Laici Missionari Comboniani

L’amore è una corda che ti porta in alto…

CuerdaBella, è veramente bella la catechesi che sto facendo con i detenuti.
E’ iniziata da poco, ma sta camminando bene e ogni volta ne esco profondamente innamorata, anzi tutti noi ce ne stiamo “innamorando”, è un momento di condivisione, ricerca, profondità dell’anima.
Questo desiderio di mettersi in cammino per capire…per capirsi…per incontrare Dio.
Si cammina con dei macigni dentro il cuore, duri, pesanti che a poco a poco si cerca di scalfire, per farli diventare piccoli, come dei sassolini che si possono togliere dentro ad una scarpa.
Per ora sono sei i detenuti che fanno parte del gruppo e va bene così, perché più il gruppo è piccolo più è facile la conversa e l’intimità che si viene a creare per raccontare spaccati di vita importanti e difficili. Sono molto contenta, anche, di avere la possibilità di stare in mezzo a loro senza grate di ferro o divisioni, insieme seduti in circolo, in uno spazio che aiuta la prossimità.
E’importante stare vicini, guardarsi negli occhi, ascoltare attentamente, prendersi la mano per pregare e infine abbracciarsi per dire GRAZIE.
In quell’ora e mezza e un poco più, dimentico di stare dentro una prigione, dimentico la divisa rossa che indossano, dimentico il rumore degli altri detenuti, siamo così immersi nella profondità dei discorsi che pare il titolo di un libro di Virginia Woolf : “una stanza tutta per sé'” e in effetti è uno spazio tutto per loro, uno spazio tutto per noi.
Mi piace, anche, lavorare in un percorso che entra in un campo di valorizzazione umana e scoperta di sé, che porta ad una crescita interiore e personale. E questo non vale solo per loro, ma anche per me.
E’ uno scambio, un dare e ricevere.
Come dice il caro e vecchio, ma sempre attuale Paulo Freire: “nessuno insegna a nessuno, tutti imparano da tutti”.
Da ogni persona si può imparare, anche dai detenuti e dalle loro storie e io ne sono grata.

Emma, LMC

Messaggio del Consiglio Generale MCCJ per la festa del Sacro Cuore

Comboni

Cari confratelli
Alla vigilia della festa del Sacro Cuore, ci sentiamo invitati e attirati in modo speciale a contemplare questo Cuore, espressione feconda di tutta la vita di Gesù. Vi invitiamo in modo particolare a riflettere su quel momento storico della morte di Gesù sulla Croce. Un fatto che cambia il senso della storia. Un fatto storico e simbolico allo stesso tempo, che si ripete nella vita di tutti quelli che sono crocifissi con Cristo nel mondo di oggi.

Quell’anno la Pasqua dei Giudei era differente. Il venerdì, giorno della preparazione, mentre tutti si disponevano alla grande festa, fuori dalle mura della città, nel luogo del Cranio, tre uomini finivano senza gloria la loro giovane vita su una croce. Uno di loro si chiamava Gesù. La sua vita, in gran parte, era stata spesa tranquillamente in un piccolo e sconosciuto villaggio della Galilea. Poi, gli ultimi tre anni, era diventato un pellegrino per le strade della Galilea, Samaria e Giudea.

Faceva del bene a tutti, guariva gli ammalati, si lasciava intenerire dalle folle soprattutto quando le vedeva stanche e senza una direzione. Le sue parole piene di autorità erano ascoltate con piacere e riscaldavano il cuore. Tuttavia, un gruppo influente lo guardava con sospetto, lo considerava un pericolo allo status quo e ai suoi privilegi. E un giorno, il Venerdì prima di Pasqua, lo portò sulla croce.

Il giorno si spegneva rapidamente come tanti altri. Gesù pendeva dalla Croce, già morto: “vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua (Gv 19,33-34).

Presso la croce di Gesù erano Maria, sua madre, e il discepolo che Gesù amava. Essi videro quel cuore colpito dalla lancia aprirsi umilmente e furono afferrati dalla contemplazione di quel miracolo. Altri si avvicinarono, lo contemplarono e credettero. Videro l’acqua e il sangue uscire come fiume di vita nuova per il mondo. Si compivano le parole che Gesù stesso aveva detto poco tempo prima a Gerusalemme, nella festa delle Capanne: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo cuore”.

Come fonte inesauribile, questo cuore non si stanca di dissetare tutti quelli che si accostano a lui. Al seguito di Maria e del discepolo che Gesù amava, Maddalena e Tommaso, Margherita Maria Alacoque e Daniele Comboni e tanti altri hanno trovato in questo Cuore umile e misericordioso una visione nuova del mondo e della vita. Hanno riscoperto gioia e coraggio quando il loro cuore si amareggiava, forza e passione per buttarsi pienamente nella missione, quando la speranza veniva meno: “Ora, con la Croce che è la sublime effusione della carità del Cuore di Gesù, noi diventiamo potenti” (S 1735).

La festa del Cuore di Gesù, in quest’anno della Misericordia, ci invita a riscoprire l’atto supremo dell’amore di Dio, fino alla fine. È una chiamata ad imparare da Comboni a contemplare il Cuore del Buon Pastore e a metterlo al centro della nostra vita. Quando i confratelli, la gente o il lavoro difficile della missione ci logorano e ci fanno perdere l’entusiasmo e la gioia di servire, siamo invitati a contemplare questo Cuore: “Dalla contemplazione del Cuore ferito di Gesù si possa sempre rinnovare in voi la passione per gli uomini del nostro tempo, che si esprime con amore gratuito nell’impegno di solidarietà, specialmente verso i più deboli e disagiati. Così potrete continuare a promuovere la giustizia e la pace, il rispetto e la dignità di ogni persona” (Papa Francesco ai Missionari Comboniani, 1.10.2015).
Il Consiglio Generale MCCJ

Inizia causa di beatificazione di p. Ezechiele Ramin

EzequielIl processo rogatoriale diocesano per la causa di beatificazione del “servo di Dio” padre Ezechiele Ramin – già proclamato “Martire della Carità” dal Papa S. Giovanni Paolo II – è iniziato, con la prima sessione pubblica, sabato 9 aprile a Padova. Padre “Lele” Ramin, comboniano padovano, fu ucciso il 24 luglio 1985 a Cacoal in Brasile. L’indagine sulla fama di santità, avvalorata dall’indicazione “super martyrio”, rivela la consapevolezza che il religioso è morto nella difesa della propria fede, per la pace e la giustizia. La rogatoria è stata aperta nella chiesa dei missionari comboniani di via San Giovanni da Verdara a Padova con l’istituzione del tribunale sul processo “super martyrio” e il giuramento dei componenti. Dopo un primo momento di preghiera, monsignor Pietro Brazzale, coordinatore generale della rogatoria ha presentato le motivazioni e il significato. È seguito il giuramento del vescovo Claudio Cipolla e dei membri del Tribunale per la rogatoria diocesana: il giudice delegato monsignor Giuseppe Zanon; il promotore di giustizia don Antonio Oriente; il notaio attuario avvocato Mariano Paolin e il notaio aggiunto e coordinatore generale della rogatoria, monsignor Pietro Brazzale.

Sono passati più di 30 anni da quel 24 luglio 1985, quando Padre Ezechiele Ramin (Lele per gli amici e parrocchiani), missionario comboniano in Brasile, fu ucciso da pistoleiros assoldati da latifondisti che non amavano la sua ”intrusione” in “affari” che non dovevano riguardarlo.

Tornava dalla fazenda Catuva dove si era recato per dissuadere i contadini dall’impugnare le armi. “Intendo camminare con voi, lottare insieme a voi, aveva detto ai “senza terra”. So bene che questa mia scelta mi può costare la vita. Tuttavia ne accetto tutte le conseguenze, fosse pure la prigione, la tortura o anche lo spargimento di sangue”. Parole profetiche che non tardarono molto a trovare la loro verifica e attuazione. Venne ucciso per aver solidarizzato, da sacerdote missionario, con un popolo perseguitato, gli Indios, privati della terra dai latifondisti e dei loro diritti più elementari dai loro sfruttatori.

Ezechiele Ramin nasce a Padova il 9 febbraio 1953. Dopo aver frequentato le medie e conseguito la maturità classica all’Istituto vescovile Barbarigo, inizia il postulato tra i comboniani a Firenze, dove prosegue gli studi teologici.

Entra in noviziato nel 1974 a Venegono Superiore (Varese) ed emette i primi voti il 5 giugno 1976.  Prosegue la sua formazione a Mirfield (Inghilterra) e Chicago (USA) per poi iniziare il suo servizio missionario in Messico, prima a Campesina e poi a Cabo S. Lucas (Bassa California). Il 15 maggio 1980 emette i voti perpetui e il 28 settembre dello stesso anno viene ordinato sacerdote.

Il 20 gennaio 1984 arriva in Brasile, con destinazione Cacoal in Rondonia, dove prende a cuore la problematica indigena della ripartizione delle terre. Il 24 luglio 1985 viene ucciso. Pochi giorni dopo Papa S. Giovanni Paolo II parlerà di lui come di un martire della carità.

Lele non fu un isolato in quel Brasile che anche oggi, dopo trenta anni, sembra particolarmente difficile a causa dei grandi conflitti e delle forti tensioni che si vivevano in molti contesti, testimonia P. Giovanni Munari, superiore provinciale dei comboniani in Italia e compagno di studi e di lavoro di P. Lele. “La chiesa voleva essere voce dei piccoli e dei poveri, i religiosi si erano messi in prima linea in tante situazioni estreme dove la vita, la libertà, la terra e la democrazia erano cose che bisognava conquistare un pezzetto alla volta”. “In quegli anni – prosegue P. Munari – moltissimi preti ma anche suore, animatori di comunità, esponenti del mondo sindacale e politico fecero una scelta di campo, mettendosi dalla parte delle vittime della società. Pagarono un prezzo molto elevato per questo. Ezechiele fu uno di loro e, fino ai nostri giorni, in Brasile lo ricordano per la sua testimonianza e il suo impegno”.

Il 1 aprile 2016 in Rondonia (Brasile) viene aperto il processo di beatificazione di P. Lele. Il 9 Aprile la diocesi di Padova dà il via alla rogatoria la raccolta di testimonianze e documenti pertinenti allo stesso processo.

Per la conclusione ci vuole tempo e pazienza. Ma noi, nel frattempo, ci mettiamo da subito in ascolto della vita di P. Lele, ci mettiamo in ascolto del Vangelo dei poveri che P. Lele ha difeso fino a dare la vita.