una spiritualità missionaria della fraternità” di Fr. Alberto Degan.

In questo terzo millennio, il Papa propone una missione affascinante: combattere la “globalizzazione dell’indifferenza” costruendo la “globalizzazione della fraternità”.  Naturalmente, è un appello per tutti i cristiani, ma in noi Fratelli questa chiamata suscita indubbiamente un senso di gioia e una responsabilità particolare.

  • I primi due messaggi per la Giornata Mondiale della Pace di Papa Francesco (i messaggi del 2014 e del 2015) sono interamente dedicati al tema della fraternità. “La fraternità è il fondamento e la via della pace“, ci dice Francesco. Infatti, la pace e la giustizia non sono solo una questione “tecnica” di apportare cambiamenti strutturali per ridurre le scandalose disuguaglianze che caratterizzano il mondo di oggi, né è solo una questione politica. La pace e la giustizia sono soprattutto una sfida spirituale: solo se ci sentiamo fratelli, figli dello stesso Padre, la gente sarà pronta a fare i cambiamenti e i “sacrifici” necessari per dare vita a una società giusta e fraterna. Come diceva Francesco nel messaggio Urbi et orbi per il Natale 2018, “senza la fraternità che Gesù Cristo ci ha dato, i nostri sforzi per un mondo più giusto non andrebbero molto lontano” (Salmo 84, 11-12).
  • Papa Benedetto XVI ha proposto la fraternità come principio economico: “Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, per essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione della fraternità“, ha affermato nella sua enciclica “Caritas in veritate” n. 34. E ha aggiunto: “La grande sfida che abbiamo… è di mostrare… che nelle relazioni commerciali il principio di gratuità e la logica del dono, come espressione della fraternità, possono e devono avere spazio nell’attività economica ordinaria” (CV 36). Benedetto XVI propone che la logica della fraternità riconfiguri il nostro sistema economico.
  • Più recentemente, Papa Francesco ha dedicato l’intero messaggio della Giornata Mondiale della Pace 2014 al tema della fraternità: “Fraternità, fondamento e cammino verso la pace”. I titoli delle diverse parti di questo documento sono: “Siete tutti fratelli, (Mt 23,8)”, “La fraternità, la premessa per superare la povertà”, “La riscoperta della fraternità nell’economia”, “La fraternità spegne la guerra”, “La fraternità genera la pace sociale”, “La fraternità aiuta a proteggere e coltivare la natura”. Solo dando un rapido sguardo a questi titoli si capisce che per Francesco la fraternità – lungi dall’essere un concetto casuale e “romantico” – è un principio di fede molto concreto, con inevitabili implicazioni sociali, politiche ed economiche. Secondo il Papa, la giustizia sociale non può essere costruita se prima non coltiviamo nel nostro cuore un profondo senso di fraternità.
  • La prima parte di questo documento è intitolata “Dov’è tuo fratello? (Gen 4:9). Nella Bibbia, questa è la seconda domanda che Dio rivolge all’uomo, e questo significa che per Dio è una domanda fondamentale. Gli esseri umani, così come sono stati concepiti dal nostro Creatore, realizzano la loro umanità quando lasciano il loro egoismo e si preoccupano delle condizioni di vita dei loro fratelli, quando entrano in una logica di comunione e di fraternità che li fa percepire che la loro vita ha senso solo se è vissuta in un atteggiamento di solidarietà con i loro simili. In altre parole, per Dio essere umano significa essere e sentirsi fratelli.
  • Gesù si presenta a noi come il “primogenito in mezzo a tanti fratelli” (Rm 8,29): la fraternità è la via tracciata da Dio per la realizzazione della nostra umanità. Come dice un proverbio africano, “Io sono un essere umano perché tu sei un essere umano”, cioè: “Mi sento bene e posso realizzare la mia umanità quando vedo che anche i miei fratelli stanno bene e possono realizzarla”. Ma nella nostra società prevale la logica opposta, quella del vecchio adagio latino “Mors tua vita mea“, che significa: “La tua morte è la mia vita“, “Solo se ti uccido e prendo possesso dei tuoi beni posso vivere felice”.

Non sorprende quindi che Helmut Maucher – presidente della multinazionale Nestle negli anni ’80 e ’90 – abbia detto di aver bisogno di dirigenti con “l’istinto omicida“. In questo modo, come afferma l’economista Hinkelammert, “la lotta per uccidere l’altro è vista come fonte di prosperità e di vita“. Così, l’evangelizzatore propone il modello e la spiritualità dell’uomo-fratello contro il modello e la “spiritualità” dell’uomo-killer.

Per combattere l’ingiustizia e la povertà, quindi, è necessaria una “rivoluzione spirituale”, una spiritualità della fratellanza che ci faccia capire che la sconfitta e la morte di mio fratello saranno, prima o poi, anche la mia sconfitta e la mia morte. Come disse Martin Luther King, “o riusciremo a vivere come fratelli o moriremo tutti come sciocchi“.

  • Nella Evangelii Gaudium (n. 186) Francesco afferma che il nostro amore per “i più abbandonati della società” deriva “dalla nostra fede in Cristo che è sempre vicino ai poveri“. Indubbiamente, di fronte a tante sfide enormi, ci sentiamo spesso piccoli e impotenti: non abbiamo risposte immediate su cosa fare. Ma Gesù ci dà un’indicazione molto chiara di DOVE ESSERE: oggi come ieri, Gesù “sempre vicino ai poveri” ci chiama ad essere VICINO AI POVERI, VICINO AGLI ULTIMI.

Il nostro Capitolo generale del 2015 ha accolto l’invito del Papa e ha indicato come primo criterio per la riqualificazione dei nostri impegni il criterio della “vicinanza ai poveri” (AC15 n.44.5). Questo è un criterio che per noi Fratelli comboniani ha un valore speciale, perché il nostro Fondatore ci vedeva come coloro che sono più vicini alla gente, perché passiamo più tempo con loro: “In Africa centrale, i Fratelli artigiani ben preparati contribuiscono al nostro apostolato più dei sacerdoti alla conversione, perché gli studenti neri e i nuovi arrivati (la maggior parte dei quali si trovano nella stessa situazione) sono quelli che hanno più bisogno di conversione. … devono passare un tempo piuttosto lungo con  i “maestri” e gli “esperti”, che a parole e con l’esempio sono veri apostoli per i loro alunni) sono con i fratelli, e li osservano e li ascoltano più di quanto possano osservare e ascoltare i sacerdoti” (S5831).

Nota: Vedere anche l’ultima enciclica di Papa Francesco “Fratelli Tutti” sulla fraternità e l’amicizia sociale (3 ottobre 2020).

PREGHIERA PERSONALE

“E il Verbo si è fatto carne e ha abitato in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la sua gloria (la gloria che corrisponde all’unigenito del Padre), piena di grazia e di verità”. Jn 1,14

Riflessioni dagli incontri continentali dei Fratelli in America:

  • In mezzo a una mentalità e tradizione ecclesiale che imprigiona la Parola di Dio nei templi, nei discorsi teorici e che difficilmente osa andare oltre le strutture ecclesiali e toccare questioni umane e sociali, si inserisce la figura ministeriale del Fratello Missionario Comboniano.
  • La sua vocazione a “fare carne al Verbo”, nel contesto in cui vive e vive insieme, e a plasmare l’essere umano come figlio di Dio e fratello di tutti, lo porta ad aprire percorsi e iniziative che non si limitano alle strutture e alle tradizioni della Chiesa, perché la “incarnazione missionaria del Verbo” è vissuta in armonia con i tempi e i luoghi in cui si trova.
  • Lo spirito fraterno di Dio lo conduce all’inserimento nella vita e nella quotidianità della gente, quindi è in grado di scoprire e salvare la ricchezza e l’esperienza delle persone e dei gruppi umani che accompagna in missione, con lo scopo di arricchire la Chiesa, la società e di promuovere l’aspetto veramente umano delle persone attraverso le quali passa, come opera e rivelazione di Dio che deve essere conosciuta, riconosciuta, valorizzata, assunta e proposta dalla Chiesa al mondo.
  • La convivenza fraterna con la gente, dalla coscienza e dallo spirito missionario, ne fa il “radar” che coglie i segni, i segnali, i rumori, le sfide… che la realtà umana e sociale pone nel qui e ora. Per questo motivo, la sua parola e il suo contributo sono decisivi per il dinamismo, la creatività e l’aggiornamento della missione comboniana.
  • Il suo volto evangelico-sociale e fraterno lo rende un “ponte” tra la società e la Chiesa, tra laici e religiosi, tra laici e clero. Proprio per questo diventa il volto sociale dell’impegno missionario della Chiesa. Questa dimensione vocazionale la inserisce nel cuore della sensibilità umana che cerca la solidarietà, la giustizia, la pace e l’impegno a trasformare la società. La sua vocazione ne fa una presenza che rafforza la coscienza e lo spirito dell’essere umano a vivere il Regno come giustizia, pace, gioia (Rm 14, 17ss)
  • Il ruolo del Fratello come persona consacrata e ministro di Cristo, quindi, è l’edificazione e la crescita umana e cristiana delle persone e delle comunità, nella prospettiva del Vangelo; per questo motivo, la sua azione non esclude il ministero della Parola. La sua presenza evangelizzatrice tra la gente sottolinea la dimensione della fraternità in tutti i suoi aspetti: lo sviluppo integrale delle persone, la promozione della giustizia, della pace, dei diritti umani… cioè il suo ministero tocca direttamente le questioni sociali, antropologiche e culturali dal punto di vista del Regno di Dio.

CONDIVISIONE IN COMUNITÀ E LINEE D’AZIONE

  1. In un clima di preghiera e di ascolto reciproco, condividiamo in comunità i frutti della preghiera personale.

2. Riflettiamo insieme:

a. Cosa ti fa pensare a ciò che abbiamo condiviso e pregato sul ministero del Fratello?

b. Cosa senti che lo Spirito ci invita a fare, personalmente, come comunità, come Provincia e come Istituto?

c. Come possiamo rispondere concretamente agli inviti dello Spirito?

d.  Il nostro impegno è: ________________________________

“Il ministero dei Fratelli, discepoli di Cristo fraterno, presta attenzione alla dimensione della fraternità in tutti i suoi aspetti, compreso lo sviluppo integrale delle persone, la promozione della giustizia, della pace e dei diritti umani. Si tratta, quindi, di un ministero aperto prevalentemente alla dimensione sociale, antropologica e culturale del Regno di Dio, orientato alla trasformazione sociale, alla testimonianza e all’annuncio della fraternità e all’animazione della comunità cristiana”.

SUGGERIMENTI PER LA CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA

Nel momento del PADRE NOSTRO, mantenete un prolungato momento di silenzio per pensare alla fratellanza che nasce da Dio.

Campagna sugli effetti nocivi dell’attività mineraria sulla salute e sull’ambiente

Piquia
Piquia

Oggi, 29 ottobre, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), insieme a Justiça nos Trilhos (Giustizia sui Binari), ha lanciato una campagna globale di informazione sull’impatto delle industrie minerarie e siderurgiche a Piquiá de Baixo, nell’Amazzonia brasiliana, che da più di tre decenni stanno deteriorando la salute delle comunità locali e devastando l’ambiente.

La campagna segna il trentesimo anniversario del Grupo Ferroeste nel comune di Açailândia e invita tutti a sostenere la lotta per i diritti di questa comunità, alla quale le aziende e lo Stato hanno chiuso gli occhi per tanto tempo.

Per saperne di più: https://bit.ly/3kFKur8

Il vento del cambiamento

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Storie di vita e ministerialità sociale

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I comboniani e le comboniane nacquero grazie al Piano di San Daniele Comboni di rigenerare l’Africa con l’Africa stessa. Il Piano fu pubblicato per la prima volta nel 1864, ma fu rivisto e aggiornato dallo stesso Comboni ben sette volte: fu un’ispirazione dall’Alto, frutto dell’amore compassionevole del Buon Pastore verso l’Africa che Comboni chiamava la perla nera; ma anche una partecipazione dal basso, con espressioni diverse di missione, strategie, coinvolgimento di gruppi ecclesiali, filantropici, scienziati e geografi, per la ricerca di personale e fondi per la sua realizzazione.

I biografi di Comboni gli riconoscono alcune caratteristiche fondamentali, tra le quali la sua chiaroveggenza pratica e dinamica e la sua incrollabile fiducia nella rigenerazione dell’Africa, nonostante gli ostacoli, le croci, le incomprensioni, le critiche e le calunnie; prova ne è che due africani: Daniele Sorur Pharim Den (1860-1900) e Fortunata Quascè (1845-1899),  ambedue sudanesi e sottratti alla schiavitù, nella visione inclusiva dell’opera comboniana, sposarono da subito il piano e, attraverso il loro ministero, ne rivelarono l’efficacia.

Il primo descrisse la reale condizione dei Neri e sottolineò che la rigenerazione degli africani poteva realizzarsi solo a due condizioni: spezzare il giogo della schiavitù e offrire agli africani le stesse opportunità di formazione che venivano date a tutti gli altri popoli. La seconda dedicò tutta la sua vita alla formazione e alla preparazione delle fanciulle africane, perché a loro volta, liberate da ogni schiavitù, avviassero nel cuore dell’Africa nera processi di rigenerazione.

Da oltre 150 anni gli eredi di Comboni, illuminati dall’Alto, con la stessa determinazione e con la stessa fiducia; mossi dall’amore compassionevole per i più poveri abbandonati, hanno dato forma al sogno di rigenerare l’Africa attraverso il ministero sociale, adattando il piano ai tempi e ai luoghi, nel soffio dello Spirito che rinnova la faccia della terra” (Sl 102, 30). Un patrimonio importante da conoscere e da valorizzare, soprattutto oggi, per affrontare un sistema neoliberista di predatori rapaci, che accentra la ricchezza nelle mani di pochi e promuove la cultura dello scarto, escludendo dalle condizioni di vita piena miliardi di persone.

Ecco perché per il 2020, l’anno che i missionari comboniani hanno dedicato alla ministerialità, le direzioni generali della famiglia comboniana, consacrati, secolari e laici, hanno chiesto ad una commissione, nominata ad hoc, di pubblicare un libro nel quale vengono raccontate alcune storie di vita vissuta nella ministerialità sociale. Allo stesso tempo, allargare la ricerca attraverso una mappatura delle nostre presenze e impegni, che coinvolge le comunità della famiglia comboniana, sparse nei quattro continenti.

Ci si proponeva di:

  • Elaborare dei criteri, modalità e principi comuni nelle esperienze esistenti di collaborazione inquadrandole in una prospettiva istituzionale.
  • Valutare in che modo le varie ministerialità hanno un impatto di trasformazione sociale sulla realtà e come la nostra presenza ministeriale risponda a una vera esigenza dei segni dei tempi.

Questo lavoro è stato senza dubbio ambizioso, ma allo stesso tempo limitato, nel senso che è sempre difficile racchiudere in uno scritto la ricchezza del vissuto. Anche perché c’è l’imbarazzo della scelta tra le esperienze di 3.500 missionari consacrati, consacrate, secolari, laici e laiche che operano secondo il carisma comboniano, in Africa, nelle Americhe, in Asia e in Europa.

Il libro dal titolo “Noi siamo missione. Testimoni di ministerialità sociale nella famiglia comboniana”, è stato pubblicato nel giugno 2020, in quattro lingue (italiano, inglese, spagnolo e francese). Il lavoro è stato il frutto della collaborazione di 61 missionarie e missionari, invitati a raccontare il loro vissuto ministeriale sociale; due esperti esterni, inoltre, hanno fatto una lettura sapienziale del materiale, indicando i punti di forza dell’impegno ministeriale e i nodi da sciogliere per una maggiore efficacia per il cambiamento del sistema.

Le narrazioni e le condivisioni fatte in questo testo, aiutano a comprendere che, pur nella molteplicità delle situazioni, degli approcci e delle iniziative, la dimensione sociale è l’asso trasversale di ogni ministero; nel senso che ogni servizio, inteso come dono di Dio, per la sua stessa forza intrinseca, proclama la liberazione degli oppressi, l’anno di grazia” (Lc 4, 18-19) e rivela alle genti i cieli nuovi e la nuova terra” (Ap 21, 1) nel progetto originale e provvidenziale di Dio.

Il racconto della prassi della ministerialità sociale, per questa ragione, arricchisce il paradigma di riferimento della missione, sempre più incarnata nella complessità del mondo di oggi e attenta nel leggere i segni dei tempi e dei luoghi, per poter ri-annunciare a tutti i popoli la fede in Gesù Cristo, con linguaggi e stili di presenza adeguati.

Il processo avviato sarà lungo e graduale nel tempo, ma potrà avvalersi di alcuni temi e suggerimenti messi in evidenza da queste condivisioni e da altre che saranno espresse nella mappatura generale della famiglia comboniana. È previsto anche un momento di raccolta, approfondimento, sintesi, discernimento e rilancio nel Forum sulla ministerialità sociale comboniana a Roma, nel prossimo dicembre 2020.

Non si parte dal nulla o da teorie, ma da eventi vissuti e narrati nella quotidianità della missione comboniana, che si possono sintetizzare con alcuni verbi:

Vedere: con occhi penetranti e cuore apertoper cogliere le sfide e le opportunità per l’annuncio del Vangelo.

Farsi prossimo: nella dinamica di una chiesa missionaria e “in uscita”, che vive ai margini e tocca le ferite dei fratelli e delle sorelle, prendendo su di sé l’odore delle pecore e lo stile di vita dei poveri.

Incontrare: vivendo e promuovendo la mistica dell’incontro. Professare la cattolicità e accorciare la distanza tra credi e culture, attraverso il dialogo e l’ecumenismo, per una fraternità globale.

Rigenerare: lasciarsi sfidare dalla realtà e industriarsi a cercare i cinque pani e i due pesci dei piccoli, l’obolo della vedova, l’acqua della purificazione dei popoli.

Trasformare: non c’è più tempo per modifiche; è tempo di cambiamento! È tempo di affrontare le cause che generano le disuguaglianze tra le persone e tra i popoli e la cultura dello scarto.

Celebrare: Tutto ciò che dà consistenza al ministero sociale e configura i discepoli e le discepole al mistero Pasquale del Cristo, sostegno della fede nella quotidianità della missione.

Ripartire. Nello sguardo dello Spirito non c’è più spazio per la auto glorificazione e la vanagloria; tutto viene provato nella fiamma del fuoco che purifica e spinge ad osare e ripartire per sentieri e strade inediti, perché siano sempre più le vie di Dio.

Gli ambiti della ministerialità sociale

Il cuore della ministerialità sociale è quello di mettersi in ascolto del grido dei poveri, allearsi con loro, perché le loro attese si realizzino e li rendano capaci di trasformazione; nella logica evangelica del Signore: Lui che da ricco che era, si è fatto povero, perché diventassero ricchi per mezzo della Sua povertà” (2 Cor 8, 9).

Come Famiglia comboniana, da sempre abbiamo operato nella dimensione sociale: nella formazione delle coscienze e la preparazione dei leaders professionali; nei Media e comunicazione; Cura e attenzione delle persone, sanità ed educazione; Periferie esistenziali e geografiche (come per esempio la cura dei ragazzi di strada, situazioni di guerra e di conflitto, minoranze etniche; la tratta dei minori e delle donne; diritti umani; carceri, pastoralisti…); la mobilità umana e la pastorale dei migranti; la salvaguardia del creato; la liturgia  e la catechesi.

Prospettive

Il processo avviato nel mettere l’accento sulla dimensione sociale della ministerialità non può né deve essere considerato come un’azione di circostanza e limitato nel tempo. E’un cammino di lungo percorso, secondo la tradizione viva della Chiesa. Deve essere sostenuto, alimentato, e rivisto nel ritmo accelerato del cambiamento epocale, allo scopo di dare efficacia e creatività alla presenza missionaria e carismatica della famiglia comboniana nel mondo di oggi.

La dimensione sociale nella ministerialità invita dunque a rivedere l’idea di missione. Un invito alla famiglia comboniana a riflettere su ciò che vuole essere e vuole realizzare per il bene dell’umanità nella costruzione del Regno di Dio.

Il filo conduttore è sempre la missione, con queste caratteristiche particolari:

  • la trasformazione del sistema che genera la cultura dello scarto;
  • la promozione del Vangelo della cura delle persone, attraverso la prossimità e la compassione samaritana;
  • la sinodalità, nel coinvolgimento e nella com-partecipazione effettiva di tutti i ministeri;
  • la conversione ecologica, coscienti che salvaguardando la casa comune creeremo le condizioni di vita degna per tutti, specialmente per gli esclusi.

Ecco perché il titolo del libro “Noi siamo missione”, diventa un appello alla missione, vissuta come comunità di rigenerati e comunione comboniana tra sorelle, fratelli e laici, sempre di più articolati e interconnessi con altri gruppi e associazioni ecclesiali e laiche, come parte integrante del popolo di Dio.

Questo processo di cambiamento amplifica il sogno comboniano di rigenerare l’Africa con l’Africa nella prospettiva del grande sogno di Papa Francesco, espresso nell’ Esortazione Apostolica post-sinodale “Querida Amazonia”: il sogno della costruzione di una nuova società con l’inclusione degli “scarti” e un nuovo patto sociale per il bene comune. Il sogno culturale di una umanità plurale; il sogno ecologico dove tutto è interconnesso e l’impegno a salvare la terra garantisce il futuro per l’intera umanità. Infine, il sogno ecclesiale, ben simbolizzato dall’immagine di ospedale da campo, immersa nella vita e nella realtà dei poveri ed emerginati, che tocca le ferite dei fratelli e sorelle e versa l’olio della pace e della riconciliazione.

Fernando Zolli e Daniele Moschetti

Libro: Noi siamo missione

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“La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei Figli di Dio” (Rom. 8,19)

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Carissime e carissimi nel nome del nostro Signore Gesù, vi salutiamo cordialmente!

Come ben ricorderete, due anni fa circa, è stato pubblicato il primo volume, dal titolo: “Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”, dove erano state raccolte soprattutto le idee, che ci animano e guidano in modo particolare all’interno dei percorsi inerenti alla GPIC. Questi percorsi, a loro volta, sono stati resi possibili anche dall’incontro tra i Fori Sociali Mondiali (FSM) e i Fori organizzati come Famiglia Comboniana in concomitanza ai FSM. Nei 150 anni di Storia e di Vita, i nostri Istituti si sono arricchiti di una grande esperienza ministeriale grazie soprattutto alla dedizione di moltissimi e moltissime missionarie che hanno interpretato con creatività e passione apostolica la specificità del nostro Carisma.

Questo secondo volume dal titolo: “Noi siamo missione: testimoni di ministerialità sociale nella famiglia comboniana”, presenta una gamma significativa di esperienze ministeriali concrete. Il nostro desiderio è che la condivisione di queste esperienze, scelte tra tante altre, prima di tutto ci aiuti a valorizzare quello che già facciamo, grazie al Dono dello Spirito Santo e alle nostre risposte personali e comunitarie. Inoltre, questa pluralità di esperienze condivise ci aiuta ad apprezzare le diverse azioni ministeriali comboniane che si completano e si arricchiscono a vicenda, rivelandoci la ricchezza del Carisma in una crescente dinamicità.

Chiediamo ai nostri Superiori Provinciali, di prendersi cura nel distribuire a tutte le comunità le copie stampate e anche la copia digitale in quattro lingue di questo secondo volume, perché tutte e tutti possano godere del lavoro fatto insieme e in collaborazione di oltre 40 confratelli e consorelle Comboniani.

Ringraziamo i membri della Commissione Ministerialità Sociale della Famiglia Comboniana che hanno lavorato con passione e competenza alla cura di questo secondo volume e alla mappatura delle nostre presenze comboniane di ministerialità sociale sparse nel mondo. A dicembre 2020, Covid-19 permettendo, si realizzerà il Forum sulla Ministerialità Sociale a Roma.

Queste iniziative e attività sono parte di un grande cammino di sinergia e collaborazione dei membri della Commissione e di tanti confratelli e consorelle, che, sicuramente porterà entusiasmo e apertura al nuovo a cui il Signore sta guidandoci. Tutto questo richiede, comunque, da parte di tutta la Famiglia Comboniana una grande apertura di cuore, mente, creatività e impegno che affidiamo all’ intercessione del nostro grande fondatore San Daniele Comboni.

Maria, Donna del Vangelo insegnaci ad annunciare tuo Figlio Gesù nel nostro impegno ministeriale!

Sr. Luigia Coccia, smc                        P. Tesfaye Tadesse, mccj

Potete scaricare il libro seguendo questo link

Fr. Alberto Parise: “Quale metodologia per la chiesa ministeriale?”

Alberto Parise
Alberto Parise

Nella serie di condivisioni e riflessioni che proponiamo in quest’anno dedicato alla ministerialità, non può mancare uno spunto sulla questione metodologica. In Evangelii gaudium (EG 24), papa Francesco illustra con cinque verbi gli elementi salienti di un agire ministeriale: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare. Ma dal punto di vista pratico, come si può mettere in pratica tutto questo in modo organico, sistematico? In questa riflessione suggeriamo che la metodologia del ciclo pastorale sia un patrimonio ecclesiale che molto ha da offrire a questo proposito.

Il ciclo pastorale

Il ciclo pastorale è un’evoluzione del metodo della “revisione di vita” messo a punto da Joseph Cardijn negli anni 1920, noto anche come “vedere – giudicare – agire”. Il presbitero belga, che veniva da una formazione sociopolitica, aveva sviluppato questo approccio nel contesto del suo ministero con il movimento della gioventù operaia cristiana, per un accompagnamento dei giovani in ambienti in cui proliferava l’orientamento socialista e comunista, con pregiudizi anticlericali. Aveva intuito, infatti, la necessità di un metodo adatto alla pastorale di una Chiesa in uscita.

La grande intuizione di Cardijn è stata quella di collegare scienze sociali e ministero pastorale, in un processo integrato. Nel tempo, questa metodologia si è diffusa in tutto il mondo cattolico, fino ad essere ufficialmente riconosciuta nell’enciclica Mater et magistra (1961) come la metodologia della pastorale sociale (n° 217 nella versione italiana dell’enciclica – curiosamente si trova al n° 236 della versione inglese del testo). In seguito, trova fortuna in America Latina, grazie al movimento della teologia della liberazione e continua a diffondersi in contesti diversi, adattandosi a luoghi e tempi particolari. Così oggi questa metodologia è conosciuta con nomi diversi (circolo pastorale, o ciclo, o spirale, ecc.) e viene articolata in quattro, cinque o anche sei fasi, ma fondamentalmente si tratta dello stesso metodo. Lo schema di base rimane quello del vedere – giudicare – agire. Ma poi si aggiunge un primo momento di inserzione, passaggio fondamentale per un approccio ministeriale. A questo fanno seguito l’analisi socioculturale (vedere), che fa uso delle scienze umane e sociali, e la riflessione teologica (giudicare), in cui ci si confronta con il Vangelo e la tradizione sociale della Chiesa. La fase dell’agire, poi, può venire formalmente articolata in vari passaggi per sottolineare l’importanza di alcuni aspetti che spesso vengono dimenticati o trascurati, come ad esempio la verifica e la celebrazione.

Attualità del ciclo pastorale: la forza dell’inserzione

Oggi è evidente che questa metodologia è preziosissima non solo per la pastorale sociale, ma per una qualsiasi iniziativa di tipo ministeriale. Anzitutto perché l’accompagnamento pastorale richiede di sviluppare relazioni che generano vita, di vedere l’esperienza umana, le situazioni, le problematiche della gente dal loro punto di vista, con empatia. Soprattutto, è fondamentale il saper cogliere il punto di partenza per un accompagnamento che porti alla rigenerazione delle persone e delle comunità, che generalmente è legato al loro vissuto, alla motivazione ed energia emotiva che può generare, e alla criticità della situazione. È grazie all’inserzione che un agente pastorale è in grado di cogliere tutto questo, di prendere l’iniziativa, uscire verso le periferie umane ed esistenziali e coinvolgersi. Dal punto di vista comboniano, l’inserzione è una caratteristica carismatica (cfr. Ratio missionis), in cui si esprime il fare causa comune e si coglie l’ora di Dio nel contesto in cui si svolge il ministero, specialmente nelle situazioni di crisi.

Un’analisi socioculturale che risveglia la speranza

Qui si innesta l’accompagnamento pastorale, da intendersi nella linea di rendere la gente protagonista del proprio cammino, superando paternalismi e situazioni di dipendenza (cfr. la rigenerazione dell’Africa con l’Africa). Si tratta di camminare con la gente verso una rigenerazione nel Risorto, un cammino di trasformazione che nasce dalle situazioni particolari in cui ci si trova. Situazioni che vanno comprese non solo al livello dei sintomi, ma delle cause profonde dei problemi. Quando una comunità, un gruppo umano non percepisce con chiarezza le cause della propria condizione di disagio, o di povertà, non è in grado di influenzarla significativamente e tende a scoraggiarsi, a rassegnarsi, a ripiegarsi nel proprio intimo per riconquistare un proprio spazio di controllo nella propria vita. Inoltre, rende appetibili grandi semplificazioni, letture fuorvianti della realtà, strumento oggi usatissimo per manipolare le persone in una logica di dominio. Ma quando comprende criticamente la propria condizione ed il contesto globale, rinasce la speranza e si riappropria del proprio potere di cambiare le cose.

La riflessione teologica: chiave della trasformazione

La fase di analisi aiuta anche a far emergere le proprie contraddizioni e dilemmi, che offrono un ottimo punto di partenza per una riflessione sull’esperienza, in chiave di fede, che completa il discernimento. Questa è la riflessione teologica che caratterizza il ciclo pastorale e che risulta in una decisione di intraprendere un corso d’azione. È davvero il punto di svolta del cammino di rigenerazione nel Risorto, un dono di grazia. Ed è anche il luogo in cui avviene il dialogo tra l’esperienza, il vissuto della gente, e le prospettive di senso che la guidano, che interpretano eventi e situazioni: un dialogo tra i valori culturali, una cosmo-visione e il Vangelo, o anche un processo che offre le condizioni per un’incarnazione del Vangelo. Si tratta di un momento propizio per la conversione del cuore, per la consapevolezza di un incontro autentico con il Risorto, scoprendo così anche una vocazione a rispondere alla situazione su cui si è riflettuto.

Come emerge anche nel Piano di Comboni (S 2742), questa riflessione porta a guardare alla realtà con gli occhi della fede e a rispondere con determinazione, concretezza e profezia agli inviti dello Spirito.

Lo stile collaborativo dell’azione

La fase dell’azione, infine, è piuttosto articolata. Solitamente richiede una programmazione e alle volte può anche richiedere tempo ed energie per attrezzarsi in modo da acquisire o sviluppare le necessarie competenze. L’accompagnamento ministeriale, infatti, richiede di facilitare una continua formazione e organizzazione dei gruppi e comunità con le quali si condivide il cammino, che è tanto più efficace quanto più è partecipato, a partire dalla stessa programmazione. È bene che questa preveda i meccanismi di monitoraggio e verifica, che altrimenti vengono facilmente dimenticati o ignorati.

L’approccio ministeriale si fonda sulla collaborazione di equipe pastorali, sulla sinodalità, sul fare rete e su di uno stile di servizio, tutto in un’ottica di processo condiviso. Chiaramente tutto questo non s’improvvisa, richiede organizzazione e atteggiamenti di apertura, umiltà e fiducia. Non è sufficiente agire, ma bisogna anche riflettere assieme su quello che si fa, su come lo si fa, sui risultati dell’azione, su quello che si sta imparando e soprattutto sulla presenza e azione di Dio lungo tutto il percorso. È nel momento della celebrazione che tutto questo emerge, si approfondisce, si arricchisce di nuova consapevolezza, di nuovi doni, di rinnovata ispirazione, come anche della possibilità di rigenerare relazioni e costruire comunione. Così si festeggia la vita donata e ricevuta lungo il percorso, che non significa tanto “celebrare dei successi”, quanto riconoscere che “le opere di Dio nascono ai piedi della croce”. Di qui viene lo slancio per inaugurare un ulteriore ciclo ministeriale.

In conclusione, si impongono due considerazioni: anzitutto il fatto che il ciclo pastorale, come metodologia ministeriale, richieda delle competenze che vanno acquisite e sviluppate. Non che tutti debbano sapere tutto, ma in un contesto di equipe ministeriale è bene che si riesca a padroneggiare un insieme articolato di strumenti, una sorta di “cassetta degli attrezzi”. E poi dobbiamo chiederci come possiamo facilitare l’acquisizione di queste competenze sia a livello di formazione di base, sia in missione, in un contesto di formazione permanente che tenga conto della specificità delle situazioni e dei bisogni.

Fr. Alberto Parise mccj