Laici Missionari Comboniani

Il vento del cambiamento

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Storie di vita e ministerialità sociale

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I comboniani e le comboniane nacquero grazie al Piano di San Daniele Comboni di rigenerare l’Africa con l’Africa stessa. Il Piano fu pubblicato per la prima volta nel 1864, ma fu rivisto e aggiornato dallo stesso Comboni ben sette volte: fu un’ispirazione dall’Alto, frutto dell’amore compassionevole del Buon Pastore verso l’Africa che Comboni chiamava la perla nera; ma anche una partecipazione dal basso, con espressioni diverse di missione, strategie, coinvolgimento di gruppi ecclesiali, filantropici, scienziati e geografi, per la ricerca di personale e fondi per la sua realizzazione.

I biografi di Comboni gli riconoscono alcune caratteristiche fondamentali, tra le quali la sua chiaroveggenza pratica e dinamica e la sua incrollabile fiducia nella rigenerazione dell’Africa, nonostante gli ostacoli, le croci, le incomprensioni, le critiche e le calunnie; prova ne è che due africani: Daniele Sorur Pharim Den (1860-1900) e Fortunata Quascè (1845-1899),  ambedue sudanesi e sottratti alla schiavitù, nella visione inclusiva dell’opera comboniana, sposarono da subito il piano e, attraverso il loro ministero, ne rivelarono l’efficacia.

Il primo descrisse la reale condizione dei Neri e sottolineò che la rigenerazione degli africani poteva realizzarsi solo a due condizioni: spezzare il giogo della schiavitù e offrire agli africani le stesse opportunità di formazione che venivano date a tutti gli altri popoli. La seconda dedicò tutta la sua vita alla formazione e alla preparazione delle fanciulle africane, perché a loro volta, liberate da ogni schiavitù, avviassero nel cuore dell’Africa nera processi di rigenerazione.

Da oltre 150 anni gli eredi di Comboni, illuminati dall’Alto, con la stessa determinazione e con la stessa fiducia; mossi dall’amore compassionevole per i più poveri abbandonati, hanno dato forma al sogno di rigenerare l’Africa attraverso il ministero sociale, adattando il piano ai tempi e ai luoghi, nel soffio dello Spirito che rinnova la faccia della terra” (Sl 102, 30). Un patrimonio importante da conoscere e da valorizzare, soprattutto oggi, per affrontare un sistema neoliberista di predatori rapaci, che accentra la ricchezza nelle mani di pochi e promuove la cultura dello scarto, escludendo dalle condizioni di vita piena miliardi di persone.

Ecco perché per il 2020, l’anno che i missionari comboniani hanno dedicato alla ministerialità, le direzioni generali della famiglia comboniana, consacrati, secolari e laici, hanno chiesto ad una commissione, nominata ad hoc, di pubblicare un libro nel quale vengono raccontate alcune storie di vita vissuta nella ministerialità sociale. Allo stesso tempo, allargare la ricerca attraverso una mappatura delle nostre presenze e impegni, che coinvolge le comunità della famiglia comboniana, sparse nei quattro continenti.

Ci si proponeva di:

  • Elaborare dei criteri, modalità e principi comuni nelle esperienze esistenti di collaborazione inquadrandole in una prospettiva istituzionale.
  • Valutare in che modo le varie ministerialità hanno un impatto di trasformazione sociale sulla realtà e come la nostra presenza ministeriale risponda a una vera esigenza dei segni dei tempi.

Questo lavoro è stato senza dubbio ambizioso, ma allo stesso tempo limitato, nel senso che è sempre difficile racchiudere in uno scritto la ricchezza del vissuto. Anche perché c’è l’imbarazzo della scelta tra le esperienze di 3.500 missionari consacrati, consacrate, secolari, laici e laiche che operano secondo il carisma comboniano, in Africa, nelle Americhe, in Asia e in Europa.

Il libro dal titolo “Noi siamo missione. Testimoni di ministerialità sociale nella famiglia comboniana”, è stato pubblicato nel giugno 2020, in quattro lingue (italiano, inglese, spagnolo e francese). Il lavoro è stato il frutto della collaborazione di 61 missionarie e missionari, invitati a raccontare il loro vissuto ministeriale sociale; due esperti esterni, inoltre, hanno fatto una lettura sapienziale del materiale, indicando i punti di forza dell’impegno ministeriale e i nodi da sciogliere per una maggiore efficacia per il cambiamento del sistema.

Le narrazioni e le condivisioni fatte in questo testo, aiutano a comprendere che, pur nella molteplicità delle situazioni, degli approcci e delle iniziative, la dimensione sociale è l’asso trasversale di ogni ministero; nel senso che ogni servizio, inteso come dono di Dio, per la sua stessa forza intrinseca, proclama la liberazione degli oppressi, l’anno di grazia” (Lc 4, 18-19) e rivela alle genti i cieli nuovi e la nuova terra” (Ap 21, 1) nel progetto originale e provvidenziale di Dio.

Il racconto della prassi della ministerialità sociale, per questa ragione, arricchisce il paradigma di riferimento della missione, sempre più incarnata nella complessità del mondo di oggi e attenta nel leggere i segni dei tempi e dei luoghi, per poter ri-annunciare a tutti i popoli la fede in Gesù Cristo, con linguaggi e stili di presenza adeguati.

Il processo avviato sarà lungo e graduale nel tempo, ma potrà avvalersi di alcuni temi e suggerimenti messi in evidenza da queste condivisioni e da altre che saranno espresse nella mappatura generale della famiglia comboniana. È previsto anche un momento di raccolta, approfondimento, sintesi, discernimento e rilancio nel Forum sulla ministerialità sociale comboniana a Roma, nel prossimo dicembre 2020.

Non si parte dal nulla o da teorie, ma da eventi vissuti e narrati nella quotidianità della missione comboniana, che si possono sintetizzare con alcuni verbi:

Vedere: con occhi penetranti e cuore apertoper cogliere le sfide e le opportunità per l’annuncio del Vangelo.

Farsi prossimo: nella dinamica di una chiesa missionaria e “in uscita”, che vive ai margini e tocca le ferite dei fratelli e delle sorelle, prendendo su di sé l’odore delle pecore e lo stile di vita dei poveri.

Incontrare: vivendo e promuovendo la mistica dell’incontro. Professare la cattolicità e accorciare la distanza tra credi e culture, attraverso il dialogo e l’ecumenismo, per una fraternità globale.

Rigenerare: lasciarsi sfidare dalla realtà e industriarsi a cercare i cinque pani e i due pesci dei piccoli, l’obolo della vedova, l’acqua della purificazione dei popoli.

Trasformare: non c’è più tempo per modifiche; è tempo di cambiamento! È tempo di affrontare le cause che generano le disuguaglianze tra le persone e tra i popoli e la cultura dello scarto.

Celebrare: Tutto ciò che dà consistenza al ministero sociale e configura i discepoli e le discepole al mistero Pasquale del Cristo, sostegno della fede nella quotidianità della missione.

Ripartire. Nello sguardo dello Spirito non c’è più spazio per la auto glorificazione e la vanagloria; tutto viene provato nella fiamma del fuoco che purifica e spinge ad osare e ripartire per sentieri e strade inediti, perché siano sempre più le vie di Dio.

Gli ambiti della ministerialità sociale

Il cuore della ministerialità sociale è quello di mettersi in ascolto del grido dei poveri, allearsi con loro, perché le loro attese si realizzino e li rendano capaci di trasformazione; nella logica evangelica del Signore: Lui che da ricco che era, si è fatto povero, perché diventassero ricchi per mezzo della Sua povertà” (2 Cor 8, 9).

Come Famiglia comboniana, da sempre abbiamo operato nella dimensione sociale: nella formazione delle coscienze e la preparazione dei leaders professionali; nei Media e comunicazione; Cura e attenzione delle persone, sanità ed educazione; Periferie esistenziali e geografiche (come per esempio la cura dei ragazzi di strada, situazioni di guerra e di conflitto, minoranze etniche; la tratta dei minori e delle donne; diritti umani; carceri, pastoralisti…); la mobilità umana e la pastorale dei migranti; la salvaguardia del creato; la liturgia  e la catechesi.

Prospettive

Il processo avviato nel mettere l’accento sulla dimensione sociale della ministerialità non può né deve essere considerato come un’azione di circostanza e limitato nel tempo. E’un cammino di lungo percorso, secondo la tradizione viva della Chiesa. Deve essere sostenuto, alimentato, e rivisto nel ritmo accelerato del cambiamento epocale, allo scopo di dare efficacia e creatività alla presenza missionaria e carismatica della famiglia comboniana nel mondo di oggi.

La dimensione sociale nella ministerialità invita dunque a rivedere l’idea di missione. Un invito alla famiglia comboniana a riflettere su ciò che vuole essere e vuole realizzare per il bene dell’umanità nella costruzione del Regno di Dio.

Il filo conduttore è sempre la missione, con queste caratteristiche particolari:

  • la trasformazione del sistema che genera la cultura dello scarto;
  • la promozione del Vangelo della cura delle persone, attraverso la prossimità e la compassione samaritana;
  • la sinodalità, nel coinvolgimento e nella com-partecipazione effettiva di tutti i ministeri;
  • la conversione ecologica, coscienti che salvaguardando la casa comune creeremo le condizioni di vita degna per tutti, specialmente per gli esclusi.

Ecco perché il titolo del libro “Noi siamo missione”, diventa un appello alla missione, vissuta come comunità di rigenerati e comunione comboniana tra sorelle, fratelli e laici, sempre di più articolati e interconnessi con altri gruppi e associazioni ecclesiali e laiche, come parte integrante del popolo di Dio.

Questo processo di cambiamento amplifica il sogno comboniano di rigenerare l’Africa con l’Africa nella prospettiva del grande sogno di Papa Francesco, espresso nell’ Esortazione Apostolica post-sinodale “Querida Amazonia”: il sogno della costruzione di una nuova società con l’inclusione degli “scarti” e un nuovo patto sociale per il bene comune. Il sogno culturale di una umanità plurale; il sogno ecologico dove tutto è interconnesso e l’impegno a salvare la terra garantisce il futuro per l’intera umanità. Infine, il sogno ecclesiale, ben simbolizzato dall’immagine di ospedale da campo, immersa nella vita e nella realtà dei poveri ed emerginati, che tocca le ferite dei fratelli e sorelle e versa l’olio della pace e della riconciliazione.

Fernando Zolli e Daniele Moschetti

Libro: Noi siamo missione

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“La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei Figli di Dio” (Rom. 8,19)

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Carissime e carissimi nel nome del nostro Signore Gesù, vi salutiamo cordialmente!

Come ben ricorderete, due anni fa circa, è stato pubblicato il primo volume, dal titolo: “Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”, dove erano state raccolte soprattutto le idee, che ci animano e guidano in modo particolare all’interno dei percorsi inerenti alla GPIC. Questi percorsi, a loro volta, sono stati resi possibili anche dall’incontro tra i Fori Sociali Mondiali (FSM) e i Fori organizzati come Famiglia Comboniana in concomitanza ai FSM. Nei 150 anni di Storia e di Vita, i nostri Istituti si sono arricchiti di una grande esperienza ministeriale grazie soprattutto alla dedizione di moltissimi e moltissime missionarie che hanno interpretato con creatività e passione apostolica la specificità del nostro Carisma.

Questo secondo volume dal titolo: “Noi siamo missione: testimoni di ministerialità sociale nella famiglia comboniana”, presenta una gamma significativa di esperienze ministeriali concrete. Il nostro desiderio è che la condivisione di queste esperienze, scelte tra tante altre, prima di tutto ci aiuti a valorizzare quello che già facciamo, grazie al Dono dello Spirito Santo e alle nostre risposte personali e comunitarie. Inoltre, questa pluralità di esperienze condivise ci aiuta ad apprezzare le diverse azioni ministeriali comboniane che si completano e si arricchiscono a vicenda, rivelandoci la ricchezza del Carisma in una crescente dinamicità.

Chiediamo ai nostri Superiori Provinciali, di prendersi cura nel distribuire a tutte le comunità le copie stampate e anche la copia digitale in quattro lingue di questo secondo volume, perché tutte e tutti possano godere del lavoro fatto insieme e in collaborazione di oltre 40 confratelli e consorelle Comboniani.

Ringraziamo i membri della Commissione Ministerialità Sociale della Famiglia Comboniana che hanno lavorato con passione e competenza alla cura di questo secondo volume e alla mappatura delle nostre presenze comboniane di ministerialità sociale sparse nel mondo. A dicembre 2020, Covid-19 permettendo, si realizzerà il Forum sulla Ministerialità Sociale a Roma.

Queste iniziative e attività sono parte di un grande cammino di sinergia e collaborazione dei membri della Commissione e di tanti confratelli e consorelle, che, sicuramente porterà entusiasmo e apertura al nuovo a cui il Signore sta guidandoci. Tutto questo richiede, comunque, da parte di tutta la Famiglia Comboniana una grande apertura di cuore, mente, creatività e impegno che affidiamo all’ intercessione del nostro grande fondatore San Daniele Comboni.

Maria, Donna del Vangelo insegnaci ad annunciare tuo Figlio Gesù nel nostro impegno ministeriale!

Sr. Luigia Coccia, smc                        P. Tesfaye Tadesse, mccj

Potete scaricare il libro seguendo questo link

Parrocchia missionaria e ministeriale

P Fernando MCCJ

“La Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria” (AG 2; cfr. Mt 28, 16-20; Mc 16, 15-20), ma per sua natura è anche ministeriale (cfr. Rom 12, 4-8). Ministerialità e missione sono profondamente unite perché la missione si concretizza e si realizza attraverso la diversità di ministeri. Un ministero è un servizio per il bene comune o per lo sviluppo della missione della Chiesa. Pertanto, possiamo dire che la Chiesa è missionaria in quanto sostanzialmente ministeriale, servitrice. Nel contesto dell’anno della ministerialità che stiamo vivendo nell’Istituto, in questo articolo, ci soffermeremo in particolare sull’aspetto ministeriale e carismatico della missione evangelizzatrice della Chiesa nella parrocchia.

P Fernando MCCJ

Alla luce del Concilio Vaticano II sappiamo che ogni battezzato è chiamato ad essere evangelizzatore in quanto partecipa alle tre funzioni ministeriali di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re, e ne condivide la missione (cfr. LG 30-38). I ministeri, in primo luogo, possono essere classificati in due grandi gruppi: Ministeri Laicali e Ministeri dell’Ordine Sacerdotale. Se si parte da una visione gerarchica della Chiesa e da una visione clericale della pastorale, i ministeri laicali vengono soffocati o ridotti a servizi di appoggio al sacerdote e alla sua missione. Di conseguenza, gli agenti pastorali diventano dei semplici collaboratori, degli aiutanti, dei “chierichetti del sacerdote” (altar boys) o, com’è successo in tante missioni, dei “mission boys”, sebbene si trattasse di adulti. Vi sono anche dei sacerdoti che dedicano gran parte del loro tempo ad attività proprie dei Fratelli o di altri ministeri laicali, lasciando poco tempo ai ministeri propri del loro sacerdozio.

Un’altra pratica diffusa è quella di dividere la parrocchia in zone pastorali, affidate, ciascuna, ad un sacerdote. Ognuno organizza e amministra la propria zona, la propria pastorale, la propria equipe, i propri progetti, la propria gente, la propria missione, il proprio denaro. Questa zona diventa un’area di sua proprietà, dove gli altri missionari non possono intervenire e sulla quale, a volte, nono possono neanche esprimere un’opinione. Ciascuno deve rispettare il territorio dell’altro. Il XVIII Capitolo Generale e la Evangelii Gaudium di Papa Francesco ci esortano ad entrare in un processo di conversione, per passare da modelli clericali e gerarchici della missione e della pastorale a modelli basati sui ministeri suscitati dallo Spirito Santo, a vivere lo spirito del Concilio Vaticano II. In virtù del battesimo tutti siamo uguali: discepoli di Gesù ma con diverse vocazioni e doni (cfr. LG 30). Utilizzando l’espressione creata dai vescovi latinoamericani ad Aparecida e utilizzata da Papa Francesco, affermiamo che siamo tutti discepoli missionari di Gesù Cristo (cfr. EG 119-121.130-131, Aparecida 184-224).

È importante sottolineare che il battezzato è, innanzitutto, un discepolo di Gesù Cristo e l’incontro con Gesù lo trasforma in missionario. Questo Gesù che lo ha affascinato, lo invia ad evangelizzare. “Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20). Ogni discepolo missionario dovrebbe far propria la passione di Paolo per la missione ed esclamare: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9,16). Evangelizzare non è solo un dovere, ma è soprattutto un diritto di ogni discepolo missionario di Gesù Cristo.

Oggi è fondamentale crescere nella pluralità e diversità ministeriale. I ministeri ordinati e laicali sono doni dello Spirito Santo, dati proprio perché siano complementari verso un fine comune: “Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12, 4-7). La missione oggi richiede modelli pastorali ministeriali. Una parrocchia missionaria ministeriale è dinamica perché, mediante l’ascolto dello Spirito Santo e la lettura dei segni dei tempi, scopre, concepisce, crea e sviluppa nuovi ministeri e strategie pastorali.

Qui di seguito, propongo due schemi pastorali basati sui ministeri, già operanti in diverse parti del mondo.

Non faccio menzione dei ministeri ordinati perché insiti nella vocazione sacerdotale, ma pongo l’accento sui ministeri laicali.

  • In alcune Comunità Ecclesiali di Base. 1. In relazione alla Parola di Dio: animatore biblico per coordinare la riflessione biblica nelle piccole comunità. 2. In relazione alla formazione della comunità: catechisti per la preparazione ai sacramenti e per l’accompagnamento anche dopo il sacramento. 3. In relazione alle celebrazioni liturgiche: ministri per l’accoglienza, cantori, lettori, accoliti, ministri straordinari dell’Eucaristia. 4. In relazione alla solidarietà sociale: formatori di coscienza politica e diritti umani, ministero di carità e solidarietà con i bisognosi, ministero per l’organizzazione e mobilitazione comunitaria.
  • Organizzazione per pastorali. Alcune parrocchie integrano la diversità di ministeri in tre pastorali: Profetica, Liturgica, Sociale. 1. Pastorale profetica: catechisti per la formazione di base ai sacramenti, maestri per dare una formazione continua a tutte le persone che esercitano un ministero, coordinatori per accompagnare i vari gruppi parrocchiali, scuola di pastorale e una pubblicazione periodica per la formazione di tutti i responsabili e della comunità parrocchiale. 2. Pastorale liturgica: ministri per l’accoglienza, cori, cantori, proclamatori della Parola, accoliti, ministri straordinari dell’Eucaristia, coordinatori dei gruppi di liturgia, attori per la rappresentazione del vangelo nelle Messe dei bambini. 3. Pastorale sociale: ministri della solidarietà e carità, visitatori degli ammalati, formatori della coscienza sociale, sui diritti umani e sulla dottrina sociale della Chiesa, ospitalità.

Perché una parrocchia ministerialmente organizzata funzioni bene è fondamentale poter contare su un consiglio parrocchiale che includa responsabili sia dei ministeri ordinati che di quelli laicali, affinché in comunione accompagnino il processo evangelizzatore, discernano i segni dei tempi per comprendere quali debbano essere le opzioni pastorali adatte al contesto e ai tempi attuali e quali i ministeri necessari per portare avanti il lavoro missionario. È altresì importante contare su una spiritualità che aiuti tutti gli evangelizzatori a conoscere e ad amare di più la propria vocazione di discepoli missionari di Gesù Cristo.
P. Fernando Mal GatKuoth

Fr. Alberto Parise: “Quale metodologia per la chiesa ministeriale?”

Alberto Parise
Alberto Parise

Nella serie di condivisioni e riflessioni che proponiamo in quest’anno dedicato alla ministerialità, non può mancare uno spunto sulla questione metodologica. In Evangelii gaudium (EG 24), papa Francesco illustra con cinque verbi gli elementi salienti di un agire ministeriale: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare. Ma dal punto di vista pratico, come si può mettere in pratica tutto questo in modo organico, sistematico? In questa riflessione suggeriamo che la metodologia del ciclo pastorale sia un patrimonio ecclesiale che molto ha da offrire a questo proposito.

Il ciclo pastorale

Il ciclo pastorale è un’evoluzione del metodo della “revisione di vita” messo a punto da Joseph Cardijn negli anni 1920, noto anche come “vedere – giudicare – agire”. Il presbitero belga, che veniva da una formazione sociopolitica, aveva sviluppato questo approccio nel contesto del suo ministero con il movimento della gioventù operaia cristiana, per un accompagnamento dei giovani in ambienti in cui proliferava l’orientamento socialista e comunista, con pregiudizi anticlericali. Aveva intuito, infatti, la necessità di un metodo adatto alla pastorale di una Chiesa in uscita.

La grande intuizione di Cardijn è stata quella di collegare scienze sociali e ministero pastorale, in un processo integrato. Nel tempo, questa metodologia si è diffusa in tutto il mondo cattolico, fino ad essere ufficialmente riconosciuta nell’enciclica Mater et magistra (1961) come la metodologia della pastorale sociale (n° 217 nella versione italiana dell’enciclica – curiosamente si trova al n° 236 della versione inglese del testo). In seguito, trova fortuna in America Latina, grazie al movimento della teologia della liberazione e continua a diffondersi in contesti diversi, adattandosi a luoghi e tempi particolari. Così oggi questa metodologia è conosciuta con nomi diversi (circolo pastorale, o ciclo, o spirale, ecc.) e viene articolata in quattro, cinque o anche sei fasi, ma fondamentalmente si tratta dello stesso metodo. Lo schema di base rimane quello del vedere – giudicare – agire. Ma poi si aggiunge un primo momento di inserzione, passaggio fondamentale per un approccio ministeriale. A questo fanno seguito l’analisi socioculturale (vedere), che fa uso delle scienze umane e sociali, e la riflessione teologica (giudicare), in cui ci si confronta con il Vangelo e la tradizione sociale della Chiesa. La fase dell’agire, poi, può venire formalmente articolata in vari passaggi per sottolineare l’importanza di alcuni aspetti che spesso vengono dimenticati o trascurati, come ad esempio la verifica e la celebrazione.

Attualità del ciclo pastorale: la forza dell’inserzione

Oggi è evidente che questa metodologia è preziosissima non solo per la pastorale sociale, ma per una qualsiasi iniziativa di tipo ministeriale. Anzitutto perché l’accompagnamento pastorale richiede di sviluppare relazioni che generano vita, di vedere l’esperienza umana, le situazioni, le problematiche della gente dal loro punto di vista, con empatia. Soprattutto, è fondamentale il saper cogliere il punto di partenza per un accompagnamento che porti alla rigenerazione delle persone e delle comunità, che generalmente è legato al loro vissuto, alla motivazione ed energia emotiva che può generare, e alla criticità della situazione. È grazie all’inserzione che un agente pastorale è in grado di cogliere tutto questo, di prendere l’iniziativa, uscire verso le periferie umane ed esistenziali e coinvolgersi. Dal punto di vista comboniano, l’inserzione è una caratteristica carismatica (cfr. Ratio missionis), in cui si esprime il fare causa comune e si coglie l’ora di Dio nel contesto in cui si svolge il ministero, specialmente nelle situazioni di crisi.

Un’analisi socioculturale che risveglia la speranza

Qui si innesta l’accompagnamento pastorale, da intendersi nella linea di rendere la gente protagonista del proprio cammino, superando paternalismi e situazioni di dipendenza (cfr. la rigenerazione dell’Africa con l’Africa). Si tratta di camminare con la gente verso una rigenerazione nel Risorto, un cammino di trasformazione che nasce dalle situazioni particolari in cui ci si trova. Situazioni che vanno comprese non solo al livello dei sintomi, ma delle cause profonde dei problemi. Quando una comunità, un gruppo umano non percepisce con chiarezza le cause della propria condizione di disagio, o di povertà, non è in grado di influenzarla significativamente e tende a scoraggiarsi, a rassegnarsi, a ripiegarsi nel proprio intimo per riconquistare un proprio spazio di controllo nella propria vita. Inoltre, rende appetibili grandi semplificazioni, letture fuorvianti della realtà, strumento oggi usatissimo per manipolare le persone in una logica di dominio. Ma quando comprende criticamente la propria condizione ed il contesto globale, rinasce la speranza e si riappropria del proprio potere di cambiare le cose.

La riflessione teologica: chiave della trasformazione

La fase di analisi aiuta anche a far emergere le proprie contraddizioni e dilemmi, che offrono un ottimo punto di partenza per una riflessione sull’esperienza, in chiave di fede, che completa il discernimento. Questa è la riflessione teologica che caratterizza il ciclo pastorale e che risulta in una decisione di intraprendere un corso d’azione. È davvero il punto di svolta del cammino di rigenerazione nel Risorto, un dono di grazia. Ed è anche il luogo in cui avviene il dialogo tra l’esperienza, il vissuto della gente, e le prospettive di senso che la guidano, che interpretano eventi e situazioni: un dialogo tra i valori culturali, una cosmo-visione e il Vangelo, o anche un processo che offre le condizioni per un’incarnazione del Vangelo. Si tratta di un momento propizio per la conversione del cuore, per la consapevolezza di un incontro autentico con il Risorto, scoprendo così anche una vocazione a rispondere alla situazione su cui si è riflettuto.

Come emerge anche nel Piano di Comboni (S 2742), questa riflessione porta a guardare alla realtà con gli occhi della fede e a rispondere con determinazione, concretezza e profezia agli inviti dello Spirito.

Lo stile collaborativo dell’azione

La fase dell’azione, infine, è piuttosto articolata. Solitamente richiede una programmazione e alle volte può anche richiedere tempo ed energie per attrezzarsi in modo da acquisire o sviluppare le necessarie competenze. L’accompagnamento ministeriale, infatti, richiede di facilitare una continua formazione e organizzazione dei gruppi e comunità con le quali si condivide il cammino, che è tanto più efficace quanto più è partecipato, a partire dalla stessa programmazione. È bene che questa preveda i meccanismi di monitoraggio e verifica, che altrimenti vengono facilmente dimenticati o ignorati.

L’approccio ministeriale si fonda sulla collaborazione di equipe pastorali, sulla sinodalità, sul fare rete e su di uno stile di servizio, tutto in un’ottica di processo condiviso. Chiaramente tutto questo non s’improvvisa, richiede organizzazione e atteggiamenti di apertura, umiltà e fiducia. Non è sufficiente agire, ma bisogna anche riflettere assieme su quello che si fa, su come lo si fa, sui risultati dell’azione, su quello che si sta imparando e soprattutto sulla presenza e azione di Dio lungo tutto il percorso. È nel momento della celebrazione che tutto questo emerge, si approfondisce, si arricchisce di nuova consapevolezza, di nuovi doni, di rinnovata ispirazione, come anche della possibilità di rigenerare relazioni e costruire comunione. Così si festeggia la vita donata e ricevuta lungo il percorso, che non significa tanto “celebrare dei successi”, quanto riconoscere che “le opere di Dio nascono ai piedi della croce”. Di qui viene lo slancio per inaugurare un ulteriore ciclo ministeriale.

In conclusione, si impongono due considerazioni: anzitutto il fatto che il ciclo pastorale, come metodologia ministeriale, richieda delle competenze che vanno acquisite e sviluppate. Non che tutti debbano sapere tutto, ma in un contesto di equipe ministeriale è bene che si riesca a padroneggiare un insieme articolato di strumenti, una sorta di “cassetta degli attrezzi”. E poi dobbiamo chiederci come possiamo facilitare l’acquisizione di queste competenze sia a livello di formazione di base, sia in missione, in un contesto di formazione permanente che tenga conto della specificità delle situazioni e dei bisogni.

Fr. Alberto Parise mccj