Laici Missionari Comboniani

Solennità del Cuore di Gesù

Corazón de Jesús

Introduzione

Corazón de Jesús

Condividiamo questo opuscoletto come un sussidio per aiu­tarci a vivere più intensamente la Solennità del Sacro Cuore di Gesù (16 giugno), accogliendo l’invito che ci ha rivolto il XIX Capitolo Generale: approfondire e assumere la nostra spiritua­lità, che è marcata da alcuni elementi specifici che creano la nostra identità di Missionari Comboniani del Cuore di Gesù.

Ai confratelli di ogni comunità chiediamo di studiare e tro­vare il modo migliore di prepararsi alla Solennità: si può optare per un giorno di ritiro, o una serie di incontri di preghiera e/o di condi­visione…

Il testo fondamentale che deve guidarci in questa riflessione è il n° 3 della Regola di Vita:

Il Fondatore ha trovato nel mistero del Cuore di Gesù lo slan­cio per il suo impegno missionario. L’amore incondizionato del Comboni per i popoli dell’Africa aveva la sua origine e il suo modello nell’amore salvifico del Buon Pastore, che offrì la sua vita sulla croce per l’umanità: «E fidandomi in quel Cuore sacratissimo… mi sento vieppiù disposto a patire… e a morire per Gesù Cristo e per la salute dei popoli infelici dell’Africa Centrale» (Scritti, 4290).

Ed ecco le parole del XIX Capitolo Generale al riguardo:

12.     Sogniamo una spiritualità che ci permetta di conti­nuare a crescere come famiglia fraterna di consacrati radicati in Gesù, nella sua Parola e nel suo Cuore, e di contemplarlo nei volti dei poveri e nell’esperienza vis­suta da San Daniele Comboni per essere missione.

14.3   Vogliamo sensibilizzarci sugli aspetti fondamentali del carisma (es. la Croce, il Cuore di Gesù, l’opzione per i più poveri e abbandonati) attraverso la visione, lo spi­rito e la sensibilità di Comboni, per andare alle radici della sua spiritualità e riappropriarcene.

Possiamo pensare alla nostra vita missionaria come a un “cammino” che parte dal Cuore di Gesù e raggiunge il nostro cuore, per arrivare poi al cuore delle persone con cui condividiamo la sto­ria e il destino. Essere – o meglio diventare – “consacrati radicati in Gesù, nel suo Cuore” significa diventare ciò che siamo, realiz­zare l’identità che riceviamo dal Signore, grazie a San Daniele Comboni. Missionari del Cuore di Gesù è il nostro nome.

Il libretto della nostra Regola di Vita contiene, alla fine, una Lettera sul nome nuovo dell’Istituto, precisando ciò che ha ispirato la nuova scelta del 1979. È bene rileggere e meditare questo testo, come un primo momento di approfondimento.

La nostra Regola di Vita, al n° 3, ci propone l’esperienza di Comboni: il suo impegno missionario e il suo amore incondizio­nato per i popoli dell’Africa Centrale avevano la loro origine e il loro modello «nell’amore salvifico del Buon Pastore» che si lascia trafiggere il Cuore. Comboni stesso, rileggendo con sempre mag­gior consapevolezza la sua esperienza, parla di sé come di qualcuno che

«trasportato dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì bat­tere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve lo spingesse a quelle terre…, per stringere tra le brac­cia e dare il bacio di pace e di amore a quei… suoi fratelli” (Scritti, 2742).

Il Cuore di Gesù è l’anima della missione e la sua motiva­zione fondamentale.

È certamente una cosa buona cercare e creare programmi, strategie, strutture per la missione, ma non dimentichiamo che siamo soprattutto chiamati a «ravvivare il dono» (2 Tim 1,6ss). La tentazione potrebbe essere la stanchezza (accidia) che inaridisce l’anima e crea pessimismo, fatalismo, sfiducia e tiepidezza, oppure la voglia di diventare dei “protagonisti”, come se fossimo noi il fine della missione.

A questo riguardo, potremmo riprendere alcuni testi dalla Evangelii Gaudium: 26; 259; 264; 266-267.

Contemplare e assumere

Per radicarci nei sentimenti del Cuore del Figlio di Dio, Gesù, il cammino proposto dalla nostra Regola di Vita, come frutto di esperienza consapevole, si sviluppa attorno a due parole: contem­plare e assumere.

In altre parole, che riscontriamo nei Vangeli, possiamo dire: “venire a Gesù”, “vedere in lui il Figlio amato e consacrato dallo Spirito del Padre”, “mangiare lui per assimilare sempre più i suoi sentimenti”…

Questo avviene, soprattutto, quando lasciamo che il Signore Gesù penetri nelle profondità del nostro cuore e faccia venire alla luce sentimenti, pensieri, atteggiamenti e desideri che non sono quelli di chi è consacrato al Signore.

Lasciamo che Gesù ci guarisca, ci rinnovi e trasformi. Allora diventeremo persone “conquistate da Cristo” e animate dal deside­rio di conquistarne altre a lui (cfr. Fil 3,2).

Contemplare” e “assumere” non diventano azioni “volonta­ristiche”, perché, in verità, sono “grazia” alla quale noi rispon­diamo con la nostra consapevolezza e disponibilità.

  1. Possiamo descrivere così il “contemplare”:
  • “tenere gli occhi fissi in Gesù”;
  • “stare ai piedi della Croce”, come tappa importante di un lungo itinerario, durante il quale abbiamo visto i gesti e ascoltato le parole di Gesù, anche senza coglierne del tutto il senso;
  • “stare ai piedi del crocifisso”, per ricevere i doni che ci arri­vano dal suo Cuore: il suo Spirito, l’acqua e il sangue; Ma­ria…;
  • “rivestirsi di Cristo”, facendo nostre le sue “vesti”, cioè i suoi sentimenti;
  • “lasciarci trafiggere il cuore”, perché i doni del Signore non si adagino solo sulla superficie del nostro cuore, ma pene-trino nel profondo.
  1. “Assumere” ci suggerisce:
  • fare propri i sentimenti di Gesù, così che entrino davvero in noi, disposti ad assimilarli progressivamente, in modo che deter-minino le nostre linee d’azione o di condotta, tocchino i nostri criteri di scelta, plasmino i nostri desideri e irrobustiscano i nostri scopi;
  • assumendo i sentimenti di Gesù, scopriamo in noi – o vicino a noi – ostacoli, impedimenti, fragilità;
  • questo ci riporta a “contemplare” di nuovo e più profonda­mente Gesù, lasciandoci animare dalla forza di attrazione che egli esercita, chiedendo il suo perdono, la sua forza e la sua grazia;
  • così, le difficoltà che incontriamo non spengono la vita spirituale, ma la rafforzano e la fanno crescere;
  • “assumere i sentimenti di Gesù” diventa in noi una esigenza interiore di “rimanere innestati in lui”.

Alcuni testi che possono illuminarci

«Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito» (Zaccaria 12,10).

«Un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Giovanni 19,17).

Vedi anche: Apocalisse 1,1-48; Giovanni 15.

Dalle Regole dell’Istituto delle Missioni per la Nigrizia – 1871:

«[Gli alunni dell’Istituto] si formeranno questa disposizione essenzialissima col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cri­sto, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime» (Scritti 2721).

La nostra Regola di Vita, al n° 3.2, elenca tre atteggiamenti interiori di Cristo, che il comboniano è chiamato, in forza della stessa vocazione di Gesù e di Comboni, a contemplare e assumere:

  • la sua donazione incondizionata al Padre;
  • l’universalità del suo amore per il mondo;
  • il suo coinvolgimento nel dolore e nella povertà degli uomini.[1]
  1. La donazione incondizionata di Gesù al Padre

Potremmo pregare con questi testi, tratti da Giovanni:

«Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10,11-18).

«Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (Gv 14,31).

«Io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me» (Gv 12,49-50).

Contempliamo Gesù come il Figlio che vive e opera secondo il progetto del Padre, che ha visto, ascoltato (Gv 5) e assunto nella libertà dell’amore di Figlio diletto. Gesù può dire che in lui agisce il Padre:

«Io sono nel Padre e il Padre è in me. Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere» (Gv 14,10).

La sua vita è risposta d’amore all’amore del Padre (cfr. Gv 13,1-4).

  1. L’universalità dell’amore di Cristo per il mondo

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio uni­genito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

«L’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2 Cor 5,14-15).

Pensiamo alla testimonianza che il Vangelo ci dà di Gesù pel­legrino, che gira per le città e i villaggi. Dovunque vivono uomini e donne Gesù si rende presente:

«Egli disse loro: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo, infatti, sono ve­nuto!”» (Mc 1,38).

Gesù incontra le persone dappertutto: nelle sinagoghe e nelle case, nelle piazze e lungo le strade, sul monte e presso il lago… Incontra uomini e donne, adulti e bambini, giudei e proseliti, siro-fenici e greci. Non si muove solo in Palestina, ma va oltre i confini della Terra Promessa. Lo troviamo a Gerusalemme e nella Decapoli…

Parla e discute con farisei, sadducei, pubblicani, peccatori… Fa ogni cosa con grande amore – amore che egli dona a tutti, senza esclusione. Anche se ha una chiara preferenza per gli ultimi e gli esclusi.

  1. Il coinvolgimento di Gesù nel dolore e nella povertà degli uomini e delle donne

Ecco altri testi biblici che possono ispirarci nella nostra pre­ghiera:

«Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

Egli ha preso le nostre infermità

e si è addossato le nostre malattie» (Mt 8,16-17).[2]

I testi biblici che mostrano il coinvolgimento di Gesù nelle sofferenze della gente sono diversi. Importante è cogliere il “movi­mento di Gesù” che si fa carico della sofferenza delle persone, senza giudicare né condannare. Gesù si coinvolge talmente da es­sere ferito da tutte queste piaghe. Le “piaghe di Gesù” sono la no­stra salvezza, perché sono le nostre piaghe assunte dal Risorto.

Il coinvolgimento di Comboni…

«Benché affranto nel corpo, per la grazia del Cuor di Gesù, il mio spirito è saldo e vigoroso; e son risoluto… di tutto soffrire e dare mille volte la vita per la Redenzione dell’Africa Centrale, e Nigrizia» (Scritti 5523).

«Sono disposto a sacrificare mille volte la vita per i cento e più milioni di africani che vivono in quelle infuocate regioni» (Scritti 2409).

Nell’omelia programmatica pronunciata a Khartoum l’11 maggio 1873, le sue parole sono una profezia:

«Il primo amore della mia giovinezza fu per l’infelice Ni­grizia, e lasciando quanto era per me di più caro al mon-do, venni, or sono sedici anni, in queste contrade per offri-re al sollievo delle sue secolari sventure l’opera mia. Appresso, l’obbedienza mi ritornava in patria, stante la cagionevole salute… ma i miei pensieri ed i miei passi furono sempre per voi.

Ed oggi finalmente ricupero il mio cuore ritornando fra voi per dischiuderlo in vostra presenza al sublime e religioso sentimento della spirituale paternità…

Sì, io sono di già il vostro Padre, e voi siete i miei figli, e come tali, la prima volta vi abbraccio e vi stringo al mio cuore…

Assicuratevi che l’anima mia vi corrisponde un amore illi­mitato per tutti i tempi e per tutte le persone. Io ritorno fra voi per non mai più cessare d’essere vostro, e tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre. Il giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il ricco e il po­vero, il sano e l’infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre eguale accesso al mio cuore. Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie…

Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello, in cui potrò dare la vita per voi» (Scritti 3156-3159).

… e il nostro

Attraverso questi atteggiamenti, contemplati e assunti, lo Spirito di Gesù ci consacra fino nel più profondo del nostro cuore.

È possibile reinterpretare in questi atteggiamenti i tre voti:

  • l’ubbidienza, come donazione incondizionata al Padre;
  • la castità, nell’universalità dell’amore;
  • la povertà, nel fare causa comune con i più poveri e ab­bandonati.

Il giorno della Solennità del Cuore di Gesù, potremo rinnovare la nostra consacrazione missionaria con maggiore consapevolezza!

Questi tre atteggiamenti non si possono separare, né pos­siamo fare di essi dei compartimenti distinti. L’uno rimanda all’al­tro; un voto richiede l’altro. Crescere in un voto si traduce in una crescita anche negli altri due.

Ci possiamo tuttavia chiedere quale dei tre voti interpella di più la nostra personale crescita e risposta.

Buona celebrazione del Solennità del Cuore di Gesù!

Per il Segretariato Generale della Formazione:

P. Fermo Bernasconi, mccj
P. Alberto de Oliveira Silva, mccj
P. David Kinnear Glenday, mccj

Originale: https://www.comboni.org/contenuti/115443


[1] Al n° 3.3, la RV aggiunge: «la contemplazione del Cuore trafitto di Cristo […]

  • è stimolo all’azione missionaria come impegno per la liberazione globale dell’uomo,
  • e a quella carità fraterna che deve essere un segno distintivo della comunità comboniana».

Desideriamo, però, lasciare questi due punti per un altro momento.

[2] Questo “sommario” evoca una serie di guarigioni operate da Cristo; Matteo le interpreta alla luce di Is 53,4. Significativo anche il quarto carme del Servo di Jahvè, in Isaia 52,13-53,12.

Festa di San Daniele Comboni: 10 ottobre 2022

Comboni

Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto” (Gv 15,5).

Comboni

“Abbiate coraggio; abbiate coraggio in quest’ora dura, e più ancora per l’avvenire.
Non desistete, non rinunciate mai. Affrontate senza paura qualunque bufera.
Non temete. Io muoio, ma l’opera non morirà”

(ultime parole di San Daniele Comboni pronunciate poco prima di entrare in agonia il 10 ottobre 1881)

Carissimi confratelli,
Buona Festa del nostro padre e fondatore San Daniele Comboni! Saluti fraterni a tutti voi, ovunque vi troviate, per celebrare questa festa che è sempre stata fonte di grazia, di benedizione nonché occasione per ritornare alla sorgente del nostro essere consacrati secondo il carisma comboniano.

Il 10 ottobre 1881, come il “chicco di grano caduto in terra…”, il nostro padre fondatore moriva in terra sudanese ma, quel “buon seme” ha germogliato e continua ancora oggi a dare molti frutti! In questa occasione della sua e della nostra festa, non possiamo non ricordare le parole di Don Francesco Oliboni, del 26 marzo 1858: “Ma voi non perdetevi d’animo, non muovetevi dal vostro proposito, continuate l’opera cominciata; e, se anche uno solo di voi rimanesse, non vengagli meno la fiducia, né si ritiri”. Queste parole, come ben sappiamo, hanno dato coraggio a tutta una generazione di missionari dell’Africa, tra cui Comboni; e sono le stesse parole ad ispirare la richiesta fatta dal nostro padre fondatore ai suoi missionari poco prima della sua morte: ci chiede di “essere fedeli alla missione”. È questa grazia speciale della fedeltà alla missione che vogliamo chiedere oggi a Dio e a Maria madre della Nigrizia.

Il contesto della festività di Comboni di quest’anno 2022 porta con sé molta grazia e benedizione. Prima di tutto, a quasi tre mesi dalla celebrazione del XIX Capitolo Generale del nostro Istituto, oggi, abbiamo pubblicato ufficialmente gli Atti del Capitolo. Il 20 novembre, esattamente tra quaranta giorni, avverrà a Kalongo (in Uganda) la beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli. Infine, in questo momento di grazia, le Missionarie Comboniane stanno celebrando il loro Capitolo Generale a Verona, vivificate dal sacrificio di Sr. Maria De Coppi, uccisa in Mozambico il 6 settembre scorso. Tutte queste ricorrenze sono, per noi, occasioni di grazia e di crescita che contribuiscono abbondantemente a dare un sapore e un profumo di santità alla festa di San Daniele Comboni. Allo stesso tempo, diventano un’occasione di raccoglimento e di intensa preghiera per rinnovare la nostra identità comboniana, costruire un rapporto sempre più intimo con il nostro Padre Fondatore e con l’intera missione della Chiesa.

L’esempio di vita del nostro Padre Fondatore ci sfida continuamente ad andare oltre i nostri limiti e fragilità e ad abbracciare la “santità” come dono di Dio che si trasforma in stile di vita. Oggi, Comboni vuole parlare al cuore di ognuno di noi con le stesse parole con cui sfidava, istruiva e incoraggiava i suoi missionari, le sue missionarie e i laici, a volte usando espressioni dolci, altre volte dure, ma, in ogni caso, con parole di un padre che ama i propri figli. Affiniamo dunque la nostra capacità di ascolto e apriamo i nostri cuori e le nostre menti ad accogliere le sue parole di padre affinché la nostra relazione con lui possa diventare sempre più profonda, stimolante e feconda.

In questo giorno di festa, dedichiamo un po’ del nostro tempo per contemplare e meditare sul suo esempio di vita, sulle sue scelte, sulla sua determinazione; chiediamo umilmente la sua intercessione affinché possiamo anche noi continuare ad essere fedeli alla nostra vocazione di consacrati e missionari a servizio del popolo di Dio. Manteniamo lo sguardo sempre fisso sul Cuore di Cristo e amiamolo teneramente perché Egli continui ad essere l’unica sorgente della nostra vita e il centro propulsore della nostra missione. Certi che senza un radicale ritorno a Cristo e al carisma di Comboni, la nostra missione non porterà frutti.

Facciamo nostro il desiderio di san Daniele Comboni perché le nostre comunità diventino piccoli cenacoli di apostoli dove i fratelli si possano ritrovare insieme per celebrare, riflettere e pregare, in spirito sinodale, coinvolgendo, dove è possibile, i laici con i quali lavoriamo nelle missioni e nella Chiesa locale.

Chiediamo l’intercessione di San Daniele Comboni anche per i processi di discernimento riguardo alla scelta dei superiori di circoscrizione e dei loro rispettivi consigli, affinché Dio ci dia superiori santi e capaci, innamorati della missione comboniana e dell’Istituto, per animare e accompagnare i confratelli e per promuovere e coordinare le attività/priorità della circoscrizione, tenendo presente anche gli orientamenti del XIX Capitolo Generale.

Maria Madre della Chiesa interceda per noi.
A tutti auguriamo una buona festa di San Daniele Comboni.
Il Consiglio Generale MCCJ

“La Via Crucis negli Scritti di san Daniele Comboni”

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La croce è “stoltezza” per coloro che non la capiscono… diceva San Paolo (1Cor 1,18). Qui pubblichiamo una Via Crucis con 14 frasi di san Daniele Comboni sul cammino di Gesù verso la croce. Comboni ha capito profondamente lo “scandalo” che comporta vedere Gesù sulla croce: la considerava come un mezzo necessario per l’evangelizzazione e come una realtà che i suoi missionari dovevano abbracciare per continuare l’opera salvifica di Dio nel mondo. Quello che dice Comboni è molto forte e addirittura scandaloso ai nostri giorni, ma in queste sue parole possiamo trovare luce e saggezza per la nostra vita missionaria. [comboni.org].

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Padre Pedro Pablo Hernández

Una famiglia che sogna

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famiglia comboniana in Spagna

Il 19 e 20 marzo 2022, si è tenuto il VII Incontro della famiglia comboniana in Spagna, con la gioia per la possibilità di incontrarsi di nuovo e riaffermare il sogno missionario di seguire la nostra vocazione come famiglia (religiose, religiosi, laici e secolari comboniane).

La casa dei Comboniani di Madrid ha accolto le 30 persone appartenenti alle varie comunità di comboniane (SMC), comboniani (MCCJ) e laici (LMC) in Spagna. Le Secolari non hanno potuto partecipare. Abbiamo avuto la partecipazione speciale di P. Pietro Ciuciulla, Assistente Generale, dei responsabili dei tre rami della famiglia e di Alberto de la Portilla, Coordinatore del Comitato Centrale dei LMC.

Punto centrale dell’incontro era accompagnare, con la riflessione e la preghiera, il 150 anniversario della fondazione delle Missionarie Comboniane. Suor Prado Fernández ha presentato la storia delle prime comboniane che hanno seguito san Daniele nei suoi primi viaggi, segnate dalla croce come vittime della Mahdia, la rivolta che distrusse le prime opere comboniane in Sudan e segnò fin dall’inizio la vocazione delle suore comboniane.

Commentando il documento dei Consigli Generali della Famiglia comboniana del 2017. P. Pietro ha sottolineato che il carisma cresce e si rinnova quando viene condiviso con altri che lo ricreano nella peculiarità di ogni stile di vita cristiana.

È stata anche presentata la Mappa della Ministerialità della Famiglia comboniana, che raccoglie oltre 200 presenze missionarie nel mondo, con una grande vitalità nei più diversi contesti: educativi, sanitari, sociali, pastorali, ecc.

Tratto dal P. Álvarez SJ

Nella parte finale dell’Incontro, i responsabili dei tre rami presenti hanno condiviso l’attualità delle loro organizzazioni, con diverse sfide e speranze. In questo 2022, per la prima volta, si terranno sia il Capitolo delle Missionarie che quello dei Missionari Comboniani. Si tratta di un momento di speciale intensità per mantenersi fedeli alla vocazione che si realizza in forme nuove con mezzi nuovi.

Gonzalo Violero, LMC di Spagna

190° Anniversario della nascita di san Daniele Comboni

Daniel Comboni

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49)

Tenere Vivo il Fuoco

Daniel Comboni

Introduzione. Con la celebrazione del 190º anniversario della nascita di Daniele Comboni (Limone Sul Garda, 15 marzo 1831) e il 140º anniversario della sua morte (Khartoum, 10 ottobre 1881), siamo invitati a celebrare il nostro memoriale carismatico e ad invocare la forza della presenza dello Spirito che ha illuminato la sua vita, dal nascere al morire. La sua beatificazione (17 marzo 1996), di cui ricorre il 25º anniversario quest’anno, è stato un dono carismatico per tutta la famiglia comboniana. In quel momento[1], i Consigli Generali hanno pubblicato un messaggio e una lettera congiunta per incoraggiare i membri della nostra famiglia missionaria alla gioia e allo sguardo spirituale verso nostro padre, in cerca di ispirazione e fecondità per il servizio missionario. Infine, con la canonizzazione, la Chiesa lo ha inscritto nell’albo dei Santi, riconoscendo la validità e attualità del carisma missionario comboniano e proponendo san Daniele Comboni come modello di vita cristiana e di missione, esempio e paradigma di un impegno missionario universale, che unisce continenti e popoli diversi nella passione per Dio e per l’Umanità. Anche allora, i nostri Consigli Generali ci hanno regalato un messaggio[2] e una lettera[3] invitandoci a guardare a san Daniele come testimone e maestro della santità a cui siamo chiamati e della missione che viviamo. La presente lettera si inserisce in questo movimento di memoria e attualizzazione del dono carismatico affidato a san Daniele e, in lui, a tutti noi: dono di Dio ravvivato in ogni generazione comboniana.

Considerare le proprie radici. Fare memoria della nascita di san Daniele Comboni ci invita, innanzitutto, a considerare le sue radici familiari, ecclesiali e sociali, che tanto l’hanno influenzato e alle quali ritornava spesso[4]. La sua nascita avvenne in mezzo a difficoltà e costrizioni. I suoi genitori erano migranti, venuti a Limone in cerca di lavoro. Il padre, Luigi Comboni, all’età di 15 anni, nel dicembre del 1818 era venuto a Limone proveniente da Bogliaco. La madre, Domenica Pace, era nata a Limone (31 marzo 1801) ma la famiglia proveniva da Magasa, sulle montagne. Luigi e Domenica si sposarono il 21 luglio 1826, nella chiesa di San Benedetto ed ebbero, secondo il registro dei battesimi, sei figli; a questi sarebbero da aggiungere due gemelli morti, che non fu possibile battezzare[5].

“Daniele Comboni crebbe nella modesta casa del Tesol con i genitori, vivendo le gioie e i dolori della famiglia. Dei suoi fratelli sopravvissero soltanto Vigilio (1827-1848) e Marianna (1832-1836)”[6]. Egli ebbe grande affetto e stima per sua madre e suo padre. La madre morì il 14 luglio 1858, durante il suo primo viaggio in Africa, e fu col padre Luigi che Daniele mantenne un’intensa corrispondenza, nella quale riconosceva la religiosità dei genitori e l’influenza che ebbero nella sua vita e vocazione missionaria. In queste lettere si riscontrano gli elementi umani e cristiani che hanno costituito l’humus che ha fatto crescere la vocazione e la missione di san Daniele (il richiamo della bellezza del lago e delle montagne, la fierezza della fede e vita cristiana, la devozione alla Croce del Salvatore, la contemplazione del Suo amore e del Cuore trafitto, la passione per Dio e per i più bisognosi): “Coraggio dunque amabile mio padre, io ho sempre il mio cuore rivolto a voi, parlo ogni giorno con voi, sono a parte dei vostri affanni, e pregusto le delizie che Dio vi riserba in cielo. Coraggio adunque: Dio sia il centro di comunicazione tra me e voi. Egli guidi le nostre imprese, i nostri affari, le nostre sorti e godiamo che abbiamo da fare con un buon padrone, con un fedele amico, con un padre amoroso”[7]. La celebrazione del 190º della sua nascita ci offre una nuova opportunità di avvicinarci a lui a alle sue radici familiari ed ecclesiali, rafforzando la coscienza delle nostre proprie radici, come sfondo spirituale che assicura stabilità alle nostre personalità e fecondità spirituale alla nostra vita missionaria. E questa celebrazione ci dà l’opportunità di approfondire, come famiglia comboniana, il ruolo di Limone e di continuare la collaborazione, intrapresa nel luogo natale di san Daniele Comboni.

Fedeltà in mezzo alle avversità. La memoria del 140º della morte di Daniele Comboni ci invita a guardare alla sua vita dal momento supremo del dono di sé per la rigenerazione della nigrizia. Nelle lettere scritte negli ultimi mesi della sua vita, egli appare come missionario accerchiato dalle difficoltà, ma radicato nelle fede: carestia, pestilenza e fame, mancanza d’acqua, scarsità di mezzi materiali per sostenere le iniziative missionarie, malattia e morte dei suoi missionari… Nelle sue parole, sono “tempi di desolazione” in cui “sono sventuratamente troppe le sofferenze da dovere alleviare”[8].

Davanti a queste difficoltà, Comboni rimane ancorato nella fede in Dio e nella visione missionaria che ha ispirato e sostenuto la sua vita. “Io sono felice nella croce, che portata volentieri per amore di Dio genera il trionfo e la vita eterna”: queste parole[9] racchiudono, in un momento cruciale, lo stato d’animo di tutta la sua vita. Questo ritorno ai piedi della Croce, alla contemplazione del Cuore trafitto, dove tutto è cominciato, riempie di luce e di coraggio il tempo del ritorno al Padre e sta all’origine della fiducia e del “coraggio per il presente e, soprattutto, per il futuro”[10] che Comboni instilla nei suoi missionari, nel momento dell’a-Dio: “Io muoio, ma l’opera non morirà!”[11].

Le due date del memoriale che facciamo quest’anno delineano un percorso di vita, nel quale la forza dello Spirito prende forma nella vita di san Daniele e rende percepibile e vivo un piccolo tassello “dell’amore illimitato” di Dio[12]; egli si lascia “formare” dall’Amore che contempla, tenendo lo sguardo fisso in Gesù crocifisso. San Daniele ci lascia una testimonianza che è generatrice di vita per il nostro oggi.

Tra nascere e morire. Celebriamo queste ricorrenze della vita di san Daniele Comboni dopo un anno, il 2020, segnato dalla pandemia del coronavirus. E il nuovo, 2021, è iniziato in tutto il mondo ancora sotto il segno dell’incertezza e della crisi sanitaria ed economica. Nella famiglia comboniana soffriamo per le conseguenze di questa situazione: abbiamo perso missionari e missionarie che, dopo anni di missione, ci arricchivano con la loro testimonianza e che speravano in una vecchiaia serena[13]; il ritmo delle nostre attività ha subito un arresto e i nostri piani e progetti sono rimasti sospesi; le limitazioni agli spostamenti ci hanno messo alla prova, sfidando la creatività per rimanere vicino ai poveri e agli ultimi, a chi soffre maggiormente le conseguenze della pandemia; ci sentiamo incapaci di scorgere una via e un tempo d’uscita e condividiamo il sentimento di smarrimento e di perdita che sta travolgendo tanti nostri fratelli e sorelle.

Guardando a Daniele Comboni, nell’arco della sua vita e vocazione missionaria, tra il nascere e il morire, vediamo come, nel momento della crisi e dell’incertezza, seppe riconoscere e attendere i movimenti dello Spirito, rivedere i suoi piani e rinnovare il suo impegno missionario, abbracciare la Croce e le difficoltà, vedere in esse il segno di una presenza amorosa e di un agire misterioso di Dio, di un’ora divina con la sua promessa di vita rinnovata. In tutte queste situazioni, egli si lascia attrarre dall’Amore di Dio per l’Africa e non si spaventa se è parte di un piccolissimo gruppo; persevera, sogna, assume i rischi ed è in grado di offrire la sua vita, senza misurare gli sforzi. Da lui impariamo gli atteggiamenti di cui abbiamo bisogno per vivere questo nostro tempo, tanto incerto, come un’ora di Dio: la pazienza e la fedeltà alla vocazione missionaria; la capacità di metterci in gioco con creatività, mettendo sempre le persone e Dio al centro; il senso della comunione (essere cenacolo) che ci tiene uniti e rafforza la nostra identità carismatica e la nostra vocazione missionaria nella Chiesa di oggi.

Daniele Comboni ci sprona a non lasciare che il peso del covid e le ricadute negative del distanziamento fisico, ci chiudano in noi stessi; a superare competizione e conflitto, recuperando lo spirito di collaborazione tra laiche, laici, suore, fratelli, sacerdoti; a far crescere il senso di comunione e la giovialità del vivere insieme che Comboni raccomandava ai suoi; a mantenere viva la speranza anche nel buio, riscoprendo la forza del prendersi cura e della resilienza; ad accettare i cambiamenti in atto e vedere opportunità dove altri vedono fallimento; ad assumere il nascere e morire come porte di passaggio, sfide alla creatività e occasione per sostenerci a vicenda; a considerare le perdite (di vite, posti di lavoro, salute e sicurezza sanitaria ed economica…) come occasione di conversione e di sostegno tra noi, individui, famiglie e comunità. Nella pandemia ci siamo mantenuti in comunione, abbiamo scambiato informazioni e avviato processi come il Forum della Ministerialità Sociale, di cui gli incontri sono fatti via zoom; la presente situazione ci sfida a cercare vie nuove per mantenerci uniti come famiglia comboniana e affrontare insieme momenti difficili e cambiamenti e continuare i processi di collaborazione[14].

La luce della testimonianza di san Daniele Comboni illumina il discernimento che quello che stiamo vivendo ci chiama a fare per il futuro immediato, che non sarà un semplice ritorno al passato che conosciamo. Ci offre i criteri per assumere i valori che ci stanno a cuore, l’amicizia e l’affetto di familiari e amici; per comprendere il destino comune dell’umanità, minacciata dalla pandemia e dalla catastrofe ecologica; per impegnarci nella trasformazione sociale (dal cambiamento climatico alla cura per la casa comune e la salute per ogni persona…) dando il nostro contributo con creatività, rinunciando al superfluo e favorendo la solidarietà.

Questi atteggiamenti hanno le loro radici nella fede, nel “forte sentimento di Dio” e nell’“interesse vivo per la Sua Gloria e il bene delle persone”, soprattutto degli impoveriti e marginalizzati, che sono l’antidoto che san Daniele suggerisce per contrastare lo stress della pandemia e l’incertezza dei tempi che viviamo. Egli ci ispira a guardare il mondo e gli avvenimenti che viviamo col “puro raggio della fede”[15] e ci avverte che il missionario (la missionaria) che non avesse questo sguardo “finirebbe per trovarsi in una specie di vuoto e d’intollerabile isolamento”[16]. E ci indica la strada per rimanere nella fedeltà: “… tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente e procurando d’intendere ogni ora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce…”[17]. Comboni parla di “una vampa di fuoco divino” che esce dal Cuore trafitto e che il missionario/la missionaria raccoglie ai piedi della croce per portare ovunque, quale fuoco che alimenta il proprio impegno per la rigenerazione delle persone e la trasformazione delle società in cui vive[18].

Tenere vivo questo Fuoco. La memoria della nascita e della morte di san Daniele Comboni ci ricorda che la sfida maggiore che viviamo in questo momento è precisamente questa, di mantenere vivo il fuoco, accesa questa vampa divina nei nostri cuori e “sentire la bellezza della paternità spirituale di san Daniele, che aveva il cuore ardente e (…) ha saputo accendere profeticamente il fuoco del Vangelo attraversando confini (…), incomprensioni, visioni limitanti, concretizzando una visione missionaria innovativa”. La fedeltà a Daniele Comboni si gioca nel “rimanere nel cammino da lui inaugurato” e “credere nella forza del fuoco, dello Spirito (…) che scende su di noi per farci diventare coraggiosi frequentatori del futuro”[19].

Consigli Generali delle SMC, MSC e dei MCCJ e il Comitato Internazionale dei LMC


[1] Lettera del 23 febbraio del 1996, per la Giornata di Riconciliazione. Il messaggio Guardando alla Roccia dalla quale siamo stati tagliati è del 6 aprile 1995.

[2] Dono da Accogliere e Approfondire, del 15 marzo del 2003.

[3] Daniele Comboni, Testimone di Santità e Maestro di Missione, del 1º settembre 2003.

[4] Sia con le visite alla casa natale a Limone come, soprattutto, con le lettere ai genitori, al padre una volta scomparsa la madre, ai cugini, ai parroci e ai cittadini di Limone. L’epistolario di Daniele Comboni col padre ci riporta 31 lettere. La prima è scritta dal Cairo il 19 ottobre 1857, l’ultima il 6 settembre 1881, un mese prima della morte.

[5] Positio, Roma 1988, vol. I, p. 14.

[6] Mario Trebeschi e Domenico Fava, San Daniele Comboni e Limone, Limone sul Garda 2011, p. 39.

[7] Daniele Comboni, Gli Scritti 188.

[8] Daniele Comboni, Gli Scritti 6631.

[9] Lettera a Sembianti, Gli Scritti 7246.

[10] In Annali del Buon Pastore 27 gennaio del 1882.

[11] Giovanni Dichtl, lettera al Cardinale Simeoni del 29.9.1889.

[12] Daniele Comboni, Omelia di Khartum, Gli Scritti 3158.

[13] Nella prima ondata della pandemia sono morte 13 Suore Missionarie Comboniane, a Bergamo. Nella seconda, tra l’8 novembre 2020 e il 10 gennaio 2021, sono morti 20 Missionari Comboniani a Castel D’Azzano; e poi altri a Milano, a Ellwangen (Germania), a Guadalajara (Messico) e in Uganda; per un totale di 35. In tutto, alla fine di gennaio 2021, sono 48 i missionari e missionarie comboniani vittime del covid-19.

[14] I membri della commissione della famiglia comboniana, durante la preparazione del Forum della Ministerialità Sociale, hanno riflettuto insieme su questo tempo come una grande opportunità per nuove modalità di incontro, in attesa di momenti migliori per trovarsi di persona. Per mantenere vivo il processo, sono stati programmati due webinar. Nel primo, a dicembre, si sono iscritte 279 persone, rappresentanti di tutta la famiglia comboniana sparsa nel mondo.

[15] Daniele Comboni, Omelia a Khartoum, Gli Scritti 2745.

[16] Daniele Comboni, Regole del 1871, Capitolo X.

[17] Daniele Comboni, Regole del 1871, Capitolo X.

[18] Daniele Comboni, Piano per la Rigenerazione dell’Africa, IV Edizione, Verona 1871, Scritti 2742. “… Trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia…”.

[19] Cardinale José Tolentino de Mendonça, Omelia nella memoria di san Daniele Comboni, Roma 10 ottobre 2020.