Laici Missionari Comboniani

Fr. Alberto Parise: “Quale metodologia per la chiesa ministeriale?”

Alberto Parise
Alberto Parise

Nella serie di condivisioni e riflessioni che proponiamo in quest’anno dedicato alla ministerialità, non può mancare uno spunto sulla questione metodologica. In Evangelii gaudium (EG 24), papa Francesco illustra con cinque verbi gli elementi salienti di un agire ministeriale: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare. Ma dal punto di vista pratico, come si può mettere in pratica tutto questo in modo organico, sistematico? In questa riflessione suggeriamo che la metodologia del ciclo pastorale sia un patrimonio ecclesiale che molto ha da offrire a questo proposito.

Il ciclo pastorale

Il ciclo pastorale è un’evoluzione del metodo della “revisione di vita” messo a punto da Joseph Cardijn negli anni 1920, noto anche come “vedere – giudicare – agire”. Il presbitero belga, che veniva da una formazione sociopolitica, aveva sviluppato questo approccio nel contesto del suo ministero con il movimento della gioventù operaia cristiana, per un accompagnamento dei giovani in ambienti in cui proliferava l’orientamento socialista e comunista, con pregiudizi anticlericali. Aveva intuito, infatti, la necessità di un metodo adatto alla pastorale di una Chiesa in uscita.

La grande intuizione di Cardijn è stata quella di collegare scienze sociali e ministero pastorale, in un processo integrato. Nel tempo, questa metodologia si è diffusa in tutto il mondo cattolico, fino ad essere ufficialmente riconosciuta nell’enciclica Mater et magistra (1961) come la metodologia della pastorale sociale (n° 217 nella versione italiana dell’enciclica – curiosamente si trova al n° 236 della versione inglese del testo). In seguito, trova fortuna in America Latina, grazie al movimento della teologia della liberazione e continua a diffondersi in contesti diversi, adattandosi a luoghi e tempi particolari. Così oggi questa metodologia è conosciuta con nomi diversi (circolo pastorale, o ciclo, o spirale, ecc.) e viene articolata in quattro, cinque o anche sei fasi, ma fondamentalmente si tratta dello stesso metodo. Lo schema di base rimane quello del vedere – giudicare – agire. Ma poi si aggiunge un primo momento di inserzione, passaggio fondamentale per un approccio ministeriale. A questo fanno seguito l’analisi socioculturale (vedere), che fa uso delle scienze umane e sociali, e la riflessione teologica (giudicare), in cui ci si confronta con il Vangelo e la tradizione sociale della Chiesa. La fase dell’agire, poi, può venire formalmente articolata in vari passaggi per sottolineare l’importanza di alcuni aspetti che spesso vengono dimenticati o trascurati, come ad esempio la verifica e la celebrazione.

Attualità del ciclo pastorale: la forza dell’inserzione

Oggi è evidente che questa metodologia è preziosissima non solo per la pastorale sociale, ma per una qualsiasi iniziativa di tipo ministeriale. Anzitutto perché l’accompagnamento pastorale richiede di sviluppare relazioni che generano vita, di vedere l’esperienza umana, le situazioni, le problematiche della gente dal loro punto di vista, con empatia. Soprattutto, è fondamentale il saper cogliere il punto di partenza per un accompagnamento che porti alla rigenerazione delle persone e delle comunità, che generalmente è legato al loro vissuto, alla motivazione ed energia emotiva che può generare, e alla criticità della situazione. È grazie all’inserzione che un agente pastorale è in grado di cogliere tutto questo, di prendere l’iniziativa, uscire verso le periferie umane ed esistenziali e coinvolgersi. Dal punto di vista comboniano, l’inserzione è una caratteristica carismatica (cfr. Ratio missionis), in cui si esprime il fare causa comune e si coglie l’ora di Dio nel contesto in cui si svolge il ministero, specialmente nelle situazioni di crisi.

Un’analisi socioculturale che risveglia la speranza

Qui si innesta l’accompagnamento pastorale, da intendersi nella linea di rendere la gente protagonista del proprio cammino, superando paternalismi e situazioni di dipendenza (cfr. la rigenerazione dell’Africa con l’Africa). Si tratta di camminare con la gente verso una rigenerazione nel Risorto, un cammino di trasformazione che nasce dalle situazioni particolari in cui ci si trova. Situazioni che vanno comprese non solo al livello dei sintomi, ma delle cause profonde dei problemi. Quando una comunità, un gruppo umano non percepisce con chiarezza le cause della propria condizione di disagio, o di povertà, non è in grado di influenzarla significativamente e tende a scoraggiarsi, a rassegnarsi, a ripiegarsi nel proprio intimo per riconquistare un proprio spazio di controllo nella propria vita. Inoltre, rende appetibili grandi semplificazioni, letture fuorvianti della realtà, strumento oggi usatissimo per manipolare le persone in una logica di dominio. Ma quando comprende criticamente la propria condizione ed il contesto globale, rinasce la speranza e si riappropria del proprio potere di cambiare le cose.

La riflessione teologica: chiave della trasformazione

La fase di analisi aiuta anche a far emergere le proprie contraddizioni e dilemmi, che offrono un ottimo punto di partenza per una riflessione sull’esperienza, in chiave di fede, che completa il discernimento. Questa è la riflessione teologica che caratterizza il ciclo pastorale e che risulta in una decisione di intraprendere un corso d’azione. È davvero il punto di svolta del cammino di rigenerazione nel Risorto, un dono di grazia. Ed è anche il luogo in cui avviene il dialogo tra l’esperienza, il vissuto della gente, e le prospettive di senso che la guidano, che interpretano eventi e situazioni: un dialogo tra i valori culturali, una cosmo-visione e il Vangelo, o anche un processo che offre le condizioni per un’incarnazione del Vangelo. Si tratta di un momento propizio per la conversione del cuore, per la consapevolezza di un incontro autentico con il Risorto, scoprendo così anche una vocazione a rispondere alla situazione su cui si è riflettuto.

Come emerge anche nel Piano di Comboni (S 2742), questa riflessione porta a guardare alla realtà con gli occhi della fede e a rispondere con determinazione, concretezza e profezia agli inviti dello Spirito.

Lo stile collaborativo dell’azione

La fase dell’azione, infine, è piuttosto articolata. Solitamente richiede una programmazione e alle volte può anche richiedere tempo ed energie per attrezzarsi in modo da acquisire o sviluppare le necessarie competenze. L’accompagnamento ministeriale, infatti, richiede di facilitare una continua formazione e organizzazione dei gruppi e comunità con le quali si condivide il cammino, che è tanto più efficace quanto più è partecipato, a partire dalla stessa programmazione. È bene che questa preveda i meccanismi di monitoraggio e verifica, che altrimenti vengono facilmente dimenticati o ignorati.

L’approccio ministeriale si fonda sulla collaborazione di equipe pastorali, sulla sinodalità, sul fare rete e su di uno stile di servizio, tutto in un’ottica di processo condiviso. Chiaramente tutto questo non s’improvvisa, richiede organizzazione e atteggiamenti di apertura, umiltà e fiducia. Non è sufficiente agire, ma bisogna anche riflettere assieme su quello che si fa, su come lo si fa, sui risultati dell’azione, su quello che si sta imparando e soprattutto sulla presenza e azione di Dio lungo tutto il percorso. È nel momento della celebrazione che tutto questo emerge, si approfondisce, si arricchisce di nuova consapevolezza, di nuovi doni, di rinnovata ispirazione, come anche della possibilità di rigenerare relazioni e costruire comunione. Così si festeggia la vita donata e ricevuta lungo il percorso, che non significa tanto “celebrare dei successi”, quanto riconoscere che “le opere di Dio nascono ai piedi della croce”. Di qui viene lo slancio per inaugurare un ulteriore ciclo ministeriale.

In conclusione, si impongono due considerazioni: anzitutto il fatto che il ciclo pastorale, come metodologia ministeriale, richieda delle competenze che vanno acquisite e sviluppate. Non che tutti debbano sapere tutto, ma in un contesto di equipe ministeriale è bene che si riesca a padroneggiare un insieme articolato di strumenti, una sorta di “cassetta degli attrezzi”. E poi dobbiamo chiederci come possiamo facilitare l’acquisizione di queste competenze sia a livello di formazione di base, sia in missione, in un contesto di formazione permanente che tenga conto della specificità delle situazioni e dei bisogni.

Fr. Alberto Parise mccj

SIAMO MISSIONE: testimoni di ministerialità sociale nella famiglia comboniana

Libros
Libros

“Vi raggiungiamo con un saluto cordiale e fraterno, mentre desideriamo condividere con voi quanto segue. La nostra Famiglia Comboniana (MCCJ-LMC-SMC-SCM) ha una antica e preziosa tradizione di impegno in varie attività pastorali con una forte dimensione sociale. Abbiamo anche una storia consolidata – 12 anni – di partecipazione al Forum Sociale Mondiale e al Forum Comboniano…”

“Il Forum Comboniano 2018, tenutosi a Salvador de Bahia (Brasile) in occasione del Forum Sociale Mondiale, i partecipanti suggerirono una proposta mirata a creare uno spazio di riflessione comune per tutti i membri della Famiglia Comboniana impegnati in attività di ministerialità sociale. Per realizzare tale lettura alla luce del Vangelo e del nostro Carisma specifico, proposero di fare un’analisi e una valutazione di tutte le attività che ci vedono impegnati in questa area. Nel nostro recente incontro dei due Consigli Generali in Aprile 2019 e delle Direzioni Generali dei quattro rami della Famiglia Comboniana in giugno 2019, abbiamo accolto favorevolmente questa proposta e per la sua attuazione abbiamo ritenuto opportuno creare una commissione che potesse redigere una tabella di marcia e coordinare le varie attività che ruotano attorno alla proposta originaria.”

La commissione nominata è formata da

Daniele Moschetti, (danielemoschetti15@gmail.com), mccj

Sr. Hélèn Israel Soloumta Kamkol (isralvi@yahoo.fr), smc

Marco Piccione (Venegono): (marcopiccione78@gmail.com), lmc

Sr. Maria Teresa Ratti (mtratticms@gmail.com), smc

Fernando Zolli (combonifi@gmail.com), mccj

Ma questo post vuole soprattutto darvi la buona notizia che è stato completato ed è ora disponibile, il secondo volume del libro sul ministero sociale della famiglia comboniana intitolato “SIAMO MISSIONE: testimoni di ministerialità sociale nella famiglia comboniana “, che presenta, con informazioni più dettagliate, alcuni progetti in cui sono coinvolti padri, fratelli, sorelle, secolari o laici e che sono stati considerati particolarmente significativi per illustrare i metodi e lo stile per vivere l’aspetto del carisma comboniano che prevede un impegno sociale concreto. Accanto alla presentazione di questi progetti, ci sono alcune riflessioni dei testimoni che saranno sicuramente in grado di aiutare nella riflessione e nel discernimento su questi temi che sono così importanti e, direi, caratterizzanti del nostro essere comboniani.

Il libro è disponibile in quattro lingue (italiano, inglese, francese e spagnolo). Sarà distribuito nelle case comboniane ma alcune copie saranno riservate ai laici.

Sfortunatamente, l’ultima attività prevista per la commissione, vale a dire la partecipazione al WSF inizialmente prevista per il 2020, non si è potuta ancora realizzare. Infatti, a causa della triste situazione sanitaria che sta colpendo il mondo intero, il forum è stato rinviato al 2021.

Invece, il forum della famiglia comboniana di solito in programma immediatamente dopo il WSF, si è deciso di farlo in un altro periodo. Al momento, è stato fissato dal 12 al 16 dicembre 2020.

Sperando che lo strumento del libro ci aiuti nella nostra missione quotidiana e nel sentirci ancora più uniti come famiglia per il dono che abbiamo ricevuto del carisma comboniano, vi salutiamo e vi inviamo i nostri migliori auguri e preghiere affinché anche da questo momento difficile possiamo uscire più fortificati nella fede e nella certezza di essere accompagnati da un Dio che cammina con noi.

Marco Piccione, LMC

La ministerialità nel magistero della Chiesa

P Steffano
P Steffano

Possiamo provvisoriamente definire la ministerialità come la presenza trasformativa della Chiesa a tutti i livelli e di tutte le dimensioni della società. La ministerialità indica quindi un servizio della Chiesa al mondo contemporaneo, attraverso una presenza diffusa nella società, come il lievito nella pasta, che la trasforma verso l’ideale del Regno di Dio. La ministerialità va oltre il confine della Chiesa verso la società in generale, dove i cristiani vivono ed esprimono la loro fede nel lavoro quotidiano.

Sappiamo come questa presenza nella società sia cambiata nel corso dei secoli, così come la sua concettualizzazione nel magistero della Chiesa. Siamo passati da modelli separatisti, cercando di creare una società alternativa, santa, a una comprensione più recente di una Chiesa immersa e incarnata nel mondo, ma non del mondo. Anche il concetto e la pratica della ministerialità hanno seguito lo stesso percorso di trasformazione. Stiamo passando dal potere al servizio; dai ministeri quasi esclusivamente focalizzati sulla Chiesa all’accettazione del fatto che l’azione pastorale per il cambiamento sociale è più ampia della Chiesa, oltre i confini delle comunità cristiane formali.

Non c’è bisogno di dire che, in questo processo di rinascita della ministerialità, il Vaticano II ha rappresentato una pietra miliare. La Chiesa ha cambiato radicalmente la concezione che aveva di sé stessa, passando dall’essere una fortezza sotto assedio o un’arca in acque tormentate ad essere una comunità di discepoli, un “popolo di Dio” nel mondo contemporaneo (cfr. Gaudium et Spes). La visione del Vaticano II ha avuto un impatto enorme su tutti i ministeri della Chiesa. L’appartenenza alla Chiesa non si misurava più sull’ordinazione sacerdotale e sulla sottomissione ai ministri ordinati, ma sul battesimo. Tutte le forme di apostolato laicale, in tutti gli aspetti della vita della Chiesa, da parte di qualsiasi membro della Chiesa – sia laico che ordinato – derivano dal battesimo, e sono una partecipazione diretta alla missione salvifica della Chiesa (Lumen Gentium 33).

Non deve essere una sorpresa, quindi, che l’evento del Vaticano II e le sue conseguenze abbiano visto l’emergere di nuovi movimenti nella Chiesa, tutti legati a potenziali nuovi ministeri: il movimento liturgico, il movimento biblico, il movimento per la pace e i diritti umani, il movimento ecumenico. A questo si aggiunge l’emergere di una coscienza e di una competenza completamente nuova dei laici nella società. Paolo VI ha esteso i ministeri centrali della Parola (ufficio del lettore) e dell’Altare (ufficio dell’Accolitato) a tutti i laici, ora conferiti non per ordinazione, ma per istituzione, in modo da distinguerli molto chiaramente dal sacramento del sacerdozio (Ministeria Quædam, 1972).

Negli anni travagliati dopo il Concilio Vaticano II, i movimenti laici ecclesiali sono cresciuti d’importanza, soprattutto durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Essi incarnavano lo spirito del Concilio, cioè la presenza dei laici nella società, alla base di una certa indipendenza dalla Chiesa tradizionale e territoriale. I laici non si riunivano più, o non solo, secondo un territorio (la parrocchia tradizionale), ma più secondo altri criteri come la professione, la cultura religiosa, la spiritualità. Questi movimenti erano la presenza trasformativa diretta della Chiesa nella società, fondata sullo spirito del Vaticano II. Tuttavia, alcuni di essi erano progressisti, aperti al nuovo, in un dialogo onesto con il mondo contemporaneo, pronti a uno scambio reciproco per la crescita collettiva. Altri, invece, erano nostalgici di un passato in cui c’era una presenza più visibile della Chiesa nella società come chiaro punto di riferimento e guida morale. La teologia e la pratica pastorale post-Vaticano II non sono riuscite a eliminare o a ridurre la tensione storica sulle diverse modalità della presenza della Chiesa nel mondo.

L’avvento di Papa Francesco e del suo pontificato può essere considerato un’altra pietra miliare nello sviluppo di una nuova coscienza cristiana e della presenza della Chiesa nel mondo di oggi. Alcuni studiosi definiscono Francesco come il primo Papa veramente post-Vaticano II, nel senso che incarna totalmente lo spirito e la teologia del Concilio. Era chiaro dall’inizio del suo pontificato, in quella sera della sua elezione, quando dalla Loggia di San Pietro chiese al popolo di pregare per lui e di benedirlo. Fu un luminoso “momento del Vaticano II”, un momento di magistero non in forma scritta, ma nella vita (M. Faggioli).

Diversi aspetti della vita e dell’insegnamento di Francesco segnano una nuova coscienza della Chiesa su sé stessa e sul suo ruolo nella società. Per ragioni di spazio, ne citerò solo alcuni.

Il primo è un richiamo a creare una nuova mentalità: da un’esperienza unica di Dio come Amore a una nuova visione della Chiesa come luogo in cui questo Amore diventa visibile, inclusivo, incondizionato ed efficace misericordia. In una tale Chiesa, cominciamo a pensare “in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni” (Evangelii Gaudium, 188). Un tale atteggiamento porta necessariamente a “una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale” (Evangelii Gaudium, 205).

La metodologia che Francesco propone è “di iniziare processi più che di possedere spazi” (Evangelii Gaudium, 223): la visione e il servizio sono più importanti dell’autoaffermazione e del potere. Quindi, la ministerialità (il servizio della Chiesa all’umanità) non è altro che l’attuazione della visione: una Chiesa con un sistema ministeriale incentrato non sul potere che scaturisce da un ruolo (il sacerdozio) ma su un modo comune di essere (la vocazione battesimale) e su un percorso comune (determinato dall’immaginazione profetica della Chiesa).

La ministerialità richiede complementarietà e collaborazione. Questo è ben espresso nella parola sinodalità. Viaggiare insieme, “sinodalità”, è l’altra caratteristica fondamentale della Chiesa immaginata da Francesco. I sinodi esistevano già prima di Francesco, ma egli ha dato loro un nuovo potere e un nuovo ruolo, rendendoli eventi di vera comunione e di discernimento ecclesiale (Episcopalis Communio, 2018). Alcuni dicono che la sinodalità è il vero cambiamento di paradigma del suo pontificato; indubbiamente è un elemento costitutivo della Chiesa. Fa appello alla conversione e alla riforma all’interno della Chiesa stessa, per diventare una Chiesa più attenta all’ascolto. Offre anche nuovi spunti per la società nel suo insieme, “il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi” (Francesco, Discorso alla cerimonia di commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 2015).

L’apertura al sogno di una nuova società coinvolge non solo ogni battezzato, ma anche ogni persona di buona volontà che desidera e agisce per la giustizia, la pace e la cura del creato. La condivisione di questa sete di giustizia e il riconoscimento di ciò che gli attivisti sociali stanno già facendo è stato il leitmotiv dei messaggi di Papa Francesco ai rappresentanti dei movimenti popolari, durante i loro Incontri Mondiali (2014-2017). Ancora una volta, Francesco ha ricordato l’idea di camminare insieme (sinodo), sostenendo la lotta dei movimenti popolari. È l’immagine di una Chiesa sinodale e ministeriale, al servizio dell’umanità, che riconosce il ministero di molte persone di diverse religioni, mestieri, idee, culture, paesi, continenti, e rispetta la diversità di ciascuno. Francesco ha usato l’immagine del poliedro (immagine usata anche nella Querida Amazonia, 2020): essa “riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso conservano l’originalità. Nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina, tutto si integra” (Messaggio ai movimenti popolari, 2014). È lo stesso cambiamento iniziato dal Vaticano II, da una struttura piramidale della Chiesa a una struttura comunitaria, in cui ogni ricchezza è riconosciuta e apprezzata nella sua diversità.

In sintesi, l’idea di ministerialità si fonda su una chiara comprensione della Chiesa e su una prassi identificabile nel, per e con il mondo, caratterizzata dal dialogo, dall’apertura e dalla disponibilità a riconoscere, ad imparare e a camminare insieme a qualunque persona di buona volontà impegnata nella trasformazione della società.

P. Stefano Giudici, mccj

Presentazione dei temi per l’Anno della Ministerialità

Comboni

Il Segretariato Generale della Missione ha proposto alle Circoscrizioni un programma di riflessione comunitaria sul tema della ministerialità. Il Consiglio Generale è pienamente consapevole del momento che stiamo vivendo, segnato dal COVID-19 che ci condiziona psicologicamente e spiritualmente. Il fatto che le nostre attività pastorali a volte siano sospese per responsabilità civile, potrebbe rappresentare un’occasione per dare tempo al percorso proposto. Per questo invitiamo ogni circoscrizione a fare uno sforzo di adattamento del materiale, cercando di relazionare i temi proposti alla situazione che si sta vivendo in ciascun paese. [Manuale di istruzioni]

Presentazione dei temi per l’Anno della Ministerialità

Tema 1: Il ruolo ministeriale del presbitero

= Scheda 1.1: propone un caso studio per introdurre e familiarizzarsi con la tematica.

= Scheda 1.2: presenta un approfondimento tematico, per una lettura più analitica dell’esperienza.

= Scheda 1.3: introduce il momento di preghiera personale e della riflessione teologica.

= Scheda 1.4: predispone uno spazio di condivisione e di discernimento comunitario.

Tema 2: La collaborazione ministeriale

= Scheda 2.1: caso studio.

= Scheda 2.2: approfondimento tematico.

= Scheda 2.3: preghiera personale.

= Scheda 2.4: condivisione e discernimento comunitario.

Tema 3: Evangelizzazione e ministeri

= Scheda 3.1: caso studio.

= Scheda 3.2: approfondimento tematico.

= Scheda 3.3: preghiera personale.

= Scheda 3.4: condivisione e discernimento comunitario.

Tema 4: Il contributo ministeriale dei laici

= Scheda 4.1: caso studio.

= Scheda 4.2: approfondimento tematico.

= Scheda 4.3: preghiera personale.

= Scheda 4.4: condivisione e discernimento comunitario.

Tema 5: Ministerialità sociale ed ecologica

= Scheda 5.1: caso studio.

= Scheda 5.2: approfondimento tematico.

= Scheda 5.3: preghiera personale.

= Scheda 5.4: condivisione e discernimento comunitario.

Tema 6: La sinodalità

= Scheda 6.1: caso studio.

= Scheda 6.2: approfondimento tematico.

= Scheda 6.3: preghiera personale.

= Scheda 6.4: condivisione e discernimento comunitario.

Laicato e Ministerialità

Laicado
Laicado

Laicato e ministerialità

Tenteremo di fare una riflessione sulla ministerialità da una prospettiva laicale, in particolare dal punto di vista della vocazione missionaria comboniana. Prima però di addentrarci in questi ministeri e servizi dal punto di vista della fede, credo sia importante inquadrare l’argomento.

La nostra vita prende una svolta quando facciamo un incontro personale con Gesù di Nazaret. Condividiamo questa società con molti uomini e donne di buona volontà. Ciascuno con principi e valori che orientano le sue azioni e le sue scelte di vita. Ma per noi esiste un “prima di” e un “dopo” aver conosciuto Gesù. Come i primi discepoli, un giorno abbiamo incontrato Gesù sulla nostra strada. Il nostro cuore ha sobbalzato e le nostre labbra hanno chiesto “Dove abiti?”. E la sua risposta è stata “vieni e vedi”. A partire da quel momento la nostra vita è cambiata.

Sono tante le vie attraverso le quali siamo giunti a questo incontro: per molti è stato grazie alle nostre famiglie, alle nostre comunità cristiane, ai nostri amici, a circostanze della vita che ci sono capitate… indubbiamente la casistica è molto vasta. Ma ciò che è realmente determinante, è la risposta data, a partire dalla libertà, e le conseguenze di questa risposta in ciascuna delle nostre vite. La risposta è libera, nessuno ci costringe a darla, è una grazia che abbiamo ricevuto e, di conseguenza, il riconoscimento di una nuova vita.

Il laico è prima di tutto un seguace di Cristo. Non si tratta di seguire un’ideologia né semplicemente di lottare per delle cause giuste che contribuiscano ad una nuova umanità più giusta e dignitosa per tutti, né vuol dire seguire tutti i precetti della religione che possono aiutarci nel nostro rapporto con Dio. Essere cristiani vuol dire innanzitutto seguire Gesù, uscire dalla nostra zona di confort e mettersi in cammino. Prendere il necessario per andare leggeri ed essere sempre aperti e disponibili in questo seguire. Gesù ci mostrerà, lungo questo cammino, qual è la nostra parte di responsabilità nell’annuncio e costruzione del Regno.

Noi diciamo di essere in costante discernimento che non è uno stato di dialogo costante con il Signore. È vero che esistono momenti speciali di discernimento nella vita di ogni persona. Sono quelli che riguardano la sua vocazione principale, come nel caso del matrimonio o della vocazione alla quale ci sentiamo chiamati, come la vocazione missionaria, e anche il genere di professione attraverso la quale vogliamo o sentiamo di poter servire gli altri, scegliendo un certo tipo di studi o un altro, un certo lavoro o un altro. È fondamentale per la vita di ogni persona capire questa chiamata a fare l’infermiere, il medico, l’insegnante, il dirigente d’azienda, l’avvocato, l’educatore, o a lavorare nel campo sociale, o essere un politico, fare l’artigiano, ecc.

Momenti vitali che nella nostra adolescenza, gioventù ed età adulta si presentano in maniera significativa. Ma, al di là di questi momenti, che ci manterranno sul cammino nei momenti difficili, in questo cammino vogliamo rimanere in ascolto. Non vogliamo accomodarci. Nella vita si presentano continuamente nuove sfide e nuove chiamate da parte di Gesù. Per noi, come missionari, avere la valigia pronta è qualcosa che fa parte della nostra vocazione. Siamo chiamati ad accompagnare le persone, le comunità per un determinato periodo, per poi andare via, perché l’andare via è parte essenziale. Uscire o continuare a crescere. Non rimaniamo sempre uguali per anni perché riconosciamo che le necessità cambiano. Siamo chiamati a lasciare la nostra terra e a viaggiare in altri paesi, in altre culture; siamo chiamati a svolgere nuovi servizi, a ritornare nei nostri luoghi di origine, ad assumere nuovi impegni: tutto questo fa parte della nostra vocazione. In ogni chiamata, ad ogni nuovo cambiamento, dobbiamo capire quali sono i piani del Signore per noi. Perché ci chiede di andare in un altro continente o di tornare nel nostro luogo di origine quando stavamo facendo così bene presso quella gente, quando addirittura sembravamo così necessari in quel luogo, la vita ci porta a cambiare posto, a cominciare di nuovo…

Perché quando ci sembrava di essere arrivati in un porto definitivo, c’è qualcosa dentro di noi che ci interroga, ci inquieta? È il Signore che ci parla. Con Lui abbiamo un rapporto di amicizia che ci aiuta a crescere. Come amici condividiamo la vita e i nuovi progetti che la attraversano. Con momenti di maggiore stabilità ma anche con momenti di nuove sfide. Non siamo venuti a riposarci su questa terra ma a far fruttare la vita e a permettere e a lottare affinché anche altri possano goderne.

Noi rispondiamo a questa chiamata non solo in maniera individuale ma anche dall’interno di una comunità. Non camminiamo da soli. Questo è parte della nostra vocazione cristiana, l’appartenenza alla Chiesa, come ci sentiamo parte anche di tutta l’umanità. E come parte di questa Chiesa ci sentiamo chiamati ad un servizio comune. Come Laici Missionari Comboniani (LMC) sentiamo questa appartenenza alla Chiesa di Gesù. E sentiamo che questa vocazione specifica che abbiamo ricevuto è una vocazione e una responsabilità comunitaria. Abbiamo una chiamata personale ma anche una chiamata come comunità e comunità di comunità. Riconosciamo la Chiesa come sacramento universale di salvezza, ciascuno con la propria specificità, doni e carisma per l’annuncio e la costruzione del Regno.

Gesù chiama i suoi discepoli a vivere, a percorrere il cammino in comunità. Sappiamo che solo con l’aiuto di Gesù possiamo camminare e come comunità abbiamo bisogno di quella spiritualità profonda che ci unisce a Gesù, al Padre e allo Spirito. Un cammino dove la preghiera, la vita di fede e la comunità diventano nutrimento e riferimento per la vita del LMC.

La centralità della missione in Comboni. La Chiesa al servizio della missione

Comboni aveva ben chiara la centralità della missione nella sua vocazione e la necessità di questa nella Chiesa. Davanti alle necessità dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi siamo chiamati a dare una risposta. E questa risposta è talmente necessaria e complessa che non siamo chiamati a darla individualmente bensì come Chiesa. Tutti e ciascuno di noi cristiani siamo chiamati a rispondere a questa chiamata. Non importa il nostro stato ecclesiale, ciascuno di noi deve dare una risposta di fede. Gesù chiama ciascuno a camminare. Ed è per la complessità delle necessità che esistono che lo Spirito suscita nel mondo e nella sua Chiesa vocazioni diverse, carismi diversi che diano il loro contributo a questa realtà.

Identificare la Chiesa con il clero o anche con i religiosi e le religiose vuol dire non capire Gesù, vuol dire non ascoltare lo Spirito. L’attività e la chiamata al sacerdozio o alla vita religiosa nei suoi numerosi aspetti è fondamentale per il mondo, ma non più dell’impegno di tutti e di ciascuno dei laici. La Chiesa non ha solo una responsabilità legata alla religiosità e spiritualità delle persone. Abbiamo una responsabilità sociale, familiare, ambientale, educativa, sanitaria, ecc. con il mondo intero.

Le cose di ogni giorno sono le cose di Dio. Le piccole cose sono le cose di Dio. L’attenzione ad ogni persona nel concreto e nelle necessità globali sono responsabilità dei seguaci di Gesù. E in tutte queste cose, il ruolo del laicato è fondamentale, dell’uomo e della donna, in campo materiale e spirituale… così lo intese Comboni e così lo intendiamo anche noi.

Comboni

Il laico nel mondo

In questa chiamata globale che abbiamo ricevuto, la Chiesa si presenta come comunità di riferimento. È nutrimento per il servizio. Luogo dove riprendere le forze, dove nutrirsi in maniera privilegiata anche se non unica.

Come laici siamo chiamati a far nascere radici che stabilizzino il terreno e lo arricchiscano, siamo chiamati a creare reti di solidarietà e di relazione che articolino la società, attraverso la famiglia, le piccole comunità di condominio, di quartiere, entità sociali, aziende… siamo grandi creatori di reti di relazione, collaborazione e lavoro. Viviamo coinvolti in tutte queste reti e siamo chiamati ad animarle, a dare loro una spiritualità perché siano al servizio delle persone, soprattutto dei più deboli. Siamo chiamati ad includere tutte le persone. Il nostro sguardo deve concentrarsi sui più poveri e abbandonati di cui parlava Comboni, sugli esclusi da questa società, deve essere uno sguardo che ci spinge a stare nelle periferie perché è dal basso che le cose si vedono in maniera diversa. Non possiamo adattarci ad una società dove non tutti hanno una vita dignitosa. Una società dove si premia l’avere e non l’essere e il consumo che sta devastando un pianeta finito che grida e reclama la nostra responsabilità globale.

Questa visione che deve interrogare la nostra vita ci chiede azioni concrete.

La chiamata del laico è una chiamata al servizio dell’umanità. Una chiamata che per alcuni sarà di servizio interno alla nostra Chiesa. Non possiamo pensare che il buon laico sia colui che aiuta in parrocchia e perdere di vista la nostra vocazione di servizio al mondo. Alcuni servizi interni sono necessari ma la Chiesa è chiamata ad uscire. Ad andare con Gesù sulla strada, ad andare di villaggio in villaggio, di casa in casa, ad aiutare nelle piccole e grandi cose. Siamo chiamati ad essere sale che dà sapore, lievito nella pasta… chiamati a stare nel mondo e a contribuire in maniera significativa. Non possiamo rimanere in casa dove ci troviamo bene, dove ci comprendiamo gli uni con gli altri. Siamo chiamati ad uscire. La Chiesa non nasce per sé stessa ma per essere comunità di credenti che segue Gesù e serve i più bisognosi. Per questo ci sentiamo chiamati ad essere di aiuto nella crescita delle comunità umane (anche quelle cristiane).

Qual è la risposta che stiamo dando a questa chiamata come LMC?

Attualmente c’è un’ampia riflessione in tutta la Chiesa sullo specifico missionario. Su quali sono e dovrebbero essere i nostri servizi in quanto missionari, i nostri ministeri specifici. Ormai si è perduta la referenzialità geografica della missione, il riferimento fra un nord ricco e un sud da sviluppare, dove le disuguaglianze e le difficoltà sono presenti in tutti i paesi, anche se in alcuni continuano a concentrarsi la maggior parte delle ricchezze e delle possibilità mentre in altri le difficoltà sono molto più gravi… Infatti, la miseria è dilagante tra i senzatetto nei cosiddetti paesi ricchi, le migrazioni forzate a causa della povertà, le guerre, le persecuzioni per motivi diversi, i cambiamenti climatici e altri fattori stanno facendo sì che un fenomeno da sempre presente nell’umanità si stia aggravando. La pandemia del COVID-19 ci ricorda la globalità della nostra umanità al di sopra di barriere e frontiere. Ci colpisce tutti e tutte allo stesso modo. Finora il denaro sembrava essere l’unico in grado di viaggiare senza passaporto, ma ora sembra che possa farlo anche il virus.

Solo in un mondo giusto tutti potremo vivere in pace e prosperità. Le disuguaglianze salariali, i conflitti, il consumo scriteriato al punto da sciogliere i ghiacci dei poli e via dicendo finiscono per influire e avere conseguenze su tutta l’umanità. Le barriere e la polizia, che siano alle frontiere o nelle case o nelle zone urbane di chi ha di più, non otterranno un mondo migliore per tutti né per quelli che vi si rifugiano dietro.

Di fronte a tutto ciò, il dibattito e la riflessione sullo specifico del laicato missionario in questa nuova epoca è chiaro. Non avrò la pretesa di entrare nell’argomento in maniera teorica. Vi presenterò semplicemente alcune delle attività in cui siamo presenti come laici per dare una risposa alla chiamata ricevuta.

È questa la nostra ministerialità, il servizio a cui ci sentiamo chiamati. La risposta di vita, non teorica, che stiamo dando. Non mi dilungherò. Indicherò solo alcuni esempi che possano chiarire; tanti altri rimarranno nell’anonimato… non per niente siamo chiamati ad essere pietre nascoste.

Abbiamo amici e amiche che lavorano con i pigmei e con il resto della popolazione nella Repubblica Centrafricana, un paese dove siamo da oltre 25 anni. In mezzo a quanti sono considerati come servi dalla maggioranza della popolazione; facendo da ponte di inclusione o assumendoci la responsabilità di una rete di scuole primarie in un paese che ha attraversato vari colpi di stato ed è da anni in una situazione di guerra che non permette allo stato di fornire questi servizi.

In Perù accompagniamo la gente alla periferia delle grandi città. Negli insediamenti abusivi dove chi viene dalla campagna strappa un pezzo di terra alla città per vivere, senza luce, senza acqua né fognature. Poche famiglie che lottano per una vita dignitosa, che hanno lasciato i loro paesini per la città per poter mangiare e dare una vita migliore ai propri figli. Dove c’è molta solidarietà fra vicini e accoglienza ma anche problemi causati dall’alcol, dalla violenza maschilista e dalla disgregazione di molte famiglie.

In Mozambico collaboriamo nell’educazione dei giovani, maschi e femmine, che andando via dalle loro comunità dell’interno, sperano di potersi formare per risollevare il paese. Hanno bisogno di scuole che diano loro questa formazione professionale e internati che consentano loro di vivere durante il periodo scolastico, dato che le loro case sono molto distanti. Anche accompagnare questi giovani e le comunità cristiane fa parte della nostra chiamata.

Dall’altra parte, siamo presenti in Brasile, nella lotta contro le grandi compagnie estrattiviste che cacciano via le comunità dalle loro terre, avvelenano i fiumi e l’aria, interrompono le comunicazioni o le isolano con i loro treni chilometrici che estraggono i minerali della zona senza preoccuparsi dell’ambiente o del bene delle persone.

Inoltre, in molti paesi europei siamo coinvolti nell’accoglienza agli immigrati. Cerchiamo di restituire quanto abbiamo ricevuto quando anche noi eravamo stranieri. Siamo chiamati a ricevere quanti fuggono dalla miseria e dalle guerre, quanti sono in cerca di un futuro migliore per le loro famiglie e che al loro arrivo si trovano davanti muri non solo di cemento e reti metalliche ma anche di paura e di incomprensione da parte della popolazione. Fare da ponte con una popolazione che continua ad essere ospitale e solidale, presenti nelle organizzazioni sociali ed ecclesiali che si mobilitano per accogliere e integrare i nuovi vicini. Dall’accoglienza sulla spiaggia fino all’aiuto per la lingua, la ricerca di un lavoro, di una casa, per la trafila amministrativa o a riconoscere la ricchezza che ci portano e il valore aggiunto che rappresentano per la nuova società. Valorizzando quello che sono e le loro culture ed essendo dei referenti per queste ultime in un mondo che non sempre le comprende.

Quando la società crolla e l’essere umano è sconfitto non sappiamo cosa fare con queste persone. La reclusione in carcere è la soluzione che abbiamo dato come società. Ma queste carceri molto spesso diventano scuola di delinquenza e non di riabilitazione, come dovrebbero. Fra queste ci sono le APAC che sono nate in Brasile e che a poco a poco si stanno estendendo. Un sistema di reclusione dove la persona che arriva è considerata come uno da recuperare e non un detenuto, che viene chiamata con il suo nome e non con un numero. Protagonista della sua vita, la si aiuta a comprendere il suo errore e la necessità di chiedere perdono e a reinserirsi come membro attivo nella società. Un metodo dove la comunità opera un cambiamento e crea ponti recuperando i suoi figli e le sue figlie che un giorno hanno commesso un errore; dove queste persone da recuperare hanno le chiavi delle porte e man mano assieme agli altri capiscono la dignità di essere figli di Dio, il pentimento e il loro valore come persone per la società.

Il modo in cui si vive nei paesi con maggiori risorse sta esaurendo un pianeta finito. Le relazioni commerciali internazionali stanno impoverendo tanti a beneficio di pochi… promuovere un nuovo stile di vita è fondamentale per cambiare i paradigmi e i valori che si dimostrano come gli unici validi per un esito sociale e per la felicità. In una società in cui il possesso e il consumo prevalgono sull’essere, bisogna proporre nuovi stili di vita. Anche in questo siamo coinvolti in Europa: proponendo nuovi stili di vita, di impegno, di responsabilità nel consumo, nell’economia, ecc.

Potremo così proseguire con attività legate ad un’educazione impegnata con gli esclusi delle periferie delle nostre città, nell’attenzione ai malati mostrando il volto di Dio che li accompagna e la mano di Dio che se ne prende cura, nell’attenzione ai senzatetto, alle persone con dipendenze, ecc.

Come missionari siamo e dobbiamo rendere tutti consapevoli della realtà di un mondo globalizzato che richiede un’azione congiunta, una nuova presa di posizione. Perciò, ogni nostra piccola azione, tutti i nostri granelli di sabbia danno forma a piccole montagne dove salire, vedere e sognare un mondo diverso.

Salire con la gente con cui viviamo tutti i giorni. Chiamati in particolare a quanti vivono sommersi senza possibilità di vedere un orizzonte, di uscire dalle proprie difficoltà, siamo chiamati ad alzare la testa e a guardare avanti, ad animare e accompagnare queste comunità. Siamo chiamati a stare lì dove nessuno vuole andare.

Tutti chiamati a lottare in maniera globale per i problemi che sono globali, ad unirci e ad essere promotori di reti di solidarietà in questa umanità che abita la casa comune, che dimostra ogni giorno di essere più piccola.

E in mezzo, mettere Gesù, la persona che ha cambiato la nostra vita. Dio è un diritto di ogni uomo e di ogni donna. Ci sentiamo responsabili di far conoscere la Buona Novella, di presentare un Dio vivo che sta in mezzo a noi, che cammina con noi, che come ci ha mostrato Gesù di Nazaret non ci abbandona e ci accompagna sempre. Dentro ogni persona, nel più bisognoso, nella comunità, Dio aspetta ciascuno di noi, per trasformare la nostra vita, riempirla di felicità, di una felicità profonda. Dio ci aspetta per darci l’acqua viva, quell’acqua che colma la sete dell’essere umano.

Che il Signore ci dia le forze per poter essere sempre presenti e accompagnare, essere uno strumento che porta le persone ad incontrarlo e ci tenga sempre accanto a lui nel cammino.

LMC

Alberto de la Portilla, LMC