Nel XX anniversario dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York il missionario comboniano e giornalista P. Giulio Albanese MCCJ affronterà il tema dell’economia civile nel webinar “Economia, terra di missione”, promosso dal Coordinamento Europeo dei Laici Missionari Comboniani. L’incontro, in linea col progetto “The Economy of Francesco”, sarà trasmesso in diretta streaming, con traduzioni simultanee in inglese e spagnolo, sabato 11 settembre dalle ore 10 alle 13 sul canale youtube dei Missionari Comboniani:
La registrazione dell’incontro sarà successivamente disponibile allo stesso canale.
A partire da un’analisi geopolitica del continente europeo P. Albanese svelerà i meccanismi del sistema bancario ombra, il cosiddetto Shadow Banking, fra i principali responsabili del divario sempre più incolmabile fra Nord e Sud del mondo, ulteriormente inasprito dalla pandemia da Covid-19.
Il missionario rifletterà poi sul tema della solidarietà, intesa come corresponsabilità dei cittadini, credenti e non, nel contrastare l’esclusione sociale e prendersi cura della res publica, ovvero la “Casa comune” dell’umanità. È chiaro il riferimento alle parole di Papa Francesco, “la nostra non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”, ovvero – spiega P. Giulio – “una realtà spazio-temporale che ha bisogno di redenzione, cioé evangelizzazione intesa come globalizzazione perspicace di Dio”.
Da qui la domanda cruciale: è possibile conciliare il business con le istanze poste dal bene comune per una società più equa, giusta e solidale?
La risposta è si ed è questo il messaggio chiave del webinar: fare appello alla cittadinanza, e in particolare ai Laici Missionari Comboniani, perché ci si prenda cura dei beni comuni insieme alle amministrazioni locali, indirizzo già sancito dalla Costituzione Italiana nell’ultimo comma dell’art. 118 che chiama appunto in causa il “principio di sussidiarietà”.
“Cosa fare dunque in concreto, pensando soprattutto alle necessità di sviluppo e progresso nelle periferie del pianeta?” – chiede p. Giulio – “È evidente che il mondo missionario deve scendere in campo, evangelizzando anche nell’aeròpago dell’economia. Servono consacrati e laici in grado di studiare nuove strategie secondo quanto auspicato da Papa Francesco nello storico summit dei giovani economisti del 2020 ad Assisi”.
Da qui la proposta davvero concreta, dal punto di vista dell’economia reale, di un modello innovativo che coinvolga la società civile, il cosiddetto social business. Obiettivo del modello, ideato dal Premio Nobel Muhammad Yunus (1940), economista bengalese ideatore del microcredito moderno, è la creazione di imprese con finalità sociali da concepire e condurre come vere e proprie aziende, ma con l’imperativo del vantaggio sociale al posto della massimizzazione dei profitti. Parole chiave? Sostenibilità e concezione di un benessere condiviso, mai esclusivo.
Sempre sabato 11 settembre 2021 l’incontro proseguirà in forma privata nel pomeriggio, dalle ore 17 alle 19, come momento di verifica per i Laici Missionari Comboniani, europei e non, chiamati a riflettere sugli insegnamenti di P. Albanese e sulle reali opportunità di concretizzazione del modello Yunus.
PadreGiulio Albanese MCCJ (Roma, 1959) è membro della Congregazione dei Missionari Comboniani e giornalista. Ha diretto il New People Media Centre di Nairobi e fondato nel 1997 la Missionary Service News Agency (MISNA). Autore di 15 libri pubblicati da case editrici quali Feltrinelli, Einaudi, EMI Editrice Missionaria Italiana, Messaggero di Padova, collabora con numerose testate giornalistiche, fra cui L’Osservatore Romano, Avvenire, Radio Vaticana, il Giornale Radio Rai, oltre a precedenti collaborazioni con CCN, BBC, Radio Svizzera Italiana. Ha insegnato Giornalismo Missionario e Giornalismo Alternativo presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e ha diretto le riviste missionarie delle Pontificie Opere Missionarie (Popoli e Missione e Il Ponte d’Oro). Nel 2003 il presidente Carlo Azeglio Ciampi lo ha insignito del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana per meriti giornalistici nel Sud del mondo. Dal gennaio 2018 è anche direttore responsabile della rivista Amici di Follereau. È inoltre membro del Comitato per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo della Conferenza episcopale italiana (Cei) e ospite di trasmissioni e forum sui temi legati all’Africa e al Sud del mondo. Svolge il suo ministero pastorale nella parrocchia Regina Pacis di Fiuggi.
Laici Missionari Comboniani (LMC)
Sono uomini e donne di ogni età, singoli, coppie e famiglie, ispirati al vangelo di Gesù di Nazareth e al carisma del suo discepolo San Daniele Comboni (Limone sul Garda, 1831 – Khartoum, 1881). Vivono del loro lavoro e impostano scelte e stili di vita a servizio della giustizia e della pace e nel rispetto dell’ambiente. Fanno parte della Famiglia Comboniana insieme ai Comboniani, alle Comboniane e alle Secolari Missionarie Comboniane. Insieme si impegnano a realizzare il piano del Comboni “Rigenerare l’Africa con l’Africa” (1864), chi attraverso periodi di volontariato nel Sud del mondo (missio ad gentes) e chi dove vive e opera ogni giorno (missio intra gentes). Gli LMC sono presenti in Europa (Austria, Germania, Italia, Polonia, Portogallo, Spagna), in Africa (Benin, Chad, Congo, Egitto, Ethiopia, Ghana, Kenya, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Togo, Uganda) e in America del Nord, Centrale e del Sud (Brasile, Canada, Colombia, Ecuador, Messico, Peru, Stati Uniti).
Parlare di teologia, non dovrebbe portarci a pensare a tesi o ipotesi a livello astratto, ma sempre in termini di situazioni concrete, come una scienza che si china a guardara l’umanitá. Perché se fare teologia significa parlare di Dio, non ci sentiamo di non partire dalla consapevolezza che é una scienza a servizio dell’umanitá. Desiderimao parlare di un Dio che appunto si china a guardare e a rialzare l’umanitá. Anzi osiamo dire che bisogna re-inventare la teologia. Esempi emblematici abbiamo con la Telogia della Liberazione nata in America Latina, e con la Teologia di taglio Africano di un Jean Marc’Ela, o di un Lawrence Magesa giá contestualizzati a teologizzare a partire sia dalle situazioni concrete, sia dalla storia e dalla religiositá dei popoli e dalla loro esperienza di Dio. Davanti a fenomeni globali tanto complessi e dolorosi che stiamo vivendo che cosa dice Dio a noi, ai popoli, a nazioni in punto di rottura sociale e umanitaria?
La grande sfida é trovare un linguaggio che esprima la esperienza che la gente di oggi ha di Dio, nel 2021. Fare teologia con linguaggio a servizio della comunicazione in un villaggio globale. Fare teologia umilmente perché si tratta di esperienze profonde che i nostri contemporanei fanno del “Mistero di Dio”. E di quelle che anche noi facciamo. “Perché non si parla di ció che non si conosce.” Coscienti che tentiamo di scoprire un linguaggio per parlare di Dio, sí, a partire dalla “storia”, da quello che sentiamo dagli altri, ma da una storia che diventa parte della nostra esperienza.
Bisogna tenere conto che fino a cent’anni fa, il popolo dipendeva completamente dalla natura. Oggi siamo abituati a dominare la natura, con pro e contra, accettando un Dio che é Creatore e che crea un essere umano creatore-creativo, non inerte. L’essere umano ha le sue idee, i suoi pensieri, ma Dio ha le sue idee, i suoi pensieri. “I miei pensieri non sono in vostri pensieri.” (Isaia 55,8) Davanti a cose terribili che accadono e delle quali noi non ci sentiamo reponsabili, c’é chi é tentato di fare Dio responsabile di tutto. Dall’altra parte, c’é stato un periodo in cui si parlava “della morte di Dio”, non in senso ontologico, ma piú pragmatico, come a dire: la tecnologia e la crescita intellettuale dell’essere umano non rendeva piú necessario Dio, né un intervento di Dio. Se cent’anni fa in molti paesi si diceva: “Hai mal di pancia, prega un Padre Nostro, o un’ Ave Maria e ti passa”, oggi quasi dappertutto si cerca subito l’intervento del medico e della medicina.
In tutte le esperienza umane del Mistero di Dio, in tutte le culture, si cercavano anche dei nomi descrittivi da dare alla Divinitá, perché si capiva che la Vita umana e tutto il Creato é al di lá di ogni nostra spiegazione. Chi lo nega adesso, vuol dire che non conosce la storia dell’umanitá. Sulla esperienza di Dio influiscono le condizioni geografiche, climatiche, delle creature che circondano il gruppo umano, sia per costituire il corpo di credenze, come quello del culto, della liturgia, dei rituali e di ogni espressione usata per entrare in rapporto con lui. Cosí come per i luoghi di culto per la simbologia e l’immaginifico, per i miti, per l’organizzazione socio-politica, per le relazioni umane, fino all’arte, la musica, ecc. Influisce se ci sono monti, o foreste, o fiumi. Influisce la forza del sole, come vedono gli astri, le fasi lunari, gli animali, ecc, se c’é deserto, o c’e’ l’oceano, ecc. Lo spazio, il posto, il tempo, i fatti vissuti, le gesta degli eroi, degli antenati, la tradizione orale, il ricordo, la Storia é luogo teologico, e vediamo come da sempre Iddio si é manifestato in persone e fatti storici concreti. Le esperienze di Dio sono molto diverse e quindi anche le espressioni sulla percezione dell’esperienze di Dio sono pluralistiche.
2 – Come l’umanitá esperimenta dio nel momento presente
Innanzitutto é cruciale prendere atto che oggi piú che mai l’umanitá é cosciente delle infinite trasformazioni che avvengono ogni giorno nell’universo. Oggi sappiamo che le trasformazioni sono una costante nella storia. Tramite i mezzi di comunicazione siamo informati anche sulla speditezza di codeste trasformazioni. Mai come oggi siamo stati al di dentro del ritmo delle trasformazioni, dal punto di vista della tecnologia e dal punto di vista dell’economia di mercato che stanno continuamente bombardandoci con nuove informazioni. Se la luce si muove a velocitá di 300,000 km per secondo e il suono a 40,000 km per secondo, é evidente che abbiamo l’ informazione importante o meno importante in tempo reale.
Succede peró che cosí come arriva la notizia di un avvenimento, arrivano anche le interpretazioni e le possibili manipolazioni che possono anche non soltanto essere distruttive della dignitá della persona umana: “Ed ‘Elohim creó ha-‘adam = l’umano – in sua immagine, in immagine di ‘Elohim lo creo, maschio e femmina li creó”; “Dio creo l’umanitá a sua immagine, maschio e femmina, uomo e donna li creó”, (Genesi 1, 26-28), ma addirittura andare contro la libertá individuale e comunitaria di singoli e di gruppi umani.
Mai come oggi ci sono degli approfondimenti e studi sulla psiche umana per onorare la sacralitá di ogni essere umano, e mai come oggi si vedono calpestati i diritti di bambini, di donne e di uomini “scartati” dalla societá. Con abberrazioni incredibili fino al punto di trovare chi motiverebbe i giovani al suicidio e chi gli coadiuvarebbe a compierlo.
Mai s’era vista tanta partecipazione delle donne con posti di direzione nell’ambito politico, sociale, economico, ecologico, e religioso, per esempio nella chiesa cattolica, osserviamo come Papa Francesco ha chiamato e continua a chiamare donne consacrate, anche delle Laureate da noi a Tangaza, o laiche, a fare parte del governo della chiesa, con nomine che prima erano esclusive del clero, ed ora sono persino in diversi Dicasteri Vaticani. Pure nell’ambito scientifico: come una Chiara Marletta scienziata Italiana in Oxford che sta rivoluzionando con una nuova ipotesi, la teoria di Newton – Einstein – e la meccanica quantistica, per spiegare l’universo. Eppure mai come oggi si commettono tanti femminicidi in ogni parte del mondo.
Mai come oggi, tantissime aggruppazioni che gridano “libertá, libertá”, per la libertá dell’orientamento sessuale, per libertá di opinioni, per libertá di questo e di quello, ma poi tantissime pure le nuove schiavitú.
Mai cosí cresciuta con lo sviluppo la produzione dei beni di consumo, di servizi, peró mai tanto esagerato l’accumularsi delle ricchezze, dei beni della terra, che sono beni comuni globali perché creati per tutta l’intera umanitá che peró restano nelle mani di pochi. E dall’altra parte mai come ora le schiere di affamati, a calcoli di esperti nell’ultimo anno: un millione in piú sono coloro che vivono sotto la soglia della povertá estrema.
Massimo dello sfruttamento incommesurato della natura, “del creato e dell’essere umano”, e mai tanti aggruppamenti internazionali, interreligiosi intergenerazionali di protesta contro di esso e per la protezione dell’ambiente e dei diritti umani.
Piú violenza e crudeltá terribili tra i fondamentalisti, e piú criminalitá organizzata planetaria. Esplossione demografica in alcune nazioni, mancanza di prole in altre.
In mezzo poi ad una crisi sanitaria globale mai immaginata, col Covid 19, che peró a Papa Francesco fa esclamare: “Peggio di questa crisi, c’e´solo il dramma di sprecarla” (Dal suo discorso del 31 maggio 2020) parole che a noi fanno respirare l’aria fresca della sfida del possibile, perché noi siamo convinti che ogni crisi é una “opportunitá”.
Di fatto, sono germogliati, con lui e indipendentemente di lui, in ogni angolo del mondo, tra persone di diverse religioni e ideologie tanti lodevoli tentativi di solidaritá, di fratellanza, di coinvolgimento nella riflessione, nell’analisi, nel discernimento e nella ricerca di “possibile soluzioni”. Per esempio: di economia sociale, di economia di partecipazione, di economia civile come pure di imprenditoria sociale.
Costatiamo che pure in minoranza, sono molti coloro che danno voce ai senza voce: “Apre la bocca in favore del muto, per sostenere la causa di tutti gli infelici” (Proverbi 31, 8-9)
Non abbiamo inteso fare un’analisi accurata della realtá, abbiamo menzionato queste cose per “ascoltare” la domanda di chi grida: “Dio, dove sei tu?”, o per “ascoltare” la risposta di chi anche in situazione di: “Mio Dio, perché mi hai abbandonato?” si butta nelle braccia di un PadreMisericordioso che si china appunto a guardare e rialzare l’umanitá ferita. Dio é l’assente per certuni. Ma Dio é presente per parecchi altri. Troviamo entrambe le posizioni. Disperazione e rabbia, ma anche umiltá, speranza, impegno, come ci diceva un’amica con parole semplici ma sapienti: “Dio sta cercando la nostra collaborazione per sostenere la sua creazione”. La nostra collaborazione, il nostro Impegno. Perché cosa?
3 – Gesú e la manifestazione del regno di dio
Per Dio, non é facile essere percepito perché Dio é invisibile. Nella necessitá dei singoli e dei popoli di percepire la sua vicinanza, e per rendersi piú visibile, Dio ha voluto incarnarsi, letteralmente “farsi carne” per essere veduto, ascoltato, sentito, odorato, toccato, cosí, con tutte le dimensioni sensoriali del corpo umano, per un contatto fisico vero. L’ incarnazione di Gesú é la risposta “trasformante” del Padre per la forza e l’amore dello Spirito Santo che da sempre e per sempre é, e sará il protagonista, l’artefice di ogni nuova mediazione, di ogni ministero, di ogni trasformazione. Gesú ci insegnerá il modo di rapportarsi con Dio e il modo di relazionarsi con gli altri. Gesú é la risposta al bisogno, di piú comunione creatore-creature, che arriva al contatto corpo a corpo. Basti ricordare l’emorroissa il cui anelito era “toccare” fosse soltanto il suo mantello, per essere guarita (Marco 5, 25-34) Ecco Gesú che si fa presente. Salvatore, liberatore, redentore. Cosí fu per il cieco che ascoltando prima il rumore della folla e poi la sua voce, riprende il coraggio insieme alla sua dignitá, poi riprende anche la salute dei suoi occhi (Luca 18, 35-43) Cosí con il sordomuto: “Gesú pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccó la lingua” (Marco 7, 31’37) Eccolo Gesú, soprattutto davanti ai malati, egli non trascurava il contatto fisico. Gesú tocca e si lascia toccare anche da una donna, che gli lava i gli profuma i piedi in mezzo a comensali donne e uomini attoniti. “….Ella mi ha rigato i piedi di lacrime, li ha asciugati coi suoi capelli, gli ha baciati e unti con l’olio… “ (Luca 7, 36-50) Perché l’Annuncio del Regno di Gesú, non é quello di una realtá astratta, ma concreta, di un Regno di Dio che fa di tutti fratelli e sorelle.
La comunione e il contatto fisico é sempre trasformante, e incoraggiante, e dá forza, gioia, slancio. Quel Gesú presenza del Padre, “Sacramento del Padre “ segno e strumento (Schilleebecks) é la mediazione piú sublime e paradigma di tutte le susseguenti mediazioni. E’ cosí che la gente oggi esperimenta Dio. Senza “mediazioni” non si puó fare l’esperienza di Dio. Se si lamenta che la pandemia ha sconvolto la vita dell’umanitá, ha sconvolto di piú ancora, la vita e gli ultimi giorni dei malati in isolamento, moribondi in tremenda solitudine e che non potevano sentire la mano amica, la voce consolatrice, il respiro vicino dei loro cari. Se nella fede crediamo che “Maria, la mamma celeste era con ognuno, per fare compagnia, dare conforto e consolarlo como era al piede della Croce, col suo figlo Gesú”, come si é espresso il Papa Francesco, cosí pure dobbiamo credere che peró nella convivenza umana, nell’aspettativa antropologica, e dal punto di vista cristiano, questo non dovrebbe diventare prassi, perché appunto tutti siamo chiamati ad essere le mediazioni non riempiazzabili oggi, “Sacramenti” segni e strumenti della presenza del Dio invisibile, ed anche del Gesú invisibile.
Nella nostra riflessione teologica sulla Trasformazione Sociale, noi puntiamo ad avere presente il Gesú storico, che va includendo donne e uomini, di diverse provenienze e religiositá, e dall’altra parte anche il mistero della Sua Risurrezione, non come dualismo, ma per non dimenticare, che si parte dalla vita umana concreta, poi si vive nel Mistero della Fede e poi si torna alla vita concreta come in un movimento di flusso e riflusso della vita di Dio. Splendido é il motto sullo stemma della nostra Universitá Tangaza, appunto: “TANGAZA FUMBO LA IMANI”, che ha il signigicato dell’invio ad annunciare la Risurrezione, cioé “ANNUNCIA IL MISTERO DELLA FEDE”.
Nel considerare il Gesú storico, non possiamo non ricordare a San Paolo che scrive esplicitamente che “Gesú é nato da una donna, e nato sotto la legge” (Galati 4, 4), e ci domandiamo perché questa sua sottolineatura? Perché il Dio invisibile si fa visibile tramite mediazioni. Tramite Gesú unico Mediatore della Salvezza. “Egli é immagine del Dio invisibile…. per mezzo di lui furono create tutte le cose” (Coloss. 1, 15-20 ) che rivelano il Creatore; dal quale sgorgano tutte le altre mediazioni. Giá le donne, come prime missionarie inviate dal Gesú Risorto: “Andate ad annunciare ai miei fratelli” (Luca 4, 22) quella Buona Novella, in seguito a tutti i discepoli/e missionari/e coll “Andate in tutto il mondo” ( Marco 16, 9-20), e fino a noi, nella logica dell’Incarnazione, di Ministri della Parola, Testimoni del Signore Risorto, mediazioni, incarnazioni fino ai nostri giorni.
4 – Teologia trinitaria della trasformazione sociale
Noi affermiamo una teologia Trinitaria della Trasformazione Sociale, nel rispetto proporzionale di riflessione biblica sul Gesú storico, di considerazioni giá teologiche anche nella Bibbia, soprattutto in Paolo, giá menzionato, e in Giovanni, che hanno giá una Cristologia, e una Pneumatologia, che peró non sono mai separate dal Padre Creatore. In dinamica interrelazionalitá di comunione e di donazione reciproca. Dio é uno e trino, uno e multiple, di conseguenza, la nostra riflessione porta implicita, sia comunione sia pluralismo, sia unicitá sia diversitá. La comunione non significa livellamento, ma rispetto della diversitá. Cosí come il Regno di Dio che Gesú vive ed insegna, non é livellamento ma accoglienza e accettazione delle diversitá, perché Dio Padre crea la diversitá e perché lo Spirito Santo elargische e arricchische ogni persona, ogni popolo, ogni cultura, ogni religione, con la quantitá immensa dei suoi doni. Vediamo quindi nella Trinitá la donazione reciproca e d’insieme, sia per la cura dell’umanitá, sia per la cura di quanto esiste nel Cosmo, il Creato globale, creature conosciute o sconosciute, quel Tutto, con l’urgenza di essere vivificato, liberato, sostenuto, accompagnato dalla comunione e dal dinamismo creativo e trasformativo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Ecco il paradigma che si dispiega davanti a noi, come un modello per la nostra partecipazione, collaborazione all’azione di Dio, che é di trasformazione continua, che e’ di comunione ma anche di pluralismo sia nelle comunitá cristiane piccole, sia nelle chiese locali, sia nella chiesa universale, sia nel mondo pianeta terra “casa comune”, sia a livello cosmico. Al centro: Gesu Cristo Alfa e Omega che in modo mirabile il Padre fa risorgere dai morti per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, come colui che esercita il suo influsso nell’acquisto della sapienza. “Porró il mio spirito su di loro” (Ez. 37, 14) “Effonderó su tutti il mio Spirito…” (Gioele 3, 1-5) “ Colui che gli ammaestrerá nella veritá” (Gv. 14, 16)
Dopo la Risurrezione di Gesú i discepoli erano “Perseveranti e concordi nella preghiera insieme ad alcune donne e a Maria la madre di Gesú….” (Atti 1, 14) …” Scese lo Spirito su di loro” (Atti 2, 1-17) “I doni dello Spirito sono giustizia, pace e gioia” (Rom. 14, 17) “Spirito che conferisce i carismi e molteplicitá di doni” (1 Cor. 12, 3) In questo modo lo Spirito gli abilita, e ci abilita, ci fa strumenti, ministri dell’evangelizzazione, perció della trasformazione.
Da quando col Concilio Vat. II si scoprí la figura determinante dello Spirito Santo, si sveló allora a noi misionari/e in misura piena, il significato di ció che narra l’evangelista Luca, quando Gesú nella sinagoga di Cafarnao prese il rotolo della Parola e lesse: “Lo Spirito del Signore é su di me, egli mi ha consacrato ed inviato ai poveri per annunciare loro la Buona Novella” (Luca 4, 16, ss) del Regno. Dal Concilio Vat. II in poi in ogni Documento – Enciclica – del Magistero o Dottrina Sociale della Chiesa porterá un capítolo sullo Spirito Santo. Ci é caro evocare l’insistenza di Papa Giovanni Paolo II, che in sue diverse Encicliche ci istruisce dicendo che “La Dottrina Sociale della Chiesa é parte integrante del messaggio del Vangelo da trasmettere, da portare in tutto il mondo”.
5 – Il ministero sociale e il senso escatologico della trasformazione sociale
Nuovi itinerari spirituali, nuovo dinamismi di fratellanza e nuove modalitá dell’Annuncio? Forse é questo il momento privilegiato della verifica della nostra ministerialitá missionaria?
Tutta la vita di Gesú é un esempio per noi su come vivere la ministerialitá, offrendosi e donandosi. “Passó beneficando, facendo il bene….” ( Atti 10, 38) . E’ cosí che noi vediamo i Ministeri Sociali. E li vediamo con l’esigenza di viverli con la spiritualitá di Gesú, coi “sentimenti che erano nel Cuore di Gesú… (Filipp. 2,5-11 ) e nella fratellanza universale che egli visse. Gesú, nella notte in cui fu tradito, nel contesto di un pasto fraterno coi suoi discepoli e discepole, e quando il suo donarsi raggiunge l’apice, nella coscienza piena del ministero per il quale fu chiamato dal Padre, ci insegna a “chinarci e lavare i piedi”, vuol dire al servizio totale e poi pronuncia il suo testamento “Questo é il mio Corpo offerto”, “Questo é il mio Sangue versato”. Ma peró nei tempi dell’Annuncio della sua passione, soprattuto quando parla dell’offerta della sua vita “Cominció a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, per venire ucciso e il terzo giorno risorgere” (Matteo 16, 21-23)
Il centro, il nucleo della nostra fede, é Gesu Cristo il Signore Risorto. Questo Gesu Cristo Risorto é il cuore del nostro Annuncio, e la ragione del nostro Ministero Trasformante. Il Signore Risorto. Il cui nome primo era Gesú che significa: “Il Signore é la salvezza”. E siamo anche interessati al ministero di Gesú, alla sua parola, buona novella del Regno, alle sue parabole del Regno, alla sua vita vissuta in “koinonia”, comunione, creando comunitá comunione, creando Regno, coi suoi discepoli, con le sue discepole, anticipando i beni divini della fratellanza universale, giá su questa terra, considerando come la destinazione finale quando la sua signoria sará confermata e il suo titolo di Kyrios arriverá alla pienezza. La salvezza, la liberazione che lui ottiene per il creato e per l’umanitá, mira alla parusia, é orientata verso la scatologia, e cioé alla realtá futura vera. La salvezza c’e “giá e non ancora”. La nostra preghiera é quella che Gesú ci ha insegnato: “Padre nostro…venga il tuo Regno” (Luca 11, 2-4). Regno per il quale viviamo, che giá esperimentiamo, e ci adoperiamo a costruire, trasformando situazioni, lasciandoci trasformare da questo “giá quí” e “non ancora”. E’ questo che noi consideriamo la realtá scatologica alla quale mira la Trasformazione Sociale, culminando nella pienezza del Regno. La nostra speranza é grande perché guardiamo a questi beni escatologici con grande fiducia in Dio, cosí come con entusiasmo e gioia. La fede nella risurrezione di Gesú é ció che ci mantieni forti e slanciati pur nella situazione tribolata e turbolenta del mondo che pare sospeso nella sconfita della Croce. Ma crediamo nella Risurrezione. Il nostro Manifesto é che la Risurrezione é pegno della possibilitá necessitá della Trasformazione Sociale e della manifestazione della realizzazione piena del Regno di Dio negli ultimi tempi.
Anche il nostro corpo umano é sottomesso a profondissime trasformazioni. Senza riferimento alle trasformazioni non potremo avere comprensione dell’essere umano nella sua realtá terrena. Quello che a noi sembra importante sottolineare prima di tutto é che il corpo é una realtá che passa per diversi stadi di trasformazione. “Giá dal seno materno.. “ …… (Salmo 138) A livello fisico e a livello psichico. Gli stadi come infanzia, adolescenza, etá adulta si pensano spesso come passaggi ad una coscienza superiore e di risposta migliore alla chiamata all’essere. A parte possiamo ricordare che anche nelle cellule del nostro corpo come pure nel sangue che scorre per le nostre vene si vanno effettuando delle trasformazioni. Lo stadio finale del corpo é la risurrezione, quando assume la sua forma definitiva di essere accolto dopo aversi offerto e donato. “L’ umano” é delle persone umane quando le due dimensione sono insieme. La morte deve essere interpretata, é uno dei passaggi che dobbiamo attraversare, un grande momento che dobbiamo affrontare per arrivare alla pienezza della vita nel Regno di Dio, dove tutto il nostro essere sará nuovo e definitivo. Dobbiamo vedere la morte non come punizione del peccato e non come separazione che distrugge la persona, ma che la trasforma, che la configura meglio ad una nuova dimensione, ad uno stadio ulteriore di conoscenza e d’ amore da quando camminava nel corpo. Il rapporto tra anima e corpo si redifinisce, ma non noi come persone. Si entra nella realtá di Dio, in maniera definitiva, e in un incontro, in un rapporto nuovo con lui e col cosmo che non é piú quella realtá materiale del nostro piccolo corpo, ma ora é una relazione nuova con tutto ció che esiste della realtá che riflette la persona: corpo e anima. L’ultima e definitiva trasformazione é quando tutti i corpi saranno risorti ed entreranno in comunione, e ci saranno “Cieli e terra nuova” ( Apocalisse 21, 1-7 ) Quando vita e morte diviene realtá preziosa nel divenire in pienezza una sola cosa con Dio, con gli altri, con tutto il Creato. “Benedetto sia Dio che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale in Crist, secondo il mistero della sua volontá di ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Efesini 1, 3-10)
6 – Il senso sacramentale della creazione
Abbiamo parlato di Gesú come Sacramento del Padre e abbiamo espresso la certezza della nostra chiamata ad essere anche noi sacramenti – segni e strumenti – di questo Padre che ci ha creato per la comunione tra di noi e con tutto. Ancora una nostra considerazione sul Creato e su come vediamo in esso il Dio che ci si rivela Mistero al di lá delle nostre capacitá di comprensione.
Chi si propponga fare una riflessione teológica, passa necesariamente per una lettura di eventi e trasformazioni social, umane, come pure per un avvicinamento alle scienze per la lettura degli eventi che accadono nel cosmo, (macro e micro cosmo) perché in tutto c’é la presenza di Dio e perché tutto é di fondamentale importanza per l’essere umano. Tutto ció va contestualizzato secondo le persone o i gruppi umani che fanno questa lettura giá col proprio patrimonio genetico, storico, culturale.
Noi guardiamo il fascino e il mistero della creazione con occhio contemplativo, poetico, scientifico. Con occhio contemplativo perché il nostro é l’occhio di un credente che coglie la grandezza, la complessitá, l’armonia, la bellezza, e vede un Mistero irresistibile. Un mistero che ama, che si é investito tutto a fare questo “creato”. Che si é impegnato, s’impegna, ama, ha cura, ci accompagna noi figli e figlie, che si prende cura del nostro “habitat” e di noi, affinché ci sentiamo a casa nostra, come i teneri genitori che vogliono che i figli trovino un focolare, casa e amore. Ed é bello non soltanto sapere che Egli ha creato noi dal suo amore (Caterina da Siena), ma ha preparato ha creato, pure questo “habitat” dal suo amore, e per di pú con un profondo anelito della nostra collaborazione con lui. Dio non vuole consumatori soltanto, ma creatori. Perche siamo la sua famiglia, il suo popolo e vuole che godiamo questo focolare adorabile, vuole che lo rispettiamo e lo costruiamo insieme a lui. Egli stesso gioisce: Dopo ogni giorno di creazione descritta “Dio vide che era cosa buona… poi creó il sesto giorno l’essere umano, vide quanto aveva fatto e “Vide che era cosa molto buona” (Genesi 1, 1-31). Possiamo dopo vederlo questo Creato con occhio poetico che fa appunto scaturire dai nostri cuori poesie e lodi, come i Salmi: “Sei vestito di splendore maestá…. Quante sono numerose le tue opere Signore, tu le hai fatto tutte con sapienza, la terra é piena della tua ricchezza”(Salmo 104, 1 e 24) “Sopra i cieli si innalza la tua magnificenza” (Salmo 8,2) E’ sgorga in noi un ventaglio armonioso di sentimenti nobili nel volere costruire, co-creare con lui: Quindi atteggiamenti di contemplazione, di gioia, di apprezzamento, di valorizzazione, ecc. Anche se a volte critichiamo perché ci sono dei limiti nel Creato, essendo in evoluzione, tra colori, forme, movimenti concordati, a volte ci sono dei limiti delle trasformazioni e ne deriva un male per noi, come per esempio nei movimenti tellurici nell’interno della terra che provocano dei devastanti terremoti.
Comunque noi guardiamo la creazione anche con occhio scientifico. Oggi le scienze ci parlano del cosmo come di una realtá ordinata, con armonia, con relazioni, con visioni, con tempi e forme in concordanza, con coerenza con coesione. Ci parlano di una realtá grandiosa incommensurabile e non caotica ma portentosa, nella quale tutto é collegato, tutto interconnesso, tutto interdipendente. Dentro la quale noi ci siamo, e pur essendo creature meravigliose, siamo piccolissime, non altro che “polvere di stelle”.
Da sempre uomini e donne hanno guardato con interesse i fenomeni del cosmo, degli astri, ma oggi infinitamente di piú, coi cannocchiali piú grandi, piú specifici, piú raffinati, lo studio del cosmo si allarga e si puó osservare la sua espansione. Questo soltanto riguardo il macrocosmo, e tanto o piú sorprendente e stupefacente lo studio del microcosmo. Quanta realtá c’é in un quantum?! In un corpusculo di luce, in una onda di frequenza?! Coi microscopi piú minuscoli la scienza riesce a penetrare, ma non a delucidare completamente il mistero della realtá. Macro- e micro- cosmo in ininterrotta trasformazione. Tutto questo capovolge i paradigma di ogni concezione precedente riguardo la realtá, dell’origine del cosmo e quindi dell’essere umano.
Quanta nostalgia del Mistero Divino deriva da tutti questi studi! E quanto é ammaliante che nuove ipotesi nascano e nuove formule, tentando di spiegarsi meglio, a prova e controprova. Per tanti di noi al mondo, tutto ció é motivo di grande gioia per i successi della conoscenza umana nello evolversi della sua storia. Per altri invece é quasi motivo di spavento e paura perché cadono delle certezze che sembravano eterne. E anche se tutto questo che si vede continuerá ad essere studiato, e anche si riuscissero a comprovare in pieno scientificamente tutte le ipotesi, il Dio Creatore non si vede. A Dio si arriva con la fede, non con le scienze. E’ soltanto nella fede, con l’occhio illuminato dalla fede, che si arriva al Dio Creatore. Sono deduzioni, costruzioni mentali a partire de ció che si vede. Ben ricordiamo ni nuovo le mediazione sopra nominate. Quindi la Creazione é anche lei un Sacramento, segno e strumento della manifestazione di Dio.
All’Universitá Tangaza, c’é un dipinto nato dalla Collaborazione Tangaza Universitá – e alcuni artisti di Korogocho, assai suggestiva, dove viene rappresentata la creazione in continua trasformazione ed evoluzione. E’ un’icona, un’ illustrazione da contemplare a lungo per la sua ricchezza e profonditá di contenuto: Spirituale, religioso, ecologico, sociologico, antropologico, teologico. “Una Cosmovisione, che mostra come nel cosmo complessissimo, incantenvole, colorito, dinamico, ci siano ininterrotte trasformazioni, di nuovi scoperte de cometi, di stelle che appaiono e che poi spariscono. Uno spazio intergalattico, interstellare seducente che data da piú di 10 milliardi di anni di evoluzione. Dove l’essere umano emerge all’interno di questo cosmo infinito, come frutto dell’evoluzione, come frutto di tante realtá giá esistenti, dove peró lui emerge come originale, come capolavoro, come diverso, con una presa di coscienza della su esistenza, e con delle domande da dove veniamo e di ció che riceviamo. Dio ha messo in motto il processo della creazione. Non l’ha messo in motto per essere sempre lui da solo a continuare a creare. Lui é il perno della crezione, ma poi ha voluto altre mani. Dove dunque l’essere umano appare come attore, con la sua presenza con le sue mani. E’ sí, recipiente, ma é anche donante. Come essere intelligente che riflette, che si interroga, che analizza, che si pone degli obbiettivi, che puó valutare ció che é bene e ció che é male. Che puó entrare in relazione con l’Altro, col Trascendente, col Mistero, con Dio, come pure con gli altri essere umani e con tutto il Creato. Come colui che puó cogliere che ci sono energie trasformatrici fuori di lui, ma anche in lui. Vede che le leggi della natura influiscono su questo mondo, ma vede che anche lui puó influire e deve influire asseconda delle sue capacitá, nella diversitá personale e del suo gruppo umano. Anche lui é chiamato ad essere creatore-creativo secondo le sue caratteristiche frutto di una storia globale ma anche personale. Perché nella logica di Dio Creatore, nessuno é passivo, ma tutti sí recipienti frutti di una storia, ma allo stesso tempo chiamati ad essere attivi per migliorare, per correggere, per trasformare, per ribaltare in maniera creativa e dinamica queste energie trasformatrici. E mentre c’é il divenire, la trasformazione, la crescita nel dintorno, c’e´anche un auto- divenire, auto-trasformazione auto-crescita. Naturalmente viene sottolineata con la volontá esplicitata dall’arte,un’altra realtá, la presenza distinta ma in comunione di collaborazione del maschio e la femmina, che sono chiamati ad interagire, dell’uomo e della donna, in relazione di convivenza di amicizia di fratellanza, di amore ambidue non solo usufruendo del Creato ma co-creando.Quasi al centro dell’icona si mette molto in evidenza che la donna splendidamente sta “producendo”, lavorando. Ci fa pensare quanta realtá c’é in un seme, in uno stelo, in un fiore, in un frutto; in un grembo materno. Donna co- creatrice, “attore” di trasformazione. Questo é un fatto notevole ed eccezionale anche a Tangaza dove tantissime donne ricevono e offrono elevata educazione con una progettualitá giá orientata alla trasformazione sociale persino con l’imprenditoria sociale. La croce nell’angolo superiore destro dell’icona che inoltra in movenza discendente i suoi fasci luminosi, rappresenta allo stesso tempo Gesú Salvatore, Liberatore, tramite la sua croce, morte e risurrezione, ma anche l’amore e la tenerezza del Padre, che con la forza dello Spirito Santo accompagna, conforta, illumina, scalda, incoraggia, sia all’approfondimento e analisi del senso delle situazioni personali, comunitarie, globali, di crescita, di sviluppo, di trasformazioni, o di sofferenza, sia all’agire con responsabilitá creativa per insieme trovare soluzioni, strategie, modalitá, sia per la cura del Creato e sia per la cura dell’Umanitá, rappresentata dal globo terrestre.”– “La Creazione sará anche ella liberata dalla schiavitú della corruzione per entrare nella gloria dei figli e delle figlie di Dio” (Rom. 8, 20-22) (Questo dipinto é ispirazionale a fine della Trasformazione Sociale)
P. Francesco Pierli MCCJ Sr. Teresita Cortés Aguirre CMS / Giugno 2021/
Il centro diocesano della diocesi di Bologna ha organizzato un incontro sul VI capitolo della Fratelli Tutti in collegamento con Emma Chiolini (LMC in Brasile).
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49)
Tenere Vivo il Fuoco
Introduzione. Con la celebrazione del 190º anniversario della nascita di Daniele Comboni (Limone Sul Garda, 15 marzo 1831) e il 140º anniversario della sua morte (Khartoum, 10 ottobre 1881), siamo invitati a celebrare il nostro memoriale carismatico e ad invocare la forza della presenza dello Spirito che ha illuminato la sua vita, dal nascere al morire. La sua beatificazione (17 marzo 1996), di cui ricorre il 25º anniversario quest’anno, è stato un dono carismatico per tutta la famiglia comboniana. In quel momento[1], i Consigli Generali hanno pubblicato un messaggio e una lettera congiunta per incoraggiare i membri della nostra famiglia missionaria alla gioia e allo sguardo spirituale verso nostro padre, in cerca di ispirazione e fecondità per il servizio missionario. Infine, con la canonizzazione, la Chiesa lo ha inscritto nell’albo dei Santi, riconoscendo la validità e attualità del carisma missionario comboniano e proponendo san Daniele Comboni come modello di vita cristiana e di missione, esempio e paradigma di un impegno missionario universale, che unisce continenti e popoli diversi nella passione per Dio e per l’Umanità. Anche allora, i nostri Consigli Generali ci hanno regalato un messaggio[2] e una lettera[3] invitandoci a guardare a san Daniele come testimone e maestro della santità a cui siamo chiamati e della missione che viviamo. La presente lettera si inserisce in questo movimento di memoria e attualizzazione del dono carismatico affidato a san Daniele e, in lui, a tutti noi: dono di Dio ravvivato in ogni generazione comboniana.
Considerare le proprie radici. Fare memoria della nascita di san Daniele Comboni ci invita, innanzitutto, a considerare le sue radici familiari, ecclesiali e sociali, che tanto l’hanno influenzato e alle quali ritornava spesso[4]. La sua nascita avvenne in mezzo a difficoltà e costrizioni. I suoi genitori erano migranti, venuti a Limone in cerca di lavoro. Il padre, Luigi Comboni, all’età di 15 anni, nel dicembre del 1818 era venuto a Limone proveniente da Bogliaco. La madre, Domenica Pace, era nata a Limone (31 marzo 1801) ma la famiglia proveniva da Magasa, sulle montagne. Luigi e Domenica si sposarono il 21 luglio 1826, nella chiesa di San Benedetto ed ebbero, secondo il registro dei battesimi, sei figli; a questi sarebbero da aggiungere due gemelli morti, che non fu possibile battezzare[5].
“Daniele Comboni crebbe nella modesta casa del Tesol con i genitori, vivendo le gioie e i dolori della famiglia. Dei suoi fratelli sopravvissero soltanto Vigilio (1827-1848) e Marianna (1832-1836)”[6]. Egli ebbe grande affetto e stima per sua madre e suo padre. La madre morì il 14 luglio 1858, durante il suo primo viaggio in Africa, e fu col padre Luigi che Daniele mantenne un’intensa corrispondenza, nella quale riconosceva la religiosità dei genitori e l’influenza che ebbero nella sua vita e vocazione missionaria. In queste lettere si riscontrano gli elementi umani e cristiani che hanno costituito l’humus che ha fatto crescere la vocazione e la missione di san Daniele (il richiamo della bellezza del lago e delle montagne, la fierezza della fede e vita cristiana, la devozione alla Croce del Salvatore, la contemplazione del Suo amore e del Cuore trafitto, la passione per Dio e per i più bisognosi): “Coraggio dunque amabile mio padre, io ho sempre il mio cuore rivolto a voi, parlo ogni giorno con voi, sono a parte dei vostri affanni, e pregusto le delizie che Dio vi riserba in cielo. Coraggio adunque: Dio sia il centro di comunicazione tra me e voi. Egli guidi le nostre imprese, i nostri affari, le nostre sorti e godiamo che abbiamo da fare con un buon padrone, con un fedele amico, con un padre amoroso”[7]. La celebrazione del 190º della sua nascita ci offre una nuova opportunità di avvicinarci a lui a alle sue radici familiari ed ecclesiali, rafforzando la coscienza delle nostre proprie radici, come sfondo spirituale che assicura stabilità alle nostre personalità e fecondità spirituale alla nostra vita missionaria. E questa celebrazione ci dà l’opportunità di approfondire, come famiglia comboniana, il ruolo di Limone e di continuare la collaborazione, intrapresa nel luogo natale di san Daniele Comboni.
Fedeltà in mezzo alle avversità. La memoria del 140º della morte di Daniele Comboni ci invita a guardare alla sua vita dal momento supremo del dono di sé per la rigenerazione della nigrizia. Nelle lettere scritte negli ultimi mesi della sua vita, egli appare come missionario accerchiato dalle difficoltà, ma radicato nelle fede: carestia, pestilenza e fame, mancanza d’acqua, scarsità di mezzi materiali per sostenere le iniziative missionarie, malattia e morte dei suoi missionari… Nelle sue parole, sono “tempi di desolazione” in cui “sono sventuratamente troppe le sofferenze da dovere alleviare”[8].
Davanti a queste difficoltà, Comboni rimane ancorato nella fede in Dio e nella visione missionaria che ha ispirato e sostenuto la sua vita. “Io sono felice nella croce, che portata volentieri per amore di Dio genera il trionfo e la vita eterna”: queste parole[9] racchiudono, in un momento cruciale, lo stato d’animo di tutta la sua vita. Questo ritorno ai piedi della Croce, alla contemplazione del Cuore trafitto, dove tutto è cominciato, riempie di luce e di coraggio il tempo del ritorno al Padre e sta all’origine della fiducia e del “coraggio per il presente e, soprattutto, per il futuro”[10] che Comboni instilla nei suoi missionari, nel momento dell’a-Dio: “Io muoio, ma l’opera non morirà!”[11].
Le due date del memoriale che facciamo quest’anno delineano un percorso di vita, nel quale la forza dello Spirito prende forma nella vita di san Daniele e rende percepibile e vivo un piccolo tassello “dell’amore illimitato” di Dio[12]; egli si lascia “formare” dall’Amore che contempla, tenendo lo sguardo fisso in Gesù crocifisso. San Daniele ci lascia una testimonianza che è generatrice di vita per il nostro oggi.
Tra nascere e morire. Celebriamo queste ricorrenze della vita di san Daniele Comboni dopo un anno, il 2020, segnato dalla pandemia del coronavirus. E il nuovo, 2021, è iniziato in tutto il mondo ancora sotto il segno dell’incertezza e della crisi sanitaria ed economica. Nella famiglia comboniana soffriamo per le conseguenze di questa situazione: abbiamo perso missionari e missionarie che, dopo anni di missione, ci arricchivano con la loro testimonianza e che speravano in una vecchiaia serena[13]; il ritmo delle nostre attività ha subito un arresto e i nostri piani e progetti sono rimasti sospesi; le limitazioni agli spostamenti ci hanno messo alla prova, sfidando la creatività per rimanere vicino ai poveri e agli ultimi, a chi soffre maggiormente le conseguenze della pandemia; ci sentiamo incapaci di scorgere una via e un tempo d’uscita e condividiamo il sentimento di smarrimento e di perdita che sta travolgendo tanti nostri fratelli e sorelle.
Guardando a Daniele Comboni, nell’arco della sua vita e vocazione missionaria, tra il nascere e il morire, vediamo come, nel momento della crisi e dell’incertezza, seppe riconoscere e attendere i movimenti dello Spirito, rivedere i suoi piani e rinnovare il suo impegno missionario, abbracciare la Croce e le difficoltà, vedere in esse il segno di una presenza amorosa e di un agire misterioso di Dio, di un’ora divina con la sua promessa di vita rinnovata. In tutte queste situazioni, egli si lascia attrarre dall’Amore di Dio per l’Africa e non si spaventa se è parte di un piccolissimo gruppo; persevera, sogna, assume i rischi ed è in grado di offrire la sua vita, senza misurare gli sforzi. Da lui impariamo gli atteggiamenti di cui abbiamo bisogno per vivere questo nostro tempo, tanto incerto, come un’ora di Dio: la pazienza e la fedeltà alla vocazione missionaria; la capacità di metterci in gioco con creatività, mettendo sempre le persone e Dio al centro; il senso della comunione (essere cenacolo) che ci tiene uniti e rafforza la nostra identità carismatica e la nostra vocazione missionaria nella Chiesa di oggi.
Daniele Comboni ci sprona a non lasciare che il peso del covid e le ricadute negative del distanziamento fisico, ci chiudano in noi stessi; a superare competizione e conflitto, recuperando lo spirito di collaborazione tra laiche, laici, suore, fratelli, sacerdoti; a far crescere il senso di comunione e la giovialità del vivere insieme che Comboni raccomandava ai suoi; a mantenere viva la speranza anche nel buio, riscoprendo la forza del prendersi cura e della resilienza; ad accettare i cambiamenti in atto e vedere opportunità dove altri vedono fallimento; ad assumere il nascere e morire come porte di passaggio, sfide alla creatività e occasione per sostenerci a vicenda; a considerare le perdite (di vite, posti di lavoro, salute e sicurezza sanitaria ed economica…) come occasione di conversione e di sostegno tra noi, individui, famiglie e comunità. Nella pandemia ci siamo mantenuti in comunione, abbiamo scambiato informazioni e avviato processi come il Forum della Ministerialità Sociale, di cui gli incontri sono fatti via zoom; la presente situazione ci sfida a cercare vie nuove per mantenerci uniti come famiglia comboniana e affrontare insieme momenti difficili e cambiamenti e continuare i processi di collaborazione[14].
La luce della testimonianza di san Daniele Comboni illumina il discernimento che quello che stiamo vivendo ci chiama a fare per il futuro immediato, che non sarà un semplice ritorno al passato che conosciamo. Ci offre i criteri per assumere i valori che ci stanno a cuore, l’amicizia e l’affetto di familiari e amici; per comprendere il destino comune dell’umanità, minacciata dalla pandemia e dalla catastrofe ecologica; per impegnarci nella trasformazione sociale (dal cambiamento climatico alla cura per la casa comune e la salute per ogni persona…) dando il nostro contributo con creatività, rinunciando al superfluo e favorendo la solidarietà.
Questi atteggiamenti hanno le loro radici nella fede, nel “forte sentimento di Dio” e nell’“interesse vivo per la Sua Gloria e il bene delle persone”, soprattutto degli impoveriti e marginalizzati, che sono l’antidoto che san Daniele suggerisce per contrastare lo stress della pandemia e l’incertezza dei tempi che viviamo. Egli ci ispira a guardare il mondo e gli avvenimenti che viviamo col “puro raggio della fede”[15] e ci avverte che il missionario (la missionaria) che non avesse questo sguardo “finirebbe per trovarsi in una specie di vuoto e d’intollerabile isolamento”[16]. E ci indica la strada per rimanere nella fedeltà: “… tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente e procurando d’intendere ogni ora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce…”[17]. Comboni parla di “una vampa di fuoco divino” che esce dal Cuore trafitto e che il missionario/la missionaria raccoglie ai piedi della croce per portare ovunque, quale fuoco che alimenta il proprio impegno per la rigenerazione delle persone e la trasformazione delle società in cui vive[18].
Tenere vivo questo Fuoco. La memoria della nascita e della morte di san Daniele Comboni ci ricorda che la sfida maggiore che viviamo in questo momento è precisamente questa, di mantenere vivo il fuoco, accesa questa vampa divina nei nostri cuori e “sentire la bellezza della paternità spirituale di san Daniele, che aveva il cuore ardente e (…) ha saputo accendere profeticamente il fuoco del Vangelo attraversando confini (…), incomprensioni, visioni limitanti, concretizzando una visione missionaria innovativa”. La fedeltà a Daniele Comboni si gioca nel “rimanere nel cammino da lui inaugurato” e “credere nella forza del fuoco, dello Spirito (…) che scende su di noi per farci diventare coraggiosi frequentatori del futuro”[19].
Consigli Generali delle SMC, MSC e dei MCCJ e il Comitato Internazionale dei LMC
[1] Lettera del 23 febbraio del 1996, per la Giornata di Riconciliazione. Il messaggio Guardando alla Roccia dalla quale siamo stati tagliati è del 6 aprile 1995.
[2]Dono da Accogliere e Approfondire, del 15 marzo del 2003.
[3]Daniele Comboni, Testimone di Santità e Maestro di Missione, del 1º settembre 2003.
[4] Sia con le visite alla casa natale a Limone come, soprattutto, con le lettere ai genitori, al padre una volta scomparsa la madre, ai cugini, ai parroci e ai cittadini di Limone. L’epistolario di Daniele Comboni col padre ci riporta 31 lettere. La prima è scritta dal Cairo il 19 ottobre 1857, l’ultima il 6 settembre 1881, un mese prima della morte.
[10] In Annali del Buon Pastore 27 gennaio del 1882.
[11] Giovanni Dichtl, lettera al Cardinale Simeoni del 29.9.1889.
[12] Daniele Comboni, Omelia di Khartum, Gli Scritti 3158.
[13] Nella prima ondata della pandemia sono morte 13 Suore Missionarie Comboniane, a Bergamo. Nella seconda, tra l’8 novembre 2020 e il 10 gennaio 2021, sono morti 20 Missionari Comboniani a Castel D’Azzano; e poi altri a Milano, a Ellwangen (Germania), a Guadalajara (Messico) e in Uganda; per un totale di 35. In tutto, alla fine di gennaio 2021, sono 48 i missionari e missionarie comboniani vittime del covid-19.
[14] I membri della commissione della famiglia comboniana, durante la preparazione del Forum della Ministerialità Sociale, hanno riflettuto insieme su questo tempo come una grande opportunità per nuove modalità di incontro, in attesa di momenti migliori per trovarsi di persona. Per mantenere vivo il processo, sono stati programmati due webinar. Nel primo, a dicembre, si sono iscritte 279 persone, rappresentanti di tutta la famiglia comboniana sparsa nel mondo.
[15] Daniele Comboni, Omelia a Khartoum, Gli Scritti 2745.
[16] Daniele Comboni, Regole del 1871, Capitolo X.
[17] Daniele Comboni, Regole del 1871, Capitolo X.
[18] Daniele Comboni, Piano per la Rigenerazione dell’Africa, IV Edizione, Verona 1871, Scritti 2742. “… Trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia…”.
[19] Cardinale José Tolentino de Mendonça, Omelia nella memoria di san Daniele Comboni, Roma 10 ottobre 2020.
“Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…” (Mt 20,18). Quaresima: tempo per rinnovare fede, speranza e carità.
Cari fratelli e sorelle,
annunciando ai suoi discepoli la sua passione, morte e risurrezione, a compimento della volontà del Padre, Gesù svela loro il senso profondo della sua missione e li chiama ad associarsi ad essa, per la salvezza del mondo.
Nel percorrere il cammino quaresimale, che ci conduce verso le celebrazioni pasquali, ricordiamo Colui che «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). In questo tempo di conversione rinnoviamo la nostra fede, attingiamo l’“acqua viva” della speranza e riceviamo a cuore aperto l’amore di Dio che ci trasforma in fratelli e sorelle in Cristo. Nella notte di Pasqua rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo, per rinascere uomini e donne nuovi, grazie all’opera dello Spirito Santo. Ma già l’itinerario della Quaresima, come l’intero cammino cristiano, sta tutto sotto la luce della Risurrezione, che anima i sentimenti, gli atteggiamenti e le scelte di chi vuole seguire Cristo.
Il digiuno, la preghiera e l’elemosina, come vengono presentati da Gesù nella sua predicazione (cfr Mt 6,1-18), sono le condizioni e l’espressione della nostra conversione. La via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa.
1.La fede ci chiama ad accogliere la Verità e a diventarne testimoni, davanti a Dio e davanti a tutti i nostri fratelli e sorelle.
In questo tempo di Quaresima, accogliere e vivere la Verità manifestatasi in Cristo significa prima di tutto lasciarci raggiungere dalla Parola di Dio, che ci viene trasmessa, di generazione in generazione, dalla Chiesa. Questa Verità non è una costruzione dell’intelletto, riservata a poche menti elette, superiori o distinte, ma è un messaggio che riceviamo e possiamo comprendere grazie all’intelligenza del cuore, aperto alla grandezza di Dio che ci ama prima che noi stessi ne prendiamo coscienza. Questa Verità è Cristo stesso, che assumendo fino in fondo la nostra umanità si è fatto Via – esigente ma aperta a tutti – che conduce alla pienezza della Vita.
Il digiuno vissuto come esperienza di privazione porta quanti lo vivono in semplicità di cuore a riscoprire il dono di Dio e a comprendere la nostra realtà di creature a sua immagine e somiglianza, che in Lui trovano compimento. Facendo esperienza di una povertà accettata, chi digiuna si fa povero con i poveri e “accumula” la ricchezza dell’amore ricevuto e condiviso. Così inteso e praticato, il digiuno aiuta ad amare Dio e il prossimo in quanto, come insegna San Tommaso d’Aquino, l’amore è un movimento che pone l’attenzione sull’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stessi (cfr Enc. Fratelli tutti, 93).
La Quaresima è un tempo per credere, ovvero per ricevere Dio nella nostra vita e consentirgli di “prendere dimora” presso di noi (cfr Gv 14,23). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, anche dalla saturazione di informazioni – vere o false – e prodotti di consumo, per aprire le porte del nostro cuore a Colui che viene a noi povero di tutto, ma «pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14): il Figlio del Dio Salvatore.
2.La speranza come “acqua viva” che ci consente di continuare il nostro cammino
La samaritana, alla quale Gesù chiede da bere presso il pozzo, non comprende quando Lui le dice che potrebbe offrirle un’“acqua viva” (Gv 4,10). All’inizio lei pensa naturalmente all’acqua materiale, Gesù invece intende lo Spirito Santo, quello che Lui darà in abbondanza nel Mistero pasquale e che infonde in noi la speranza che non delude. Già nell’annunciare la sua passione e morte Gesù annuncia la speranza, quando dice: «e il terzo giorno risorgerà» (Mt 20,19). Gesù ci parla del futuro spalancato dalla misericordia del Padre. Sperare con Lui e grazie a Lui vuol dire credere che la storia non si chiude sui nostri errori, sulle nostre violenze e ingiustizie e sul peccato che crocifigge l’Amore. Significa attingere dal suo Cuore aperto il perdono del Padre.
Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione. Il tempo di Quaresima è fatto per sperare, per tornare a rivolgere lo sguardo alla pazienza di Dio, che continua a prendersi cura della sua Creazione, mentre noi l’abbiamo spesso maltrattata (cfr Enc. Laudato si’, 32-33.43-44). È speranza nella riconciliazione, alla quale ci esorta con passione San Paolo: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Ricevendo il perdono, nel Sacramento che è al cuore del nostro processo di conversione, diventiamo a nostra volta diffusori del perdono: avendolo noi stessi ricevuto, possiamo offrirlo attraverso la capacità di vivere un dialogo premuroso e adottando un comportamento che conforta chi è ferito. Il perdono di Dio, anche attraverso le nostre parole e i nostri gesti, permette di vivere una Pasqua di fraternità.
Nella Quaresima, stiamo più attenti a «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Enc.Fratelli tutti [FT], 223). A volte, per dare speranza, basta essere «una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza» (ibid., 224).
Nel raccoglimento e nella preghiera silenziosa, la speranza ci viene donata come ispirazione e luce interiore, che illumina sfide e scelte della nostra missione: ecco perché è fondamentale raccogliersi per pregare (cfr Mt 6,6) e incontrare, nel segreto, il Padre della tenerezza.
Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” (cfr Ap 21,1-6). Significa ricevere la speranza di Cristo che dà la sua vita sulla croce e che Dio risuscita il terzo giorno, «pronti sempre a rispondere a chiunque [ci] domandi ragione della speranza che è in [noi]» (1Pt 3,15).
3. La carità, vissuta sulle orme di Cristo, nell’attenzione e nella compassione verso ciascuno, è la più alta espressione della nostra fede e della nostra speranza.
La carità si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione.
«A partire dall’amore sociale è possibile progredire verso una civiltà dell’amore alla quale tutti possiamo sentirci chiamati. La carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo nuovo, perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti» (FT, 183).
La carità è dono che dà senso alla nostra vita e grazie al quale consideriamo chi versa nella privazione quale membro della nostra stessa famiglia, amico, fratello. Il poco, se condiviso con amore, non finisce mai, ma si trasforma in riserva di vita e di felicità. Così avvenne per la farina e l’olio della vedova di Sarepta, che offre la focaccia al profeta Elia (cfr 1 Re 17,7-16); e per i pani che Gesù benedice, spezza e dà ai discepoli da distribuire alla folla (cfr Mc 6,30-44). Così avviene per la nostra elemosina, piccola o grande che sia, offerta con gioia e semplicità.
Vivere una Quaresima di carità vuol dire prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia a causa della pandemia di Covid-19. Nel contesto di grande incertezza sul domani, ricordandoci della parola rivolta da Dio al suo Servo: «Non temere, perché ti ho riscattato» (Is 43,1), offriamo con la nostra carità una parola di fiducia, e facciamo sentire all’altro che Dio lo ama come un figlio.
«Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia trasformato dalla carità, che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e apprezzati nella loro immensa dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e pertanto veramente integrati nella società» (FT, 187).
Cari fratelli e sorelle,ogni tappa della vita è un tempo per credere, sperare e amare. Questo appello a vivere la Quaresima come percorso di conversione, preghiera e condivisione dei nostri beni, ci aiuti a rivisitare, nella nostra memoria comunitaria e personale, la fede che viene da Cristo vivo, la speranza animata dal soffio dello Spirito e l’amore la cui fonte inesauribile è il cuore misericordioso del Padre.
Maria, Madre del Salvatore, fedele ai piedi della croce e nel cuore della Chiesa, ci sostenga con la sua premurosa presenza, e la benedizione del Risorto ci accompagni nel cammino verso la luce pasquale.
Roma, San Giovanni in Laterano, 11 novembre 2020, memoria di San Martino di Tours
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