Laici Missionari Comboniani

La visione ecclesiale che emerge dal “Piano” di Comboni

Comboni

“Comboni – credendo nell’unità del genere umano e nel fatto che il Vangelo debba, perciò, essere annunciato a tutti – si pone in un atteggiamento di demistificazione profetica di quella forma culturale razzista…” (Prof. Fulvio De Giorgi, Consiglio di Direzione di Archivio Comboniano).

 

Collocazioni di contesto
Una riflessione attuale sul “Piano” di Comboni che non sia puramente storica, ma sia di tipo spirituale, pastorale, missionologico (che cioè assuma un punto di vista di fede, di appartenenza alla Chiesa cattolica e di ‘figliolanza’ comboniana) deve, comunque, partire da alcune collocazioni di contesto e non porsi su un piano di lettura diretta e immediata (cioè senza mediazioni), come se si trattasse di un testo scritto oggi. L’attualizzazione deve sfuggire ai rischi di un certo ingenuo fondamentalismo attualizzante: che sarebbe, nel migliore dei casi, una banalizzazione, ma correrebbe anche rischi di deformazione grave. Qualsiasi testo del tempo (non solo di Comboni) non può essere letto senza filtri di contesto: altrimenti chi, in quel momento storico, era – per esempio – antirazzista, rischierebbe perfino di apparire, oggi, razzista.

Non si tratta soltanto di tradurre un linguaggio ottocentesco in linguaggio corrente (con un’operazione che non è unicamente di semantica storica): anche se già solo questo semplice aspetto segnala un più vasto problema, quello cioè delle forme di continuità/discontinuità culturale (e spirituale) tra noi e i nostri Padri e le nostre Madri del passato, tra la nostra visione e la loro visione.

Comboni si collocava all’interno della Chiesa cattolica: ma anche noi oggi. E però la Chiesa cattolica è un organismo vivo che cresce: è perciò ‘cresciuta’ rispetto all’Ottocento. In questa crescita è compresa anche l’autoconsapevolezza: la stessa visione ecclesiale. Ecco allora che non possiamo ritrovarci ‘perfettamente’ nei panni ottocenteschi: altrimenti vorrebbe dire che tutto è fermo, che il cristianesimo non è vivo ma morto, che il nostro compito non sarebbe storico ma archeologico…

Attualità e profezia
Insomma è ben evidente che il paradigma ecclesiologico di Comboni, la sua visione ecclesiale, era quello del Vaticano I e non del Vaticano II e che la sua cultura, al cui interno si definivano tanti aspetti della medesima visione ecclesiale, era quella lombardo-veneta del XIX secolo e non quella del XXI. Ma, allora, cosa significa questa osservazione (ovvia) sul piano della nostra lettura? Quali insomma i tratti di continuità e di attualità e di profezia e quali quelli di discontinuità, nei quali c’è stato un superamento (cioè una crescita)?

Più gli elementi culturali di Comboni si avvicinano al Vangelo più c’è continuità: la Chiesa annuncia il Vangelo di Cristo come una proposta di alleanza liberatrice rivolta da Dio a tutto il genere umano (il che, e non era ovvio allora come non è ovvio oggi, implica l’unità del genere umano: c’è un solo genere umano e tutti gli uomini e tutte le donne sono figli e figlie di Dio, uguali in dignità personale). Così se, alla metà del XIX secolo, si formava, nel cuore della Europa, una forma culturale nuova che era il razzismo, Comboni era estraneo e ostile rispetto a questi processi culturali. Il razzismo implica due punti essenziali, come forma culturale: 1. Esistono le razze umane (in genere ridotte a tre); 2. Ci sono razze inferiori e razze superiori. Comboni – credendo nell’unità del genere umano e nel fatto che il Vangelo debba, perciò, essere annunciato a tutti – si pone in un atteggiamento di demistificazione profetica di quella forma culturale razzista. Su questo, pertanto, non solo c’è continuità, ma c’è una permanente attualità di tale approccio, poiché in forma esplicita o più spesso dissimulata permangono, ancora oggi, visioni razzistiche, che possono insinuarsi persino nella visione ecclesiale.

Discontinuità come crescita
Elementi culturali di discontinuità sono quelli, invece, più legati alle specificità di mentalità e di pensiero del tempo: un’ignoranza ‘geografica’, etnografica, culturale degli Europei rispetto ancora a tante parti del pianeta e a larghi strati di umanità; una presenza – pertanto – di fantasie mitiche e di luoghi comuni tradizionali (anche religiosi: come la cosiddetta ‘maledizione di Cam’) che colmavano questi vuoti cognitivi e che oggi possono apparire come ‘pregiudizi razzistici’ (pre-giudizi, sì, come tutti noi ne abbiamo; razzistici no, perché non partecipavano – come ho già detto – agli aspetti specifici di quella forma culturale).

Capire questa differenza è, sul piano metodologico, essenziale per inquadrare la riflessione sul “Piano” di Comboni, sulla sua visione ecclesiale e sulla sua attualità profetica.

Unità, utilità e semplicità
Se infatti partiamo da un’ottica razzista, allora riteniamo la civiltà europea come superiore e perciò destinata a dominare sulle altre: condannandole ad uno sviluppo ‘separato’ (apartheid) o ‘civilizzandone’ dall’alto e dall’esterno alcuni aspetti, per meglio dominarle e sfruttarle, ai fini dello sviluppo maggiore della Civiltà ritenuta superiore. Comboni nel “Piano” assumeva invece un opposto paradigma: quello dell’unità del genere umano. In questo quadro, è possibile che alcuni popoli (storicamente sono stati gli europei, ma potevano essere altri) arrivino prima, per casualità storiche, a conquiste da considerarsi positive (per esempio la scrittura, l’alfabetizzazione, la medicina, la scienza e la tecnica): queste conquiste allora vanno fatte conoscere a tutti, vanno condivise, messe a disposizione per ‘rigenerare’ tutta l’umanità, per migliorarne cioè l’esistenza reale, diminuendo tutte le forme di sofferenza, di povertà, di ingiustizia, ai fini insomma della utilità comune. Ma questa ‘civilizzazione’ (cioè ‘condivisione di conquiste di civiltà’) non va imposta dall’alto e dall’esterno: se così fosse, anche con le migliori intenzioni, si introdurrebbe un’asimmetria e perciò un possibile squilibrio e dominio. La civilizzazione/condivisione va proposta e realizzata dal basso e dall’interno, con un protagonismo in prima persona dei beneficiati, senza furbizie o mediazioni complicate, ma nella semplicità: solo così è ri-generatrice (cioè intrinsecamente emancipatrice). Gli esiti saranno, allora, sempre generanti e generatori, cioè creativi e innovativi, autoctoni e originali, non estrinsecamente simili (cioè as-similati) a quelli europei, ma neppure ad essi ostili: perché frutto di un incontro fraterno, in cui si ricerca il bene di tutti, e non di un incontro squilibrato (cioè, in realtà, di uno scontro di culture), in cui si cerca il bene solo di una parte (quella più forte).

I presupposti, dunque, della visione ecclesiale di Comboni nel “Piano” si possono riassumere in queste sue parole-simbolo, ancora attualissime: unità, utilità, semplicità.

L’approccio del Piano
Tale approccio del “Piano” è in effetti tanto più attuale oggi, in un mondo globalizzato e interdipen­dente (molto più di quanto non fosse nel XIX secolo), perché indica l’unica via possibile per uno sviluppo unitario ma non uniforme del genere umano, su un piano di nonviolenza e di condivisione sempre rispettosa dell’altro. L’approccio del “Piano” demistifica due prospettive che costituiscono, oggi, i due rischi maggiori di disumanizzazione: da una parte dinamiche di sviluppo diseguale, con logiche (come quelle del neoliberalismo) che tendono ad aumentare la forbice della ricchezza, con chiusure comunitariste e xenofobe, con il rifiuto della uguaglianza in diritti e in dignità personale; dall’altra un’occidentalizzazione culturale feroce, come massiccio diserbamento di ogni cultura locale, come omologazione universale, come mcdonaldizzazione del mondo.

Questo approccio del “Piano”, che appare in sintonia profetica con l’insegnamento sociale della Chiesa (e si pensi, solo, agli attuali indirizzi di papa Francesco), pur essendo stato formulato in un periodo in cui questa stessa espressione di “insegnamento sociale della Chiesa” non esisteva ancora, era, per Comboni, una conseguenza di una visione ecclesiale che si doveva radicare nel Vangelo di liberazione di Gesù di Nazareth. Al Vangelo va dunque, ancor oggi, sempre riportato, per meglio comprenderlo e attualizzarlo in fedeltà al carisma: è questo un essenziale criterio ermeneutico nella lettura odierna del “Piano”.

Di conseguenza, alcuni tratti essenziali della visione ecclesiologica del “Piano” (che, all’epoca, non erano per nulla né maggioritari né scontati, anche se potevano ricollegarsi ad una tradizione significativa di Propaganda Fide) appaiono profetici e, ancor oggi, portatori di rinnovamento evangelico: l’Implantatio Ecclesiae come fondazione di vere Chiese locali, con un clero indigeno; la parità di genere, in ogni ambito significativo, specialmente spirituale e di vita cristiana; l’importanza – ad intra e ad extra – del laicato cattolico.

Un discorso ampio, fecondo e ricco di possibili nuovi sviluppi – ma che mi limiterò, in questa sede, solo ad accennare – è infine quello dell’impianto pedagogico del “Piano” che, con originalità, combina elementi diversi: la portata emancipatrice dell’ istruzione per tutti; l’educazione come carità intellettuale; la pedagogia degli oppressi.

Visione ecclesiale armonicamente unitaria
Proprio tale impianto pedagogico consente una visione ecclesiale armonicamente unitaria – perché unitariamente fondata sulla “istituzione” (che significa formazione della coscienza) – di evangelizzazione e promozione umana: “L’istituzione che dovrà darsi a tutti gl’individui d’ambo i sessi appartenenti agli Istituti che circonderebbero l’Africa, sarà d’infonder loro nell’animo e radicarvi lo spirito di Gesù Cristo, l’integrità dei costumi, la fermezza della Fede, le massime della morale cristiana, la cognizione del catechismo cattolico, e i primi rudimenti dello scibile umano di prima necessità” (S 826).
Prof. Fulvio De Giorgi
(Consiglio di Direzione di Archivio Comboniano)

Saluti da Franz Agreiter dall’Uganda

Franz

Ciao!

Io sto molto bene qui a Matani, solo il tempo vola e agosto è alle porte.

A Pasqua ci godiamo un paio di giorni di vacanza che fa molto bene ogni tanto. Si è lontani dal lavoro e si ha più tempo per se stessi.

Il mio passaporto è ancora a Kampala, ma mi è stato promesso che presto tutto sarà sistemato.

A breve incontrerò Elena, che verrà a Matany per un paio di giorni

Auguro a Te e a tutti ogni bene e una buona Santa Pasqua.

Cari saluti da Matany,

Franz

Pasqua per gli LMC di Spagna “in chiave di ospitalità”

Hospitalidad

Come ogni anno, gli LMC di Spagna si sono riuniti in comunità per celebrare la Pasqua. Quest’anno abbiamo voluto vivere questi giorni in “chiave di ospitalità”, poiché l’esperienza dell’ospitalità e dell’accoglienza nel nostro mondo è per noi una sfida. In questi giorni di incontri, abbiamo voluto lasciarci toccare da Gesù “che è davanti alla nostra porta e ci chiama” per accogliere LUI nei nostri fratelli più bisognosi.

“E’ tempo di convinzioni. Siamo convinti che siamo esseri umani, siamo tutti fratelli e che non ci sono confini alla vita. Raccogliamo tutti i nostri sogni, come la luce di una torcia, per illuminare un mondo nuovo dove tutti siano accolti. Un mondo senza frontiere o fili spinati.”.

LMC Spagna

Il coraggio della speranza nell’Africa di ieri e di oggi

CartelQuest’anno ricorre il decimo anniversario della canonizzazione di S. Daniele Comboni. Il 5 ottobre 2003 Comboni è stato proclamato Santo e proposto come testimone missionario esemplare da seguire, in particolare per il suo sconfinato amore all’Africa.

In questa ricorrenza, la famiglia comboniana, che raggruppa sacerdoti e fratelli comboniani, suore comboniane, laici comboniani e secolari comboniane, ha pensato di fare memoria dell’evento organizzando un incontro nell’Aula Magna della Facoltà di Ingegneria il 13 marzo.

Il tema dell’incontro è significativo: Il coraggio della speranza nell’Africa di ieri e di oggi.

Occorreva coraggio credere nell’Africa ai tempi del Comboni; siamo alla metà del 1800, quando qualcuno pensava che gli africani fossero persone di categoria B o senz’anima. Occorre coraggio anche oggi credere che gli africani sono gli artefici del loro domani. C’è troppo spesso un’idea negativa dell’Africa: fame, guerra, povertà, malattie. L’Africa invece è ricca di risorse non solo materiali, ma umane. Solo che è impoverita da sfruttamento, oppressioni e furti.

I relatori della tavola rotonda sono persone che conoscono profondamente l’Africa pur nella sua complessità e l’amano. P. Alex Zanotelli, comboniano, giornalista e attento conoscitore dell’Africa, ma che soprattutto ha fatto missione in Africa e ora la sta facendo qui in Italia; Jean-Léonard Touadi, politico, accademico, giornalista e scrittore, originario del Congo Brazzaville, primo parlamentare italiano di colore, ha collaborato con la Rai per iniziative televisive e radiofoniche a favore dell’intercultura.

Qui sotto, in breve, quello che è emerso dalla Tavola rotonda:

Due parole chiave: coraggio e speranza. Il coraggio di guardare in faccia la realtà denunciandone lo stato di degrado sociale generale e di essere onesti nei confronti di quanti desiderano ricevere informazioni su un’Africa quanto mai vicina a noi e la speranza che nasce proprio da questo momento di crisi identitaria, culturale, politica, economica e, non ultimo, storica attraverso un’azione politica che chiama in campo quanti desiderano cambiare lo stato delle cose. Attraverso le parole di p. Alex viene trasmesso l’insegnamento del Comboni secondo cui «è dal Crocifisso che nasce la speranza», cioè dai popoli calpestati da un sistema avido di denaro e incurante delle ricadute negative che esso sta procurando all’intero pianeta.

A queste parole chiave se ne aggiunge una terza: Africa. Africa come madre di tutti i popoli con la quale non condividiamo lo stesso passato, bensì lo stesso avvenire. Africa come terra violentata, espropriata, calpestata da grandi uomini manovrati dai giochi della finanza, ma nello stesso tempo culla di un’umanità che celebra la vita e che grida al resto del mondo che occorre tornare alle origini, quando l’acqua della vita non era ancora stata sporcata e gli indigeni danzavano per fare festa, raccontarsi e ringraziare per il raccolto nei campi andato a buon fine.

encontroDopo una nota introduttiva di p. Antonio, della comunità dei missionari comboniani di Palermo, sul significato dell’iniziativa come occasione di dialogo per vedere alla luce della speranza la ricchezza dei valori che l’Africa possiede e la responsabilità dei paesi occidentali (dal Sud Sudan ultimo paese africano reso indipendente nel 2011 e oggi soggetto a guerre civili, al Nord Africa che anela alla libertà avendo mostrato la partecipazione attiva di molti giovani per una cittadinanza piena), è intervenuto p. Venanzio, missionario comboniano, con la presentazione della figura carismatica di San Daniele Comboni che quest’anno compie dieci anni dalla sua canonizzazione. Oggi ci si trova accanto a nuove nigrizie – africane e no – e di fronte a negrieri di nuova specie, e il missionario deve avere coraggio nei confronti delle croci, fiducia in Dio e amore per l’uomo allo stesso modo del Comboni che con il suo esempio ha impresso una svolta nell’opera missionaria attraverso la rigenerazione dell’Africa con l’Africa stessa.

Il professore di filosofia politica dell’Università di Palermo Salvatore Vaccaro ha moderato questo incontro che, attraverso la presenza di personalità tanto diverse quanto accomunate dagli stessi valori etico-morali, ha preso un andamento ben definito rispetto all’importanza di scegliere da che parte stare all’interno di un società frammentata e di mettere insieme le forze di ciascuno di noi per vivere pienamente la società globale e dare luogo anche ad una Chiesa globale.

Alex«Se non cominciamo dagli ultimi da che parte stiamo?» esclama p. Alex nel raccontare l’ultima sconfitta subita a Napoli per la causa del campo rom dato alle fiamme e l’incapacità del Comune di trovare soluzioni efficaci affinché le persone abbiano un posto in cui vivere. P. Alex parte da Napoli, dal luogo in cui oggi fa missione non solo per comunicare la sua amarezza, ma soprattutto per esprimere la necessità di sentirsi gli uni dentro gli altri, di compartecipare all’esperienza di Napoli guardando alla propria di realtà e di prenderne parte attraverso un impegno concreto nei confronti di ciò che andrebbe cambiato

L’Africa è il luogo da cui proveniamo e con cui siamo rimasti in contatto prima con lo schiavismo, poi con il colonialismo e il neocolonialismo e, infine, con la globalizzazione. Noi, l’Europa, l’Italia abbiamo utilizzato le risorse umane e materiali africane per trarne vantaggio grazie alla costruzione di “strutture di peccato” quali armi, multinazionali, banche che hanno condotto gli africani ad uno stato di povertà, non solo economica, ma anche antropologica, dal momento che l’africano tuttora risulta frustrato dal suo passato. La novità apportata dal Comboni alla fine dell’800 nel mondo missionario consiste nell’avere creduto che siano gli africani i veri rigeneratori, coloro i quali diventano figli di Dio in un contesto degradato e degradante in quanto li considerava senza anima. Attualmente tocca a noi, sia come missionarie e missionari sia come cittadini responsabili, fare proprio il principio della missione secondo cui occorre uscire dalla “invisible christianity” per entrare in una dimensione in cui legare fede e vita, cioè per camminare insieme alla gente.

Jean-LéonardJean-Léonard afferma che, oltre alla storia, ci siamo dimenticati delle numerose battaglie combattute affinché siano rispettati i diritti fondamentali dell’uomo, come quello di andare a scuola o di rivolgersi a una struttura sanitaria in caso di bisogno, che in Africa risultano sacrificati per ripagare un debito precedentemente contratto.

Il grande problema dell’Africa (e anche dell’Italia) è il fatto che l’élite ha assunto il ruolo di intermediario di affari finanziari con il mondo esterno e gli africani si ritrovano soli all’interno di un paese in cui i leader hanno rinunciato a fare politica pensando ai propri interessi. «Il connettivo ha sostituito il collettivo», vale a dire che nell’era della comunicazione e dello scambio della globalizzazione viene meno la solidarietà, la reciprocità a favore dell’economicità. Non esiste alcuna sostenibilità sociale e ambientale, non esistono strumenti adeguati per far fronte alle diverse situazioni che creano povertà: le foreste equatoriali sono state devastate; la lingua è diventata strumento politico di controllo e di allontanamento dalla realtà; l’urbanizzazione nelle grandi città aumenta a discapito dei beni a disposizione; si affacciano sul mercato mondiale nuovi concorrenti come la Turchia e il Giappone.

Con queste parole dalla tavola rotonda viene lanciato il monito a rivedere la storia perché ce ne siamo dimenticati piegando altri popoli allo stesso modo di come siamo stati piegati noi. Si esorta ad attentare al razzismo di Stato che emerge attraverso leggi incostituzionali e violazioni di diritti umani.

Quale Chiesa viviamo? Sembra sia in atto una nuova forma di potere definito durante l’incontro imperialismo religioso, laddove ci si impegna a promulgare e a far rispettare leggi che garantiscano l’immagine perbenista del nostro Paese piuttosto che leggi adeguate sull’immigrazione.

Quale risposta dare ai poveri? La presenza di Papa Francesco rappresenta una speranza in tal senso, il quale con grande coraggio ha messo in discussione la Chiesa sollecitandola verso un’umanità plurale, verso una Chiesa plurale fatta di tante voci, di tanti volti diversi.

Occorre far uscire l’Africa dallo stato di necessità e farsi aiutare dall’Africa per mettere in moto una modalità di produrre ricchezza diversa rispetto a quella finora sperimentata. Occorrono conoscenza, analisi, riflessione critica per costruire percorsi comunitari che partano dal basso, dalla gente e per favorire lo sviluppo economico alternativo perché è attraverso una rivoluzione mentale che è possibile affrontare la crisi in cui versiamo, a partire da quella del rispetto della persona. Inoltre, perché ciò avvenga, non ci si può rivolgere alla politica che certifica la divaricazione tra l’élite e la popolazione, ma occorre ritrovare quegli spazi che consentano di mettere in comune idee, risorse, forze di varia natura.

Il Comboni è stato definito profeta rispetto al suo nuovo sguardo sulle cose, con cui ha cambiato le sorti dell’essere missionario e ha dato vita ad un’opera di rigenerazione a partire da dentro, dall’Africa sofferente e nello stesso tempo piena di vita, e alla grandezza del suo sogno. Allo stesso modo i nuovi profeti sono le donne e gli uomini che si impegnano in questa storia affinché il Dio della vita non muoia mai e l’uomo possa salvarsi. Solo rimanendo tra la gente e attraverso un’azione comune alimentata dal coraggio della speranza è possibile vivere il locale pensando al globale, vale a dire dialogare e agire in questa storia per realizzare il sogno dell’umanità

LMC Italia

Alleluia, Alleluia!!!

Pascua LondresIl giorno della gioia é arrivato.

Cristo é risorto dalla morte!

Dobbiamo rallegrarci e guardare il futuro pieni di fiducia. Facciamo che questo tempo speciale sia il tempo della Fede e del incontro vero con il Signore Risorto. Che la gioia di questo meraviglioso evento riempa i nostri cuori e ci faccia brillare ogni giorno della nostra vita.

Acholi´s team