Ricordo spesso i nostri incontri: due in Vaticano e uno a Santa Cruz de La Sierra, e vi confesso che questa “memoria” mi fa bene, mi avvicina a voi, mi fa ripensare a tanti dialoghi durante quegli incontri e a tante speranze che sono nate e cresciute lì, delle quali molte sono diventate realtà. Ora, in mezzo a questa pandemia, vi ricordo di nuovo in modo speciale e desidero starvi vicino.
In questi giorni di tanta angoscia e difficoltà, molti si sono riferiti alla pandemia che stiamo subendo con metafore belliche. Se la lotta contro il covid è una guerra, voi siete un vero esercito invisibile che lotta nelle trincee più pericolose. Un esercizio che ha come unica arma la solidarietà, la speranza e il senso della comunità che rinverdisce in questi giorni in cui nessuno si salva da solo. Voi siete per me, come vi ho detto nei nostri incontri, veri poeti sociali, che dalle periferie dimenticate create soluzioni degne per i problemi più urgenti degli esclusi.
So che molte volte ciò non vi viene riconosciuto come dovuto, perché per questo sistema siete veramente invisibili. Alle periferie non giungono le soluzioni del mercato e scarseggia la presenza protettrice dello Stato. E neanche voi avete i mezzi per svolgere la vostra funzione. Venite guardati con diffidenza perché andate oltre la mera filantropia attraverso l’organizzazione comunitaria e rivendicate i vostri diritti, invece di restare rassegnati sperando di vedere cadere qualche briciola da quanti detengono il potere economico. Molte volte mandate giù rabbia e impotenza nel vedere le disuguaglianze che persistono, persino nei momenti in cui non ci sono più scuse per giustificare privilegi. Ma non richiudetevi nel lamento: rimboccatevi le maniche e continuate a lavorare per le vostre famiglie, per i vostri quartieri, per il bene comune. Questo vostro atteggiamento mi aiuta, m’interroga e m’insegna molto.
Penso alle persone, soprattutto alle donne, che moltiplicano il pane nelle mense comunitarie cucinando con due cipolle e un pacco di riso un delizioso stufato per centinaia di bambini, penso ai malati, penso agli anziani. Non appaiono mai nei media importanti. E neppure i contadini e piccoli agricoltori che continuano a coltivare la terra per produrre alimenti sani senza distruggere la natura, senza accumularli o speculare con i bisogni del popolo. Sappiate che il nostro Padre Celeste vi guarda, vi apprezza, vi riconosce e vi rafforza nella vostra opzione.
Quant’è difficile rimanere in casa per chi vive in un piccolo alloggio precario o per chi addirittura non ha un tetto. Quant’è difficile per i migranti, le persone private della libertà e per quanti stanno seguendo un percorso di recupero da dipendenze. Voi siete lì, state loro accanto fisicamente, per rendere le cose meno difficili, meno dolorose. Mi congratulo con voi e vi ringrazio di cuore. Spero che i governi capiscano che i paradigmi tecnocratici (siano essi statocentrici o mercatocentrici) non sono sufficienti ad affrontare questa crisi e neppure gli altri grandi problemi dell’umanità. Oggi più che mai, sono le persone, le comunità, i popoli a dover stare al centro, uniti per curare, assistere, condividere.
So che siete stati esclusi dai benefici della globalizzazione. Non godete di quei piaceri superficiali che anestetizzano tante coscienze. Ciononostante ne dovete subire sempre i danni. I mali che affliggono tutti, vi colpiscono doppiamente. Molti di voi vivono alla giornata, senza alcun tipo di tutela legale a proteggervi. I venditori ambulanti, i riciclatori, i giostrai, i piccoli agricoltori, gli operai, i sarti, quanti svolgono attività di assistenza. Voi, lavoratori informali, indipendenti o dell’economia popolare, non avete un salario stabile per far fronte a questo momento… E le quarantene sono per voi insostenibili. Forse è giunto il momento di pensare a un salario universale che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili lavori che svolgete; capace di garantire e trasformare in realtà questa parola d’ordine tanto umana e tanto cristiana: nessun lavoratore senza diritti.
Vorrei anche invitarvi a pensare al “poi”, perché questa tormenta finirà e le sue gravi conseguenze già si sentono. Non siete degli sprovveduti, avete la cultura, la metodologia, ma soprattutto la saggezza che s’impasta con il lievito di sentire il dolore dell’altro come proprio. Pensiamo al progetto di sviluppo umano a cui aneliamo, incentrato sul protagonismo dei Popoli in tutta la loro diversità e sull’accesso universale a quelle tre T che voi difendete: tierra, techo y trabajo, terra, tetto e lavoro. Spero che questo momento di pericolo ci stacchi dal pilota automatico, scuota le nostre coscienze addormentate e permetta una conversione umanista ed ecologica che metta fine all’idolatria del denaro e ponga al centro la dignità e la vita. La nostra civiltà, tanto competitiva e individualista, con i suoi ritmi frenetici di produzione e di consumo, i suoi lussi eccessivi e i guadagni smisurati per pochi, ha bisogno di rallentare, di ripensarsi, di rigenerarsi. Voi siete costruttori indispensabili di questo cambiamento improrogabile; in più possedete una voce autorevole per testimoniare che ciò è possibile. Conoscete crisi e privazioni… che con pudore, dignità, impegno, sforzo e solidarietà riuscite a trasformare in promessa di vita per le vostre famiglie e le vostre comunità.
Continuate la vostra lotta e prendetevi cura gli uni degli altri come fratelli. Prego per voi, prego con voi e chiedo a Dio Padre di benedirvi, di colmarvi del suo amore e di difendervi lungo il cammino, dandovi quella forza che ci tiene in piedi e non delude: la speranza. Per favore, pregate per me perché anch’io ne ho bisogno.
Fraternamente,
Francesco
Città del Vaticano, 12 aprile 2020, Domenica di Pasqua
*L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLX, n.85, 14-15/04/2020
La
Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli mette in evidenza un testimone della
missione tra gli acholi in Uganda, dove ha trascorso i 31 anni del suo servizio
missionario. Per noi comboniani un tale evento ci riempie di gioia e allo
stesso tempo di responsabilità. La Beatificazione si terrà in terra d’Uganda,
Kalongo, il 22 novembre 2020, Solennità di Cristo Re dell’Universo.
Dopo
aver sentito il parere del Padre Generale e suo Consiglio; consultato la Chiesa
locale di Gulu attraverso il suo Arcivescovo, Mons. John Baptist Odama; la
Chiesa locale di Como nella persona del suo Vescovo, Mons. Oscar Cantoni, e
anche il parere della famiglia Ambrosoli c’è stato un parere unanime che la
Beatificazione avvenga a Kalongo dove P. Giuseppe ha svolto in pienezza e totalmente
il suo servizio missionario. La data più significativa è sembrata il 22
novembre, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Ora, trattandosi di un atto
pontificio, doveva essere consultato il prefetto della Congregazione delle
Cause dei Santi, Card. Giovanni Angelo Becciu, il quale ha convintamente
espresso la volontà di presiedere la cerimonia della Beatificazione, proprio
per il significato missionario che essa riveste. Naturalmente tutto dovrà
essere sottoposto all’approvazione della Santa Sede, la quale si esprimerà con
un decreto ufficiale.
La
Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli mette in evidenza un testimone della
missione che più volte ha espresso il desiderio di essere sepolto tra i suoi
acholi, dove ha trascorso i 31 anni del suo servizio missionario. Per noi
comboniani un tale evento ci riempie di gioia e allo stesso tempo di
responsabilità. Anzitutto il luogo dove avverrà l’evento, Kalongo (Nord Uganda)
che faceva parte del Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale di cui il
Comboni fu il primo Vicario Apostolico e inoltre il luogo dove P. Giuseppe
Ambrosoli ha espresso il meglio di sé nell’opera dell’ospedale e nella scuola
per Ostetriche.
Una
continuità significativa dunque dal punto di vista materiale, l’Uganda, estremo
lembo del Vicariato dove il Comboni ha invano sognato di arrivare e che ora
invece si realizza, attraverso P. Giuseppe, quale primo figlio dell’Istituto a
essere beatificato. Significato ancora più pregnante dal punto di vista
spirituale, e per una duplice ragione: perché anche P. Ambrosoli, come il
nostro santo Fondatore che l’ha preceduto, entra a far parte di quel fondamento
nascosto su cui si erge maestosa la Chiesa africana e poi perché riceve
ulteriore conferma il metodo inciso indelebilmente nel «Piano»: “Salvare l’Africa
con l’Africa”! Molti dunque sono i motivi per ringraziare e continuare con
novello slancio missionario per il bene della Chiesa e della società.
Forse
può sembrare un annuncio estemporaneo e fuori luogo perché ben altre sono le
preoccupazioni del momento. Tuttavia proprio per quello che padre Ambrosoli ha
rappresentato in campo sanitario: per le conoscenze e la competenza con cui ha
operato e per l’afflato spirituale con cui ha affrontato emergenze e malattie,
capiamo quanto la sua figura sia attuale e la sua intercessione necessaria. La
beatificazione si farà, sempre coronavirus permettendo, a Kalongo il 22 novembre
2020. Il luogo è altamente significativo: padre Giuseppe, sepolto tra i “suoi”,
tra i “suoi” sarà anche glorificato.
Ci
sarà la Beatificazione di padre Ambrosoli in Uganda? La domanda ha un senso
perché, tenendo presente la situazione di pandemia globale che ha colpito il
pianeta, la risposta non può che essere interlocutoria. Si, si terrà a Kalongo
il 22 novembre 2020, sempre che il COVID-19 lo permetta. Allo stato dei fatti
abbiamo i seguenti documenti a supporto di tale affermazione. La richiesta ufficiale
della Postulazione del 28 gennaio 2020 in cui si presenta al Santo Padre la
disponibilità del Card. Giovanni Angelo Becciu di recarsi a Kalongo il 22
novembre 2020 a rappresentarlo nella cerimonia di Beatificazione. Di seguito,
dietro sollecitazione della Postulazione, la Segreteria di Stato inviava il 16
marzo u.s. una lettera alla Nunziatura di Kampala. In tale documento, per la
verità datata 9 marzo 2020, si afferma che il Santo Padre ha deciso che il rito
di Beatificazione si farà a Kalongo il 22 novembre 2020 e il suo rappresentante
sarà il Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause
dei Santi. La lettera è confermata dalla Nunziatura che l’ha inviata
all’arcivescovo di Gulu, Mons. John Babtist Odama, il 17 u.s.. In una E-mail
del 23 marzo il Vicario Generale della Diocesi di Gulu, mons. Matthew Odong, conferma la recezione della lettera:
«At this point, it is very clear that the rite of beatification of the Servant
of God Father Doctor Giuseppe Ambrosoli will take place “SACRED HEART” KALONGO
PARISH». Di
fatto poi l’Arcivescovo il 21 e 22 marzo (sabato e domenica) si è recato a
Kalongo ed ha annunciato pubblicamente in parrocchia luogo e data dell’evento. “The news has been received with great joy by our
people here in the Archidiocese of Gulu». Nel frattempo si
sono tenute alcune riunioni con il Consiglio Generale e i provinciali d’Uganda
e d’Italia per coinvolgere le rispettive province, compatibilmente ai movimenti
condizionati che la situazione del momento permette. A nessuno però sfugge il
significato missionario di questa beatificazione che avviene in missione come
ultima espressione della missionarietà: lo scambio di doni tra Chiese sorelle e
quasi una identificazione in cui credibilmente un missionario, nel nostro caso
il prossimo Beato Ambrosoli, è glorificato in mezzo ai “suoi” di Kalongo. Per
adesso non cessiamo di invocarlo in un momento così preoccupante dell’umanità,
lui che ha affrontato la malattia con illuminata determinazione, ma soprattutto
con fede e carità soprannaturali.
IL LUNGO CAMMINO VERSO LA BEATIFICAZIONE
Il cammino della beatificazione di p.
Giuseppe è iniziato nel 1999, dodici anni dopo la sua morte, ossia quasi subito
dopo che il suo corpo è stato trasportato il 22 agosto 1994 da Lira a Kalongo.
Esattamente come accadeva nei primi tempi della Chiesa: ci si è potuti muovere
perché la fama di santità e l’ammirazione per p. Giuseppe, il grande dottore
dal cuore buono e dalle mani abilissime, ma soprattutto perché l’uomo di Dio,
che curava nel corpo e nello spirito, era ancora molto presente nella memoria
della gente. La gente del tempo, sia a Kalongo, come a Ronago non aveva dubbi
sulla qualità spirituale che p. Giuseppe aveva trasmesso con la sua cura dei
sofferenti e l’attenzione riservata alle mamme che dovevano partorire. Padre
Giuseppe tutelava sì la vita dei corpi, fin dal loro nascere, ma soprattutto
arrivava a guarire l’intimo delle persone.
Così il comboniano, p. Mario Marchetti, poteva
sollecitare il vescovo di Gulu, Mons. Martino Luluga, a costituire una
Commissione d’investigazione. In seguito, l’Arcivescovo di Gulu che gli era
succeduto, Mons. John Baptist Odama, iniziava il processo il 22 agosto 1999 e
lo concludeva il 4 febbraio 2001 sul piazzale antistante la chiesa parrocchiale
di Kalongo. Allo stesso tempo il vescovo di Como, Mons. Alessandro Maggiolini,
il 7 novembre 1999 ascoltava i testimoni che si trovavano a Ronago, e in genere
in Italia, chiudendo il processo il 30 giugno 2001.
A quella data si erano potute condurre a termine le
sessioni ed ascoltare tutti i 90 testimoni che avevano conosciuto p. Giuseppe.
Tra questi 62 laici, 18 missionari e preti diocesani, 10 suore. Tra i laici da
notare la folta schiera dei testimoni di Kalongo, di Ronago, paese natale di p.
Giuseppe e anche dei 12 medici che con lui avevano operato nell’ospedale della
savana. Insomma un’ampia rappresentatività della società civile e religiosa:
catechisti, insegnanti, responsabili di comunità, operai, infermieri e
infermiere, un capo di polizia e anche un generale, che per un brevissimo tempo
era stato Presidente dell’Uganda dopo il secondo Obote. «Per noi – ebbe a dire – la
morte del dottor Ambrosoli è come il crollo di un ponte. Ci vorranno molti anni
per rimpiazzarlo».
Dai documenti e dalle testimonianze emergeva chiara la
vita santa di p. Giuseppe. Riportiamo qui alcune affermazioni significative.
All’apertura del Processo, il 22 agosto 1999, Mons. Odama, in una lettera ai
vescovi della Provincia Ecclesiastica di Gulu e ai membri della Conferenza
Episcopale Ugandese descriveva la figura del Servo di Dio come segue:
«Esempio
di eroica carità e di umile servizio alle persone; un grande esempio di zelante
missionario dei tempi moderni; modello di prete e di dottore divenuto famoso
per la sua intensa spiritualità e per la coscienziosa abilità medica; un
attraente e convincente esempio di giovane moderno che ha risposto totalmente
alla chiamata di Cristo e alla sua forma di vita». «Dal suo modo di accogliere
le persone, di intrattenersi con loro, di consigliarle e di incoraggiarle – depone John Ogaba– si aveva l’impressione di trovarsi davanti a Gesù». Il
dottore Luciano Tacconi, che ha lavorato con lui a Kalongo, non ha paura di
affermare:«Per me il
segreto della “santità” di p. Giuseppe sta nella sua grande
semplicità e nell’attaccamento massimo al dovere. Gli altri medici rispettavano
e ammiravano molto la professionalità di p. Giuseppe, il quale insisteva anche
con me perché, senza fare delle prediche, dessimo il buon esempio come
cristiani con l’attaccamento al lavoro e nel rispetto della dignità delle
persone»: Allora prezioso è quanto Mons. Gianvittorio Tajana afferma
al processo: «Secondo la mentalità, oggi
vigente nella Chiesa, se l’Ambrosoli sarà proclamato santo, sarà il
santo della vita ordinaria». Certamente non una vita scialba, ma una
vita ordinaria, di ogni giorno, in cui ha fatto costantemente delle cose
straordinarie. E non può essere che così quando si incontra uno come p.
Giuseppe, come lo ricorda in un sermone Mons. Alessandro Maggiolini, vescovo di
Como:«Padre Ambrosoliha
dato volto al Vangelo con la sua vita messa radicalmente al servizio di Cristo,
dell’evangelizzazione e degli ultimi»
Il materiale raccolto a Gulu e a Como, sia testimonianze
che documenti, giungeva a Roma in Congregazione delle Cause dei Santi nel mese
di giugno dell’anno 2001 e il 7 maggio 2004 gli si riconosceva la validità
giuridica per ricostruire la vita terrena e provare la santità della persona e
dell’opera di p. Giuseppe. Dal 2004 al 2014 ci sono voluti poi complessivamente
10 anni di lavoro che hanno coinvolto il Postulatore della Causa, la
Congregazione vaticana, ossia i Teologi, i Cardinali e i Vescovi prima del
giudizio definitivo di Papa Francesco, l’unico che poteva decretare le virtù
eroiche.
Quindi nel 2009 il Postulatore della Causa faceva
stampare la Positio, la quale era
consegnata ai Consultori Teologi che nel Congresso Peculiare del 4 dicembre
2014 si esprimevano favorevolmente: 9 su 9. Uno di essi afferma:
«La figura di
Giuseppe Ambrosoli gode, e per molti aspetti, di una sua attualità specifica. È
stato un religioso, comboniano che si è impegnato a vivere i consigli
evangelici e la vocazione missionaria in una professione specifica di stile
“laicale”, come è quella del medico chirurgo. L’impegno scrupoloso
nell’attività professionale nulla ha rubato alla sua vita di preghiera e alle
esigenze della comunità: l’Eucaristia, celebrata e adorata, è sempre stato il
centro della sua giornata. Può essere perciò valido modello per i comboniani
suoi confratelli, come per ogni religioso e religiosa di vita attiva, ed anche
per i membri degli Istituti di vita consacrata. Come medico chirurgo ha molto
da dire con il suo esempio ai medici e operatori sanitari, ed è anche motivo di
speranza per volontari impegnati in organizzazioni sanitarie, spesso “no
profit” e di volontari che soccorrono infermi di malattie spesso contagiose e
mortali».
I
Padri Cardinali e Vescovi nella Sessione Ordinaria del 15 dicembre 2015,
presieduta dal Card. Angelo Amato, riconoscevano che il Servo di Dio aveva
esercitato in grado eroico le virtù teologali (fede, speranza e carità), le
virtù cardinali (prudenza, giustizia, temperanza e fortezza) e quelle annesse
(voti di castità, povertà e obbedienza e l’umiltà). Il Cardinale poi riferiva
tutto a Papa Francesco il quale, due giorni dopo il 17 dicembre, sempre del
2015, confermava l’eroicità delle virtù e scriveva un decreto con cui
riconosceva al Servo di Dio, Giuseppe Ambrosoli, il nuovo titolo di Venerabile
con cui poteva venir invocato.
Secondo
Papa Francesco la santità di p. Giuseppe poteva essere sintetizzata da due
frasi che si leggono in due sue lettere: «Le
persone devono sentire l’influsso di Gesù che porto con me;
devono sentire che in me c’è una vita soprannaturale espansiva ed irradiantesi
per sua natura»
infatti « Dio è amore. Io sono il suo
servo per quelli che soffrono». Si trattava di una motivazione spirituale
che dalla gioventù fino alla morte aveva percorso tutta la sua vita e
illuminato la sua riconosciuta professione medica. In fondo questa motivazione
spirituale risponde a una domanda che nasce di fronte alla vita missionaria del
padre: «Come è stato possibile che un uomo sia
riuscito a fare tutto quello che ha fatto e come l’ha fatto, con fedeltà,
semplicità, serenità, dono totale di se stesso e gioia fino agli ultimi e
drammatici giorni della sua vita?». La risposta andava e va cercata – sembra
dire il Papa – nella sua profonda vita spirituale. Padre Giuseppe Ambrosoli è
stato una persona che ha vissuto la vita cristiana di ogni giorno in maniera
straordinaria, cioè una vita NORMALE assolutamente FUORI DAL NORMALE. Ha
esercitato il servizio medico, non semplicemente come conseguenza della sua
fede e del suo amore, ma come parte integrante del Vangelo che predicava. Con
lui anche il servizio medico era parte imprescindibile dell’evangelizzazione.
Ci si poteva arrestare qui. E invece, no.
Per la beatificazione
mancava un ultimo gradino: il miracolo. Il sigillo che la Chiesa affida a Dio
per proporre il suo servo come intercessore ed esempio per il suo Istituto e
per la Chiesa locale, che l’ha visto nascere, e poi quella che l’ha accolto
nello svolgimento della sua missione, l’ha visto morire e ne ha conservato il
suo corpo e la memoria.
Di guarigioni e cure
straordinarie p. Giuseppe ne aveva ottenute già in vita, ma tra tutte brillava
una avvenuta nel 2008 all’ospedale di Matany, all’estremo nord est del Nord
Uganda, in Karamoja. Si trattava di una
mamma karimojong di 20 anni, Lucia Lomokol di Iriir, madre già di un bambino e
arrivata in condizioni disperate all’ospedale per un altro già morto in grembo
che le aveva causato un’infezione mortale. Tant’è che uno dei medici, il dott.
Erik Domini, responsabile del reparto Maternità, il 25 ottobre 2008 al momento
dell’accettazione tentava un’ultima disperata operazione ma senza risultato.
Poi per il progressivo peggioramento la faceva trasferire
dalla corsia generale alla sala travaglio perché pensava che non era
conveniente per le altre pazienti (mamme in attesa di parto e allattanti)
essere testimoni della morte di una giovane mamma. e perciò la faceva
trasferire nella sala travaglio. Alla
sera dello stesso giorno il dott. Erik, constatando un continuo peggioramento,
faceva chiamare il parroco di Matany, p. Marco Canovi, il quale amministrava
l’unzione degli infermi a Lucia. Riportando a casa p. Marco, il dott. Erik si
ricordava di un santino di p. Giuseppe con apposita preghiera che conservava
nel suo appartamento e ritornava in ospedale accanto a Lucia munito di quello
che lui considerava essere stata un’ispirazione inattesa. Dopo aver ricevuto
l’assenso della stessa Lucia, di sua madre e di suo marito collocava il santino
sulla spalliera del letto della moribonda e radunava le infermiere per
l’invocazione. Terminato tutto verso mezzanotte si accomiatava da loro
chiedendo di essere avvisato la mattina seguente per il funerale di Lucia. Alle
cinque del mattino si presentava e, con sua grande sorpresa, trovava Lucia
completamente cosciente e presente a se stessa. Tutti i presenti attribuivano
l’improvvisa cura all’invocazione di P. Giuseppe.
Il
vescovo di Moroto, Mons. Henry Apaloryamam
Ssentongo a cui apparteneva la parrocchia di Matany,
venuto a conoscenza del fatto, ha voluto che con un processo si raccogliesse
tutta la documentazione per sottoporla allo studio delle Cause dei Santi:
questa avrebbe detto se si trattava di un evento inspiegabile scientificamente
e se c’erano le condizioni da poter attribuire la guarigione alla potenza
divina. Così il 17 settembre 2010 iniziava il processo sul presunto miracolo,
riunendo anzitutto i testimoni presenti al fatto: il
dott. Erik Domini, ostetrico ginecologo, medico curante; il dott. Alphonse
Ayepa, medico anestesista; il sig. Daniel Irusi, infermiere; la sig.ra Betty
Agan, ostetrica professionale; la sig. ra sanata, Lucia Lomokol, contadina e
casalinga; il sig. Akol Lobokokume, membro dell’esercito e marito di Lucia; la
sig.ra Sabina Kodet, la mamma della sanata; la sig.ra Mary Annunciata Longole,
ostetrica; la sig.ra Lilian Adwar, assistente infermiera; la sig.ra Fotunate
Magdalene Alany, ostetrica e p. Marco Canovi, parroco di Matany. In più erano
chiamati di dovere, un medico specialista anestesiologo, il dott. Bruno
Turchetta e i due periti che
dovevano esaminare lo stato reale di Lucia, i
dottori: John Bosco Nsubuga e Leo Odong. Raccolta poi anche tutta la
documentazione clinica il processo si concludeva a Moroto quasi un anno dopo,
il 21 giugno 2011. Portati tutti i documenti a Roma, la Congregazione delle Cause dei Santi un anno dopo, l’11
maggio 2012, riconosceva validità giuridica a tutta la documentazione. Tuttavia si dovevano aspettare
ancora 6 anni, dal 2012 fino al 2018, perché il caso di Lucia potesse essere
esaminato.
La situazione Ambrosoli si sbloccava il 28
novembre 2018 con la Consulta Medica
costituita da 7 professori che riconoscevano, per maggioranza qualificata
(5/2), il fatto della cura da shock settico (setticemia irreversibile)
che si era risolta in maniera
assolutamente inaspettata, rapida,
completa, duratura e inspiegabile alla luce delle
attuali conoscenze mediche. Cioè
Lucia si trovava curata in maniera inspiegabile scientificamente, sia
perché la terapia chirurgica effettuata era stata incompleta non essendo stato
asportato l’utero, primaria causa e focolaio di infezione, sia perché era stato
sospeso il farmaco considerato salvavita, la dopamina, non essendocene più in
ospedale. Nel loro linguaggio specialistico i
professori avevano fatto scrivere: «Shock settico secondario dacorioamnionite
purulenta putrefattiva ((taglio cesareo ed estrazione del feto morto e
putrefatto).
Tromboflebite pelvica e tromboflebite profonda della grande safena dell’arto
inferiore sn. con dermatite gangrenosa della metà inferiore della gamba”. Questo era il passaggio decisivo che permetteva di
procedere oltre.
Ora bisognava dimostrare che
l’invocazione era avvenuta nel momento del peggioramento fatale dello stato di
Lucia; che in quel momento si era invocato p. Giuseppe Ambrosoli e che dopo
tale invocazione si era verificato un cambiamento repentino positivo. C’erano
10 testimoni oculari a testimoniare che per iniziativa del dott. Erik Domini
era stato invocato p. Ambrosoli e altrettanti che avevano assistito quella
notte al viraggio dello stato di salute di Lucia. Chi conosce la materia può
ragionevolmente affermare che da mezzanotte alle cinque, come è il nostro caso,
un tale cambiamento può essere definito rapido. Infatti 7 mesi dopo
l’inspiegabilità della cura, affermata dai medici, il 13 giugno 2019 il Congresso Peculiare dei Consultori
teologi ha potuto appurare l’evento della preghiera rivolta a p. Ambrosoli e il
miglioramento repentino dello stato di salute di Lucia Lomokol.
Con questi dati, cinque mesi dopo, il 19
novembre 2019 i Cardinali e i Vescovi nella loroSessione Ordinariapresieduta dal Card. Giovanni Angelo
Becciu decidevano di portare il caso al Santo Padre. Questi, 9 giorni dopo, il
28 novembre 2019 riconosceva il carattere soprannaturale della cura di Lucia,
quindi il miracolo e comandava di preparare un Decreto con valore giuridico e
da inserire negli Atti della Congregazione dei Santi: Ecco le testuali parole:
«Constare de miraculo a Deo patrato per
intercessionem Ven. Servi Dei Iosephi Ambrosoli, Sacerdotis professi
Missionariorum Combonianorum Cordis Iesu, videlicet de celeri, perfecta ac
constanti sanatione cuiusdam mulieris a (Si tratta di un miracolo compiuto
da Dio per intercessione del Venerabile Servo di Dio Giuseppe Ambrosoli,
sacerdote professo dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, vale a dire di
una cura rapida, perfetta e duratura di
una signora) da Shock settico secondario da corioamnionite purulenta putrefattiva.
Tromboflebite pelvica e tromboflebite profonda della grande safena dell’arto
inferiore sn. con dermatite gangrenosa della metà inferiore della gamba».
Se si sta bene attenti, in tutto questo lungo
percorso fino alla Beatificazione, il Santo Padre si è lasciato guidare dalla
presenza di due principi spirituali: l’eroicità
delle virtù e la preghiera di intercessione. Ora l’evento del miracolo e
della beatificazione possono porre due domande: perché questa grazia a una
karimojong e a una mamma e perché l’evento della celebrazione proprio a
Kalongo? Secondo logiche umane tutto
avrebbe dovuto sconsigliare tale coincidenza: spesso tra etnie diverse non
corre buon sangue e la condizione femminile è l’anello più sottoposto a
sfruttamento nella società e inoltre Kalongo è un luogo al di fuori dei
circuiti che contano. Eppure è proprio qui che la maniera di vivere la missione
di p. Giuseppe Ambrosoli ha dato esempi che non potranno mai più essere dimenticati:
qui ha accolto e difeso sempre tutti; qui si è messo a servizio della vita
nascente e qui ha esercitato la sua straordinaria professionalità medica nella
semplicità e nell’umiltà.
L’evento della Beatificazione di p. Giuseppe
Ambrosoli non potrà dunque essere vissuto, nell’oggi della vita cristiana, che
come evento di fede, di comunione e di gioia.
Aprile – Perché la collaborazione con tutte le persone di buona volontà stimoli ognuno di noi a contribuire, nel proprio ministero a servizio del vangelo, ad un mondo più giusto e ad una vita più degna per tutti Preghiamo.
Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro? (Mc 16,3)
Abbiamo da trattare con un vero galantuomo, Iddio, che mantiene la sua parola e l’adempirà in eterno
(Scritti 2624)
Carissimi confratelli,
il Signore risorto che vince la morte, illumini la nostra vita e riempia di gioia i nostri cuori.
Quest’anno 2020 abbiamo vissuto la Quaresima in un clima di pandemia per il coronavirus che si propaga sempre più in quasi tutti i paesi del mondo. Celebreremo la Pasqua di Resurrezione ancora in questo clima di pandemia.
Noi stessi, così come tanti cristiani in moltissimi paesi del mondo, non potremo riunirci a celebrare come comunità il mistero centrale della nostra fede. I social network ci stanno aiutando tutti a riunirci almeno virtualmente per continuare a “vivere” la vita della comunità. Incoraggiamo sempre più ad utilizzare questi mezzi per essere vicini gli uni agli altri e al popolo di Dio mentre celebriamo il trionfo della vita sulla morte.
In questo clima di incertezza e di sofferenza ci sentiamo un po’ come Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome che si recano di buon mattino al sepolcro chiedendosi: Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro? (Mc 16,3). Nessuno infatti è capace di rotolare via la pietra che ci rinchiude nei nostri sepolcri, nelle nostre paure e resistenze. Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande (Mc 16,4). Adesso, il sigillo della morte è stato rotto dall’interno.
In questo tempo di pandemia anche noi siamo chiamati a “guardare” e a riconoscere la presenza del Risorto in mezzo a noi. Dio cammina con noi e soffre con noi e in Cristo Gesù, ci invita a camminare con lui sulla via che, passando dalla croce, ci conduce all’alba di un nuovo giorno. L’ultima parola di Dio per l’umanità è vita, la vita che ci ha donato in Cristo Gesù che ha assunto su di sé la nostra morte e l’ha vinta uscendo vincitore dal sepolcro.
Come il nostro Padre e Fondatore, San Daniele Comboni, siamo certi che Dio non ritira il suo favore per l’umanità tutta intera ed è fedele in eterno. Lui ha inviato suo Figlio per darci “la vita e la vita in abbondanza” (Gv 10,10).
Questa Pasqua vissuta in un clima di pandemia rafforza la nostra fede nel Dio della vita, nella certezza che nessuno potrà mai separarci da questo amore eterno. “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35.37-39).
Buona Pasqua di Resurrezione e buona festa della vita a ciascuno di voi e alle vostre comunità cristiane.
Este sitio web utiliza cookies para mejorar su experiencia. Si continúa navegando consideramos que acepta el uso de cookies, pero puede optar por lo contrario si lo desea.
This website uses cookies to improve your experience. If you continue to browse we consider you accept the use of cookies, but you can opt-out if you wish. Acepto Puede obtener más información - You may have more information here
Politica y privacidad de Cookies - Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.