Una settimana dopo la Pasqua, con le parole di Cristo Risorto: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando Voi (Giovanni 20: 21), la comunità di vita di Porto si è recata presso la parrocchia di St. Mary di Lijò (Barcelos) per condividere un’esperienza di vita missionaria.
L’avventura è iniziata venerdi notte con il gruppo giovanile “Gaudium”, con il quale abbiamo trascorso un vivace pomeriggio, colmo di spirito missionario. Il sabato, dopo aver dedicato la mattinata alla condivisione, alla riflessione liturgica e alla riflessione sull’identità degli LMC (secondo le sfide dell’ultima assemblea Internazionale di Maia), abbiamo trascorso il pomeriggio con i giovani del 7°, 8°, 9° e 10° anno di catechismo. Una serata piena di vita e condivisione missionaria che è culminata con la celebrazione dell’Eucarestia assieme all’intera comunità parrocchiale.
Il centro della nostra domenica è stata la celebrazione eucarística; sempre l’annuncio missionario era sostenuto non solo dalla gioia, ma anche dal benevenuto e dalla generosa disponibilità dell’intera comunità parrocchiale. La giornata e le attività si sono concluse con un “grazie” che veniva dal cuore. Un “grazie” esteso all’intera comunità parrocchiale, in particolare ai giovani e ai catecumeni che hanno modificato i loro programmi e impegni per stare con noi e un grazie speciale anche al sacerdote P. João Granja che non ha risparmiato gli sforzi unendosi a noi per tutto il weekend. Veramente “la mano del Signore ha fatto meraviglie, la mano del Signore è stata grande” [Salmo 117 (118)].
Commentario a Lc 24, 35-48, Terza Domenica di Pasqua, 19 aprile 2015
Leggiamo oggi l’ultima parte del capitolo 24 di Luca. Dopo l’episodio dei due discepoli di Emmaus, che riconoscono Gesù nel “partire il pane” e che tornano a Gerusalemme per condividere quello che hanno vissuto, Luca ci racconta come Gesù si manifesta a tutto il gruppo, nel cenacolo, dove la comunità è radunata, anche se piuttosto triste, confusa e piena de dubbi. Nel testo che leggiamo oggi possiamo trovare molti spunti di meditazione. Io mi trattengo soltanto in tre:
1) L’importanza di mangiare assieme: “Mangiò davanti a loro”.
Luca ci racconta che, visto che i discepoli erano rimasti sotto shock e stentavano a credere quello che vedevano, Gesù domandò un po’ di cibo e si mise a mangiare davanti a loro. Mangiare con qualcuno è sempre stato un gesto di grande significato sociale. Mangiare assieme unisce le famiglie, accresce le amicizie, stabilisci vincoli sociali… e perfino favorisce gli affari.
Per quello che ci dicono i vangeli, Gesù andava frequentemente a mangiare nelle case delle persone più diverse: per festeggiare un matrimonio (Cana), per celebrare una nuova amicizia (con Levi), per trovare dirigenti sociali (farisei)… Gesù comparava anche il Regno di Dio con un banchetto a cui ci invita Dio. Mangiare assieme è un segno della nuova fraternità umana che Gesù ha annunciato nel nome del suo Padre celeste; e di questa fraternità, sigillata con il suo corpo e sangue consegnati sulla croce, è anticipazione l’ultima cena.
Gesù ha fatto della cena comunitaria un segno della sua presenza tra i discepoli, compagni nella lotta in favore del Regno di Dio in un mondo frequentemente ostile. Certo che tutto può essere falsato, come succede con certe cene ipocrite, che non sono quello che appaiono. E questo può capitare anche con il grande sacramento della presenza viva di Gesù in mezzo a noi: l’Eucarestia. Possiamo falsarla, e di fatto lo facciamo. Ma, se la viviamo onestamente, l’Eucarestia diventa il grande segno di una umanità rinnovata, di una Chiesa che ascolta la Parola a condivide il pane. Se viviamo l’Eucarestia sinceramente, Gesù è presente tra di noi, la comunità cresce nella comunione (inclusa la condivisione dei beni necessari per la vita) e l’umanità trova nel suo seno questo fermento di vita nuova, capace di farla crescere in giustizia, pace, riconciliazione e amore. 2) Menti aperte: “Le aprì le menti per capire le Scritture”
Gesù apre loro l’intelligenza per capire le Scritture a partire da quello che stanno vivendo, e per capire quello che vivono a partire dalle Scritture. Questo capitava già quando Gesù camminava sulle strade della Galilea e della Giudea. Precisamente per questo Gesù era il Maestro: aveva parole luminose, chiare, rilevanti, che erano come delle lampade che illuminavano la realtà. Ascoltandolo era facile capire come, per esempio, guarire un paralitico era più importante che seguire alcune norme religiose; che il Padre si rallegra tanto quando un suo figlio pentito torna a casa dopo una brutta esperienza; che aiutare un sconosciuto ferito ci fa diventare veri figli del Padre… che la sua propria morte trovava un senso nella fiducia assoluta e nell’amore definitivo di un Dio che non ha paura di “perdere” la propria vita per amore.
Per tutto questo, fino a oggi, e per secoli futuri, i discepoli ci raduniamo regolarmente: per ascoltare la parola di Gesù, per farci illuminare da essa in un dialogo fecondo tra vita e parola. A partire della vita cappiamo meglio la parola e, leggendo la parola, cappiamo la vita. E in tutto questo esperimentiamo che Gesù vive in mezzo a noi e ci accompagna nel nostro camminare.
3) Diventare testimoni “Il suo nome sarà predicato a tutti i popoli”
Ascoltare la parola luminosa di Gesù, mangiare con Lui e con la comunità dei discepoli, esperimentare la presenza dello Spirito nella mia vita e nel mondo, è il più grande dono che ho mai potuto ricevere. Questo ha trasformato la mia vita, facendomi sentire figlio amato e fratello tra fratelli. Per questo, come Pietro e Paolo, come Luca e tantissimi altri discepoli, anche io sono un testimone, un missionario, qualcuno che vuole condividere con il mondo il dono ricevuto. Diventare testimoni di Gesù nel mondo è la più fascinante missione che una persona può avere.
La missione non è una carriera orgogliosa per fare proseliti di una setta, neanche propaganda di una ideologia o diffusione di un sistema religioso… La missione ci fa umili testimoni di un dono ricevuto: una Parola che da senso alla nostra vita nel mondo, anche in mezzo a contradizioni, nostre ed altrui; una fraternità che impariamo a costruire giorno dopo giorno, non perché noi siamo migliori degli altri, ma perché siamo discepoli, disposti a imparare, anche se questo grandioso progetto del Regno ci supera grandemente; una esperienza dello Spirito che, secondo la promessa di Gesù, ci guida, nella libertà e nell’amore, in mezzo a difficoltà, contradizioni e peccati.
Grazie, Gesù per la tua Parola; grazie per la tua cena di fraternità; grazie per il tuo Spirito che ci accompagna e ci guida in questa dolce missione di diventare tuoi testimoni, “per la vita del mondo”.
Antonio Villarino
Roma
Commentario a Gv 20, 19-31: Seconda Domenica di Pasqua, 12 aprile 2015
In questa seconda domenica di Pasqua, leggiamo ancora il capitolo 20 di Giovanni, che ci parla di quanto è accaduto in quel “primo giorno della settimana”, cioè, al’inizio della “nuova creazione”, della nuova epoca storica che stiamo vivendo come comunità di discepoli missionari di Gesù. La presenza di Gesù vivo in mezzo alla comunità si ripete di nuovo otto giorno dopo, per toccare il cuore di Tomasso, esattamente come succede con noi ogni domenica, quando la comunità cristiana si raduna (ogni otto giorni) per celebrare la presenza del Signore.
Il vangelo ci dice che Tomaso non credette fin che non vide il costato ferito di Gesù. Precisamente da quel costato ferito, da quel cuore che amò sino alla fine, sorge lo Spirito che fa vivere la Chiesa come corpo di Cristo. Con lo Spirito la comunità-chiesa riceve i suoi doni: pace, gioia, perdono, missione. Vediamo brevemente:
1) “Pace a voi”
Gesù usa la formula tradizionale del saluto tra gli ebrei, una formula che alcune culture usano ancora oggi in un modo o un altro. Nel nostro linguaggio di oggi potremmo dire: “Ciao, come stai, ti voglio bene, sono il tuo amico, voglio essere in pace con te”. Vi pare poco? A me pare moltissimo. Ricordo quando Papa Francesco, appena eletto, si presentò alla logia della Basilica di S. Pietro e semplicemente disse: “Buona sera”. E’ bastato questo piccolo saluto per che la moltitudine saltassi di gioia. Non c’era bisogno de una profonda riflessione né di una dichiarazione speciale; soltanto quello: una semplice parola di riconoscimento dell’altro con un atteggiamento di apertura e amicizia.
In questo senso, penso all’importanza e bellezza di un saluto cordiale e affettuoso tra i membri di una famiglia, riaffermando ogni giorno la vicinanza vicendevole, che riempie la vita di gioia; penso al saluto rispettoso e positivo tra i colleghi di lavoro, che fa la vita più leggera e produttiva; penso a quella mano che ci diamo durante la Messa riconoscendo nell’altro un fratello, anche se non ci conosciamo; penso al gesto di comprensione e appoggio allo straniero… Penso alla pace mondiale di cui tanto bisogno né abbiamo in questi tempi di violenza generalizzata. In tutte queste situazioni, Gesù risorto è il primo a dirmi: “Ciao, pace a te”. Così anch’io posso diventare strumento di pace.
In oltre, è interessante notare che, salutando, Gesù mostra le sue mani e il suo costato, con i segni della tortura cui era stato sottomesso. Questo vuol dire che la pace di Gesù non à una pace “buon mercato”, superficiale; è una pace a caro prezzo, pagata con la propria vita. Ci fa ricordare che salutare con la pace non sempre è facile… anzi tante volte è molto difficile. Ma Gesù –e noi con lui– è un “guerriero” della pace, una persona coraggiosa, che non ha paura della sofferenza. La pace è frutto del coraggio, non della debolezza.
2) Gioia: “I discepoli gioirono vedendo il Signore”.
L’arrivo di Gesù, con il suo saluto di pace, produce gioia. Come produce gioia, l’arrivo di un amico; come c’è gioia in una famiglia o in una comunità, quando c’è accettazione mutua. Non si tratta di una gioia “superficiale”, che nasconde le difficoltà, i problemi o i peccati; non è la gioia di chi falsa la realtà, di chi si droga con il vino, i piaceri di ogni tipo o l’orgoglio insensato.
E’ la gioia di chi si sente rispettato e rispetta; la gioia di chi si sente riconosciuto e riconosce; la gioia di chi si sa amato e ama gratuitamente; la gioia di chi crede di essere figlio del Padre. E’ la gioia di chi ha trovato un senso per la sua vita, una missione per la quale spendere il suo tempo e le sue energie, anche se questo implica lotta e sofferenza. E’ la gioia di chi ha trovato in Gesù un amico fedele, un maestro affidabile, un Signore che vince il male con il bene.
3) Perdono: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi”.
La gioia del discepolo non è quella di una persona incosciente o di chi si crede “perfetto” e capace di fare tutto bene. E’ la gioia di chi si sente perdonato e disposto a seminare perdono. Gesù risorto donò alla sua Chiesa lo Spirito del perdono, della misericordia e della riconciliazione. Papa Francesco ha ricuperato per il nostro tempo il chiamato “principio misericordia”. La Chiesa non à il luogo della Legge e della condanna, ma uno spazio dove è sempre possibile ricominciare da capo. Senza misericordia, l’umanità diventa un luogo dove non è possibile la vita, perché, alla fine, non è possibile vivere di sola legge. Noi tutti abbiamo bisogno di misericordia, pace, riconciliazione, fraternità… E tutto questo è un dono che riceve chi si avvicina nella fede al Cristo risorto.
4) Missione: “Come il Padre ha inviato me, così io invio voi.
La comunità dei discepoli, pacificata, perdonata, divenuta spazio di misericordia, si fa comunità missionaria, inviata nel mondo, per diventare precisamente questo: spazio di misericordia, di riconciliazione e di pace; quanto bisogno ne ha il mono di questo spazio! Quanto è necessario diffondere nel mondo queste comunità di discepoli di discepole che umilmente credenti diventano luoghi di saluto pacifico, di perdono e di gioia profonda!
P. Antonio Villarino
Roma
“Siano lieti i cuori di coloro che cercano il SIGNORE”
(Salmo 104)
(1955-2015)
Nella gioia della celebrazione della festa per la Pasqua del Signore, abbiamo ricevuto, la scorsa domenica, con una certa sorpresa la triste notizia della scomparsa di Joan Forns, LMC di Spagna.
Sin da giovane, sentì di essere chiamato alla missione. Egli visse intensamente tale chiamata sia in parrocchia sia in diversi altre attività sociali. Con una forte esperienza di Dio, durante la sua vita riuscì a far coincidere i suoi impegni di lavoro come fotografo con le altre attività a favore dei più bisognosi. Ciò lo ha portato ad unirsi al movimento dei Laici Missionari Comboniani nel 2008.
Il sogno della sua vita era quello di servire la missione oltre i propri confini geografici, che però, a motivo della salute cagionevole, non gli fu possibile realizzare. Ciononostante egli accettò tale condizione dedicandosi completamente al suo lavoro missionario.
Come famiglia LMC ci uniamo in preghiera e ringraziamo Dio per la sua vita e il suo servizio.
Commentario a Gv 20, 1-10, Domenica di Pasqua, 5 di aprile 2015
In questa Domenica di Pasque, leggiamo la prima parte del capitolo 20 del vangelo di Giovanni, in cui troviamo una comunità di discepoli formata da tre protagonisti: Maria di Magdala, Pietro e Giovanni (Chiamiamolo così, secondo la tradizione, questo “altro discepolo”). I tre, oltre a essere se stessi, rappresentano noi e tanti altri discepoli che volgiamo imparare dal nostro Maestro come avere la vera vita. V’invito a leggere questo vangelo con calma, meditando lentamente, per cercare di scoprire il suo messaggio più profondo a partire dalla vita. Da parte mia mi trattengo brevemente in ognuno di questi “personaggi”:
Maria di Magdala: amore fedele e incondizionato
Maria di Magdala (secondo il paese da dove proveniva) era sicuramente una dona straordinaria, con una grande forza interiore. Non conosciamo la sua storia previa, ma sappiamo che aveva incontrato in Gesù un Amico fedele, un Maestro indiscutibile, un Signore di cui fidarsi… Lei l’ha seguito dalla Galilea fino a Gerusalemme, nelle buone e nelle cattive, e ha rimasto fedele fino alla fine, e anche aldilà della morte.
Precisamente, nel vangelo di oggi, la vediamo andando al sepolcro, mossa da un’assoluta fedeltà, anche se non sapeva come farebbe con la grande pietra che chiudeva il sepolcro, anche se pensava che il suo Signore ormai fosse morto. Niente di questo era importante per lei, il cui amore era senza condizioni e assoluto. E quell’amore senza confini ebbe il premio di vedere la pietra rimossa e la grazia di vedere Gesù com’era realmente, nella sua realtà più autentica, non più come un uomo morto, ma come i Figlio del Padre, per sempre vivo.
Contemplando questa dona, ci viene la voglia di imitarla nella radicalità del suo amore e di consegnarci totalmente a Gesù nelle buone e nelle cattive, senza condizioni, senza paura delle “pietre” –peccati, fallimenti-contradizioni– che s’interpongono nel nostro cammino, con una fedeltà totale, sapendo, come lei e come S. Paolo, di chi ci siamo fidati, avendo la fiducia anche noi di avere la “rivelazione” di un Gesù che si fa vivo e presente nella nostra vita, nella Chiesa, nel mondo. Ed è solo a partire di questa esperienza di Gesù vivo che noi diventiamo missionari, testimoni davanti a un mondo incredulo.
Pietro: un peccatore, che si lascia guidare.
Pietro era senz’altro il capo di quel piccolo gruppo di discepoli, ma non sembra che fosse il più credente, né il più lucido, né il più veloce a capire le cose. Infatti, lui non fu il primo ad andare al sepolcro; non fu neanche il primo ad arrivare: era il più lento, coli a chi era più difficile capire le cose di Dio… Ma era umile, sapeva riconoscere i suoi errori; sapeva imparare, aprirsi ad altri e approfittare la loro lucidità.
Contemplando Pietro, molti di noi ci sentiamo rappresentati in lui. Anche noi abbiamo la nostra storia di peccato e d’infedeltà; anche noi facciamo fatica a capire le vie di Dio per la nostra vita; anche noi fatichiamo a credere che Dio sia vivo oggi nel mondo, che Gesù è vivo nella sua Chiesa e nel mondo; anche noi perdiamo fiducia e abbiamo paura di essere ingannati e cadere nella delusione… Ma come Pietro dobbiamo saper aprirci ad altri, farci accompagnare, lasciarci conquistare ancora una volta da Gesù e, come Pietro, dire: “Signore, tu sai che ti amo”.
“L’ altro discepolo”
Tra i discepoli c’era uno (chiamiamolo Giovanni) che sembra il più veloce, il più intuitivo, il più capace di percepire la novità di Dio, di credere e vedere quello che è aldilà della superficie. Certe cose, infatti, solo si capiscono con gli occhi dell’amore che ci permette di andare oltre le apparenze.
Anche tra di noi ci sono alcuni che sembrano più veloci e più capaci di vedere i segni dei tempi, di percepire prima il “vento” di Dio che spinge la storia dell’umanità. Questi discepoli sono un dono per tutti, con una condizione però: che sappiano rimanere nella comunità, che non tentino di andare avanti da soli, che sappiano adattarsi ai ritmi degli altri… Soltanto così si costruisce la comunità, soltanto così il Signore si rivela veramente come centro del nuovo progetto di umanità, la nuova creazione, iniziata in questa “nuova settimana”.
In effetti, come Dio ha creato il mondo in una “settimana” simbolica, secondo la Genesi, così adesso Dio sta re-creando il mondo, re-generando l’umanità in questa nova settimana, il cui “agente attivo” è Gesù Cristo, eternamente vivo. Come Maria, Pietro e Giovanni, anche noi crediamo in questa nuova creazione, in questo nuovo giorno che spunta, perché l’amore di Dio è più forte della morte e del peccato.
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