Laici Missionari Comboniani

Laicato e Ministerialità

Laicado
Laicado

Laicato e ministerialità

Tenteremo di fare una riflessione sulla ministerialità da una prospettiva laicale, in particolare dal punto di vista della vocazione missionaria comboniana. Prima però di addentrarci in questi ministeri e servizi dal punto di vista della fede, credo sia importante inquadrare l’argomento.

La nostra vita prende una svolta quando facciamo un incontro personale con Gesù di Nazaret. Condividiamo questa società con molti uomini e donne di buona volontà. Ciascuno con principi e valori che orientano le sue azioni e le sue scelte di vita. Ma per noi esiste un “prima di” e un “dopo” aver conosciuto Gesù. Come i primi discepoli, un giorno abbiamo incontrato Gesù sulla nostra strada. Il nostro cuore ha sobbalzato e le nostre labbra hanno chiesto “Dove abiti?”. E la sua risposta è stata “vieni e vedi”. A partire da quel momento la nostra vita è cambiata.

Sono tante le vie attraverso le quali siamo giunti a questo incontro: per molti è stato grazie alle nostre famiglie, alle nostre comunità cristiane, ai nostri amici, a circostanze della vita che ci sono capitate… indubbiamente la casistica è molto vasta. Ma ciò che è realmente determinante, è la risposta data, a partire dalla libertà, e le conseguenze di questa risposta in ciascuna delle nostre vite. La risposta è libera, nessuno ci costringe a darla, è una grazia che abbiamo ricevuto e, di conseguenza, il riconoscimento di una nuova vita.

Il laico è prima di tutto un seguace di Cristo. Non si tratta di seguire un’ideologia né semplicemente di lottare per delle cause giuste che contribuiscano ad una nuova umanità più giusta e dignitosa per tutti, né vuol dire seguire tutti i precetti della religione che possono aiutarci nel nostro rapporto con Dio. Essere cristiani vuol dire innanzitutto seguire Gesù, uscire dalla nostra zona di confort e mettersi in cammino. Prendere il necessario per andare leggeri ed essere sempre aperti e disponibili in questo seguire. Gesù ci mostrerà, lungo questo cammino, qual è la nostra parte di responsabilità nell’annuncio e costruzione del Regno.

Noi diciamo di essere in costante discernimento che non è uno stato di dialogo costante con il Signore. È vero che esistono momenti speciali di discernimento nella vita di ogni persona. Sono quelli che riguardano la sua vocazione principale, come nel caso del matrimonio o della vocazione alla quale ci sentiamo chiamati, come la vocazione missionaria, e anche il genere di professione attraverso la quale vogliamo o sentiamo di poter servire gli altri, scegliendo un certo tipo di studi o un altro, un certo lavoro o un altro. È fondamentale per la vita di ogni persona capire questa chiamata a fare l’infermiere, il medico, l’insegnante, il dirigente d’azienda, l’avvocato, l’educatore, o a lavorare nel campo sociale, o essere un politico, fare l’artigiano, ecc.

Momenti vitali che nella nostra adolescenza, gioventù ed età adulta si presentano in maniera significativa. Ma, al di là di questi momenti, che ci manterranno sul cammino nei momenti difficili, in questo cammino vogliamo rimanere in ascolto. Non vogliamo accomodarci. Nella vita si presentano continuamente nuove sfide e nuove chiamate da parte di Gesù. Per noi, come missionari, avere la valigia pronta è qualcosa che fa parte della nostra vocazione. Siamo chiamati ad accompagnare le persone, le comunità per un determinato periodo, per poi andare via, perché l’andare via è parte essenziale. Uscire o continuare a crescere. Non rimaniamo sempre uguali per anni perché riconosciamo che le necessità cambiano. Siamo chiamati a lasciare la nostra terra e a viaggiare in altri paesi, in altre culture; siamo chiamati a svolgere nuovi servizi, a ritornare nei nostri luoghi di origine, ad assumere nuovi impegni: tutto questo fa parte della nostra vocazione. In ogni chiamata, ad ogni nuovo cambiamento, dobbiamo capire quali sono i piani del Signore per noi. Perché ci chiede di andare in un altro continente o di tornare nel nostro luogo di origine quando stavamo facendo così bene presso quella gente, quando addirittura sembravamo così necessari in quel luogo, la vita ci porta a cambiare posto, a cominciare di nuovo…

Perché quando ci sembrava di essere arrivati in un porto definitivo, c’è qualcosa dentro di noi che ci interroga, ci inquieta? È il Signore che ci parla. Con Lui abbiamo un rapporto di amicizia che ci aiuta a crescere. Come amici condividiamo la vita e i nuovi progetti che la attraversano. Con momenti di maggiore stabilità ma anche con momenti di nuove sfide. Non siamo venuti a riposarci su questa terra ma a far fruttare la vita e a permettere e a lottare affinché anche altri possano goderne.

Noi rispondiamo a questa chiamata non solo in maniera individuale ma anche dall’interno di una comunità. Non camminiamo da soli. Questo è parte della nostra vocazione cristiana, l’appartenenza alla Chiesa, come ci sentiamo parte anche di tutta l’umanità. E come parte di questa Chiesa ci sentiamo chiamati ad un servizio comune. Come Laici Missionari Comboniani (LMC) sentiamo questa appartenenza alla Chiesa di Gesù. E sentiamo che questa vocazione specifica che abbiamo ricevuto è una vocazione e una responsabilità comunitaria. Abbiamo una chiamata personale ma anche una chiamata come comunità e comunità di comunità. Riconosciamo la Chiesa come sacramento universale di salvezza, ciascuno con la propria specificità, doni e carisma per l’annuncio e la costruzione del Regno.

Gesù chiama i suoi discepoli a vivere, a percorrere il cammino in comunità. Sappiamo che solo con l’aiuto di Gesù possiamo camminare e come comunità abbiamo bisogno di quella spiritualità profonda che ci unisce a Gesù, al Padre e allo Spirito. Un cammino dove la preghiera, la vita di fede e la comunità diventano nutrimento e riferimento per la vita del LMC.

La centralità della missione in Comboni. La Chiesa al servizio della missione

Comboni aveva ben chiara la centralità della missione nella sua vocazione e la necessità di questa nella Chiesa. Davanti alle necessità dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi siamo chiamati a dare una risposta. E questa risposta è talmente necessaria e complessa che non siamo chiamati a darla individualmente bensì come Chiesa. Tutti e ciascuno di noi cristiani siamo chiamati a rispondere a questa chiamata. Non importa il nostro stato ecclesiale, ciascuno di noi deve dare una risposta di fede. Gesù chiama ciascuno a camminare. Ed è per la complessità delle necessità che esistono che lo Spirito suscita nel mondo e nella sua Chiesa vocazioni diverse, carismi diversi che diano il loro contributo a questa realtà.

Identificare la Chiesa con il clero o anche con i religiosi e le religiose vuol dire non capire Gesù, vuol dire non ascoltare lo Spirito. L’attività e la chiamata al sacerdozio o alla vita religiosa nei suoi numerosi aspetti è fondamentale per il mondo, ma non più dell’impegno di tutti e di ciascuno dei laici. La Chiesa non ha solo una responsabilità legata alla religiosità e spiritualità delle persone. Abbiamo una responsabilità sociale, familiare, ambientale, educativa, sanitaria, ecc. con il mondo intero.

Le cose di ogni giorno sono le cose di Dio. Le piccole cose sono le cose di Dio. L’attenzione ad ogni persona nel concreto e nelle necessità globali sono responsabilità dei seguaci di Gesù. E in tutte queste cose, il ruolo del laicato è fondamentale, dell’uomo e della donna, in campo materiale e spirituale… così lo intese Comboni e così lo intendiamo anche noi.

Comboni

Il laico nel mondo

In questa chiamata globale che abbiamo ricevuto, la Chiesa si presenta come comunità di riferimento. È nutrimento per il servizio. Luogo dove riprendere le forze, dove nutrirsi in maniera privilegiata anche se non unica.

Come laici siamo chiamati a far nascere radici che stabilizzino il terreno e lo arricchiscano, siamo chiamati a creare reti di solidarietà e di relazione che articolino la società, attraverso la famiglia, le piccole comunità di condominio, di quartiere, entità sociali, aziende… siamo grandi creatori di reti di relazione, collaborazione e lavoro. Viviamo coinvolti in tutte queste reti e siamo chiamati ad animarle, a dare loro una spiritualità perché siano al servizio delle persone, soprattutto dei più deboli. Siamo chiamati ad includere tutte le persone. Il nostro sguardo deve concentrarsi sui più poveri e abbandonati di cui parlava Comboni, sugli esclusi da questa società, deve essere uno sguardo che ci spinge a stare nelle periferie perché è dal basso che le cose si vedono in maniera diversa. Non possiamo adattarci ad una società dove non tutti hanno una vita dignitosa. Una società dove si premia l’avere e non l’essere e il consumo che sta devastando un pianeta finito che grida e reclama la nostra responsabilità globale.

Questa visione che deve interrogare la nostra vita ci chiede azioni concrete.

La chiamata del laico è una chiamata al servizio dell’umanità. Una chiamata che per alcuni sarà di servizio interno alla nostra Chiesa. Non possiamo pensare che il buon laico sia colui che aiuta in parrocchia e perdere di vista la nostra vocazione di servizio al mondo. Alcuni servizi interni sono necessari ma la Chiesa è chiamata ad uscire. Ad andare con Gesù sulla strada, ad andare di villaggio in villaggio, di casa in casa, ad aiutare nelle piccole e grandi cose. Siamo chiamati ad essere sale che dà sapore, lievito nella pasta… chiamati a stare nel mondo e a contribuire in maniera significativa. Non possiamo rimanere in casa dove ci troviamo bene, dove ci comprendiamo gli uni con gli altri. Siamo chiamati ad uscire. La Chiesa non nasce per sé stessa ma per essere comunità di credenti che segue Gesù e serve i più bisognosi. Per questo ci sentiamo chiamati ad essere di aiuto nella crescita delle comunità umane (anche quelle cristiane).

Qual è la risposta che stiamo dando a questa chiamata come LMC?

Attualmente c’è un’ampia riflessione in tutta la Chiesa sullo specifico missionario. Su quali sono e dovrebbero essere i nostri servizi in quanto missionari, i nostri ministeri specifici. Ormai si è perduta la referenzialità geografica della missione, il riferimento fra un nord ricco e un sud da sviluppare, dove le disuguaglianze e le difficoltà sono presenti in tutti i paesi, anche se in alcuni continuano a concentrarsi la maggior parte delle ricchezze e delle possibilità mentre in altri le difficoltà sono molto più gravi… Infatti, la miseria è dilagante tra i senzatetto nei cosiddetti paesi ricchi, le migrazioni forzate a causa della povertà, le guerre, le persecuzioni per motivi diversi, i cambiamenti climatici e altri fattori stanno facendo sì che un fenomeno da sempre presente nell’umanità si stia aggravando. La pandemia del COVID-19 ci ricorda la globalità della nostra umanità al di sopra di barriere e frontiere. Ci colpisce tutti e tutte allo stesso modo. Finora il denaro sembrava essere l’unico in grado di viaggiare senza passaporto, ma ora sembra che possa farlo anche il virus.

Solo in un mondo giusto tutti potremo vivere in pace e prosperità. Le disuguaglianze salariali, i conflitti, il consumo scriteriato al punto da sciogliere i ghiacci dei poli e via dicendo finiscono per influire e avere conseguenze su tutta l’umanità. Le barriere e la polizia, che siano alle frontiere o nelle case o nelle zone urbane di chi ha di più, non otterranno un mondo migliore per tutti né per quelli che vi si rifugiano dietro.

Di fronte a tutto ciò, il dibattito e la riflessione sullo specifico del laicato missionario in questa nuova epoca è chiaro. Non avrò la pretesa di entrare nell’argomento in maniera teorica. Vi presenterò semplicemente alcune delle attività in cui siamo presenti come laici per dare una risposa alla chiamata ricevuta.

È questa la nostra ministerialità, il servizio a cui ci sentiamo chiamati. La risposta di vita, non teorica, che stiamo dando. Non mi dilungherò. Indicherò solo alcuni esempi che possano chiarire; tanti altri rimarranno nell’anonimato… non per niente siamo chiamati ad essere pietre nascoste.

Abbiamo amici e amiche che lavorano con i pigmei e con il resto della popolazione nella Repubblica Centrafricana, un paese dove siamo da oltre 25 anni. In mezzo a quanti sono considerati come servi dalla maggioranza della popolazione; facendo da ponte di inclusione o assumendoci la responsabilità di una rete di scuole primarie in un paese che ha attraversato vari colpi di stato ed è da anni in una situazione di guerra che non permette allo stato di fornire questi servizi.

In Perù accompagniamo la gente alla periferia delle grandi città. Negli insediamenti abusivi dove chi viene dalla campagna strappa un pezzo di terra alla città per vivere, senza luce, senza acqua né fognature. Poche famiglie che lottano per una vita dignitosa, che hanno lasciato i loro paesini per la città per poter mangiare e dare una vita migliore ai propri figli. Dove c’è molta solidarietà fra vicini e accoglienza ma anche problemi causati dall’alcol, dalla violenza maschilista e dalla disgregazione di molte famiglie.

In Mozambico collaboriamo nell’educazione dei giovani, maschi e femmine, che andando via dalle loro comunità dell’interno, sperano di potersi formare per risollevare il paese. Hanno bisogno di scuole che diano loro questa formazione professionale e internati che consentano loro di vivere durante il periodo scolastico, dato che le loro case sono molto distanti. Anche accompagnare questi giovani e le comunità cristiane fa parte della nostra chiamata.

Dall’altra parte, siamo presenti in Brasile, nella lotta contro le grandi compagnie estrattiviste che cacciano via le comunità dalle loro terre, avvelenano i fiumi e l’aria, interrompono le comunicazioni o le isolano con i loro treni chilometrici che estraggono i minerali della zona senza preoccuparsi dell’ambiente o del bene delle persone.

Inoltre, in molti paesi europei siamo coinvolti nell’accoglienza agli immigrati. Cerchiamo di restituire quanto abbiamo ricevuto quando anche noi eravamo stranieri. Siamo chiamati a ricevere quanti fuggono dalla miseria e dalle guerre, quanti sono in cerca di un futuro migliore per le loro famiglie e che al loro arrivo si trovano davanti muri non solo di cemento e reti metalliche ma anche di paura e di incomprensione da parte della popolazione. Fare da ponte con una popolazione che continua ad essere ospitale e solidale, presenti nelle organizzazioni sociali ed ecclesiali che si mobilitano per accogliere e integrare i nuovi vicini. Dall’accoglienza sulla spiaggia fino all’aiuto per la lingua, la ricerca di un lavoro, di una casa, per la trafila amministrativa o a riconoscere la ricchezza che ci portano e il valore aggiunto che rappresentano per la nuova società. Valorizzando quello che sono e le loro culture ed essendo dei referenti per queste ultime in un mondo che non sempre le comprende.

Quando la società crolla e l’essere umano è sconfitto non sappiamo cosa fare con queste persone. La reclusione in carcere è la soluzione che abbiamo dato come società. Ma queste carceri molto spesso diventano scuola di delinquenza e non di riabilitazione, come dovrebbero. Fra queste ci sono le APAC che sono nate in Brasile e che a poco a poco si stanno estendendo. Un sistema di reclusione dove la persona che arriva è considerata come uno da recuperare e non un detenuto, che viene chiamata con il suo nome e non con un numero. Protagonista della sua vita, la si aiuta a comprendere il suo errore e la necessità di chiedere perdono e a reinserirsi come membro attivo nella società. Un metodo dove la comunità opera un cambiamento e crea ponti recuperando i suoi figli e le sue figlie che un giorno hanno commesso un errore; dove queste persone da recuperare hanno le chiavi delle porte e man mano assieme agli altri capiscono la dignità di essere figli di Dio, il pentimento e il loro valore come persone per la società.

Il modo in cui si vive nei paesi con maggiori risorse sta esaurendo un pianeta finito. Le relazioni commerciali internazionali stanno impoverendo tanti a beneficio di pochi… promuovere un nuovo stile di vita è fondamentale per cambiare i paradigmi e i valori che si dimostrano come gli unici validi per un esito sociale e per la felicità. In una società in cui il possesso e il consumo prevalgono sull’essere, bisogna proporre nuovi stili di vita. Anche in questo siamo coinvolti in Europa: proponendo nuovi stili di vita, di impegno, di responsabilità nel consumo, nell’economia, ecc.

Potremo così proseguire con attività legate ad un’educazione impegnata con gli esclusi delle periferie delle nostre città, nell’attenzione ai malati mostrando il volto di Dio che li accompagna e la mano di Dio che se ne prende cura, nell’attenzione ai senzatetto, alle persone con dipendenze, ecc.

Come missionari siamo e dobbiamo rendere tutti consapevoli della realtà di un mondo globalizzato che richiede un’azione congiunta, una nuova presa di posizione. Perciò, ogni nostra piccola azione, tutti i nostri granelli di sabbia danno forma a piccole montagne dove salire, vedere e sognare un mondo diverso.

Salire con la gente con cui viviamo tutti i giorni. Chiamati in particolare a quanti vivono sommersi senza possibilità di vedere un orizzonte, di uscire dalle proprie difficoltà, siamo chiamati ad alzare la testa e a guardare avanti, ad animare e accompagnare queste comunità. Siamo chiamati a stare lì dove nessuno vuole andare.

Tutti chiamati a lottare in maniera globale per i problemi che sono globali, ad unirci e ad essere promotori di reti di solidarietà in questa umanità che abita la casa comune, che dimostra ogni giorno di essere più piccola.

E in mezzo, mettere Gesù, la persona che ha cambiato la nostra vita. Dio è un diritto di ogni uomo e di ogni donna. Ci sentiamo responsabili di far conoscere la Buona Novella, di presentare un Dio vivo che sta in mezzo a noi, che cammina con noi, che come ci ha mostrato Gesù di Nazaret non ci abbandona e ci accompagna sempre. Dentro ogni persona, nel più bisognoso, nella comunità, Dio aspetta ciascuno di noi, per trasformare la nostra vita, riempirla di felicità, di una felicità profonda. Dio ci aspetta per darci l’acqua viva, quell’acqua che colma la sete dell’essere umano.

Che il Signore ci dia le forze per poter essere sempre presenti e accompagnare, essere uno strumento che porta le persone ad incontrarlo e ci tenga sempre accanto a lui nel cammino.

LMC

Alberto de la Portilla, LMC

2020: Anno della ministerialitá

Trabajo en equipo
Trabajo en equipo

Il magistero di papa Francesco insiste sulla visione di una Chiesa ministeriale, cioè fraterna, intrisa “dell’odore delle pecore”, sinodale, collaborativa e che testimonia la gioia del Vangelo con l’annuncio, con lo stile di vita e con il servizio. Una Chiesa che intraprende un cammino di conversione e che supera il clericalismo e il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così” (EG 33). Il XVIII Capitolo Generale ha accolto questo orientamento della Chiesa universale e lo ha fatto proprio, auspicando un cammino di rigenerazione e riqualificazione del nostro impegno missionario nel senso della ministerialità (AC ’15, 21-26; 44-46).

LETTERA PER INTRODURRE L’ANNO DI APPROFONDIMENTO SUL TEMA DELLA MINISTERIALITÀ

“Leggendo ciò che ho scritto, potete rendervi conto della comprensione che io ho del mistero di Cristo. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo, del quale io sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa secondo l’efficacia della sua potenza”. (Ef 3,4-7)

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“Il perché egli…. deve considerarsi come un individuo inosservato in una serie di operai, i quali hanno da attendere i risultati non tanto dall’opera loro personale quanto da un concorso e da una continuazione di lavori misteriosamente maneggiati ed utilizzati dalla Provvidenza”. (Scritti 2889)

Trabajo en equipo

Carissimi confratelli, saluti di Santo Tempo Natalizio e Buon Inizio del Nuovo anno 2020!

Come è noto a tutti noi, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium ha rilevato il cambiamento epocale del nostro tempo e la necessità di un profondo rinnovamento nella Chiesa, per vivere con gioia il Vangelo ed essere fedeli alla propria vocazione di discepoli-missionari di Gesù. Con questa visione rinnovata della Chiesa, continua ad emergere sempre più una Chiesa “in uscita”, in cui la missione è paradigma del suo essere e del suo fare, in ascolto dello Spirito attraverso il grido dell’umanità che soffre, dei poveri e del Creato. Il magistero di papa Francesco insiste sulla visione di una Chiesa ministeriale, cioè fraterna, intrisa “dell’odore delle pecore”, sinodale, collaborativa e che testimonia la gioia del Vangelo con l’annuncio, con lo stile di vita e con il servizio. Una Chiesa che intraprende un cammino di conversione e che supera il clericalismo e il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così” (EG 33).

Il XVIII Capitolo Generale ha accolto questo orientamento della Chiesa universale e lo ha fatto proprio, auspicando un cammino di rigenerazione e riqualificazione del nostro impegno missionario nel senso della ministerialità (AC ’15, 21-26; 44-46). Lo Spirito ci chiama a sognare e a convertirci, come missionari “in uscita”, che vivono il Vangelo attraverso la condivisione della gioia e della misericordia, cooperando alla crescita del Regno, a partire dall’ascolto di Dio, di Comboni e dell’umanità. Un sogno che è il sogno di Dio, che ci porta ad osare, nonostante la nostra piccolezza, consapevoli di non essere isolati, ma membri di una Chiesa ministeriale. Siamo chiamati ad evangelizzare come comunità, in comunione e collaborazione con tutta la Chiesa, per promuovere assieme ai poveri la globalizzazione della fraternità e della tenerezza. Tutto questo si concretizza in scelte di riduzione e riqualificazione degli impegni, sviluppando dei servizi pastorali specifici, uscendo verso gruppi umani emarginati o in situazioni di frontiera.

Per aiutarci a crescere in questo cammino, la Guida per l’attuazione del XVIII Capitolo Generale ha riservato l’anno 2020 alla riflessione sul tema della ministerialità. Desideriamo proporre un’azione-riflessione, cioè un approccio che parta dall’esperienza, rifletta criticamente sul suo potenziale trasformativo e le sue criticità, per discernere corsi d’azione rinnovati.

È ciò che faceva Comboni stesso: è arrivato al Piano di Rigenerazione dell’Africa con l’Africa sulla base di un’esperienza diretta della missione, di studi di approfondimento e di confronto con altre esperienze, trovando nello stile ministeriale la risposta alla sfida “impossibile” dell’evangelizzazione dell’Africa. Il suo Piano riflette una comprensione sistemica dell’approccio ministeriale: un’opera collettiva e “universale”, che crea delle reti di collaborazione che riuniscono tutte le forze ecclesiali, riconoscendo ad ognuna la propria specificità e originalità. Un’opera che dà vita ad una pluralità di servizi, in risposta ai bisogni umani e sociali, per i quali prepara scientificamente dei ministri ad hoc, e che prevede la fondazione di comunità missionarie sostenibili dal punto di vista ministeriale, socioeconomico e della significatività sociale. Come ci ricordano anche Benedetto XVI e Francesco, la Chiesa cresce per attrazione, non per proselitismo.

Pertanto, la nostra riflessione sulla ministerialità richiede di metterci in ascolto dello Spirito, motore e protagonista dei ministeri nella Chiesa discepola-missionaria. Ci proponiamo di approfondire questa tematica in relazione alla nostra vita missionaria ed esperienza ministeriale, personale e comunitaria, attraverso la condivisione, principalmente, di due sussidi:

  1. Inserti nella Familia Comboniana;

2. Un agile sussidio a schede che faciliterà la condivisione, l’approfondimento, la riflessione e il discernimento a livello comunitario.

Vi invitiamo ad approfittare di questi strumenti per un percorso di formazione permanente a livello personale e comunitario, facilitato da una guida scelta all’interno di ogni comunità, che potrà avvalersi di esaurienti note di facilitazione fornite assieme al sussidio.

Anche il Sinodo per l’Amazzonia, celebrato recentemente, ha rilevato l’urgenza di una conversione pastorale nella Chiesa: la crescita nella ministerialità è una chiave fondamentale di questo cammino. Abbiamo pertanto una grande opportunità di crescita e rinnovamento, e sta a ciascuno di noi e ad ogni comunità farne tesoro. Ma è anche un cammino che non facciamo da soli, quanto piuttosto in comunione con la Chiesa. Anzi, ci auguriamo che il nostro impegno a metterci su questo cammino di rinnovamento missionario-ministeriale possa essere di stimolo e di sostegno – in una dinamica maieutica reciproca – alla Chiesa locale in cui viviamo: non sarà soltanto un percorso di formazione permanente, ma anche di missione/animazione missionaria.

Nel 2020 avremo anche un evento speciale, a livello di Famiglia comboniana, sulla ministerialità sociale, che si svolgerà a Roma dal 18 al 22 luglio. Questo forum è parte di un cammino più ampio che stiamo percorrendo come Famiglia comboniana, che prevede anche una mappatura di tutte le esperienze di ministero sociale della Famiglia comboniana. Vorremmo arrivare a costruire sinergie, a sviluppare una visione ed un linguaggio condivisi, a fare rete e a costruire movimenti di trasformazione evangelica della realtà sociale. Nel medio periodo, questo percorso ci aiuterà a sviluppare partecipativamente delle pastorali specifiche, come ci ha chiesto il Capitolo del 2015. Abbiamo bisogno della vostra partecipazione, con entusiasmo, a questo processo, che più sarà inclusivo, più sarà ricco e significativo.

Infine, a sostegno della dimensione di GPIC (Giustizia, Pace e Integrità del Creato), asse trasversale dei ministeri missionari, abbiamo il piacere di presentarvi due strumenti pratici che saranno pubblicati nel 2020:

=   Sussidio per la formazione comboniana di base e permanente su valori di GPIC

=   Il secondo volume sulla GPIC della Famiglia comboniana, a cura di p. Fernando Zolli e p. Daniele Moschetti, che fa seguito al volume Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo.

Che san Daniele Comboni interceda per noi: ci renda “santi e capaci” di far fruttificare il dono della ministerialità.

Il Consiglio Generale Il Segretariato Generale della Missione

Piangiamo con Madre Terra con lacrime di fango e sangue.

Iglesia y Mineria

No all’impunità!

Iglesia y Mineria

Le Chiese e la Rete mineraria piangono con le vittime del crimine socio-ambientale di Brumadinho, Minas Gerais (Brasile). Stiamo scrivendo oggi da questa comunità violata, che conosciamo bene e che visitiamo ancora oggi, dopo aver celebrato insieme ai suoi membri varie volte nella vita, nel cammino e nella resistenza all’espansione delle attività minerarie. Scriviamo anche dalle tante comunità latinoamericane colpite dall’arrogante violenza dell’estrattivismo, abbracciate oggi silenziosamente alla piccola Brumadinho, in lacrime.

Siamo solidali con le famiglie delle vittime e le comunità di fede, che avranno davanti a sé la difficile sfida di ricostruire la speranza. Siamo anche vicini all’Arcidiocesi di Belo Horizonte, che con le parole del Vangelo ha definito la tragedia “abominio di desolazione”, riferendosi alle «assurdità scaturite da avidità e disprezzo dell’altro, della verità e del bene di tutti».

Continuiamo ad accompagnare e offrire consulenza alle Chiese impegnate in territori feriti dalle attività estrattive e in tutti i conflitti aperti tra le società minerarie e comunità (solo in Brasile sono più di 70 le diocesi dove ci sono questi conflitti).

L’impunità rafforza il crimine

Iglesia y Mineria

La società VALE SA, insieme a BHP Billiton, è stata responsabile, il 5 novembre 2015, della morte di 19 persone e dell’inquinamento di tutto il Rio Doce. Il ripetersi, dopo tre anni, di uno stesso incidente socio-ambientale, che ha provocato molte più vittime, è la conferma dell’incapacità di gestione e prevenzione del danno, del disinteresse e del comportamento criminale della VALE SA.

Questa responsabilità coinvolge anche lo Stato, che concede licenze a progetti estrattivi e dovrebbe monitorarli per garantire la sicurezza e la vita dignitosa della popolazione e dell’ambiente.

La responsabilità dello Stato è duplice, perché l’impunità e la mancanza di un risarcimento serio e completo per le vittime del crimine della Mariana è una delle principali cause che hanno provocato il recente crimine di Brumadinho.

Porte girevoli

Iglesia y Mineria

Il capitale compagnie minerarie e il potere politico, favoriscono lo sviluppo o l’espansione di grandi progetti estrattivi, riducendo al minimo le condizioni e le relative regole di licenza. Il “Córrego do Feijão” stesso, il cui deposito di rifiuti tossici  si è infranto, ha ottenuto nel dicembre 2018 una licenza ambientale per l’espansione del 88% delle sue attività. Nel Consiglio delle Politiche Ambientali dello Stato di Mina, solo il Forum nazionale della società civile sulla Gestione dei bacini idrici (FONASC) ha votato contro l’espansione, denunciando meccanismi iniqui per ridurre i requisiti di licenza di grandi progetti minerari.

Le catastrofi causate dal comportamento irresponsabile delle compagnie alleate al potere pubblico non possono essere definite semplici “incidenti ambientali”.

Società civile organizzata ma non ascoltata

Dal 2011, la popolazione di Brumadinho e la regione stanno organizzando manifestazioni di protests in modo organizzato contro la miniera, i suoi impatti e minacce. Il FONASC, nel dicembre 2018, ha pubblicato una comunicazione ufficiale al Segretario di Stato dell’Ambiente, chiedendo la sospensione delle licenze della miniera “Córrego do Feijão”. L’Associazione Internazionale delle vittime della Vale ha denunciato, nell’Assemblea Generale degli Azionisti Vale nel mese di aprile 2018, “i pericoli di ripetuto processo di riduzione spese e dei costi nelle loro operazioni”, facendo esplicito riferimento ai vari depositi di rifiuti.

I responsabili di questi crimini non possono chiedere giustificazioni perché inconsapevoli. Al contrario, in nome del progresso e del profitto di pochi, c’è una sistematica boicottaggio di voci diverse dalla loro.

Ribadiamo con forza le parole di Papa Francesco nella Enciclica Laudato si ” nel dibattito, devono occupare un posto privilegiato residenti locali, le stesse persone che si interrogano su ciò che vogliono per se stessi e per i loro figli e possono prendere in considerazione gli scopi che trascendono l’interesse economico immediato”(LS 183).

Piegare fino a rompersi

Iglesia y Mineria

Il neoeletto Presidente del Brasile, in risposta alle pressioni di chi ha finanziato la sua campagna, ha espresso l’idea di un piano per rendere il controllo e le licenze ambientali il più flessibile possibile. Ha criticato la presunta “industria della  “sanzione ambientale”; il suo governo ha decurtato i poteri del portafoglio Ambiente, sospeso i contratti con le ONG impegnate nella difesa dell’ambiente, estinto i segretariati che hanno lavorato per le politiche pubbliche contro il riscaldamento globale.

Anche i precedenti governi hanno facilitato l’espansione incontrollata dell’estrazione mineraria nel paese, promuovendo il piano minerario nazionale e riformulando, per decreto, il quadro giuridico delle miniere.

Gli eventi recenti dimostrano, con violenza, che queste politiche sono un suicidio collettivo e una minaccia per la vita delle generazioni future.

Questo modello di crescita è insostenibile e letale; non è possibile ricattare persone che hanno bisogno di posti di lavoro per sopravvivere in regioni controllate dal settore minerario, senza garantire allo stesso tempo sicurezza, salute e assistenza sociale. I problemi non si risolvono “solo con la crescita dei profitti delle aziende e degli individui”. “Non è sufficiente conciliare, a medio termine, la cura per la natura e l’introito finanziario, o la conservazione dell’ambiente con lo sviluppo.

la cura della natura con reddito finanziario, o la conservazione dell’ambiente con progresso. In questo campo, parlare di ‘a medio termine’ significa solo ritardare di poco il definitivo collasso”. Si tratta semplicemente di ridefinire l’idea di progresso.” (LS190,194)

False finestre di dialogo

Frequentemente, aziende e governi si appellano a mediare i conflitti con le popolazioni interessate attraverso il “dialogo”. Cercano, persino, l’intermediazione delle chiese, per offrire a questi processi una maggiore credibilità.

Anche istituzionalmente hanno investito in mediazioni extragiudiziali e in termini di adeguamenti del comportamento per rendere più efficace e rapida la riparazione dei danni e delle violazioni ambientali.

La mancanza di implementazione di mitigazioni e risarcimenti, l’abbandono per prevenire nuovi disastri e la ripetizione di pratiche irresponsabili e criminali confermano che questo tipo di proposta non è un vero dialogo. È una strategia delle aziende per sedurre l’opinione pubblica, garantire una specie di licenza sociale per inquinare, ridurre la resistenza popolare ed evitare che il grande capitale possa essere convertito ai valori della sostenibilità e del bene comune.

Più di questo “dialogo”, asimmetrico e irrispettoso, confidiamo nelle regole democratiche di protezione dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni, così come nelle autorità che controllano efficacemente il loro rispetto e puniscono coloro che le violano. Sosteniamo un Trattato vincolante per le imprese e i diritti umani, a livello internazionale, e una risposta giudiziaria responsabile, efficace e tempestiva per coloro che scommettono sull’impunità o, al massimo, una leggera incidenza finanziaria di ammende rare applicate.

Il crimine socio-ambientale non è un incidente!

Iglesia y Mineria

Da Brumadinho e dall’America Latina, 26 gennaio 2019

 

Nel mondo ma NON del mondo!

LMC-Centroafrica

LMC-CentroafricaCiao a tutti!
Io sono André, sono un bambino pigmeo, non so quanti anni ho, forse tra i 7 e i 9, e vivo a Ndobo, un accampamento nella foresta della Repubblica Centrafricana, vicino a Mongoumba. La mia casa, se si puó chiamare casa, é simile ad un igloo fatta da rami e foglie secche, con delle assi di legno che mi fanno da letto, non c’é il bagno, la cucina, la TV, la corrente elettrica, ma fortunamente é vicina ad un pozzo d’acqua, che qualche missionario ha costruito tanto tempo fa, cosi posso bere e lavarmi, senza camminare un’ora nella foresta.
Da lunedi a venerdi con altri amici che vivono nell’accampamento, mi alzo e vado a scuola, camminando circa 4 km senza scarpe. Qualche giorno arriviamo un pó in ritardo ma non avendo l’orologio, non sappiamo a che ora ci dobbiamo svegliare; tutto si fa più difficile nella stagione delle pioggie, perché la strada diventa simile a una palude.
Quando arriviamo alla parrocchia di Mongoumba, entriamo in una sala che Cristina ha preparato appositamente per noi, ognuno ha il suo posto con il suo nome, dove ci possiamo lavare un pó, metterci la tenuta della scuola e dopo aver salutato Anna, Maria Augusta, Cristina e Simone andiamo di corsa in aula. Spesso in classe entra Maria Augusta che aiuta il maestro a “tenerci a bada”, visto che siamo più di 50, insegnandoci il francese, anche se a noi ci piace parlare la nostra lingua SANGO.
La scuola finisce alle 12.30, poi torniamo nella sala San Daniele Comboni, per rimetterci i nostri vestiti pieni di buchi e andiamo a mangiare nella “DA TI NDOYE” (CASA DELLA CARITÀ/AMORE), dove un giorno ci viene preparato riso con fagioli, un giorno polenta di manioca con pesce, un giorno Makongo (bruchi) con ngungia! Mangiamo tutto velocemente, poi attendiamo Simone e Cristina alla payotte vicino alla chiesa per ritornare tutti insieme all’accampamento dove giochiamo un pó a pallone, a volte coloriamo o vediamo un film, finché quando é quasi buio, Simone e Cristina ci salutano e ci ricordano che il giorno dopo bisogna arrivare puntuali!
La mia giornata si chiude nel buio dell’accampamento, senza luci e magari con qualche animaletto strano che si intrufula nel mia piccola casetta, ma coccolato dal cielo della Repubblica Centrafricana trapunto di stelle che a volte sembrano delle piccole perle preziose.
Ah dimenticavo…io non esisto! Sono nel mondo…fatto di carne e ossa, posso correre, saltare, giocare…ma non sono del mondo!
E come me ci sono tanti altri bambini pigmei in Repubblica Centrafricana! Non solo siamo sfruttati, perché le risorse che si trovano nella terra del nostro paese vengono esportate in luoghi che nemmeno conosciamo per produrre TV, telefoni, computer, armi, bombe…ma siamo fuori del mondo… io sono un escluso, niente documenti, niente data di nascita, nessun registro anagrafico…insomma…
…NEL MONDO ma NON DEL MONDO! (Gv 17,15)
un caloroso ciao
un bacione a tutti
un grande abbraccio
una piccola preghiera
André con
Paul, Pierre, Marie, Albert Dimanche, Pierre, François Albert, Philippe, Guy, Marie, Terese, Marcel, Gabriel…
(con Anna, Maria Augusta, Cristina e Simone)

Diario di bordo Simone da RCA

Simone Mongoumba

Simone Mongoumba

Ciao a tutti come state? spero tutto bene…qui é iniziata la stagione delle pioggie e per gli spostamenti avremmo bisogno dell’arca di Noè…
… però quando piove Mongoumba si ferma (come tutta la Repubblica Centrafricana credo), i bambini e i maestri non vengono a scuola, in giro non c’è nessuno, e noi possiamo… …dormire…tutto il giorno… 🙂 … al suono della pioggia che cade…
…e pensare a tutti voi che siete in Portogallo, in Polonia e in Italia… in tutto il mondo… 🙂
… La missione ha i suoi pro e i suoi contro… 🙂

ESPERGESIA

Yo nací un día
que Dios estuvo enfermo.

Todos saben que vivo,
que soy malo; y no saben
del diciembre de ese enero.
Pues yo nací un día
que Dios estuvo enfermo.

Hay un vacío
en mi aire metafísico
que nadie ha de palpar:
el claustro de un silencio
que habló a flor de fuego.

Yo nací un día
que Dios estuvo enfermo.

Hermano, escucha, escucha…
Bueno. Y que no me vaya
sin llevar diciembres,
sin dejar eneros.
Pues yo nací un día
que Dios estuvo enfermo.

Todos saben que vivo,
que mastico… y no saben
por qué en mi verso chirrían,
oscuro sinsabor de féretro,
lucidos vientos
desenroscados de la Esfinge
preguntona del Desierto.

Todos saben… Y no saben
que la Luz es tísica,
y la Sombra gorda…
Y no saben que el misterio sintetiza…
que él es la joroba
musical y triste que a distancia denuncia
el paso meridiano de las lindes a las Lindes.

Yo nací un día
que Dios estuvo enfermo,
grave.

(César Vallejo)

Simone Mongoumba

In questa notte profonda, densa, cupa, appiccicaticcia, penetrante, spesso desolante e sconfortante che avvolge tutta la Repubblica Centrafricana, ci sono dei lampi di luce abbagliante che dura solo un istante…
…lampi di fucili, di spari, di armi, di granate seguite da un tremendo frastuono…
…e lampi di … ESPERGESIA… lampi GENERATORI di SPERANZA…

…a Bangui, nel quartiere chiamato KILOMETRO 5, nella parrocchia di Nostra Signora di Fatima (dove ho vissuto 45 giorni e studiato il Sango), nel giorno della solennità di San Giuseppe lavoratore (1 maggio), durante la messa, sono risuonati lampi di fucili, di spari, di armi, di granate…un attacco ben pensato e programmato da persone che vogliono che questa notte continui in eterno…16 vittime!

Abbiamo immediatamente percepito che il rombo del tuono della deflagrazione è risuonato in tutto il mondo (qualcuno ci ha scritto dal Brasile), abbiamo sentito il calore della vostra vicinanza…noi stiamo bene…non siamo stati testimoni diretti…ci raccontano che lentamente la situazione si sta “normalizzando”, e infatti è così…dopo i lampi delle armi, siamo tornati alla normalità di vivere in una quotidiana notte ancora più oscura…

Simone Mongoumba

…a Mongoumba, lampi di ESPERGESIA, lampi GENERATORI DI SPERANZA… lampi infinitesimali ma di Luce sfolgorante…le nostre visite agli accampamenti pigmei, i martedì mattina con i bebè del programma “Malnutrizione”, le domeniche nelle chiesette per la preghiera con la comunità condividendo un po di polenta di manioca e qualche piccolo pesciolino appositamente pescato per noi, gli incontri del giovedì con il gruppo vocazionale, i pomeriggi trascorsi a disegnare e colorare, le passeggiate infinite circondati da bambini festanti… e i piccoli fagottini pigmei appena nati…che ti guardano con i loro occhietti semi aperti e sembrano dirti…
“Io sono nato un giorno in cui Dio stava malato…e malato grave”…
…ma se sono nato in questa notte infernale c’é ancora…
ESPERGESIA…

Un saluto, un abbraccio, un bacio, una preghiera, un GRAZIE…
Simone LMC