Laici Missionari Comboniani

Due notizie sulla Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli

Giuseppe Ambrosoli
Giuseppe Ambrosoli

PRIMA NOTIZIA

Il 22 novembre in Uganda, la beatificazione di Giuseppe Ambrosoli,
missionario, medico e «martire»

La Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli mette in evidenza un testimone della missione tra gli acholi in Uganda, dove ha trascorso i 31 anni del suo servizio missionario. Per noi comboniani un tale evento ci riempie di gioia e allo stesso tempo di responsabilità. La Beatificazione si terrà in terra d’Uganda, Kalongo, il 22 novembre 2020, Solennità di Cristo Re dell’Universo.

Dopo aver sentito il parere del Padre Generale e suo Consiglio; consultato la Chiesa locale di Gulu attraverso il suo Arcivescovo, Mons. John Baptist Odama; la Chiesa locale di Como nella persona del suo Vescovo, Mons. Oscar Cantoni, e anche il parere della famiglia Ambrosoli c’è stato un parere unanime che la Beatificazione avvenga a Kalongo dove P. Giuseppe ha svolto in pienezza e totalmente il suo servizio missionario. La data più significativa è sembrata il 22 novembre, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Ora, trattandosi di un atto pontificio, doveva essere consultato il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Card. Giovanni Angelo Becciu, il quale ha convintamente espresso la volontà di presiedere la cerimonia della Beatificazione, proprio per il significato missionario che essa riveste. Naturalmente tutto dovrà essere sottoposto all’approvazione della Santa Sede, la quale si esprimerà con un decreto ufficiale.

La Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli mette in evidenza un testimone della missione che più volte ha espresso il desiderio di essere sepolto tra i suoi acholi, dove ha trascorso i 31 anni del suo servizio missionario. Per noi comboniani un tale evento ci riempie di gioia e allo stesso tempo di responsabilità. Anzitutto il luogo dove avverrà l’evento, Kalongo (Nord Uganda) che faceva parte del Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale di cui il Comboni fu il primo Vicario Apostolico e inoltre il luogo dove P. Giuseppe Ambrosoli ha espresso il meglio di sé nell’opera dell’ospedale e nella scuola per Ostetriche.

Una continuità significativa dunque dal punto di vista materiale, l’Uganda, estremo lembo del Vicariato dove il Comboni ha invano sognato di arrivare e che ora invece si realizza, attraverso P. Giuseppe, quale primo figlio dell’Istituto a essere beatificato. Significato ancora più pregnante dal punto di vista spirituale, e per una duplice ragione: perché anche P. Ambrosoli, come il nostro santo Fondatore che l’ha preceduto, entra a far parte di quel fondamento nascosto su cui si erge maestosa la Chiesa africana e poi perché riceve ulteriore conferma il metodo inciso indelebilmente nel «Piano»: “Salvare l’Africa con l’Africa”! Molti dunque sono i motivi per ringraziare e continuare con novello slancio missionario per il bene della Chiesa e della società.

SECONDA NOTIZIA

Beatificazione di padre Giuseppe Ambrosoli a Kalongo

Forse può sembrare un annuncio estemporaneo e fuori luogo perché ben altre sono le preoccupazioni del momento. Tuttavia proprio per quello che padre Ambrosoli ha rappresentato in campo sanitario: per le conoscenze e la competenza con cui ha operato e per l’afflato spirituale con cui ha affrontato emergenze e malattie, capiamo quanto la sua figura sia attuale e la sua intercessione necessaria. La beatificazione si farà, sempre coronavirus permettendo, a Kalongo il 22 novembre 2020. Il luogo è altamente significativo: padre Giuseppe, sepolto tra i “suoi”, tra i “suoi” sarà anche glorificato.

Ci sarà la Beatificazione di padre Ambrosoli in Uganda? La domanda ha un senso perché, tenendo presente la situazione di pandemia globale che ha colpito il pianeta, la risposta non può che essere interlocutoria. Si, si terrà a Kalongo il 22 novembre 2020, sempre che il COVID-19 lo permetta. Allo stato dei fatti abbiamo i seguenti documenti a supporto di tale affermazione. La richiesta ufficiale della Postulazione del 28 gennaio 2020 in cui si presenta al Santo Padre la disponibilità del Card. Giovanni Angelo Becciu di recarsi a Kalongo il 22 novembre 2020 a rappresentarlo nella cerimonia di Beatificazione. Di seguito, dietro sollecitazione della Postulazione, la Segreteria di Stato inviava il 16 marzo u.s. una lettera alla Nunziatura di Kampala. In tale documento, per la verità datata 9 marzo 2020, si afferma che il Santo Padre ha deciso che il rito di Beatificazione si farà a Kalongo il 22 novembre 2020 e il suo rappresentante sarà il Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. La lettera è confermata dalla Nunziatura che l’ha inviata all’arcivescovo di Gulu, Mons. John Babtist Odama, il 17 u.s.. In una E-mail del 23 marzo il Vicario Generale della Diocesi di Gulu, mons. Matthew Odong, conferma la recezione della lettera: «At this point, it is very clear that the rite of beatification of the Servant of God Father Doctor Giuseppe Ambrosoli will take place “SACRED HEART” KALONGO PARISH». Di fatto poi l’Arcivescovo il 21 e 22 marzo (sabato e domenica) si è recato a Kalongo ed ha annunciato pubblicamente in parrocchia luogo e data dell’evento. “The news has been received with great joy by our people here in the Archidiocese of Gulu». Nel frattempo si sono tenute alcune riunioni con il Consiglio Generale e i provinciali d’Uganda e d’Italia per coinvolgere le rispettive province, compatibilmente ai movimenti condizionati che la situazione del momento permette. A nessuno però sfugge il significato missionario di questa beatificazione che avviene in missione come ultima espressione della missionarietà: lo scambio di doni tra Chiese sorelle e quasi una identificazione in cui credibilmente un missionario, nel nostro caso il prossimo Beato Ambrosoli, è glorificato in mezzo ai “suoi” di Kalongo. Per adesso non cessiamo di invocarlo in un momento così preoccupante dell’umanità, lui che ha affrontato la malattia con illuminata determinazione, ma soprattutto con fede e carità soprannaturali.

IL LUNGO CAMMINO VERSO LA BEATIFICAZIONE

Il cammino della beatificazione di p. Giuseppe è iniziato nel 1999, dodici anni dopo la sua morte, ossia quasi subito dopo che il suo corpo è stato trasportato il 22 agosto 1994 da Lira a Kalongo. Esattamente come accadeva nei primi tempi della Chiesa: ci si è potuti muovere perché la fama di santità e l’ammirazione per p. Giuseppe, il grande dottore dal cuore buono e dalle mani abilissime, ma soprattutto perché l’uomo di Dio, che curava nel corpo e nello spirito, era ancora molto presente nella memoria della gente. La gente del tempo, sia a Kalongo, come a Ronago non aveva dubbi sulla qualità spirituale che p. Giuseppe aveva trasmesso con la sua cura dei sofferenti e l’attenzione riservata alle mamme che dovevano partorire. Padre Giuseppe tutelava sì la vita dei corpi, fin dal loro nascere, ma soprattutto arrivava a guarire l’intimo delle persone.

Così il comboniano, p. Mario Marchetti, poteva sollecitare il vescovo di Gulu, Mons. Martino Luluga, a costituire una Commissione d’investigazione. In seguito, l’Arcivescovo di Gulu che gli era succeduto, Mons. John Baptist Odama, iniziava il processo il 22 agosto 1999 e lo concludeva il 4 febbraio 2001 sul piazzale antistante la chiesa parrocchiale di Kalongo. Allo stesso tempo il vescovo di Como, Mons. Alessandro Maggiolini, il 7 novembre 1999 ascoltava i testimoni che si trovavano a Ronago, e in genere in Italia, chiudendo il processo il 30 giugno 2001.

A quella data si erano potute condurre a termine le sessioni ed ascoltare tutti i 90 testimoni che avevano conosciuto p. Giuseppe. Tra questi 62 laici, 18 missionari e preti diocesani, 10 suore. Tra i laici da notare la folta schiera dei testimoni di Kalongo, di Ronago, paese natale di p. Giuseppe e anche dei 12 medici che con lui avevano operato nell’ospedale della savana. Insomma un’ampia rappresentatività della società civile e religiosa: catechisti, insegnanti, responsabili di comunità, operai, infermieri e infermiere, un capo di polizia e anche un generale, che per un brevissimo tempo era stato Presidente dell’Uganda dopo il secondo Obote. «Per noi – ebbe a dire – la morte del dottor Ambrosoli è come il crollo di un ponte. Ci vorranno molti anni per rimpiazzarlo».

Dai documenti e dalle testimonianze emergeva chiara la vita santa di p. Giuseppe. Riportiamo qui alcune affermazioni significative. All’apertura del Processo, il 22 agosto 1999, Mons. Odama, in una lettera ai vescovi della Provincia Ecclesiastica di Gulu e ai membri della Conferenza Episcopale Ugandese descriveva la figura del Servo di Dio come segue:

«Esempio di eroica carità e di umile servizio alle persone; un grande esempio di zelante missionario dei tempi moderni; modello di prete e di dottore divenuto famoso per la sua intensa spiritualità e per la coscienziosa abilità medica; un attraente e convincente esempio di giovane moderno che ha risposto totalmente alla chiamata di Cristo e alla sua forma di vita». «Dal suo modo di accogliere le persone, di intrattenersi con loro, di consigliarle e di incoraggiarle – depone John Ogaba– si aveva l’impressione di trovarsi davanti a Gesù». Il dottore Luciano Tacconi, che ha lavorato con lui a Kalongo, non ha paura di affermare:«Per me il segreto della “santità” di p. Giuseppe sta nella sua grande semplicità e nell’attaccamento massimo al dovere. Gli altri medici rispettavano e ammiravano molto la professionalità di p. Giuseppe, il quale insisteva anche con me perché, senza fare delle prediche, dessimo il buon esempio come cristiani con l’attaccamento al lavoro e nel rispetto della dignità delle persone»: Allora prezioso è quanto Mons. Gianvittorio Tajana afferma al processo: «Secondo la mentalità, oggi vigente nella Chiesa, se l’Ambrosoli sarà proclamato santo, sarà il santo della vita ordinaria». Certamente non una vita scialba, ma una vita ordinaria, di ogni giorno, in cui ha fatto costantemente delle cose straordinarie. E non può essere che così quando si incontra uno come p. Giuseppe, come lo ricorda in un sermone Mons. Alessandro Maggiolini, vescovo di Como:«Padre Ambrosoli ha dato volto al Vangelo con la sua vita messa radicalmente al servizio di Cristo, dell’evangelizzazione e degli ultimi»

Il materiale raccolto a Gulu e a Como, sia testimonianze che documenti, giungeva a Roma in Congregazione delle Cause dei Santi nel mese di giugno dell’anno 2001 e il 7 maggio 2004 gli si riconosceva la validità giuridica per ricostruire la vita terrena e provare la santità della persona e dell’opera di p. Giuseppe. Dal 2004 al 2014 ci sono voluti poi complessivamente 10 anni di lavoro che hanno coinvolto il Postulatore della Causa, la Congregazione vaticana, ossia i Teologi, i Cardinali e i Vescovi prima del giudizio definitivo di Papa Francesco, l’unico che poteva decretare le virtù eroiche.

Quindi nel 2009 il Postulatore della Causa faceva stampare la Positio, la quale era consegnata ai Consultori Teologi che nel Congresso Peculiare del 4 dicembre 2014 si esprimevano favorevolmente: 9 su 9. Uno di essi afferma:

«La figura di Giuseppe Ambrosoli gode, e per molti aspetti, di una sua attualità specifica. È stato un religioso, comboniano che si è impegnato a vivere i consigli evangelici e la vocazione missionaria in una professione specifica di stile “laicale”, come è quella del medico chirurgo. L’impegno scrupoloso nell’attività professionale nulla ha rubato alla sua vita di preghiera e alle esigenze della comunità: l’Eucaristia, celebrata e adorata, è sempre stato il centro della sua giornata. Può essere perciò valido modello per i comboniani suoi confratelli, come per ogni religioso e religiosa di vita attiva, ed anche per i membri degli Istituti di vita consacrata. Come medico chirurgo ha molto da dire con il suo esempio ai medici e operatori sanitari, ed è anche motivo di speranza per volontari impegnati in organizzazioni sanitarie, spesso “no profit” e di volontari che soccorrono infermi di malattie spesso contagiose e mortali».

I Padri Cardinali e Vescovi nella Sessione Ordinaria del 15 dicembre 2015, presieduta dal Card. Angelo Amato, riconoscevano che il Servo di Dio aveva esercitato in grado eroico le virtù teologali (fede, speranza e carità), le virtù cardinali (prudenza, giustizia, temperanza e fortezza) e quelle annesse (voti di castità, povertà e obbedienza e l’umiltà). Il Cardinale poi riferiva tutto a Papa Francesco il quale, due giorni dopo il 17 dicembre, sempre del 2015, confermava l’eroicità delle virtù e scriveva un decreto con cui riconosceva al Servo di Dio, Giuseppe Ambrosoli, il nuovo titolo di Venerabile con cui poteva venir invocato.

Secondo Papa Francesco la santità di p. Giuseppe poteva essere sintetizzata da due frasi che si leggono in due sue lettere: «Le persone devono sentire l’influsso di Gesù che porto con me; devono sentire che in me c’è una vita soprannaturale espansiva ed irradiantesi per sua natura» infatti « Dio è amore. Io sono il suo servo per quelli che soffrono». Si trattava di una motivazione spirituale che dalla gioventù fino alla morte aveva percorso tutta la sua vita e illuminato la sua riconosciuta professione medica. In fondo questa motivazione spirituale risponde a una domanda che nasce di fronte alla vita missionaria del padre: «Come è stato possibile che un uomo sia riuscito a fare tutto quello che ha fatto e come l’ha fatto, con fedeltà, semplicità, serenità, dono totale di se stesso e gioia fino agli ultimi e drammatici giorni della sua vita?». La risposta andava e va cercata – sembra dire il Papa – nella sua profonda vita spirituale. Padre Giuseppe Ambrosoli è stato una persona che ha vissuto la vita cristiana di ogni giorno in maniera straordinaria, cioè una vita NORMALE assolutamente FUORI DAL NORMALE. Ha esercitato il servizio medico, non semplicemente come conseguenza della sua fede e del suo amore, ma come parte integrante del Vangelo che predicava. Con lui anche il servizio medico era parte imprescindibile dell’evangelizzazione. Ci si poteva arrestare qui. E invece, no.

Per la beatificazione mancava un ultimo gradino: il miracolo. Il sigillo che la Chiesa affida a Dio per proporre il suo servo come intercessore ed esempio per il suo Istituto e per la Chiesa locale, che l’ha visto nascere, e poi quella che l’ha accolto nello svolgimento della sua missione, l’ha visto morire e ne ha conservato il suo corpo e la memoria.

Di guarigioni e cure straordinarie p. Giuseppe ne aveva ottenute già in vita, ma tra tutte brillava una avvenuta nel 2008 all’ospedale di Matany, all’estremo nord est del Nord Uganda, in Karamoja. Si trattava di una mamma karimojong di 20 anni, Lucia Lomokol di Iriir, madre già di un bambino e arrivata in condizioni disperate all’ospedale per un altro già morto in grembo che le aveva causato un’infezione mortale. Tant’è che uno dei medici, il dott. Erik Domini, responsabile del reparto Maternità, il 25 ottobre 2008 al momento dell’accettazione tentava un’ultima disperata operazione ma senza risultato. Poi per il progressivo peggioramento la faceva trasferire dalla corsia generale alla sala travaglio perché pensava che non era conveniente per le altre pazienti (mamme in attesa di parto e allattanti) essere testimoni della morte di una giovane mamma. e perciò la faceva trasferire nella sala travaglio. Alla sera dello stesso giorno il dott. Erik, constatando un continuo peggioramento, faceva chiamare il parroco di Matany, p. Marco Canovi, il quale amministrava l’unzione degli infermi a Lucia. Riportando a casa p. Marco, il dott. Erik si ricordava di un santino di p. Giuseppe con apposita preghiera che conservava nel suo appartamento e ritornava in ospedale accanto a Lucia munito di quello che lui considerava essere stata un’ispirazione inattesa. Dopo aver ricevuto l’assenso della stessa Lucia, di sua madre e di suo marito collocava il santino sulla spalliera del letto della moribonda e radunava le infermiere per l’invocazione. Terminato tutto verso mezzanotte si accomiatava da loro chiedendo di essere avvisato la mattina seguente per il funerale di Lucia. Alle cinque del mattino si presentava e, con sua grande sorpresa, trovava Lucia completamente cosciente e presente a se stessa. Tutti i presenti attribuivano l’improvvisa cura all’invocazione di P. Giuseppe.

Il vescovo di Moroto, Mons. Henry Apaloryamam Ssentongo a cui apparteneva la parrocchia di Matany, venuto a conoscenza del fatto, ha voluto che con un processo si raccogliesse tutta la documentazione per sottoporla allo studio delle Cause dei Santi: questa avrebbe detto se si trattava di un evento inspiegabile scientificamente e se c’erano le condizioni da poter attribuire la guarigione alla potenza divina. Così il 17 settembre 2010 iniziava il processo sul presunto miracolo, riunendo anzitutto i testimoni presenti al fatto: il dott. Erik Domini, ostetrico ginecologo, medico curante; il dott. Alphonse Ayepa, medico anestesista; il sig. Daniel Irusi, infermiere; la sig.ra Betty Agan, ostetrica professionale; la sig. ra sanata, Lucia Lomokol, contadina e casalinga; il sig. Akol Lobokokume, membro dell’esercito e marito di Lucia; la sig.ra Sabina Kodet, la mamma della sanata; la sig.ra Mary Annunciata Longole, ostetrica; la sig.ra Lilian Adwar, assistente infermiera; la sig.ra Fotunate Magdalene Alany, ostetrica e p. Marco Canovi, parroco di Matany. In più erano chiamati di dovere, un medico specialista anestesiologo, il dott. Bruno Turchetta e i due periti che dovevano esaminare lo stato reale di Lucia, i dottori: John Bosco Nsubuga e Leo Odong. Raccolta poi anche tutta la documentazione clinica il processo si concludeva a Moroto quasi un anno dopo, il 21 giugno 2011. Portati tutti i documenti a Roma, la Congregazione delle Cause dei Santi un anno dopo, l’11 maggio 2012, riconosceva validità giuridica a tutta la documentazione. Tuttavia si dovevano aspettare ancora 6 anni, dal 2012 fino al 2018, perché il caso di Lucia potesse essere esaminato.

La situazione Ambrosoli si sbloccava il 28 novembre 2018 con la Consulta Medica costituita da 7 professori che riconoscevano, per maggioranza qualificata (5/2), il fatto della cura da shock settico (setticemia irreversibile) che si era risolta in maniera assolutamente inaspettata, rapida, completa, duratura e inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche. Cioè Lucia si trovava curata in maniera inspiegabile scientificamente, sia perché la terapia chirurgica effettuata era stata incompleta non essendo stato asportato l’utero, primaria causa e focolaio di infezione, sia perché era stato sospeso il farmaco considerato salvavita, la dopamina, non essendocene più in ospedale. Nel loro linguaggio specialistico i professori avevano fatto scrivere: «Shock settico secondario da corioamnionite purulenta putrefattiva ((taglio cesareo ed estrazione del feto morto e putrefatto). Tromboflebite pelvica e tromboflebite profonda della grande safena dell’arto inferiore sn. con dermatite gangrenosa della metà inferiore della gamba”. Questo era il passaggio decisivo che permetteva di procedere oltre.

Ora bisognava dimostrare che l’invocazione era avvenuta nel momento del peggioramento fatale dello stato di Lucia; che in quel momento si era invocato p. Giuseppe Ambrosoli e che dopo tale invocazione si era verificato un cambiamento repentino positivo. C’erano 10 testimoni oculari a testimoniare che per iniziativa del dott. Erik Domini era stato invocato p. Ambrosoli e altrettanti che avevano assistito quella notte al viraggio dello stato di salute di Lucia. Chi conosce la materia può ragionevolmente affermare che da mezzanotte alle cinque, come è il nostro caso, un tale cambiamento può essere definito rapido. Infatti 7 mesi dopo l’inspiegabilità della cura, affermata dai medici, il 13 giugno 2019 il Congresso Peculiare dei Consultori teologi ha potuto appurare l’evento della preghiera rivolta a p. Ambrosoli e il miglioramento repentino dello stato di salute di Lucia Lomokol.

Con questi dati, cinque mesi dopo, il 19 novembre 2019 i Cardinali e i Vescovi nella loroSessione Ordinariapresieduta dal Card. Giovanni Angelo Becciu decidevano di portare il caso al Santo Padre. Questi, 9 giorni dopo, il 28 novembre 2019 riconosceva il carattere soprannaturale della cura di Lucia, quindi il miracolo e comandava di preparare un Decreto con valore giuridico e da inserire negli Atti della Congregazione dei Santi: Ecco le testuali parole:

«Constare de miraculo a Deo patrato per intercessionem Ven. Servi Dei Iosephi Ambrosoli, Sacerdotis professi Missionariorum Combonianorum Cordis Iesu, videlicet de celeri, perfecta ac constanti sanatione cuiusdam mulieris a (Si tratta di un miracolo compiuto da Dio per intercessione del Venerabile Servo di Dio Giuseppe Ambrosoli, sacerdote professo dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, vale a dire di una cura  rapida, perfetta e duratura di una signora) da Shock settico secondario da corioamnionite purulenta putrefattiva. Tromboflebite pelvica e tromboflebite profonda della grande safena dell’arto inferiore sn. con dermatite gangrenosa della metà inferiore della gamba».

Se si sta bene attenti, in tutto questo lungo percorso fino alla Beatificazione, il Santo Padre si è lasciato guidare dalla presenza di due principi spirituali: l’eroicità delle virtù e la preghiera di intercessione. Ora l’evento del miracolo e della beatificazione possono porre due domande: perché questa grazia a una karimojong e a una mamma e perché l’evento della celebrazione proprio a Kalongo? Secondo logiche umane tutto avrebbe dovuto sconsigliare tale coincidenza: spesso tra etnie diverse non corre buon sangue e la condizione femminile è l’anello più sottoposto a sfruttamento nella società e inoltre Kalongo è un luogo al di fuori dei circuiti che contano. Eppure è proprio qui che la maniera di vivere la missione di p. Giuseppe Ambrosoli ha dato esempi che non potranno mai più essere dimenticati: qui ha accolto e difeso sempre tutti; qui si è messo a servizio della vita nascente e qui ha esercitato la sua straordinaria professionalità medica nella semplicità e nell’umiltà.

L’evento della Beatificazione di p. Giuseppe Ambrosoli non potrà dunque essere vissuto, nell’oggi della vita cristiana, che come evento di fede, di comunione e di gioia.

Visita ufficiale di P. Tesfaye Tadesse e P. Pietro Ciuciulla all’Uganda

LMC Uganda
LMC Uganda

Dal 6 gennaio al 7 febbraio, la Provincia comboniana dell’Uganda ha ricevuto la visita ufficiale del Superiore Generale, P. Tesfaye Tadesse, e dell’Assistente Generale, P. Pietro Ciuciulla. Durante la visita, P. Tesfaye e P. Pietro si sono incontrati anche con i Laici Missionari Comboniani ugandesi (nella foto).   Il Superiore Provinciale, P. Achilles Kiwanuka Kasozi, mettendosi in comunicazione con le varie comunità della Provincia, ha fatto sì che P. Tesfaye e P. Pietro potessero visitare tutte le comunità e incontrare tutti i confratelli. Così, quasi in tutte le comunità hanno potuto avere incontri personali con ognuno dei confratelli e incontri con tutti i membri della comunità assieme, con un riscontro delle loro osservazioni sulla situazione delle comunità. Il Padre Generale, nei suoi messaggi ai confratelli, ha sottolineato la necessità della riconciliazione per una vita comunitaria proficua e, per lo stesso motivo, ha suggerito ai confratelli di tenere regolari incontri comunitari e pastorali. In particolare, ha sottolineato la vita di preghiera, sia a livello personale che comunitario, dicendo che una comunità che prega insieme, rimane unita. La Provincia è molto grata per questa visita che è un segno di comunione con tutto l’Istituto e un incoraggiamento ai confratelli nei diversi contesti missionari della Provincia.  

Qualcosa finisce, qualcosa di nuovo inizia

Ewa“I nostri bambini hanno appena terminato il loro periodo di vacanze. Questa volta è durato insolitamente a lungo: 3 mesi. Il motivo è stato l’elezione del nuovo presidente dell’Uganda, il 18 febbraio 2016. Per fortuna tutto è andato bene e non ci sono stati grossi problemi. In meno di tre settimane sarò di nuovo in Polonia: qualcosa finisce, qualcosa di nuovo inizia. Durante queste vacanze, ho trascorso la maggior parte del tempo con i bambini più piccoli che hanno qualche problema a scuola, una sorta di corsi di recupero. Dopo i lavori di ristrutturazione, abbiamo tenuto le lezioni nella sala da pranzo, trasformata in aula scolastica. Abbiamo passato un mucchio di tempo lì, imparando ma anche divertendoci. Abbiamo dipinto, modellato con la plastilina, colorato e ritagliato: cose normali, in Polonia ma, per i miei bambini in Uganda, cose speciali e nuove”.

Oltre a lavorare nell’amministrazione, tengo i bambini e faccio l’assistente sociale. Ho scoperto che questo è il posto migliore per me; è incredibile e sorprendente, perché non era quello che volevo fare. La missione insegna l’obbedienza e l’impegno nei posti in cui è necessario, non dove uno pensa che dovrebbe andare. A volte la nostra immaginazione non coincide con la realtà; il nostro punto di vista è diverso da quelle che sono le vere necessità del mondo. Scopriamo che le nostre ere necessità sono il tempo, la preghiera e, soprattutto, l’apertura allo Spirito Santo. Abbiamo bisogno di tutto questo per scoprire quello che Dio vuole veramente da noi, in un determinato luogo. Non posso dire di saperlo fin dall’inizio, ma continuo a cercare. Sto iniziando a capire perché sono stata mandato qui. Ora, mentre sta per finire il mio periodo missionario di 2 anni, so che tornerò qui, tra questi miei bambini, a St. Jude.

EwaSt. Jude non è solo i bambini, ma anche persone che lavorano qui. Le donne che si prendono cura dei bambini e con cui ho trascorso tanto tempo. All’inizio ero impegnata nella gestione di tutti i dipendenti; una cosa davvero difficile, essendo io la persona più giovane qui, e dovevo diventare un supervisore. Avrei dovuto controllare e valutare. Non era una situazione facile, perché ero venuta qui per aiutare, non per controllare. Tuttavia, come ho già detto, la missione insegna l’umiltà, ma insegna anche a capire te stessa, le tue conoscenze e comportamenti. Devo ammettere che a volte le cose più semplici si sono concluse con qualche incomprensione. Il modo di essere, di parlare, i gesti sono stati interpretati in modo errato. Per fortuna, con il tempo, abbiamo imparato gli uni dagli altri.

La missione è anche comunità, piuttosto eccezionale nel mio caso. Siamo stati mandati in un posto totalmente nuovo e abbiamo creato una comunità a Gulu, come a Matany, dove lavora Danusia (un’altra LMC). Eravamo in quattro, giovani e inesperte: tre polacche e una spagnola. Anche il tempo che abbiamo trascorso pregando, parlando e riposando ma anche discutendo e creando qualche malinteso, è stato bello e intenso. Ciò che ci ha sempre unite, però, è stata la missione, la gente e, soprattutto, la preghiera. Ognuna di noi è un’immagine diversa di Dio, ma con la stessa fede e con un grande cuore aperto.

A nome della mia comunità e mio, vorrei ringraziare tutti voi, per ogni piccolo gesto, per le cartoline e i messaggi di posta elettronica. A nome dei miei bambini, desidero ringraziarvi per tutti gli aiuti economici, grazie ai quali i nostri bambini hanno ora delle divise nuove e del cibo migliore, abbiamo potuto curarli meglio e… colorato il loro mondo. Ma soprattutto vorrei ringraziarvi per ogni vostra preghiera, per ogni pensiero per noi: senza di voi, non saremmo qui

Ewa

Ewa Maziarz, LMC

“Colorando l’Africa”

Carmen LMC

Come è facile godere nel realizzare cose belle, creare, inventare e “costruire” a partire dalla nostra fantasia e dal materiale che ci circonda.

Nell’Orfanotrofio di St. Jude, è apparso l’”Art Studio”, un luogo realizzato da miei amici spagnoli che sono venuti a farci visita quest’estate e che si sono impegnati a ripulire e verniciare un magazzino che hanno poi trasformato in un locale bellissimo.

E’ un sogno che si è avverato. A motivo della mia “vena artistica”, ho pensato di fare qualcosa di “diverso e piacevole” con i bambini dell’orfanotrofio. A volte con i ragazzi più grandi di 14 o 15 anni non è semplice comunicare perché questa è un’età difficile, quando i giovani Ti contestano un pò tutto. Ero certa però che con queste attività, sarebbe stato più semplice comunicare e così è stato.

Avevo in mente molte idee, tanto tempo per raccogliere preziosi scarti africani del mercato, collezionare piatti, semi, materiali in plastica, borse, per catalogarli con pazienza e realizzare cose divertenti con tutto quel materiale.

Si tratta di un laboratorio artistico dove ci riuniamo per lavorare. Realizziamo borse, portafogli, orecchini, bracciali e altre cose che vanno via via prendendo forma mentre vengono completate (idee diverse emergono continuamente). Ascoltiamo musica, chiaccheriamo e il bello è vedere i risultati del nostro lavoro nel bel negozio realizzato dopo due mesi di lavoro.

L’obiettivo non è solo vendere, anche se è importante per raccogliere qualche fondo per sostenerci ogni giorno, cosa che non facile di questi tempi.

Vogliamo dare la possibilità a questi bambini di lavorare con fantasia e creatività, elementi che ritengo importanti per lo sviluppo della persona. Non intendiamo riunirci solo per realizzare braccialetti, ma ci incontriamo per vedere un tavolo pieno di cose e riflettere su “cosa può partire da tutto questo” Proporre, inventare, e perché no …sognare un po ‘.

Prima di iniziare, ho chiesto a Dio la pazienza di spiegare ai ragazzi il lavoro e anche l’abilità di riuscere a trasmettere loro il mio entusiasmo. Effettivamente la più entusiasta di tutto questo ero io e penso di essere rimasta ancora io J.

I risultati sono meravigliosi e devo dire che abbiamo sorpreso tutti, anche fratel Elio, il direttore, i lavoratori e le persone che vengono a visitare l’orfanotrofio sembrano molto soddisfatti del nostro piccolo angolo artistico.

Il lavoro è ovviamente diviso in base all’età,  alcuni si dedicano ad unire lastre in metallo battuto e spianarle, altri tagliano lettere dell’alfabeto, altri utilizzano la colla, le forbici, altri ancora uniscono sfere con gli elastici… ma ciò che è importante è che siamo molto uniti e soddisfatti nel vedere il risultato del nostro lavoro.

Quando si rendono conto di poter realizzare cose belle, sono orgogliosi e vorrebbero fare di più e il fatto di vedere i loro lavori “esposti” nel nostro bel negozio, li fa sentire importanti.

Attualmente, se venite a visitare l’orfanotrofio di St Jude in Uganda, oltre a giocare con i bambini, fare passeggiate con i più piccoli che sono in sedie a rotelle, leggere e dipingere, correre, e fare ogni sorta di cose che si possono fare con 100 bambini tutti insieme, dovrete passare dal nostro “Art Studio”, sia per vedere come lavorano bene sia, ovviamente, per comprare qualche souvenir del nostro negozio.

Vi aspettiamo!

Carmen Aranda LMC

Cosa attendono gli Acoli?

LMC GuluLa scorsa domenica siamo entrati in un tempo molto importante per la chiesa cattolica: la Settimana Santa. Oggi è Sabato santo, giorno della grande attesa. Siamo molto felici di trascorrere questo bellissimo tempo liturgico fra la popolazione Acoli. Qui il modo in cui si celebra qualsiasi festa è incredibile. Si inizia dalla Domenica delle Palme. La chiesa era piena di gente, ciascuna di esse (dal più giovane al più anziano) teneva in mano, agitandolo, un rametto di palma. Era emozionante perché ci sembrava di essere presenti all’entrata di Gesù in Gerusalemme. Incredibile! La domenica delle palme il sacerdote ci ha fatto questa domanda: Voi cosa state aspettando? Cosa Vi aspettate da questa Settimana Santa? Cosa stanno attendendo gli Acoli? La gente di questo luogo sa quanto è importante la Resurrezione. Stanno aspettando Colui che è risorto dai morti. Stanno aspettando Colui che ha sofferto per salvarci dai nostri peccati e darci una vita nuova. Stanno aspettando Gesù che porta gioia e speranza. E noi Vi auguriamo tutto questo.

Vi auguriamo di incontrare Gesù che è risorto dai morti, Vi auguriamo di fermarVi e riflettere su questo grande mistero, riflettere su questo grande amore di Dio che ci ha donato suo Figlio il quale è morto per noi e i nostri peccati.

Gesù Vi dia la forza in questo Vostro percorso missionario, la forza per seguirlo ogni giorno e riempia di gioia, pace e speranza i Vostri cuori.

Buona Pasqua !!!

LMC di Gulu