Laici Missionari Comboniani

Ringraziamo Dio per la vita di Joan Forns (Laico Missionario Comboniano di Spagna)

“Siano lieti i cuori di coloro che cercano il SIGNORE”

(Salmo 104)

Joan Fons(1955-2015)

Nella gioia della celebrazione della festa per la Pasqua del Signore, abbiamo ricevuto, la scorsa domenica, con una certa sorpresa la triste notizia della scomparsa di Joan Forns, LMC di Spagna.

Sin da giovane, sentì di essere chiamato alla missione. Egli visse intensamente tale chiamata sia in parrocchia sia in diversi altre attività sociali. Con una forte esperienza di Dio, durante la sua vita riuscì a far coincidere i suoi impegni di lavoro come fotografo con le altre attività a favore dei più bisognosi. Ciò lo ha portato ad unirsi al movimento dei Laici Missionari Comboniani nel 2008.

Il sogno della sua vita era quello di servire la missione oltre i propri confini geografici, che però, a motivo della salute cagionevole, non gli fu possibile realizzare. Ciononostante egli accettò tale condizione dedicandosi completamente al suo lavoro missionario.

Come famiglia LMC ci uniamo in preghiera e ringraziamo Dio per la sua vita e il suo servizio.

Riposi in pace.

Il Gruppo di coordinamento LMC di Spagna

Pasqua: Maria di Magdala, Pietro e “l’altro discepolo”

Commentario a Gv 20, 1-10, Domenica di Pasqua, 5 di aprile 2015

In questa Domenica di Pasque, leggiamo la prima parte del capitolo 20 del vangelo di Giovanni, in cui troviamo una comunità di discepoli formata da tre protagonisti: Maria di Magdala, Pietro e Giovanni (Chiamiamolo così, secondo la tradizione, questo “altro discepolo”). I tre, oltre a essere se stessi, rappresentano noi e tanti altri discepoli che volgiamo imparare dal nostro Maestro come avere la vera vita. V’invito a leggere questo vangelo con calma, meditando lentamente, per cercare di scoprire il suo messaggio più profondo a partire dalla vita. Da parte mia mi trattengo brevemente in ognuno di questi “personaggi”:

pascua

  • Maria di Magdala: amore fedele e incondizionato

Maria di Magdala (secondo il paese da dove proveniva) era sicuramente una dona straordinaria, con una grande forza interiore. Non conosciamo la sua storia previa, ma sappiamo che aveva incontrato in Gesù un Amico fedele, un Maestro indiscutibile, un Signore di cui fidarsi… Lei l’ha seguito dalla Galilea fino a Gerusalemme, nelle buone e nelle cattive, e ha rimasto fedele fino alla fine, e anche aldilà della morte.

Precisamente, nel vangelo di oggi, la vediamo andando al sepolcro, mossa da un’assoluta fedeltà, anche se non sapeva come farebbe con la grande pietra che chiudeva il sepolcro, anche se pensava che il suo Signore ormai fosse morto. Niente di questo era importante per lei, il cui amore era senza condizioni  e assoluto. E quell’amore senza confini ebbe il premio di vedere la pietra rimossa e la grazia di vedere Gesù com’era realmente, nella sua realtà più autentica, non più come un uomo morto, ma come i Figlio del Padre, per sempre vivo.

Contemplando questa dona, ci viene la voglia di imitarla nella radicalità del suo amore e di consegnarci totalmente a Gesù nelle buone e nelle cattive, senza condizioni, senza paura delle “pietre” –peccati, fallimenti-contradizioni–  che s’interpongono nel nostro cammino, con una fedeltà totale, sapendo, come lei e come S. Paolo, di chi ci siamo fidati, avendo la fiducia anche noi di avere la “rivelazione” di un Gesù che si fa vivo e presente nella nostra vita, nella Chiesa, nel mondo. Ed è solo a partire di questa esperienza di Gesù vivo che noi diventiamo missionari, testimoni davanti a un mondo incredulo.

  • Pietro: un peccatore, che si lascia guidare.

Pietro era senz’altro il capo di quel piccolo gruppo di discepoli, ma non sembra che fosse il più credente, né il più lucido, né il più veloce a capire le cose. Infatti, lui non fu il primo ad andare al sepolcro; non fu neanche il primo ad arrivare: era il più lento, coli a chi era più difficile capire le cose di Dio… Ma era umile, sapeva riconoscere i suoi errori; sapeva imparare, aprirsi ad altri e approfittare la loro lucidità.

Contemplando Pietro, molti di noi ci sentiamo rappresentati in lui. Anche noi abbiamo la nostra storia di peccato e d’infedeltà; anche noi facciamo fatica a capire le vie di Dio per la nostra vita; anche noi fatichiamo a credere che Dio sia vivo oggi nel mondo, che Gesù è vivo nella sua Chiesa e nel mondo; anche noi perdiamo fiducia e abbiamo paura di essere ingannati e cadere nella delusione… Ma come Pietro dobbiamo saper aprirci ad altri, farci accompagnare, lasciarci conquistare ancora una volta da Gesù e, come Pietro, dire: “Signore, tu sai che ti amo”.

Piazza S. Pietro (amanecer)
L’altro discepolo fu capace di vedere la nascita del nuovo giorno della nuova Creazione

 

  • “L’ altro discepolo”

Tra  i discepoli c’era uno (chiamiamolo Giovanni) che sembra il più veloce, il più intuitivo, il più capace di percepire la novità di Dio, di credere e vedere quello che è aldilà della superficie. Certe cose, infatti, solo si capiscono con gli occhi dell’amore che ci permette di andare oltre le apparenze.

Anche tra di noi ci sono alcuni che sembrano più veloci e più capaci di vedere i segni dei tempi, di percepire  prima il “vento” di Dio che spinge la storia dell’umanità. Questi discepoli sono un dono per tutti, con una condizione però: che sappiano rimanere nella comunità, che non tentino di andare avanti da soli, che sappiano adattarsi ai ritmi degli altri… Soltanto così si costruisce la comunità, soltanto così il Signore si rivela veramente come centro del nuovo progetto di umanità, la nuova creazione, iniziata in questa “nuova settimana”.

In effetti, come Dio ha creato il mondo in una “settimana” simbolica, secondo la Genesi, così adesso Dio sta re-creando il mondo, re-generando l’umanità in questa nova settimana, il cui “agente attivo” è Gesù Cristo, eternamente vivo. Come Maria, Pietro e Giovanni, anche noi crediamo in questa nuova creazione, in questo nuovo giorno che spunta, perché l’amore di Dio è più forte della morte e del peccato.

 

  1. Antonio Villarino

Roma

 

I primi mesi in Etiopia

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Sono arrivato in Etiopia i primi di gennaio. E’ iniziata qui la mia prima esperienza di missione! Ho lavorato inizialmente come fisioterapista nel centro sanitario di Bushullo, vicino ad Awassa (zona sud dell’Etiopia) dove vivono Maggi & Mark con i loro figli!

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Attualmente questi primi mesi li trascorro ad Addis Abeba (presso la comunità MCCJ). Frequento un corso di Aramaico, la seconda lingua semitica più parlata nel mondo, dopo l’arabo. Il sistema di scrittura aramaica è chiamato fidel. Ogni parola è rappresentata da una sequenza di consonanti+vocali e ve ne sono più di 230! E’ motivo di grande soddisfazione per me essere riuscito a leggere qualche parola (finalmente!). Ovunque mi trovo cerco di capire i testi che mi circondano: sugli autobus, sui palazzi …. 😉

Terminata la scuola mi dedico al volontariato, sfruttando le mie capacità di fisioterapista e allo stesso tempo miglioro l’aramaico provando a comunicare con i pazientiJ. Qui la gente è molto cordiale con me, mi aiuta in tutto, è sempre sorridente e cordiale. E’ una gioia essere qui. Essi mi insegnano la loro cultura – attraverso la cerimonia del caffè o della enjera. Ho avuto modo di assistere anche alla festa del Timkat – una fra le più importanti della Chiesa ortodossa Etiope, che celebra l’Epifania e il Battesimo di Gesù. E’ molto interessante fare esperienza della varietà di chiese qui – la chiesa cattolica è solo l’1%, la più importante è la chiesa Ortodossa, cui si aggiungono le chiese protestanti e la religione islamica. La religione sembra essere una parte importante della vita di questa popolazione, anche nel linguaggio le espressioni più comuni includono la parola “Dio” – come per esempio la risposta ad un saluto è: “Sto bene, grazie a Dio”.

peopleSto facendo piano piano conoscenza di questo luogo, di questa gente, di questa cultura, di questa lingua. E, giorno dopo giorno, sono sempre più felice del fatto che Dio mi abbia portato fino a qui. 😉

Madzia Plekan. LMC in Etiopía

L’asinello e il “vero nardo”

Commentario a Mc 11, 1-11 e Mc 14-15, Domenica delle Palme, 29 Marzo 2015

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La liturgia ci offre oggi due letture dal vangelo di Marco: Una, prima della benedizione delle palme, sulla ben nota storia di Gesù entrando in Gerusalemme montato su un asinello (Mc 11, 1-11); la seconda, durante la Messa, è la “Passione” (le ultime ore di Gesù a Gerusalemme), raccontata nei capitolo 14 e 15.
In compagnia di Marco entriamo nella Settimana Grande dell’ anno cristiano, in cui celebriamo, ravviviamo a attualizziamo l’estraordinaria esperienza del nostro Maestro, Amico, Fratello e Redentore Gesù, chi, con grande lucidità e coraggio, anche se con angoscia e dolore, entra in Gerusalemme per incarnare definitivamente l’amore del Padre per i suoi figli.
Tutta questa settimana deve essere per noi un tempo di speciale intensità, con più spazio per la lettura biblica, per la meditazione, per il silenzio contemplativo, per fare memoria di questo grande evento che coinvolge Nostro Signore, ma anche noi stessi, con le nostre esperienze di vita e morte, di grazia e peccato, di angoscia e speranza.
Da parte mia, faccio, come al solito, tre brevi riflessioni:

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1) Il Re sul’asinello
Fa ormai qualche anno da quando ho avuto la gioia di visitare Terra Santa e di restare per dieci giorni a Gerusalemme. Tra altre cose, un giorno ho percorso a piedi il cammino che va da Betfagé al Monte degli Olivi, da dove si può contemplare la città santa. Non è una distanza molto lunga anche se in salita. Secondo il testo di Marco, Gesù lo fece su un asinello e acclamato dalla moltitudine. E’ una scena che ci sembra simpatica e si presta a rappresentazioni folkloristiche, ma dobbiamo stare attenti a non perdere il vero significato di questo gesto profetico di Gesù. Per capirlo bene, io non trovo niente di meglio che riprodurre un testo del libro di Zaccheria, al quale probabilmente si è ispirato lo stesso Marco:

“Esulta grandemente figlia di Sion,
giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino,
un puledro figlio d’asina.

Farà sparire i carri da Efraim
e i cavalli da Gerusalemme,
l’arco di guerra sarà spezzato,
annunzierà la pace alle genti,
il suo dominio sarà da mare a mare
e dal fiume ai confini della terra”.
(Zac 9, 9-10).

Da parte mia solo un brevissimo commento: Quanto ne abbiamo bisogno di un re simile in questo tempo di arroganza e violenza! Abbiamo bisogno di questo Re umile e pacifico che non s’impone con la forza dei cavalli o le armi, ma con la consistenza della sua Verità liberatrice e il suo Amore senza condizioni.

2) Il nardo “sprecato”
Il racconto della “Passione” secondo Marco, che leggiamo oggi, inizia con un episodio molto interessante. Si tratta della storia di una donna anonima che si avvicina a Gesù con un vasetto di alabastro che rompe per versare tutto il contenuto (“olio profumato di nardo genuino”) sul suo capo. I presenti si scandalizzano e criticano amaramente la donna per quel “spreco” assurdo. Pero Gesù difende la donna spiegando che ha anticipato l’unzione del suo corpo.
Infatti, contemplando questo vaso roto che sparge un olio profumato e carissimo, uno non può non pensare allo stesso corpo di Gesù, “rotto” per sparge il prezioso profumo del amore del Padre. La storia della Passione che leggiamo oggi ci parla di Gesù tradito dai suoi amici, Gesù angosciato davanti alle sofferenze che lo aspettano, Gesù terribilmente martirizzato, Gesù abbandonato… Ma un Gesù che si consegna liberamente, con un grande AMORE: “Non si faccia quello che io voglio ma quello che Tu, Padre, vuoi”.
La sua morte può sembrare uno “spreco”, come la decisione di tanti missionari che rischiano la pelle in posti dove abbonda la violenza, mancano le adeguate condizioni sanitarie e di rispetto per i diritti umani. Molti si domandano: Perché rischiare la vita? Non si tratta di un gesto inutile e esagerato, un spreco? La risposta è allo stesso tempo semplice e meravigliosa: L’amore non ha limiti, non fa calcoli; chi ama non dubita in rompere il vasetto del suo corpo per spargere nel mondo il buon odore della vita amata da Dio in un mondo che a volte “puzza” parecchio.
La stessa cosa si può dire di tante genitori, che rompono la sua vita in favore dei suoi figli, tante persone che lavorano per la salute degli altri, tante religiose che curano anziani abbandonati, e tanti altri che generosamente mettono la propria vita al servizio dei più bisognosi di vicino o di lontano….
Ognuno di noi è chiamato in questa Settimana Santa a rompere il vasetto della propria vita e a seguire i passi di Gesù, fiduciosi che il Padre non si lascerà vincere in generosità e che l’amore è più forte della morte.

P. Antonio Villarino
Roma

“La vita è un dono e noi la meritiamo donandola”

Un commento a Gv 12, 20-33: Quinta Domenica di Quaresima, 22 Marzo 2015

Ci stiamo avvicinando alla Settimana Santa, la grande Settimana del anno liturgico e della vita cristiana. In questa Domenica leggiamo un brano del capitolo 12 di Giovanni, prima d’iniziare il grande racconto della Passione, che comincia con il famoso gesto della lavanda dei piedi.

Questo brano di Giovanni ci presenta a Gesù in Gerusalemme, durante una festa ebraica, alla quale partecipavano persone venute da diverse parti del mondo. Tra queste persone c’erano –si dice– alcuni “greci” che volevano vedere Gesù, il quale pronuncia un breve ma significativo discorso.  Vediamo:

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  • “Vogliamo vedere Gesù”

In primo luogo, fissiamo la nostra attenzione su questi “greci” che volevano vedere Gesù. In realtà, quando l’evangelista scrive questo vangelo, esistevano già delle comunità di discepoli e discepole, cristiani a cristiane, che procedevano dalla cultura “greca”, che era la cultura dominante dell’epoca, qualcosa di simile alla nostra “cultura globale” di oggi. Questa presenza di “greci” nelle comunità di discepoli fu, di facto, un grande balzo in avanti, culturale e religioso. La grande proposta di rinnovamento umano e spirituale di Gesù, pensata in primo luogo per il popolo ebraico, si aprì abbastanza presto a genti di altri popoli, culture e riti religiosi…

A partire da quella prima apertura, il cristianesimo (il discepolato di Gesù) si aprì sempre più a nuovi popoli superando continuamente nuove frontiere. In ogni epoca storica degli ultimi venti secoli, nuovi gruppi umani hanno detto: “Vogliamo vedere Gesù”. E in dietro a quelli primi missionari, Andrea e Filippo, sono venuti Paolo, Ireneo, Agostino, Patrizio, Francisco Javier, Comboni… e tanti altri.

Siamo convinti che anche oggi ci sono molte persone e gruppi umani, aldilà di ogni frontiera geografica o culturale, che desiderano vedere Gesù, conoscere il vero Gesù, il Gesù che parla al cuore di ogni persona e cultura, il Gesù che porta la Verità, il perdono gratuito, l’amore senza condizioni, un progetto di umanità fraterna e giusta…

Oggi, come ieri, l’umanità ha bisogno di nuovi “Andrea e Filippo”, persone che conoscono Gesù personalmente (no dai libri ma dalla loro esperienza di vita), persone che hanno trovato questo “tesoro” che è la persona di Gesù e sono disposti a agire da “facilitatori”, in modo che anche altri conoscano e godano la parola, l’amore e la persona stessa di Gesù.

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  • Se il grano di chicco non muore…

Quando gli presentano i “greci”, Gesù pronuncia un breve discorso che può apparire enigmatico ad alcuni, ma che a me sembra abbastanza chiaro, se ci prestiamo un po’ di attenzione. Vediamo:

  1. E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. Qui e in altre parti del vangelo Gesù parla della sua “ora” e della sua “gloria”. Penso che nel nostro linguaggio potremo usare parole come “Trionfo”, “vittoria”, “Stima”, “riconoscimento”… Gesù, come tutti noi, ha bisogno di cercare il trionfo, la stima, l’onra… Ma la grande differenza tra Lui e noi e che la “gloria” che Lui cerca non è la “vanagloria” o una soddisfazione auto-referenziale, ma la “stima”, il “riconoscimento” che viene dal Padre. Questo riconoscimento, Gesù lo condivide con i discepoli, con i semplici, con i veri adoratori di Dio.
  2. Se il grano di Chicco caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Questa frase è molto conosciuta ed è entrata nella nostra cultura, con un significato abbastanza chiaro: La vita nasce dal sacrificio di qualcuno; la gloria, il trionfo, la vittoria non accadono senza sacrificio e dolore. Nella bocca di Gesù, queste parole parlano chiaramente della sua morte, che Lui è disposto a accettare sicuro che dalla sua morte nascerà una nuova vita per il mondo.
  3. “Chi ama la sua vita, la perde…”. L’esempio del grano di Chicco vale per Gesù, ma anche per tutti noi. La frase ci fa ricordare la parabola dei talenti, in cui si condanna il servo che per paura nasconde il talento ricevuto senza negoziarlo per farlo rendere altri talenti. La vita non si può viverla nella paura e nell’egoismo. Deve essere vissuta nella generosità, nella donazione e nel servizio. Come ha detto un famoso poeta, “la vita ci è stato donata e noi la meritiamo donandola”.

Queste parole di Gesù non sono delle “belle parole” di laboratorio filosofico. Sono l’espressione veritiera della sua propria vita, totalmente consegnata al Padre per il bene dei suoi figli. Gesù non si è tirato indietro davanti alle sofferenze e alla stessa morte. Ha saputo morire nella fiducia che dalla sua morte nascerebbe una nuova vita per l’umanità, come di fatto sta accadendo.

Contemplando Gesù nella sua parola, nella sua comunità, nella Eucarestia, nel lavoro, nelle persone bisognose, vicino alla settimana di Passione, anche noi siamo spinti a donare la nostra vita con generosità e fiducia, senza paura di spenderla per amore, sapendo che questa “spendersi”, questo “donarsi” è il migliore modo di  “guadagnare” la vita per sempre.

Antonio Villarino

Roma