Laici Missionari Comboniani

Messaggio del Consiglio Generale MCCJ per la festa del Sacro Cuore

Comboni

Cari confratelli
Alla vigilia della festa del Sacro Cuore, ci sentiamo invitati e attirati in modo speciale a contemplare questo Cuore, espressione feconda di tutta la vita di Gesù. Vi invitiamo in modo particolare a riflettere su quel momento storico della morte di Gesù sulla Croce. Un fatto che cambia il senso della storia. Un fatto storico e simbolico allo stesso tempo, che si ripete nella vita di tutti quelli che sono crocifissi con Cristo nel mondo di oggi.

Quell’anno la Pasqua dei Giudei era differente. Il venerdì, giorno della preparazione, mentre tutti si disponevano alla grande festa, fuori dalle mura della città, nel luogo del Cranio, tre uomini finivano senza gloria la loro giovane vita su una croce. Uno di loro si chiamava Gesù. La sua vita, in gran parte, era stata spesa tranquillamente in un piccolo e sconosciuto villaggio della Galilea. Poi, gli ultimi tre anni, era diventato un pellegrino per le strade della Galilea, Samaria e Giudea.

Faceva del bene a tutti, guariva gli ammalati, si lasciava intenerire dalle folle soprattutto quando le vedeva stanche e senza una direzione. Le sue parole piene di autorità erano ascoltate con piacere e riscaldavano il cuore. Tuttavia, un gruppo influente lo guardava con sospetto, lo considerava un pericolo allo status quo e ai suoi privilegi. E un giorno, il Venerdì prima di Pasqua, lo portò sulla croce.

Il giorno si spegneva rapidamente come tanti altri. Gesù pendeva dalla Croce, già morto: “vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua (Gv 19,33-34).

Presso la croce di Gesù erano Maria, sua madre, e il discepolo che Gesù amava. Essi videro quel cuore colpito dalla lancia aprirsi umilmente e furono afferrati dalla contemplazione di quel miracolo. Altri si avvicinarono, lo contemplarono e credettero. Videro l’acqua e il sangue uscire come fiume di vita nuova per il mondo. Si compivano le parole che Gesù stesso aveva detto poco tempo prima a Gerusalemme, nella festa delle Capanne: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo cuore”.

Come fonte inesauribile, questo cuore non si stanca di dissetare tutti quelli che si accostano a lui. Al seguito di Maria e del discepolo che Gesù amava, Maddalena e Tommaso, Margherita Maria Alacoque e Daniele Comboni e tanti altri hanno trovato in questo Cuore umile e misericordioso una visione nuova del mondo e della vita. Hanno riscoperto gioia e coraggio quando il loro cuore si amareggiava, forza e passione per buttarsi pienamente nella missione, quando la speranza veniva meno: “Ora, con la Croce che è la sublime effusione della carità del Cuore di Gesù, noi diventiamo potenti” (S 1735).

La festa del Cuore di Gesù, in quest’anno della Misericordia, ci invita a riscoprire l’atto supremo dell’amore di Dio, fino alla fine. È una chiamata ad imparare da Comboni a contemplare il Cuore del Buon Pastore e a metterlo al centro della nostra vita. Quando i confratelli, la gente o il lavoro difficile della missione ci logorano e ci fanno perdere l’entusiasmo e la gioia di servire, siamo invitati a contemplare questo Cuore: “Dalla contemplazione del Cuore ferito di Gesù si possa sempre rinnovare in voi la passione per gli uomini del nostro tempo, che si esprime con amore gratuito nell’impegno di solidarietà, specialmente verso i più deboli e disagiati. Così potrete continuare a promuovere la giustizia e la pace, il rispetto e la dignità di ogni persona” (Papa Francesco ai Missionari Comboniani, 1.10.2015).
Il Consiglio Generale MCCJ

Sono belle alcune vittorie

carcelSono belle alcune vittorie, piccole conquiste nate da battaglie che hanno il sapore della fatica, dell’impegno, della speranza, del progetto, del sogno, ma soprattutto sono costruite su un cammino che mai si è arreso, nonostante le difficoltà.

Queste piccole vittorie sono gioie condivise in un lavoro di equipe formato da persone che credono in quello che fanno, che con fiducia e umiltà costruiscono il lavoro quotidiano della Pastorale Carceraria.

Oggi finalmente abbiamo iniziato la catechesi nel carcere di massima sicurezza Nelson Hungria.

La nostra gioia, insieme a chi partecipa, nasce dopo un tempo di attesa lungo, fatto di permessi, di richieste, di grovigli burocratici e non, che avrebbero disanimato chiunque….ma noi NO!

Abbiamo tenuto fede e fermezza nel nostro obiettivo, nel cercare di realizzare una richiesta nata dagli stessi detenuti, mediando con una parte “istituzionale” che non ha fiducia in un lavoro di valorizzazione e recuperazione con i carcerati. C’è chi crede che è tempo perso, che non ne vale la pena, che chi è in prigione non ha più diritto di niente, neanche di cercare Dio o se stesso, solo il nulla dentro una buia cella.

Ma è proprio in quel buio che nasce il desiderio di ritornare a “vedere”, di rincontrarsi, di abbracciare quel Mistero che tanto bussa nell’ animo umano. Nessuno ha il diritto di negare quel bisogno e quella ricerca spirituale che è propria dell’uomo. Per questo la nostra battaglia a rispettare una ricerca che nasce da un cammino personale, da un desiderio di cercare Dio e se stessi.

Oggi l’inizio di un nuovo percorso con un piccolo gruppo di detenuti e finalmente in una stanza dove abbiamo potuto metterci in circolo liberamente, senza nessun impedimento, di sbarre, di manette, di spazi fisici divisori, di agenti vigilanti.

Sono emozionanti le condivisioni che vengono fuori, sono forti, umane, cariche di domande e desideri. Sono percorsi costruiti insieme, condivisioni dove ognuno arricchisce l’altro, dove ognuno insegna all ’altro, dove si comunicano  le proprie emozioni, gioie e ferite di una vita che si vuole ricostruire, che non si sente perduta o schiacciata dal peso della colpa o dalla condanna della gente.

Sia benedetto questo percorso, sia benedetta questa sete di Dio che allarga i confini del cuore e che spezza le grate di una prigione fatta di carne e umanità in ricerca e in cammino.

Evviva la Vita che è capace di rinascere e crescere, evviva la Gente che aiuta a farla crescere, evviva il mettersi in Cammino e il non aver paura di farlo.

Tra i diritti che devono essere rispettati per i carcerati c’è il diritto di assistenza religiosa.

Tutti i detenuti hanno libertà di culto/religione, così come il diritto di praticarla nella propria unità carceraria, nessuno è obbligato a partecipare se non lo desidera.

Emma, LMC in Brasile

Terzo incontro della Fondazione Fede e cooperazione (Portugal)

FFC

Durante il fine settimana dal 13 al 14 febbraio si è svolto a Fatima l’evento di formazione della terza FEC (Fe Foundation and Cooperation) sul tema “missione, cultura e religione”. Nel corso della riunione abbiamo avuto il piacere di avere come relatore il Provinciale dei Missionari comboniani del Sacro Cuore di Gesù, p. Jose Vieira. Come per altri incontri, era presente una grande varietà di istituti, gruppi e organizzazioni missionarie. Ringraziamo Dio per la loro partecipazione, per l’unione fraterna e la gioia che ci accompagnano sempre quando ci si incontra nel Suo nome.

Durante l’incontro è stata sottolineata l’importanza dell’essere insieme. Partecipare agli incontri comporta una conoscenza personale reciproca e delle rispettive culture. Inoltre l’incontro fra culture diverse spesso porta a dimenticarsi di sé stessi, delle proprie abitudini culturali e quotidianità che sono presenti in noi, per accettare l’altro, la sua cultura. Ciò rappresenta una grande sfida che porta a fare esperienza piena dell’amore di Dio in terra di missione. Più che ad essere testimoni di Dio, Egli ci invita a seguire il suo esempio, ad essere vangelo vivente di amore. E per questo dobbiamo conoscere le persone, le loro culture e i loro costumi… dovremmo fare opera di inculturazione in noi stessi per amare le persone pienamente.

FFC

Gesù è un esempio autentico di inculturazione. Infatti Egli per testimoniare l’infinita ricchezza del Suo amore si è fatto uomo come noi. Seguendo il suo esempio, dobbiamo non solo rispettare ma conoscere e immergerci nelle diverse culture, abitudini e costumi presenti nel paese dove ci rechiamo. Tutto ciò sembra più complicato di quanto si pensi, in primo luogo perché siamo tutti intrinsecamente etnocentrici e vediamo il mondo dal nostro punto di vista, dalla nostra esperienza e alla nostra cultura. Tuttavia non dimentichiamoci che la diversità culturale è un dono oggetto di amore e rispetto da parte di Dio. Ciascuno di noi arriva con tutto ciò cui ci si è conformati: difetti, pregi, storia di vita, cultura e la nostra fede è il risultato di un rapporto personale con Dio. E’ importante invece tenere presente che le culture che ci accolgono sono territorio sacro sul quale dobbiamo toglierci i sandali dei pregiudizi e dei preconcetti culturali. Da ciò deriva l’importanza di imparare le lingue, la cultura locale, in particolar modo imparare a celebrare e stare con le persone per condividere con loro le nostre vite. Pertanto il nostro andare verso nuove culture richiede disponibilità a rinascere e imparare a vivere in modo diverso.

Durante l’incontro, il 13 febbraio abbiamo avuto l’onore di ringraziare Dio per la vita di Marisa, che ha compiuto 23 anni. Ringraziamo Dio per averci dato la grazia di camminare e celebrare la vita al suo fianco. La vita si arricchisce e si sviluppa quando siamo circondati da gente che porta Dio nel loro cuore.

Marisa e Paula

Rimetti a noi i nostri debiti!

Emma assembleia prisoes

Dal 22 al 24 di Aprile ho partecipato in Uberlandia, città del Minas Gerais, all’ Assemblea Regionale della Pastorale Carceraria, un incontro annuale che vede riuniti tutti i rappresentanti delle città del Minas Gerais che lavorano in questa pastorale. Tema dell’incontro: Ecumenismo, Giustizia e Misericordia.
Una giustizia che è madre della pace, una Giustizia che si compie con misericordia e verità, una Giustizia che non si fa solo con la ragione, ne solo con il cuore, ma una Giustizia che è ragione e cuore insieme.
Una Giustizia che molto spesso è malata di una soffocante burocrazia, vecchia e conservatrice, di una corruzione che è male del mondo, che dimentica di essere riconciliativa, che cerca il bene di tutti, per essere solo punitiva e elitaria. C’è un proverbio africano che dice che “ai processi si va con un ago per cucire e non con un coltello per tagliare” , una giustizia che lavora per far emergere quell’Umanità Perduta, anche quando si è colpevoli, perché è solo attraverso un atto di misericordia e non di condanna che nascono i cambiamenti, di vita e di speranza.
Se non credessi in tutto ciò, non potrei svolgere il mio servizio missionario nella Pastorale Carceraria, dove tre volte a settimana incontro i detenuti del carcere maschile e femminile.  E’ il mio Vangelo quotidiano, dove le ferite delle colpe sanguinano e provocano dolore, da parte di chi ha commesso il crimine e di chi lo ha ricevuto: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Saper perdonare, saper ascoltare, attraverso un cammino che si fa insieme, colpevole e vittima, attraverso una riconciliazione che cambia completamente la Vita, il peso di una colpa e il peso dell’odio.
Nei giorni dell’Assemblea ho sentito forte il mio impegno in questo cammino, così come nei miei colleghi/e che prestano servizio volontario nelle carceri. Nessuno di noi riceve un salario, ne elogi o complimenti da parte della gente, che al contrario ci vede di più come “amici dei banditi o dei vagabondi”, perché i detenuti vengono considerati immondizia del mondo, male da estirpare e non da recuperare.

Tutto quello che facciamo è frutto della nostra passione e della nostra convinzione, della nostra fede per un carcere che sappia educare e non solo punire, che possa essere più dignitoso e rispettoso, che sappia creare Misericordia e Pace.

Il Brasile è al quarto posto tra i paesi con la maggior quantità di carcerati nel mondo, dopo Stati Uniti, Russia e Cina. I diritti umani non sono i benvenuti nelle carceri brasiliane, così come in altri carceri del mondo, questa è anche la nostra “lotta” il loro pieno riconoscimento.

Sovraffollamento, condizione igieniche inesistenti, topi che fanno compagnia ai detenuti, che corrono di notte dentro le celle, violenze fisiche e psicologiche, attività illecite portate avanti. Tutto questo si trova facendo visita in un carcere, dove Umanità e Legalità non hanno più significato, in una piena contraddizione dentro una struttura che dovrebbe ricrearle e garantirle.
Queste sono riflessioni, proposte, impegni che hanno condotto i nostri giorni di Assemblea, che hanno stimolato e animato il nostro SI a questa pastorale, ricordando che non c’è crimine o peccato che possa cancellare l’uomo dal cuore di Dio misericordioso.
Inizierò a collaborare con l’equipe della coordinazione statale del Minas Geras, per il tempo che mi sarà possibile, un invito che mi ha riempito di gratitudine e speranza per un lavoro che mette le nostre vite a disposizione di questa causa, nella promozione di dignità della vita umana e per la costruzione di un mondo libero “dalle prigioni”.

Emma assembleia prisoesEmma, ​​LMC