Laici Missionari Comboniani

Laici missionari, esempio di cattolicità, inculturazione e contaminazione religiosa

Etiopia
Etiopia

Qualche anno fa mi era stato chiesto di esprimere la mia idea di cattolicità ad un gruppo di giovani della regione caucasica dell’ex Unione sovietica. Non avendo padronanza specifica in materia sul piano teologico o ecclesiologico e ancor meno dottrinale, per affrontare questo tema per niente banale o secondario rispetto agli elementi che contraddistinguono le “appartenenze” cristiane soprattutto in quella parte del mondo, mi sono semplicemente avvalso della mia personale esperienza di “cattolico”, attingendo alle tante occasioni di incontro che ho potuto avere con varie realtà ecclesiali, sociali e culturali di matrice cristiana nei cinque Continenti.

In particolare, a quei giovani riuniti per un fine settimana di spiritualità e condivisione conviviale anche con le famiglie del luogo, ho accennato all’esperienza vissuta con la mia famiglia in Etiopia, unico Paese dell’Africa sub-sahariana a vantare una identità cristiana risalente ai tempi della predicazione apostolica (Atti 8: 26-27), secondo la tradizione della chiesa ortodossa Tewahedo (termine che in lingua gh’ez idioma liturgico dell’Etiopia- starebbe per “uniti come uno”, in riferimento alla natura divina e umana di Gesù Cristo, che si riflette nello spirito di unità della Chiesa).

In Etiopia, è presente una numericamente piccola ma molto attiva e apprezzata Chiesa cattolica che si esprime nei due riti: alessandrino-etiopico, derivato dalla tradizione condivisa nei secoli (non senza incomprensioni e conflitti) con la chiesa ortodossa, e latino- romano, proprio della più recente attività missionaria iniziata nella seconda metà dell’Ottocento.

Questa diversità, sebbene a volte fonte di controversie e malintesi sotto vari aspetti su cui non è opportuno soffermarci ora, è soprattutto motivo di reciproco arricchimento sia spirituale che umano.

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L’espressione cattolico richiama immediatamente ad un valore di universalità, che per la Chiesa cattolica assume non solo e non tanto il significato di unico centro di amministrazione del “potere” in Roma per tutte le chiese sparse nel mondo, ma le riconosce in particolare la capacità di sapersi esprimere come «unità nella diversità», in una vitale pluralità di espressioni della fede cristiana. Una unità che, come sappiamo, non è certo già realizzata, ma che viene costantemente perseguita anche attraverso un paziente lavoro ecumenico per superare lo «scandalo» delle divisioni di varia natura presenti nella Chiesa e realizzare la volontà di Cristo: «che tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).

Una Chiesa, quindi, che riconosce la fratellanza dei cristiani perché uniti nell’unico battesimo, fratelli e sorelle con tutta l’umanità: una Chiesa cattolica, insomma!

E, partendo da queste semplici considerazioni, mi sono ritrovato a descrivere uno spaccato di vita “cattolica” di tanti laici missionari fidei donum che in molte parti del mondo esprimono, con la loro presenza di comuni battezzati, un senso di fraternità solidale ispirata dal Vangelo, che non ha confini geografici e non pretende di imporre barriere culturali nei confronti dei più poveri ai quali i laici fidei donum prestano il loro servizio sia di evangelizzazione che di promozione umana.

Quando, parlando con un anziano missionario, ho usata il termine “contaminazione” per descrivere una modalità con cui i laici missionari, soprattutto i giovani, sono particolarmente coinvolti nel prestare attenzione alle diverse tradizioni religiose cristiane presenti nei Paesi in cui operano, mi ha subito opposto la sua contrarietà, ritenendo tale espressione del tutto negativa, come se io volessi inquinare una fonte d’acqua pura, cioè quella che da lui giustamente era ritenuta l’“unica” Chiesa di Roma, con sostanze “velenose” sprigionate dalle diversità presenti nelle “Chiese sorelle” che, invece, proprio per le loro particolarità, contribuiscono a rendere la Chiesa davvero cattolica, universale.

Le diversità sane nella Chiesa non sono frutto di personalismi o settarismi, né tanto meno di lotte di potere, ma derivano da consolidate esperienze di condivisione della fede che si innestano, anche modificandolo, nell’albero ultra-millenario delle culture e delle tradizioni dei popoli. Come potremmo altrimenti noi “occidentali” sentirci pienamente partecipi di una fede generata in terra d’Oriente?

E’ proprio il paziente e ponderato sforzo di inculturazione del Vangelo da parte degli annunciatori della Buona Notizia, tra i quali figurano sempre più  laiche e laici genuini testimoni di cattolicità a privilegio dei poveri, che rende possibile un reale radicamento della fede cristiana nella storia dei popoli e dell’umanità intera.

LAICI E MISSIONE AD GENTES – di Beppe Magri

*Giuseppe Magri è stato con la moglie Anita Cervi e la famiglia in più periodi durati anni volontario in Etiopia con l’LVIA. Ha ricoperto diversi incarichi legati al mondo missionario in ambiti nazionali. Attualmente è membro del Comitato della Conferenza Episcopale Italiana per gli Interventi Caritativi a favore del Terzo Mondo. Con Anita vive in una canonica nella montagna veronese, a servizio della comunità ecclesiale.

Libro: Noi siamo missione

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“La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei Figli di Dio” (Rom. 8,19)

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Carissime e carissimi nel nome del nostro Signore Gesù, vi salutiamo cordialmente!

Come ben ricorderete, due anni fa circa, è stato pubblicato il primo volume, dal titolo: “Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”, dove erano state raccolte soprattutto le idee, che ci animano e guidano in modo particolare all’interno dei percorsi inerenti alla GPIC. Questi percorsi, a loro volta, sono stati resi possibili anche dall’incontro tra i Fori Sociali Mondiali (FSM) e i Fori organizzati come Famiglia Comboniana in concomitanza ai FSM. Nei 150 anni di Storia e di Vita, i nostri Istituti si sono arricchiti di una grande esperienza ministeriale grazie soprattutto alla dedizione di moltissimi e moltissime missionarie che hanno interpretato con creatività e passione apostolica la specificità del nostro Carisma.

Questo secondo volume dal titolo: “Noi siamo missione: testimoni di ministerialità sociale nella famiglia comboniana”, presenta una gamma significativa di esperienze ministeriali concrete. Il nostro desiderio è che la condivisione di queste esperienze, scelte tra tante altre, prima di tutto ci aiuti a valorizzare quello che già facciamo, grazie al Dono dello Spirito Santo e alle nostre risposte personali e comunitarie. Inoltre, questa pluralità di esperienze condivise ci aiuta ad apprezzare le diverse azioni ministeriali comboniane che si completano e si arricchiscono a vicenda, rivelandoci la ricchezza del Carisma in una crescente dinamicità.

Chiediamo ai nostri Superiori Provinciali, di prendersi cura nel distribuire a tutte le comunità le copie stampate e anche la copia digitale in quattro lingue di questo secondo volume, perché tutte e tutti possano godere del lavoro fatto insieme e in collaborazione di oltre 40 confratelli e consorelle Comboniani.

Ringraziamo i membri della Commissione Ministerialità Sociale della Famiglia Comboniana che hanno lavorato con passione e competenza alla cura di questo secondo volume e alla mappatura delle nostre presenze comboniane di ministerialità sociale sparse nel mondo. A dicembre 2020, Covid-19 permettendo, si realizzerà il Forum sulla Ministerialità Sociale a Roma.

Queste iniziative e attività sono parte di un grande cammino di sinergia e collaborazione dei membri della Commissione e di tanti confratelli e consorelle, che, sicuramente porterà entusiasmo e apertura al nuovo a cui il Signore sta guidandoci. Tutto questo richiede, comunque, da parte di tutta la Famiglia Comboniana una grande apertura di cuore, mente, creatività e impegno che affidiamo all’ intercessione del nostro grande fondatore San Daniele Comboni.

Maria, Donna del Vangelo insegnaci ad annunciare tuo Figlio Gesù nel nostro impegno ministeriale!

Sr. Luigia Coccia, smc                        P. Tesfaye Tadesse, mccj

Potete scaricare il libro seguendo questo link

Cara Guilherma, riposa nelle braccia del Padre

LMC Guilherma Vicenti
LMC Guilherma Vicenti

Navigare, è ciò che voglio, nelle acque di questo mare… solo amare, il mio posto cercare/senza dubbi né paura di sognare”.

È con un misto di tristezza e speranza che i Laici Missionari Comboniani del Brasile hanno comunicato la morte di Guilherma Vicenti che ha passato in Mozambico tanti anni della sua vita missionaria.

Guilherma portava nelle lettere iniziali del suo nome quello che è sempre stata: una guerriera! Donna di fede e di lotta. Ovunque è passata, in missione, ha lasciato i segni del suo servizio e della sua dedizione missionaria. Ancora oggi, nella testimonianza delle persone che sono state con lei, si sentono l’affetto e la gratitudine per la sua presenza.

Premurosa e attenta, preparava sempre con grande cura l’accoglienza di chi arrivava, sia per restare che per fare una visita.

Siamo convinti che Dio, nella sua infinita bontà e misericordia, preparerà con raddoppiato affetto l’accoglienza della nostra cara Gui nel suo Regno, assieme a tutta la comunità missionaria che è già lì, perché possa far parte del gruppo di quanti intercedono da vicino presso il Padre per tutti i missionari e le missionarie.

Con profonda gratitudine a Dio per l’opportunità che abbiamo avuto di vivere con lei e di imparare assieme a lei, in questo momento ci uniamo, in preghiera e solidarietà, ai suoi familiari e amici.

Sinceramente,

Consiglio ALMC

A nome di tutte e tutti i LMC del Brasile.

Omaggio a Guilherma Vicente – LMC Brasil, partita per la Casa del Padre il 10 giugno 2020 – Così ricorderemo Gui!

Una delle sue presenze missionarie è stata a Maputo, con giovani e donne alle quali ha insegnato taglio e cucito industriale. Questo video è stato realizzato per onorarla alla Mostra Missionaria della Parrocchia di Sant’Amelia nel 2017 per la sua appartenenza alla Famiglia Comboniana.

Agroecologia in Brasile

Brasil

L’agroecologia è ancora molto timida nella regione di Tocantina de Maranhão. Speriamo che questa iniziativa possa facilitare l’adozione di questa innovazione, che è allo stesso tempo un insieme di pratiche agricole, una scienza e un movimento sociale. Per questo, la collaborazione e il dialogo con diversi attori sono molto importanti, come istituti di insegnamento e di ricerca (Case rurali per famiglie, IFMA, UEMASUL …), sindacati, insediamenti, movimenti sociali rurali, organizzazioni di assistenza tecnica, segreterie comunali di agricoltura e società in generale. Ma soprattutto con agricoltori innovativi e irrequieti. Siamo pronti per aggiungere in questo viaggio comune.

Con sottotitoli in portoghese, spagnolo, inglese, italiano e francese.

LMC in Brasile

Laicato e Ministerialità

Laicado
Laicado

Laicato e ministerialità

Tenteremo di fare una riflessione sulla ministerialità da una prospettiva laicale, in particolare dal punto di vista della vocazione missionaria comboniana. Prima però di addentrarci in questi ministeri e servizi dal punto di vista della fede, credo sia importante inquadrare l’argomento.

La nostra vita prende una svolta quando facciamo un incontro personale con Gesù di Nazaret. Condividiamo questa società con molti uomini e donne di buona volontà. Ciascuno con principi e valori che orientano le sue azioni e le sue scelte di vita. Ma per noi esiste un “prima di” e un “dopo” aver conosciuto Gesù. Come i primi discepoli, un giorno abbiamo incontrato Gesù sulla nostra strada. Il nostro cuore ha sobbalzato e le nostre labbra hanno chiesto “Dove abiti?”. E la sua risposta è stata “vieni e vedi”. A partire da quel momento la nostra vita è cambiata.

Sono tante le vie attraverso le quali siamo giunti a questo incontro: per molti è stato grazie alle nostre famiglie, alle nostre comunità cristiane, ai nostri amici, a circostanze della vita che ci sono capitate… indubbiamente la casistica è molto vasta. Ma ciò che è realmente determinante, è la risposta data, a partire dalla libertà, e le conseguenze di questa risposta in ciascuna delle nostre vite. La risposta è libera, nessuno ci costringe a darla, è una grazia che abbiamo ricevuto e, di conseguenza, il riconoscimento di una nuova vita.

Il laico è prima di tutto un seguace di Cristo. Non si tratta di seguire un’ideologia né semplicemente di lottare per delle cause giuste che contribuiscano ad una nuova umanità più giusta e dignitosa per tutti, né vuol dire seguire tutti i precetti della religione che possono aiutarci nel nostro rapporto con Dio. Essere cristiani vuol dire innanzitutto seguire Gesù, uscire dalla nostra zona di confort e mettersi in cammino. Prendere il necessario per andare leggeri ed essere sempre aperti e disponibili in questo seguire. Gesù ci mostrerà, lungo questo cammino, qual è la nostra parte di responsabilità nell’annuncio e costruzione del Regno.

Noi diciamo di essere in costante discernimento che non è uno stato di dialogo costante con il Signore. È vero che esistono momenti speciali di discernimento nella vita di ogni persona. Sono quelli che riguardano la sua vocazione principale, come nel caso del matrimonio o della vocazione alla quale ci sentiamo chiamati, come la vocazione missionaria, e anche il genere di professione attraverso la quale vogliamo o sentiamo di poter servire gli altri, scegliendo un certo tipo di studi o un altro, un certo lavoro o un altro. È fondamentale per la vita di ogni persona capire questa chiamata a fare l’infermiere, il medico, l’insegnante, il dirigente d’azienda, l’avvocato, l’educatore, o a lavorare nel campo sociale, o essere un politico, fare l’artigiano, ecc.

Momenti vitali che nella nostra adolescenza, gioventù ed età adulta si presentano in maniera significativa. Ma, al di là di questi momenti, che ci manterranno sul cammino nei momenti difficili, in questo cammino vogliamo rimanere in ascolto. Non vogliamo accomodarci. Nella vita si presentano continuamente nuove sfide e nuove chiamate da parte di Gesù. Per noi, come missionari, avere la valigia pronta è qualcosa che fa parte della nostra vocazione. Siamo chiamati ad accompagnare le persone, le comunità per un determinato periodo, per poi andare via, perché l’andare via è parte essenziale. Uscire o continuare a crescere. Non rimaniamo sempre uguali per anni perché riconosciamo che le necessità cambiano. Siamo chiamati a lasciare la nostra terra e a viaggiare in altri paesi, in altre culture; siamo chiamati a svolgere nuovi servizi, a ritornare nei nostri luoghi di origine, ad assumere nuovi impegni: tutto questo fa parte della nostra vocazione. In ogni chiamata, ad ogni nuovo cambiamento, dobbiamo capire quali sono i piani del Signore per noi. Perché ci chiede di andare in un altro continente o di tornare nel nostro luogo di origine quando stavamo facendo così bene presso quella gente, quando addirittura sembravamo così necessari in quel luogo, la vita ci porta a cambiare posto, a cominciare di nuovo…

Perché quando ci sembrava di essere arrivati in un porto definitivo, c’è qualcosa dentro di noi che ci interroga, ci inquieta? È il Signore che ci parla. Con Lui abbiamo un rapporto di amicizia che ci aiuta a crescere. Come amici condividiamo la vita e i nuovi progetti che la attraversano. Con momenti di maggiore stabilità ma anche con momenti di nuove sfide. Non siamo venuti a riposarci su questa terra ma a far fruttare la vita e a permettere e a lottare affinché anche altri possano goderne.

Noi rispondiamo a questa chiamata non solo in maniera individuale ma anche dall’interno di una comunità. Non camminiamo da soli. Questo è parte della nostra vocazione cristiana, l’appartenenza alla Chiesa, come ci sentiamo parte anche di tutta l’umanità. E come parte di questa Chiesa ci sentiamo chiamati ad un servizio comune. Come Laici Missionari Comboniani (LMC) sentiamo questa appartenenza alla Chiesa di Gesù. E sentiamo che questa vocazione specifica che abbiamo ricevuto è una vocazione e una responsabilità comunitaria. Abbiamo una chiamata personale ma anche una chiamata come comunità e comunità di comunità. Riconosciamo la Chiesa come sacramento universale di salvezza, ciascuno con la propria specificità, doni e carisma per l’annuncio e la costruzione del Regno.

Gesù chiama i suoi discepoli a vivere, a percorrere il cammino in comunità. Sappiamo che solo con l’aiuto di Gesù possiamo camminare e come comunità abbiamo bisogno di quella spiritualità profonda che ci unisce a Gesù, al Padre e allo Spirito. Un cammino dove la preghiera, la vita di fede e la comunità diventano nutrimento e riferimento per la vita del LMC.

La centralità della missione in Comboni. La Chiesa al servizio della missione

Comboni aveva ben chiara la centralità della missione nella sua vocazione e la necessità di questa nella Chiesa. Davanti alle necessità dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi siamo chiamati a dare una risposta. E questa risposta è talmente necessaria e complessa che non siamo chiamati a darla individualmente bensì come Chiesa. Tutti e ciascuno di noi cristiani siamo chiamati a rispondere a questa chiamata. Non importa il nostro stato ecclesiale, ciascuno di noi deve dare una risposta di fede. Gesù chiama ciascuno a camminare. Ed è per la complessità delle necessità che esistono che lo Spirito suscita nel mondo e nella sua Chiesa vocazioni diverse, carismi diversi che diano il loro contributo a questa realtà.

Identificare la Chiesa con il clero o anche con i religiosi e le religiose vuol dire non capire Gesù, vuol dire non ascoltare lo Spirito. L’attività e la chiamata al sacerdozio o alla vita religiosa nei suoi numerosi aspetti è fondamentale per il mondo, ma non più dell’impegno di tutti e di ciascuno dei laici. La Chiesa non ha solo una responsabilità legata alla religiosità e spiritualità delle persone. Abbiamo una responsabilità sociale, familiare, ambientale, educativa, sanitaria, ecc. con il mondo intero.

Le cose di ogni giorno sono le cose di Dio. Le piccole cose sono le cose di Dio. L’attenzione ad ogni persona nel concreto e nelle necessità globali sono responsabilità dei seguaci di Gesù. E in tutte queste cose, il ruolo del laicato è fondamentale, dell’uomo e della donna, in campo materiale e spirituale… così lo intese Comboni e così lo intendiamo anche noi.

Comboni

Il laico nel mondo

In questa chiamata globale che abbiamo ricevuto, la Chiesa si presenta come comunità di riferimento. È nutrimento per il servizio. Luogo dove riprendere le forze, dove nutrirsi in maniera privilegiata anche se non unica.

Come laici siamo chiamati a far nascere radici che stabilizzino il terreno e lo arricchiscano, siamo chiamati a creare reti di solidarietà e di relazione che articolino la società, attraverso la famiglia, le piccole comunità di condominio, di quartiere, entità sociali, aziende… siamo grandi creatori di reti di relazione, collaborazione e lavoro. Viviamo coinvolti in tutte queste reti e siamo chiamati ad animarle, a dare loro una spiritualità perché siano al servizio delle persone, soprattutto dei più deboli. Siamo chiamati ad includere tutte le persone. Il nostro sguardo deve concentrarsi sui più poveri e abbandonati di cui parlava Comboni, sugli esclusi da questa società, deve essere uno sguardo che ci spinge a stare nelle periferie perché è dal basso che le cose si vedono in maniera diversa. Non possiamo adattarci ad una società dove non tutti hanno una vita dignitosa. Una società dove si premia l’avere e non l’essere e il consumo che sta devastando un pianeta finito che grida e reclama la nostra responsabilità globale.

Questa visione che deve interrogare la nostra vita ci chiede azioni concrete.

La chiamata del laico è una chiamata al servizio dell’umanità. Una chiamata che per alcuni sarà di servizio interno alla nostra Chiesa. Non possiamo pensare che il buon laico sia colui che aiuta in parrocchia e perdere di vista la nostra vocazione di servizio al mondo. Alcuni servizi interni sono necessari ma la Chiesa è chiamata ad uscire. Ad andare con Gesù sulla strada, ad andare di villaggio in villaggio, di casa in casa, ad aiutare nelle piccole e grandi cose. Siamo chiamati ad essere sale che dà sapore, lievito nella pasta… chiamati a stare nel mondo e a contribuire in maniera significativa. Non possiamo rimanere in casa dove ci troviamo bene, dove ci comprendiamo gli uni con gli altri. Siamo chiamati ad uscire. La Chiesa non nasce per sé stessa ma per essere comunità di credenti che segue Gesù e serve i più bisognosi. Per questo ci sentiamo chiamati ad essere di aiuto nella crescita delle comunità umane (anche quelle cristiane).

Qual è la risposta che stiamo dando a questa chiamata come LMC?

Attualmente c’è un’ampia riflessione in tutta la Chiesa sullo specifico missionario. Su quali sono e dovrebbero essere i nostri servizi in quanto missionari, i nostri ministeri specifici. Ormai si è perduta la referenzialità geografica della missione, il riferimento fra un nord ricco e un sud da sviluppare, dove le disuguaglianze e le difficoltà sono presenti in tutti i paesi, anche se in alcuni continuano a concentrarsi la maggior parte delle ricchezze e delle possibilità mentre in altri le difficoltà sono molto più gravi… Infatti, la miseria è dilagante tra i senzatetto nei cosiddetti paesi ricchi, le migrazioni forzate a causa della povertà, le guerre, le persecuzioni per motivi diversi, i cambiamenti climatici e altri fattori stanno facendo sì che un fenomeno da sempre presente nell’umanità si stia aggravando. La pandemia del COVID-19 ci ricorda la globalità della nostra umanità al di sopra di barriere e frontiere. Ci colpisce tutti e tutte allo stesso modo. Finora il denaro sembrava essere l’unico in grado di viaggiare senza passaporto, ma ora sembra che possa farlo anche il virus.

Solo in un mondo giusto tutti potremo vivere in pace e prosperità. Le disuguaglianze salariali, i conflitti, il consumo scriteriato al punto da sciogliere i ghiacci dei poli e via dicendo finiscono per influire e avere conseguenze su tutta l’umanità. Le barriere e la polizia, che siano alle frontiere o nelle case o nelle zone urbane di chi ha di più, non otterranno un mondo migliore per tutti né per quelli che vi si rifugiano dietro.

Di fronte a tutto ciò, il dibattito e la riflessione sullo specifico del laicato missionario in questa nuova epoca è chiaro. Non avrò la pretesa di entrare nell’argomento in maniera teorica. Vi presenterò semplicemente alcune delle attività in cui siamo presenti come laici per dare una risposa alla chiamata ricevuta.

È questa la nostra ministerialità, il servizio a cui ci sentiamo chiamati. La risposta di vita, non teorica, che stiamo dando. Non mi dilungherò. Indicherò solo alcuni esempi che possano chiarire; tanti altri rimarranno nell’anonimato… non per niente siamo chiamati ad essere pietre nascoste.

Abbiamo amici e amiche che lavorano con i pigmei e con il resto della popolazione nella Repubblica Centrafricana, un paese dove siamo da oltre 25 anni. In mezzo a quanti sono considerati come servi dalla maggioranza della popolazione; facendo da ponte di inclusione o assumendoci la responsabilità di una rete di scuole primarie in un paese che ha attraversato vari colpi di stato ed è da anni in una situazione di guerra che non permette allo stato di fornire questi servizi.

In Perù accompagniamo la gente alla periferia delle grandi città. Negli insediamenti abusivi dove chi viene dalla campagna strappa un pezzo di terra alla città per vivere, senza luce, senza acqua né fognature. Poche famiglie che lottano per una vita dignitosa, che hanno lasciato i loro paesini per la città per poter mangiare e dare una vita migliore ai propri figli. Dove c’è molta solidarietà fra vicini e accoglienza ma anche problemi causati dall’alcol, dalla violenza maschilista e dalla disgregazione di molte famiglie.

In Mozambico collaboriamo nell’educazione dei giovani, maschi e femmine, che andando via dalle loro comunità dell’interno, sperano di potersi formare per risollevare il paese. Hanno bisogno di scuole che diano loro questa formazione professionale e internati che consentano loro di vivere durante il periodo scolastico, dato che le loro case sono molto distanti. Anche accompagnare questi giovani e le comunità cristiane fa parte della nostra chiamata.

Dall’altra parte, siamo presenti in Brasile, nella lotta contro le grandi compagnie estrattiviste che cacciano via le comunità dalle loro terre, avvelenano i fiumi e l’aria, interrompono le comunicazioni o le isolano con i loro treni chilometrici che estraggono i minerali della zona senza preoccuparsi dell’ambiente o del bene delle persone.

Inoltre, in molti paesi europei siamo coinvolti nell’accoglienza agli immigrati. Cerchiamo di restituire quanto abbiamo ricevuto quando anche noi eravamo stranieri. Siamo chiamati a ricevere quanti fuggono dalla miseria e dalle guerre, quanti sono in cerca di un futuro migliore per le loro famiglie e che al loro arrivo si trovano davanti muri non solo di cemento e reti metalliche ma anche di paura e di incomprensione da parte della popolazione. Fare da ponte con una popolazione che continua ad essere ospitale e solidale, presenti nelle organizzazioni sociali ed ecclesiali che si mobilitano per accogliere e integrare i nuovi vicini. Dall’accoglienza sulla spiaggia fino all’aiuto per la lingua, la ricerca di un lavoro, di una casa, per la trafila amministrativa o a riconoscere la ricchezza che ci portano e il valore aggiunto che rappresentano per la nuova società. Valorizzando quello che sono e le loro culture ed essendo dei referenti per queste ultime in un mondo che non sempre le comprende.

Quando la società crolla e l’essere umano è sconfitto non sappiamo cosa fare con queste persone. La reclusione in carcere è la soluzione che abbiamo dato come società. Ma queste carceri molto spesso diventano scuola di delinquenza e non di riabilitazione, come dovrebbero. Fra queste ci sono le APAC che sono nate in Brasile e che a poco a poco si stanno estendendo. Un sistema di reclusione dove la persona che arriva è considerata come uno da recuperare e non un detenuto, che viene chiamata con il suo nome e non con un numero. Protagonista della sua vita, la si aiuta a comprendere il suo errore e la necessità di chiedere perdono e a reinserirsi come membro attivo nella società. Un metodo dove la comunità opera un cambiamento e crea ponti recuperando i suoi figli e le sue figlie che un giorno hanno commesso un errore; dove queste persone da recuperare hanno le chiavi delle porte e man mano assieme agli altri capiscono la dignità di essere figli di Dio, il pentimento e il loro valore come persone per la società.

Il modo in cui si vive nei paesi con maggiori risorse sta esaurendo un pianeta finito. Le relazioni commerciali internazionali stanno impoverendo tanti a beneficio di pochi… promuovere un nuovo stile di vita è fondamentale per cambiare i paradigmi e i valori che si dimostrano come gli unici validi per un esito sociale e per la felicità. In una società in cui il possesso e il consumo prevalgono sull’essere, bisogna proporre nuovi stili di vita. Anche in questo siamo coinvolti in Europa: proponendo nuovi stili di vita, di impegno, di responsabilità nel consumo, nell’economia, ecc.

Potremo così proseguire con attività legate ad un’educazione impegnata con gli esclusi delle periferie delle nostre città, nell’attenzione ai malati mostrando il volto di Dio che li accompagna e la mano di Dio che se ne prende cura, nell’attenzione ai senzatetto, alle persone con dipendenze, ecc.

Come missionari siamo e dobbiamo rendere tutti consapevoli della realtà di un mondo globalizzato che richiede un’azione congiunta, una nuova presa di posizione. Perciò, ogni nostra piccola azione, tutti i nostri granelli di sabbia danno forma a piccole montagne dove salire, vedere e sognare un mondo diverso.

Salire con la gente con cui viviamo tutti i giorni. Chiamati in particolare a quanti vivono sommersi senza possibilità di vedere un orizzonte, di uscire dalle proprie difficoltà, siamo chiamati ad alzare la testa e a guardare avanti, ad animare e accompagnare queste comunità. Siamo chiamati a stare lì dove nessuno vuole andare.

Tutti chiamati a lottare in maniera globale per i problemi che sono globali, ad unirci e ad essere promotori di reti di solidarietà in questa umanità che abita la casa comune, che dimostra ogni giorno di essere più piccola.

E in mezzo, mettere Gesù, la persona che ha cambiato la nostra vita. Dio è un diritto di ogni uomo e di ogni donna. Ci sentiamo responsabili di far conoscere la Buona Novella, di presentare un Dio vivo che sta in mezzo a noi, che cammina con noi, che come ci ha mostrato Gesù di Nazaret non ci abbandona e ci accompagna sempre. Dentro ogni persona, nel più bisognoso, nella comunità, Dio aspetta ciascuno di noi, per trasformare la nostra vita, riempirla di felicità, di una felicità profonda. Dio ci aspetta per darci l’acqua viva, quell’acqua che colma la sete dell’essere umano.

Che il Signore ci dia le forze per poter essere sempre presenti e accompagnare, essere uno strumento che porta le persone ad incontrarlo e ci tenga sempre accanto a lui nel cammino.

LMC

Alberto de la Portilla, LMC