Un commento a Gv 12, 20-33: Quinta Domenica di Quaresima, 22 Marzo 2015
Ci stiamo avvicinando alla Settimana Santa, la grande Settimana del anno liturgico e della vita cristiana. In questa Domenica leggiamo un brano del capitolo 12 di Giovanni, prima d’iniziare il grande racconto della Passione, che comincia con il famoso gesto della lavanda dei piedi.
Questo brano di Giovanni ci presenta a Gesù in Gerusalemme, durante una festa ebraica, alla quale partecipavano persone venute da diverse parti del mondo. Tra queste persone c’erano –si dice– alcuni “greci” che volevano vedere Gesù, il quale pronuncia un breve ma significativo discorso. Vediamo:
- “Vogliamo vedere Gesù”
In primo luogo, fissiamo la nostra attenzione su questi “greci” che volevano vedere Gesù. In realtà, quando l’evangelista scrive questo vangelo, esistevano già delle comunità di discepoli e discepole, cristiani a cristiane, che procedevano dalla cultura “greca”, che era la cultura dominante dell’epoca, qualcosa di simile alla nostra “cultura globale” di oggi. Questa presenza di “greci” nelle comunità di discepoli fu, di facto, un grande balzo in avanti, culturale e religioso. La grande proposta di rinnovamento umano e spirituale di Gesù, pensata in primo luogo per il popolo ebraico, si aprì abbastanza presto a genti di altri popoli, culture e riti religiosi…
A partire da quella prima apertura, il cristianesimo (il discepolato di Gesù) si aprì sempre più a nuovi popoli superando continuamente nuove frontiere. In ogni epoca storica degli ultimi venti secoli, nuovi gruppi umani hanno detto: “Vogliamo vedere Gesù”. E in dietro a quelli primi missionari, Andrea e Filippo, sono venuti Paolo, Ireneo, Agostino, Patrizio, Francisco Javier, Comboni… e tanti altri.
Siamo convinti che anche oggi ci sono molte persone e gruppi umani, aldilà di ogni frontiera geografica o culturale, che desiderano vedere Gesù, conoscere il vero Gesù, il Gesù che parla al cuore di ogni persona e cultura, il Gesù che porta la Verità, il perdono gratuito, l’amore senza condizioni, un progetto di umanità fraterna e giusta…
Oggi, come ieri, l’umanità ha bisogno di nuovi “Andrea e Filippo”, persone che conoscono Gesù personalmente (no dai libri ma dalla loro esperienza di vita), persone che hanno trovato questo “tesoro” che è la persona di Gesù e sono disposti a agire da “facilitatori”, in modo che anche altri conoscano e godano la parola, l’amore e la persona stessa di Gesù.
- Se il grano di chicco non muore…
Quando gli presentano i “greci”, Gesù pronuncia un breve discorso che può apparire enigmatico ad alcuni, ma che a me sembra abbastanza chiaro, se ci prestiamo un po’ di attenzione. Vediamo:
- “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. Qui e in altre parti del vangelo Gesù parla della sua “ora” e della sua “gloria”. Penso che nel nostro linguaggio potremo usare parole come “Trionfo”, “vittoria”, “Stima”, “riconoscimento”… Gesù, come tutti noi, ha bisogno di cercare il trionfo, la stima, l’onra… Ma la grande differenza tra Lui e noi e che la “gloria” che Lui cerca non è la “vanagloria” o una soddisfazione auto-referenziale, ma la “stima”, il “riconoscimento” che viene dal Padre. Questo riconoscimento, Gesù lo condivide con i discepoli, con i semplici, con i veri adoratori di Dio.
- “Se il grano di Chicco caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Questa frase è molto conosciuta ed è entrata nella nostra cultura, con un significato abbastanza chiaro: La vita nasce dal sacrificio di qualcuno; la gloria, il trionfo, la vittoria non accadono senza sacrificio e dolore. Nella bocca di Gesù, queste parole parlano chiaramente della sua morte, che Lui è disposto a accettare sicuro che dalla sua morte nascerà una nuova vita per il mondo.
- “Chi ama la sua vita, la perde…”. L’esempio del grano di Chicco vale per Gesù, ma anche per tutti noi. La frase ci fa ricordare la parabola dei talenti, in cui si condanna il servo che per paura nasconde il talento ricevuto senza negoziarlo per farlo rendere altri talenti. La vita non si può viverla nella paura e nell’egoismo. Deve essere vissuta nella generosità, nella donazione e nel servizio. Come ha detto un famoso poeta, “la vita ci è stato donata e noi la meritiamo donandola”.
Queste parole di Gesù non sono delle “belle parole” di laboratorio filosofico. Sono l’espressione veritiera della sua propria vita, totalmente consegnata al Padre per il bene dei suoi figli. Gesù non si è tirato indietro davanti alle sofferenze e alla stessa morte. Ha saputo morire nella fiducia che dalla sua morte nascerebbe una nuova vita per l’umanità, come di fatto sta accadendo.
Contemplando Gesù nella sua parola, nella sua comunità, nella Eucarestia, nel lavoro, nelle persone bisognose, vicino alla settimana di Passione, anche noi siamo spinti a donare la nostra vita con generosità e fiducia, senza paura di spenderla per amore, sapendo che questa “spendersi”, questo “donarsi” è il migliore modo di “guadagnare” la vita per sempre.
Antonio Villarino
Roma