Laici Missionari Comboniani

Lettera del Santo Padre Francesco ai Movimenti Popolari

Papa
Papa

Cari amici,

Ricordo spesso i nostri incontri: due in Vaticano e uno a Santa Cruz de La Sierra, e vi confesso che questa “memoria” mi fa bene, mi avvicina a voi, mi fa ripensare a tanti dialoghi durante quegli incontri e a tante speranze che sono nate e cresciute lì, delle quali molte sono diventate realtà. Ora, in mezzo a questa pandemia, vi ricordo di nuovo in modo speciale e desidero starvi vicino.

In questi giorni di tanta angoscia e difficoltà, molti si sono riferiti alla pandemia che stiamo subendo con metafore belliche. Se la lotta contro il covid è una guerra, voi siete un vero esercito invisibile che lotta nelle trincee più pericolose. Un esercizio che ha come unica arma la solidarietà, la speranza e il senso della comunità che rinverdisce in questi giorni in cui nessuno si salva da solo. Voi siete per me, come vi ho detto nei nostri incontri, veri poeti sociali, che dalle periferie dimenticate create soluzioni degne per i problemi più urgenti degli esclusi.

So che molte volte ciò non vi viene riconosciuto come dovuto, perché per questo sistema siete veramente invisibili. Alle periferie non giungono le soluzioni del mercato e scarseggia la presenza protettrice dello Stato. E neanche voi avete i mezzi per svolgere la vostra funzione. Venite guardati con diffidenza perché andate oltre la mera filantropia attraverso l’organizzazione comunitaria e rivendicate i vostri diritti, invece di restare rassegnati sperando di vedere cadere qualche briciola da quanti detengono il potere economico. Molte volte mandate giù rabbia e impotenza nel vedere le disuguaglianze che persistono, persino nei momenti in cui non ci sono più scuse per giustificare privilegi. Ma non richiudetevi nel lamento: rimboccatevi le maniche e continuate a lavorare per le vostre famiglie, per i vostri quartieri, per il bene comune. Questo vostro atteggiamento mi aiuta, m’interroga e m’insegna molto.

Penso alle persone, soprattutto alle donne, che moltiplicano il pane nelle mense comunitarie cucinando con due cipolle e un pacco di riso un delizioso stufato per centinaia di bambini, penso ai malati, penso agli anziani. Non appaiono mai nei media importanti. E neppure i contadini e piccoli agricoltori che continuano a coltivare la terra per produrre alimenti sani senza distruggere la natura, senza accumularli o speculare con i bisogni del popolo. Sappiate che il nostro Padre Celeste vi guarda, vi apprezza, vi riconosce e vi rafforza nella vostra opzione.

Quant’è difficile rimanere in casa per chi vive in un piccolo alloggio precario o per chi addirittura non ha un tetto. Quant’è difficile per i migranti, le persone private della libertà e per quanti stanno seguendo un percorso di recupero da dipendenze. Voi siete lì, state loro accanto fisicamente, per rendere le cose meno difficili, meno dolorose. Mi congratulo con voi e vi ringrazio di cuore. Spero che i governi capiscano che i paradigmi tecnocratici (siano essi statocentrici o mercatocentrici) non sono sufficienti ad affrontare questa crisi e neppure gli altri grandi problemi dell’umanità. Oggi più che mai, sono le persone, le comunità, i popoli a dover stare al centro, uniti per curare, assistere, condividere.

So che siete stati esclusi dai benefici della globalizzazione. Non godete di quei piaceri superficiali che anestetizzano tante coscienze. Ciononostante ne dovete subire sempre i danni. I mali che affliggono tutti, vi colpiscono doppiamente. Molti di voi vivono alla giornata, senza alcun tipo di tutela legale a proteggervi. I venditori ambulanti, i riciclatori, i giostrai, i piccoli agricoltori, gli operai, i sarti, quanti svolgono attività di assistenza. Voi, lavoratori informali, indipendenti o dell’economia popolare, non avete un salario stabile per far fronte a questo momento… E le quarantene sono per voi insostenibili. Forse è giunto il momento di pensare a un salario universale che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili lavori che svolgete; capace di garantire e trasformare in realtà questa parola d’ordine tanto umana e tanto cristiana: nessun lavoratore senza diritti.

Vorrei anche invitarvi a pensare al “poi”, perché questa tormenta finirà e le sue gravi conseguenze già si sentono. Non siete degli sprovveduti, avete la cultura, la metodologia, ma soprattutto la saggezza che s’impasta con il lievito di sentire il dolore dell’altro come proprio. Pensiamo al progetto di sviluppo umano a cui aneliamo, incentrato sul protagonismo dei Popoli in tutta la loro diversità e sull’accesso universale a quelle tre T che voi difendete: tierra, techo y trabajo, terra, tetto e lavoro. Spero che questo momento di pericolo ci stacchi dal pilota automatico, scuota le nostre coscienze addormentate e permetta una conversione umanista ed ecologica che metta fine all’idolatria del denaro e ponga al centro la dignità e la vita. La nostra civiltà, tanto competitiva e individualista, con i suoi ritmi frenetici di produzione e di consumo, i suoi lussi eccessivi e i guadagni smisurati per pochi, ha bisogno di rallentare, di ripensarsi, di rigenerarsi. Voi siete costruttori indispensabili di questo cambiamento improrogabile; in più possedete una voce autorevole per testimoniare che ciò è possibile. Conoscete crisi e privazioni… che con pudore, dignità, impegno, sforzo e solidarietà riuscite a trasformare in promessa di vita per le vostre famiglie e le vostre comunità.

Continuate la vostra lotta e prendetevi cura gli uni degli altri come fratelli. Prego per voi, prego con voi e chiedo a Dio Padre di benedirvi, di colmarvi del suo amore e di difendervi lungo il cammino, dandovi quella forza che ci tiene in piedi e non delude: la speranza. Per favore, pregate per me perché anch’io ne ho bisogno.

Fraternamente,

Francesco
 

Città del Vaticano, 12 aprile 2020, Domenica di Pasqua



*L’Osservatore Romano
, ed. quotidiana, Anno CLX, n.85, 14-15/04/2020

Due notizie sulla Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli

Giuseppe Ambrosoli
Giuseppe Ambrosoli

PRIMA NOTIZIA

Il 22 novembre in Uganda, la beatificazione di Giuseppe Ambrosoli,
missionario, medico e «martire»

La Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli mette in evidenza un testimone della missione tra gli acholi in Uganda, dove ha trascorso i 31 anni del suo servizio missionario. Per noi comboniani un tale evento ci riempie di gioia e allo stesso tempo di responsabilità. La Beatificazione si terrà in terra d’Uganda, Kalongo, il 22 novembre 2020, Solennità di Cristo Re dell’Universo.

Dopo aver sentito il parere del Padre Generale e suo Consiglio; consultato la Chiesa locale di Gulu attraverso il suo Arcivescovo, Mons. John Baptist Odama; la Chiesa locale di Como nella persona del suo Vescovo, Mons. Oscar Cantoni, e anche il parere della famiglia Ambrosoli c’è stato un parere unanime che la Beatificazione avvenga a Kalongo dove P. Giuseppe ha svolto in pienezza e totalmente il suo servizio missionario. La data più significativa è sembrata il 22 novembre, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Ora, trattandosi di un atto pontificio, doveva essere consultato il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Card. Giovanni Angelo Becciu, il quale ha convintamente espresso la volontà di presiedere la cerimonia della Beatificazione, proprio per il significato missionario che essa riveste. Naturalmente tutto dovrà essere sottoposto all’approvazione della Santa Sede, la quale si esprimerà con un decreto ufficiale.

La Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli mette in evidenza un testimone della missione che più volte ha espresso il desiderio di essere sepolto tra i suoi acholi, dove ha trascorso i 31 anni del suo servizio missionario. Per noi comboniani un tale evento ci riempie di gioia e allo stesso tempo di responsabilità. Anzitutto il luogo dove avverrà l’evento, Kalongo (Nord Uganda) che faceva parte del Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale di cui il Comboni fu il primo Vicario Apostolico e inoltre il luogo dove P. Giuseppe Ambrosoli ha espresso il meglio di sé nell’opera dell’ospedale e nella scuola per Ostetriche.

Una continuità significativa dunque dal punto di vista materiale, l’Uganda, estremo lembo del Vicariato dove il Comboni ha invano sognato di arrivare e che ora invece si realizza, attraverso P. Giuseppe, quale primo figlio dell’Istituto a essere beatificato. Significato ancora più pregnante dal punto di vista spirituale, e per una duplice ragione: perché anche P. Ambrosoli, come il nostro santo Fondatore che l’ha preceduto, entra a far parte di quel fondamento nascosto su cui si erge maestosa la Chiesa africana e poi perché riceve ulteriore conferma il metodo inciso indelebilmente nel «Piano»: “Salvare l’Africa con l’Africa”! Molti dunque sono i motivi per ringraziare e continuare con novello slancio missionario per il bene della Chiesa e della società.

SECONDA NOTIZIA

Beatificazione di padre Giuseppe Ambrosoli a Kalongo

Forse può sembrare un annuncio estemporaneo e fuori luogo perché ben altre sono le preoccupazioni del momento. Tuttavia proprio per quello che padre Ambrosoli ha rappresentato in campo sanitario: per le conoscenze e la competenza con cui ha operato e per l’afflato spirituale con cui ha affrontato emergenze e malattie, capiamo quanto la sua figura sia attuale e la sua intercessione necessaria. La beatificazione si farà, sempre coronavirus permettendo, a Kalongo il 22 novembre 2020. Il luogo è altamente significativo: padre Giuseppe, sepolto tra i “suoi”, tra i “suoi” sarà anche glorificato.

Ci sarà la Beatificazione di padre Ambrosoli in Uganda? La domanda ha un senso perché, tenendo presente la situazione di pandemia globale che ha colpito il pianeta, la risposta non può che essere interlocutoria. Si, si terrà a Kalongo il 22 novembre 2020, sempre che il COVID-19 lo permetta. Allo stato dei fatti abbiamo i seguenti documenti a supporto di tale affermazione. La richiesta ufficiale della Postulazione del 28 gennaio 2020 in cui si presenta al Santo Padre la disponibilità del Card. Giovanni Angelo Becciu di recarsi a Kalongo il 22 novembre 2020 a rappresentarlo nella cerimonia di Beatificazione. Di seguito, dietro sollecitazione della Postulazione, la Segreteria di Stato inviava il 16 marzo u.s. una lettera alla Nunziatura di Kampala. In tale documento, per la verità datata 9 marzo 2020, si afferma che il Santo Padre ha deciso che il rito di Beatificazione si farà a Kalongo il 22 novembre 2020 e il suo rappresentante sarà il Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. La lettera è confermata dalla Nunziatura che l’ha inviata all’arcivescovo di Gulu, Mons. John Babtist Odama, il 17 u.s.. In una E-mail del 23 marzo il Vicario Generale della Diocesi di Gulu, mons. Matthew Odong, conferma la recezione della lettera: «At this point, it is very clear that the rite of beatification of the Servant of God Father Doctor Giuseppe Ambrosoli will take place “SACRED HEART” KALONGO PARISH». Di fatto poi l’Arcivescovo il 21 e 22 marzo (sabato e domenica) si è recato a Kalongo ed ha annunciato pubblicamente in parrocchia luogo e data dell’evento. “The news has been received with great joy by our people here in the Archidiocese of Gulu». Nel frattempo si sono tenute alcune riunioni con il Consiglio Generale e i provinciali d’Uganda e d’Italia per coinvolgere le rispettive province, compatibilmente ai movimenti condizionati che la situazione del momento permette. A nessuno però sfugge il significato missionario di questa beatificazione che avviene in missione come ultima espressione della missionarietà: lo scambio di doni tra Chiese sorelle e quasi una identificazione in cui credibilmente un missionario, nel nostro caso il prossimo Beato Ambrosoli, è glorificato in mezzo ai “suoi” di Kalongo. Per adesso non cessiamo di invocarlo in un momento così preoccupante dell’umanità, lui che ha affrontato la malattia con illuminata determinazione, ma soprattutto con fede e carità soprannaturali.

IL LUNGO CAMMINO VERSO LA BEATIFICAZIONE

Il cammino della beatificazione di p. Giuseppe è iniziato nel 1999, dodici anni dopo la sua morte, ossia quasi subito dopo che il suo corpo è stato trasportato il 22 agosto 1994 da Lira a Kalongo. Esattamente come accadeva nei primi tempi della Chiesa: ci si è potuti muovere perché la fama di santità e l’ammirazione per p. Giuseppe, il grande dottore dal cuore buono e dalle mani abilissime, ma soprattutto perché l’uomo di Dio, che curava nel corpo e nello spirito, era ancora molto presente nella memoria della gente. La gente del tempo, sia a Kalongo, come a Ronago non aveva dubbi sulla qualità spirituale che p. Giuseppe aveva trasmesso con la sua cura dei sofferenti e l’attenzione riservata alle mamme che dovevano partorire. Padre Giuseppe tutelava sì la vita dei corpi, fin dal loro nascere, ma soprattutto arrivava a guarire l’intimo delle persone.

Così il comboniano, p. Mario Marchetti, poteva sollecitare il vescovo di Gulu, Mons. Martino Luluga, a costituire una Commissione d’investigazione. In seguito, l’Arcivescovo di Gulu che gli era succeduto, Mons. John Baptist Odama, iniziava il processo il 22 agosto 1999 e lo concludeva il 4 febbraio 2001 sul piazzale antistante la chiesa parrocchiale di Kalongo. Allo stesso tempo il vescovo di Como, Mons. Alessandro Maggiolini, il 7 novembre 1999 ascoltava i testimoni che si trovavano a Ronago, e in genere in Italia, chiudendo il processo il 30 giugno 2001.

A quella data si erano potute condurre a termine le sessioni ed ascoltare tutti i 90 testimoni che avevano conosciuto p. Giuseppe. Tra questi 62 laici, 18 missionari e preti diocesani, 10 suore. Tra i laici da notare la folta schiera dei testimoni di Kalongo, di Ronago, paese natale di p. Giuseppe e anche dei 12 medici che con lui avevano operato nell’ospedale della savana. Insomma un’ampia rappresentatività della società civile e religiosa: catechisti, insegnanti, responsabili di comunità, operai, infermieri e infermiere, un capo di polizia e anche un generale, che per un brevissimo tempo era stato Presidente dell’Uganda dopo il secondo Obote. «Per noi – ebbe a dire – la morte del dottor Ambrosoli è come il crollo di un ponte. Ci vorranno molti anni per rimpiazzarlo».

Dai documenti e dalle testimonianze emergeva chiara la vita santa di p. Giuseppe. Riportiamo qui alcune affermazioni significative. All’apertura del Processo, il 22 agosto 1999, Mons. Odama, in una lettera ai vescovi della Provincia Ecclesiastica di Gulu e ai membri della Conferenza Episcopale Ugandese descriveva la figura del Servo di Dio come segue:

«Esempio di eroica carità e di umile servizio alle persone; un grande esempio di zelante missionario dei tempi moderni; modello di prete e di dottore divenuto famoso per la sua intensa spiritualità e per la coscienziosa abilità medica; un attraente e convincente esempio di giovane moderno che ha risposto totalmente alla chiamata di Cristo e alla sua forma di vita». «Dal suo modo di accogliere le persone, di intrattenersi con loro, di consigliarle e di incoraggiarle – depone John Ogaba– si aveva l’impressione di trovarsi davanti a Gesù». Il dottore Luciano Tacconi, che ha lavorato con lui a Kalongo, non ha paura di affermare:«Per me il segreto della “santità” di p. Giuseppe sta nella sua grande semplicità e nell’attaccamento massimo al dovere. Gli altri medici rispettavano e ammiravano molto la professionalità di p. Giuseppe, il quale insisteva anche con me perché, senza fare delle prediche, dessimo il buon esempio come cristiani con l’attaccamento al lavoro e nel rispetto della dignità delle persone»: Allora prezioso è quanto Mons. Gianvittorio Tajana afferma al processo: «Secondo la mentalità, oggi vigente nella Chiesa, se l’Ambrosoli sarà proclamato santo, sarà il santo della vita ordinaria». Certamente non una vita scialba, ma una vita ordinaria, di ogni giorno, in cui ha fatto costantemente delle cose straordinarie. E non può essere che così quando si incontra uno come p. Giuseppe, come lo ricorda in un sermone Mons. Alessandro Maggiolini, vescovo di Como:«Padre Ambrosoli ha dato volto al Vangelo con la sua vita messa radicalmente al servizio di Cristo, dell’evangelizzazione e degli ultimi»

Il materiale raccolto a Gulu e a Como, sia testimonianze che documenti, giungeva a Roma in Congregazione delle Cause dei Santi nel mese di giugno dell’anno 2001 e il 7 maggio 2004 gli si riconosceva la validità giuridica per ricostruire la vita terrena e provare la santità della persona e dell’opera di p. Giuseppe. Dal 2004 al 2014 ci sono voluti poi complessivamente 10 anni di lavoro che hanno coinvolto il Postulatore della Causa, la Congregazione vaticana, ossia i Teologi, i Cardinali e i Vescovi prima del giudizio definitivo di Papa Francesco, l’unico che poteva decretare le virtù eroiche.

Quindi nel 2009 il Postulatore della Causa faceva stampare la Positio, la quale era consegnata ai Consultori Teologi che nel Congresso Peculiare del 4 dicembre 2014 si esprimevano favorevolmente: 9 su 9. Uno di essi afferma:

«La figura di Giuseppe Ambrosoli gode, e per molti aspetti, di una sua attualità specifica. È stato un religioso, comboniano che si è impegnato a vivere i consigli evangelici e la vocazione missionaria in una professione specifica di stile “laicale”, come è quella del medico chirurgo. L’impegno scrupoloso nell’attività professionale nulla ha rubato alla sua vita di preghiera e alle esigenze della comunità: l’Eucaristia, celebrata e adorata, è sempre stato il centro della sua giornata. Può essere perciò valido modello per i comboniani suoi confratelli, come per ogni religioso e religiosa di vita attiva, ed anche per i membri degli Istituti di vita consacrata. Come medico chirurgo ha molto da dire con il suo esempio ai medici e operatori sanitari, ed è anche motivo di speranza per volontari impegnati in organizzazioni sanitarie, spesso “no profit” e di volontari che soccorrono infermi di malattie spesso contagiose e mortali».

I Padri Cardinali e Vescovi nella Sessione Ordinaria del 15 dicembre 2015, presieduta dal Card. Angelo Amato, riconoscevano che il Servo di Dio aveva esercitato in grado eroico le virtù teologali (fede, speranza e carità), le virtù cardinali (prudenza, giustizia, temperanza e fortezza) e quelle annesse (voti di castità, povertà e obbedienza e l’umiltà). Il Cardinale poi riferiva tutto a Papa Francesco il quale, due giorni dopo il 17 dicembre, sempre del 2015, confermava l’eroicità delle virtù e scriveva un decreto con cui riconosceva al Servo di Dio, Giuseppe Ambrosoli, il nuovo titolo di Venerabile con cui poteva venir invocato.

Secondo Papa Francesco la santità di p. Giuseppe poteva essere sintetizzata da due frasi che si leggono in due sue lettere: «Le persone devono sentire l’influsso di Gesù che porto con me; devono sentire che in me c’è una vita soprannaturale espansiva ed irradiantesi per sua natura» infatti « Dio è amore. Io sono il suo servo per quelli che soffrono». Si trattava di una motivazione spirituale che dalla gioventù fino alla morte aveva percorso tutta la sua vita e illuminato la sua riconosciuta professione medica. In fondo questa motivazione spirituale risponde a una domanda che nasce di fronte alla vita missionaria del padre: «Come è stato possibile che un uomo sia riuscito a fare tutto quello che ha fatto e come l’ha fatto, con fedeltà, semplicità, serenità, dono totale di se stesso e gioia fino agli ultimi e drammatici giorni della sua vita?». La risposta andava e va cercata – sembra dire il Papa – nella sua profonda vita spirituale. Padre Giuseppe Ambrosoli è stato una persona che ha vissuto la vita cristiana di ogni giorno in maniera straordinaria, cioè una vita NORMALE assolutamente FUORI DAL NORMALE. Ha esercitato il servizio medico, non semplicemente come conseguenza della sua fede e del suo amore, ma come parte integrante del Vangelo che predicava. Con lui anche il servizio medico era parte imprescindibile dell’evangelizzazione. Ci si poteva arrestare qui. E invece, no.

Per la beatificazione mancava un ultimo gradino: il miracolo. Il sigillo che la Chiesa affida a Dio per proporre il suo servo come intercessore ed esempio per il suo Istituto e per la Chiesa locale, che l’ha visto nascere, e poi quella che l’ha accolto nello svolgimento della sua missione, l’ha visto morire e ne ha conservato il suo corpo e la memoria.

Di guarigioni e cure straordinarie p. Giuseppe ne aveva ottenute già in vita, ma tra tutte brillava una avvenuta nel 2008 all’ospedale di Matany, all’estremo nord est del Nord Uganda, in Karamoja. Si trattava di una mamma karimojong di 20 anni, Lucia Lomokol di Iriir, madre già di un bambino e arrivata in condizioni disperate all’ospedale per un altro già morto in grembo che le aveva causato un’infezione mortale. Tant’è che uno dei medici, il dott. Erik Domini, responsabile del reparto Maternità, il 25 ottobre 2008 al momento dell’accettazione tentava un’ultima disperata operazione ma senza risultato. Poi per il progressivo peggioramento la faceva trasferire dalla corsia generale alla sala travaglio perché pensava che non era conveniente per le altre pazienti (mamme in attesa di parto e allattanti) essere testimoni della morte di una giovane mamma. e perciò la faceva trasferire nella sala travaglio. Alla sera dello stesso giorno il dott. Erik, constatando un continuo peggioramento, faceva chiamare il parroco di Matany, p. Marco Canovi, il quale amministrava l’unzione degli infermi a Lucia. Riportando a casa p. Marco, il dott. Erik si ricordava di un santino di p. Giuseppe con apposita preghiera che conservava nel suo appartamento e ritornava in ospedale accanto a Lucia munito di quello che lui considerava essere stata un’ispirazione inattesa. Dopo aver ricevuto l’assenso della stessa Lucia, di sua madre e di suo marito collocava il santino sulla spalliera del letto della moribonda e radunava le infermiere per l’invocazione. Terminato tutto verso mezzanotte si accomiatava da loro chiedendo di essere avvisato la mattina seguente per il funerale di Lucia. Alle cinque del mattino si presentava e, con sua grande sorpresa, trovava Lucia completamente cosciente e presente a se stessa. Tutti i presenti attribuivano l’improvvisa cura all’invocazione di P. Giuseppe.

Il vescovo di Moroto, Mons. Henry Apaloryamam Ssentongo a cui apparteneva la parrocchia di Matany, venuto a conoscenza del fatto, ha voluto che con un processo si raccogliesse tutta la documentazione per sottoporla allo studio delle Cause dei Santi: questa avrebbe detto se si trattava di un evento inspiegabile scientificamente e se c’erano le condizioni da poter attribuire la guarigione alla potenza divina. Così il 17 settembre 2010 iniziava il processo sul presunto miracolo, riunendo anzitutto i testimoni presenti al fatto: il dott. Erik Domini, ostetrico ginecologo, medico curante; il dott. Alphonse Ayepa, medico anestesista; il sig. Daniel Irusi, infermiere; la sig.ra Betty Agan, ostetrica professionale; la sig. ra sanata, Lucia Lomokol, contadina e casalinga; il sig. Akol Lobokokume, membro dell’esercito e marito di Lucia; la sig.ra Sabina Kodet, la mamma della sanata; la sig.ra Mary Annunciata Longole, ostetrica; la sig.ra Lilian Adwar, assistente infermiera; la sig.ra Fotunate Magdalene Alany, ostetrica e p. Marco Canovi, parroco di Matany. In più erano chiamati di dovere, un medico specialista anestesiologo, il dott. Bruno Turchetta e i due periti che dovevano esaminare lo stato reale di Lucia, i dottori: John Bosco Nsubuga e Leo Odong. Raccolta poi anche tutta la documentazione clinica il processo si concludeva a Moroto quasi un anno dopo, il 21 giugno 2011. Portati tutti i documenti a Roma, la Congregazione delle Cause dei Santi un anno dopo, l’11 maggio 2012, riconosceva validità giuridica a tutta la documentazione. Tuttavia si dovevano aspettare ancora 6 anni, dal 2012 fino al 2018, perché il caso di Lucia potesse essere esaminato.

La situazione Ambrosoli si sbloccava il 28 novembre 2018 con la Consulta Medica costituita da 7 professori che riconoscevano, per maggioranza qualificata (5/2), il fatto della cura da shock settico (setticemia irreversibile) che si era risolta in maniera assolutamente inaspettata, rapida, completa, duratura e inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche. Cioè Lucia si trovava curata in maniera inspiegabile scientificamente, sia perché la terapia chirurgica effettuata era stata incompleta non essendo stato asportato l’utero, primaria causa e focolaio di infezione, sia perché era stato sospeso il farmaco considerato salvavita, la dopamina, non essendocene più in ospedale. Nel loro linguaggio specialistico i professori avevano fatto scrivere: «Shock settico secondario da corioamnionite purulenta putrefattiva ((taglio cesareo ed estrazione del feto morto e putrefatto). Tromboflebite pelvica e tromboflebite profonda della grande safena dell’arto inferiore sn. con dermatite gangrenosa della metà inferiore della gamba”. Questo era il passaggio decisivo che permetteva di procedere oltre.

Ora bisognava dimostrare che l’invocazione era avvenuta nel momento del peggioramento fatale dello stato di Lucia; che in quel momento si era invocato p. Giuseppe Ambrosoli e che dopo tale invocazione si era verificato un cambiamento repentino positivo. C’erano 10 testimoni oculari a testimoniare che per iniziativa del dott. Erik Domini era stato invocato p. Ambrosoli e altrettanti che avevano assistito quella notte al viraggio dello stato di salute di Lucia. Chi conosce la materia può ragionevolmente affermare che da mezzanotte alle cinque, come è il nostro caso, un tale cambiamento può essere definito rapido. Infatti 7 mesi dopo l’inspiegabilità della cura, affermata dai medici, il 13 giugno 2019 il Congresso Peculiare dei Consultori teologi ha potuto appurare l’evento della preghiera rivolta a p. Ambrosoli e il miglioramento repentino dello stato di salute di Lucia Lomokol.

Con questi dati, cinque mesi dopo, il 19 novembre 2019 i Cardinali e i Vescovi nella loroSessione Ordinariapresieduta dal Card. Giovanni Angelo Becciu decidevano di portare il caso al Santo Padre. Questi, 9 giorni dopo, il 28 novembre 2019 riconosceva il carattere soprannaturale della cura di Lucia, quindi il miracolo e comandava di preparare un Decreto con valore giuridico e da inserire negli Atti della Congregazione dei Santi: Ecco le testuali parole:

«Constare de miraculo a Deo patrato per intercessionem Ven. Servi Dei Iosephi Ambrosoli, Sacerdotis professi Missionariorum Combonianorum Cordis Iesu, videlicet de celeri, perfecta ac constanti sanatione cuiusdam mulieris a (Si tratta di un miracolo compiuto da Dio per intercessione del Venerabile Servo di Dio Giuseppe Ambrosoli, sacerdote professo dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, vale a dire di una cura  rapida, perfetta e duratura di una signora) da Shock settico secondario da corioamnionite purulenta putrefattiva. Tromboflebite pelvica e tromboflebite profonda della grande safena dell’arto inferiore sn. con dermatite gangrenosa della metà inferiore della gamba».

Se si sta bene attenti, in tutto questo lungo percorso fino alla Beatificazione, il Santo Padre si è lasciato guidare dalla presenza di due principi spirituali: l’eroicità delle virtù e la preghiera di intercessione. Ora l’evento del miracolo e della beatificazione possono porre due domande: perché questa grazia a una karimojong e a una mamma e perché l’evento della celebrazione proprio a Kalongo? Secondo logiche umane tutto avrebbe dovuto sconsigliare tale coincidenza: spesso tra etnie diverse non corre buon sangue e la condizione femminile è l’anello più sottoposto a sfruttamento nella società e inoltre Kalongo è un luogo al di fuori dei circuiti che contano. Eppure è proprio qui che la maniera di vivere la missione di p. Giuseppe Ambrosoli ha dato esempi che non potranno mai più essere dimenticati: qui ha accolto e difeso sempre tutti; qui si è messo a servizio della vita nascente e qui ha esercitato la sua straordinaria professionalità medica nella semplicità e nell’umiltà.

L’evento della Beatificazione di p. Giuseppe Ambrosoli non potrà dunque essere vissuto, nell’oggi della vita cristiana, che come evento di fede, di comunione e di gioia.

Messaggio di Pasqua

Jesús
Jesús

Pasqua 2020

Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro? (Mc 16,3)

Abbiamo da trattare con un vero galantuomo, Iddio, che mantiene la sua parola e l’adempirà in eterno

(Scritti 2624)

Carissimi confratelli,

il Signore risorto che vince la morte, illumini la nostra vita e riempia di gioia i nostri cuori.

Quest’anno 2020 abbiamo vissuto la Quaresima in un clima di pandemia per il coronavirus che si propaga sempre più in quasi tutti i paesi del mondo. Celebreremo la Pasqua di Resurrezione ancora in questo clima di pandemia.

Noi stessi, così come tanti cristiani in moltissimi paesi del mondo, non potremo riunirci a celebrare come comunità il mistero centrale della nostra fede. I social network ci stanno aiutando tutti a riunirci almeno virtualmente per continuare a “vivere” la vita della comunità. Incoraggiamo sempre più ad utilizzare questi mezzi per essere vicini gli uni agli altri e al popolo di Dio mentre celebriamo il trionfo della vita sulla morte.

In questo clima di incertezza e di sofferenza ci sentiamo un po’ come Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome che si recano di buon mattino al sepolcro chiedendosi: Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro? (Mc 16,3). Nessuno infatti è capace di rotolare via la pietra che ci rinchiude nei nostri sepolcri, nelle nostre paure e resistenze. Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande (Mc 16,4). Adesso, il sigillo della morte è stato rotto dall’interno.

In questo tempo di pandemia anche noi siamo chiamati a “guardare” e a riconoscere la presenza del Risorto in mezzo a noi. Dio cammina con noi e soffre con noi e in Cristo Gesù, ci invita a camminare con lui sulla via che, passando dalla croce, ci conduce all’alba di un nuovo giorno. L’ultima parola di Dio per l’umanità è vita, la vita che ci ha donato in Cristo Gesù che ha assunto su di sé la nostra morte e l’ha vinta uscendo vincitore dal sepolcro.

Come il nostro Padre e Fondatore, San Daniele Comboni, siamo certi che Dio non ritira il suo favore per l’umanità tutta intera ed è fedele in eterno. Lui ha inviato suo Figlio per darci “la vita e la vita in abbondanza” (Gv 10,10).

Questa Pasqua vissuta in un clima di pandemia rafforza la nostra fede nel Dio della vita, nella certezza che nessuno potrà mai separarci da questo amore eterno. “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35.37-39).

Buona Pasqua di Resurrezione e buona festa della vita a ciascuno di voi e alle vostre comunità cristiane.

Il Consiglio Generale MCCJ