Laici Missionari Comboniani

Economia, terra di missione (conferenza)

P Albanese

Nel XX anniversario dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York, il missionario e giornalista comboniano P. Giulio Albanese MCCJ affronta il tema dell’economia civile nel webinar “Economia, terra di missione”, promosso dal Coordinamento Europeo dei Laici Missionari Comboniani. Albanese rivela i meccanismi del sistema bancario ombra, il cosiddetto “Shadow Banking”, uno dei principali responsabili del divario sempre più incolmabile tra il Nord e il Sud del mondo, ulteriormente aggravato dalla pandemia Covid-19.

Ci scusiamo per i problemi tecnici inerenti a una trasmissione in diretta in diversi paesi e a diverse velocità di connessione internet.

Ministeri per la trasformazione sociale

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La secolarizzazione è un tratto caratteristico del nostro tempo. Come ha acutamente osservato Alexander Schmemann nel libro Per la vita del mondo, la secolarizzazione in sé, non è tanto la negazione del trascendente, quanto la separazione tra dimensione materiale e spirituale della realtà. Il cristianesimo ha rivelato il superamento della barriera tra umano e divino in Gesù, attraverso l’incarnazione. Attraverso la risurrezione di Gesù, ci è stato rivelato il senso ed il destino della Creazione, non come un qualcosa che appartiene ad un altro mondo, separato, ma come una realtà già presente – il Regno di Dio – che però attende ancora il completo compimento. Tuttavia, nella cultura contemporanea il senso religioso, con la separazione tra sacro e profano, è ritornato alla ribalta. Come nota Schmemann, la secolarizzazione è la grande eresia del nostro tempo, nata all’interno del cristianesimo, anziché come nei primi secoli dall’incontro con un’altra cultura e visione del mondo.

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Effetto della secolarizzazione è tanto il materialismo quanto lo spiritualismo. Così da un lato notiamo varie manifestazioni di una cultura immanentista, che guarda alla materialità della realtà in un orizzonte di senso che non ha bisogno di Dio. Dall’altro, c’è un forte ritorno alla religione come senso del sacro, che spiritualizza la realtà rimandando ad un altro mondo, con conseguente deresponsabilizzazione per questo mondo in cui viviamo. Ricordo, ad esempio, quando nel 2001 partecipai ad un’iniziativa di mappatura di alcune baraccopoli di Nairobi, condotta dagli stessi residenti. Ne risultò che in quegli insediamenti informali c’erano più chiese che latrine (che erano una ogni mille abitanti circa). Una fede che non ha niente da dire – e soprattutto da agire – su tali condizioni indegne per l’umanità sconfina nello spiritualismo alienante.

Il ministero sociale è una risposta ispirata dalla fede in Gesù risorto alle situazioni disumanizzanti, di ingiustizia e di devastazione ambientale, caratterizzata dall’inclusione della dimensione di fede nel processo di trasformazione sociale e dal suo approccio e metodologia ministeriale.

1. L’inclusione di una dimensione di fede nel processo di trasformazione sociale

La profezia nella tradizione biblica richiama il popolo all’Alleanza con Dio, denunciando la caduta di quella relazione vitale. Ciò è evidente nell’ingiustizia sociale, nell’oppressione dei più deboli, nella violenza e sfruttamento che li schiacciano. Come ha efficacemente argomentato Walter Bruggemann nel L’immaginazione profetica, la profezia interpreta due ruoli fondamentali: svelare l’ingiustizia del sistema oppressivo e aprire percorsi alternativi, nuove configurazioni al vivere assieme che interpretino il sogno di Dio. E questo richiede una trasformazione sociale, vale a dire un cambiamento tanto di mentalità quanto di strutture sociali. Tanto il vino quanto gli otri devono essere nuovi: una conversione, una nuova mentalità senza nuove strutture sociali è sterile, non porta frutto e finisce per essere riassorbita nei vecchi atteggiamenti; nuove strutture senza uno spirito nuovo vengono ben presto corrotte e così ci si accorge che nonostante i grandi cambiamenti intervenuti tutto in fondo è rimasto come prima.

Il senso dell’impegno per la trasformazione sociale è quello della fedeltà all’Alleanza, al sogno di Dio rivelato in Gesù di Nazareth. Un sogno che mostra il legame tra fede e responsabilità sociale, che motiva l’azione dei fedeli nella società, illumina la loro visione umanistica, e dà vita ad una tradizione sociale che nella storia continua a mobilitare persone, risorse e percorsi per la trasformazione sociale. Come, ad esempio, fanno le piccole comunità cristiane (jumuiya ndogo ndogo) nelle baraccopoli di Nairobi, che si riuniscono settimanalmente tra le baracche per condividere la Parola e la vita, e per rispondere con concretezza agli inviti dello Spirito. Ogni membro si presta per un servizio (huduma), che può essere un ministero rivolto alla comunità cristiana, come il servizio della Parola (animazione biblica), della fede (catechesi), o della liturgia. Oppure un ministero rivolto al vicinato, come quello rivolto ai più poveri, agli ammalati, all’ambiente, alla giustizia e pace, e così via. Il loro servizio semplice è espressione di misericordia, di dono di sé, con gratuità: un contributo fondamentale alla trasformazione sociale. Di fronte alla complessità della realtà e delle questioni sociali, serve anche collegare questa realtà a percorsi più strutturati e in rete con altri attori e livelli di cambiamento, attraverso la collaborazione ecumenica, interreligiosa e con la società civile.

Quando ci si apre a questa scala più ampia, che significa andare missionariamente oltre i confini ecclesiali per vivere e testimoniare il Vangelo, avviene una crescita umana e di fede. L’incontro con l’altro, diverso da sé, ci fa crescere, ci arricchisce, ci trasforma e ci aiuta a scoprire nuovi aspetti del mistero di Dio di cui ancora non abbiamo fatto esperienza. Tuttavia, facilmente troviamo formidabili resistenze a questa dinamica anche in ambito ecclesiale, dovute forse alla paura di “perdere” la propria identità. Timore questo che negli ultimi anni si è fatto comprensibilmente sempre più pressante, con l’imporsi di contesti plurali, molto diversificati, multiculturali. Eppure, è proprio il mistero dell’Incarnazione che ci invita a questo percorso: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2,5-7).

Anche per le comunità cristiane, questa apertura, questa kenosi ispirata da quella di Gesù, è parte del percorso di conversione, di un processo aperto in cui i ministri sociali partecipano e sono trasformati insieme alla loro comunità e alla società. Il ministero sociale non può mai essere ridotto a un “progetto” o a una competenza professionale. La vita, la persona umana e le relazioni vanno ben oltre ciò che le capacità organizzative, manageriali, tecniche o professionali possono controllare. Anche se il ministero sociale può fare uso di progetti per rispondere al bisogno di cambiamento in una data situazione sociale, un’eventuale trasformazione non può essere misurata con i parametri utilitaristici del progetto. Il mistero della vita comporta anche i suoi propri tempi e dinamiche che trascendono la pianificazione umana e che devono essere riconosciuti e rispettati.

2. L’approccio ministeriale

Nella collaborazione con gruppi diversi della società civile, i ministri sociali possono anche avere in comune con gli operatori dello sviluppo e del sociale metodi e tecniche di intervento, ma la loro azione è caratterizzata comunque dalla dimensione ministeriale. Questo significa anzitutto essere espressione di gruppi e comunità di fede, operare assieme a loro, sia in attività che rispondono alla loro situazione e difficoltà, sia in forza di un mandato della comunità ecclesiale che ci spinge al di là dei propri confini per rispondere a preoccupazioni che riguardano il mondo intero.

In secondo luogo, significa camminare assieme alla gente, che richiede accompagnamento, comprensione delle persone e delle situazioni, facilitazione dei processi di gruppo e comunitari, abilitazione e responsabilizzazione della gente. Bisogna avere fiducia in loro, dialogare, collaborare, essere in solidarietà, fare causa comune con loro.

Altro aspetto caratterizzante è quello della spiritualità cristiana, un aspetto fondamentale in prospettiva ministeriale. Nella dimensione spirituale confluiscono sia la visione del mondo (riferimenti essenziali per la comprensione della realtà, credenze, valori, motivazioni, atteggiamenti, ecc.); sia l’esperienza di fede del ministro e della comunità. La spiritualità alimenta il ministero, la crescita e la trasformazione sociale; è fondamentale nel processo di discernimento, nel dare senso alla realtà, nel superare le difficoltà e i momenti e le situazioni più oscure nel cammino di trasformazione, e nel far emergere una nuova consapevolezza, una prospettiva evangelica.

C’è poi un senso vocazionale nel fare ministeriale: ci si aspetta che i ministri abbiano una dedizione totale e diano tutto se stessi alle persone nel loro ministero perché gli altri abbiano la vita e la vita in pienezza. Questo è possibile quando si ha un forte senso della vocazione che motiva e dà senso alle proprie scelte e azioni, un senso di missione. Un’operatrice esperta di sviluppo e giustizia sociale, diventata ministro sociale dopo 20 anni di pratica, ha motivato la sua scelta dicendo che si è resa conto che nel suo lavoro poteva avere a grandi linee solo due atteggiamenti di base possibili: o quello di essere una “missionaria” o quello di essere una “mercenaria”. La differenza sta nel dare la propria vita, pagando il prezzo della trasformazione per cui si lavora (cf. Gv 10).

Infine la collaborazione: il ministero non si fa mai da soli, ma in equipe e richiede un mandato da parte di una comunità (non ci sono ministri “autoproclamati”), cioè non agiscono a proprio titolo, ma in nome di una comunità cristiana, con la quale sono in comunione. Inoltre, tali comunità cristiane sono chiamate ad essere in comunione con tutta la chiesa e pertanto i ministri sociali sono parte di un grande movimento ecclesiale e sono chiamati partecipare al cammino sinodale.

Comboni

3. La metodologia del Ciclo Pastorale e la trasformazione sociale

Questa metodologia è ciò che dà alla pastorale sociale la sua particolare struttura operativa, integrando la competenza professionale nello sviluppo umano integrale e nel lavoro sociale con le competenze ministeriali.

L’essenza del ciclo pastorale è il metodo Vedere – Giudicare – Agire, definito formalmente negli anni 1920 da Joseph Cardijn, un prete belga con una formazione in studi sociali, e dal movimento dei Giovani Lavoratori Cristiani. Lo chiamarono “Revisione della vita”. Nell’ambiente delle fabbriche industriali del Belgio, molto ostili alla Chiesa e che abbracciavano il socialismo o il comunismo, i membri di questo movimento riflettevano sulla relazione tra fede e lavoro. Il metodo comportava un’osservazione della vita (un’indagine sociale all’interno delle condizioni di vita e di lavoro nelle fabbriche), interpretando quella realtà alla luce della Parola e agendo per porre rimedio alla sofferenza e al disagio all’interno delle situazioni esaminate. Cardijn aveva un interesse particolare per la classe operaia, specialmente nelle fabbriche e nelle miniere; una classe sociale che era persa per la Chiesa, che era percepita come sostenitrice dell’aristocrazia e dei governanti del tempo. La sua metodologia aveva lo scopo di educare sia il raziocinio (soprattutto nel guardare i fatti, le prove e le cause delle situazioni sociali) che il cuore (in particolare attraverso la riflessione guidata dalla Bibbia, volta a contrastare la realtà con la verità del destino umano), partendo dalla sofferenza delle persone, dei lavoratori e delle famiglie in particolare.

Il metodo è in seguito formalmente approvato da Papa Giovanni XXIII nella sua Lettera Enciclica Mater et magistra (n. 217), che lo raccomanda per rispondere alle questioni sociali. Poco dopo, questa metodologia è diventata una caratteristica del movimento della teologia della liberazione in America Latina, e ampiamente diffusa e popolarizzata. Così lo schema Vedere – Giudicare – Agire nella Teologia della Liberazione prende la fisionomia di analisi sociale, riflessione teologica e pianificazione pastorale. Ma c’è un contributo particolare aggiunto: la teologia della liberazione ha integrato l’uso delle scienze sociali nel metodo teologico, e ha introdotto nella riflessione teologica un’enfasi sulla narrativa e la teologia dell’Esodo e della letteratura profetica.

Nel 1980 Joe Holland e Peter Henriot pubblicarono Social Analysis: Linking Faith and Justice, in cui presentavano un’elaborazione della metodologia del Circolo Pastorale. Qui abbiamo l’idea di un processo ciclico e l’introduzione dell’articolazione del primo passo (vedere) in due elementi, cioè inserzione e analisi sociale. Da allora la metodologia ha guadagnato sempre più popolarità e adattamenti a vari contesti. Ecco perché oggi ci si riferisce ad essa con una varietà di nomi e versioni (circolo, ciclo o anche spirale pastorale), con 4 (inserzione, analisi socioculturale, riflessione teologica, processo di azione), 5 o anche 6 elementi. Ma fondamentalmente, tutti si riferiscono alla stessa metodologia. Infatti, l’elemento dell’azione viene spesso articolato per mettere in evidenza dei passaggi che si tende a tralasciare, come la verifica e la celebrazione, che vengono così sottolineati perché non vengano dimenticati.

Come Paulo Freire ha evidenziato nel suo classico Pedagogia degli oppressi, accompagnare gruppi umani e comunità oppresse richiede di affrontare la sfida della liberazione, che solo gli esclusi possono operare per se stessi. Le situazioni di oppressione, infatti, comportano delle conseguenze su chi le soffre che costituiscono un blocco formidabile al processo di liberazione: come, ad esempio, la cultura del silenzio, che porta a convivere con l’ingiustizia come se fosse “normale”; l’apatia ed il senso di impotenza; e la violenza orizzontale – che arriva fino ad assumere la forma di “guerra tra poveri” – che divide le comunità. Così la chiave per avviare processi di cambiamento sta nel trovare un punto di partenza adeguato, che generi la motivazione e l’energia necessarie per intraprendere il cammino e superare le inevitabili difficoltà lungo il percorso. Il ciclo pastorale non è solo uno strumento di intervento, ma un processo organizzato che inizia con l’inserzione del ministro sociale nella comunità per stabilire relazioni significative, capire le persone e la situazione in cui vivono; costruire la fiducia, la speranza, il dialogo e la cooperazione necessari per qualsiasi cammino ministeriale, e identificare il punto di partenza adeguato per avviare un processo di trasformazione. Il ciclo pastorale parte dalla realtà e dalle persone così come sono, specialmente i poveri e gli oppressi, incarnando uno dei principi guida enunciati nella Evangelii gaudium (217-237), in particolare quello per cui la realtà è più importante dell’idea (EG 231-233).

Un’altra grande sfida per la liberazione è quella del passaggio da una coscienza ingenua, superficiale e a volte irrazionale della realtà alla consapevolezza critica, cercando le cause e le conseguenze profonde delle situazioni studiate e le alternative cariche di potenziale trasformativo. Tale cambiamento segna l’inizio del processo di empowerment della comunità, perché quando la gente comincia a vedere chiaramente oltre la cortina fumosa della complessità e delle narrazioni strumentali, è in grado di cominciare a riappropriarsi del proprio potere di cambiare le cose.

Man mano che la gente cresce nella consapevolezza critica della propria situazione, delle cause e dei meccanismi che l’hanno portata all’esistenza e la perpetuano comincia a vedere che è possibile affrontare tali dinamiche. Tuttavia, non necessariamente sceglieranno di lottare per il cambiamento; è probabile che quando vedono come funziona il potere dominante, possano desiderare semplicemente di ottenere una posizione di dominio. Ma questo non porta alcuna trasformazione sociale, perché il sistema oppressivo in quanto tale rimane intatto. Quindi, un altro cambiamento richiesto è quello di abbandonare consapevolmente la logica e i meccanismi del sistema dominante ed essere guidati da una visione alternativa, da nuovi atteggiamenti e rapporti di potere. In pratica, questo comporta il superamento di tattiche antidialogiche come il divide et impera, la manipolazione, l’imposizione di valori e presupposti, o prospettive della realtà che tutelano gli interessi di chi domina sugli altri. Invece, un processo di liberazione richiede che le persone si rigenerino in nuovi atteggiamenti, come la cooperazione, l’unità, l’organizzazione collettiva e la sintesi culturale. La fase di riflessione teologica aiuta ad operare questo passaggio di conversione, facilita la demistificazione dei sistemi oppressivie il risveglio delle alternative e del potere di attuarle. Tiene in considerazione le preoccupazioni, le sofferenze, le angosce e le forti emozioni delle persone, perché queste sono una realtà – molto spesso soppressa – che permette loro di svelare i falsi presupposti e i miti indiscussi che sono dominanti e comunemente accettati nella società. Inoltre, la riflessione teologica fa emergere le speranze genuine delle persone, le loro aspirazioni, i loro sogni per un mondo migliore; ispira la comunità all’azione e offre una prospettiva per il discernimento e la decisione dell’azione da intraprendere; la aiuta a trascendere le differenze senza annullarle, costruendo quella comunione che ha l’aspetto del poliedro – per usare un’immagine cara a papa Francesco – e che illustra il principio che il tutto è superiore alle parti ed anche alla loro somma (EG 234-237).

Molto spesso la realtà è complessa, ambigua e contraddittoria, così che può non essere del tutto chiaro cosa è bene e cosa è male. Infatti, le azioni possono essere ambivalenti, avendo sia aspetti positivi che negativi mescolati tra loro. Questo è un altro contesto in cui la riflessione teologica può aiutare una comunità a discernere il suo ruolo e le sue responsabilità (cioè la sua missione) e le conseguenti azioni che è chiamata a intraprendere.

Alla fine, la comunità dovrà impegnarsi in un processo di azione (pianificazione, implementazione, monitoraggio e valutazione, celebrazione), con la responsabilizzazione delle persone direttamente toccate dalla situazione. Questo è il livello dei programmi di servizio, delle iniziative comunitarie o di gruppo. Non si tratta semplicemente di arrivare a dei risultati immediati o di imporre delle soluzioni parziali, o anche di realizzare un progetto, ma di avviare processi, dei percorsi di trasformazione, in linea con il principio che il tempo è superiore allo spazio. (EG 222-225). Tale prospettiva aiuta a interagire con la complessità senza operare indebite semplificazioni, che per risolvere dei problemi finiscono per crearne altri.

Ad ogni modo, la complessità resta sempre una sfida e facilmente può provocare lo scontro che genera divisione. Ma questo è un passaggio obbligato sul sentiero che porta all’unità. La cultura dell’incontro – fatta di atteggiamenti, prassi e spiritualità – può aiutare a preparare il terreno per un incontro delle differenze capace di superare il conflitto (cf. l’unità prevale sul conflitto, EG 226-230).

Conclusione

Daniele Comboni ha vissuto il suo ministero missionario facendo causa comune con i popoli dell’Africa. Questa opzione di mettersi in gioco a fianco degli ultimi per camminare con loro all’incontro con il Risorto oggi richiede la capacità di impiegare approcci partecipativi. Anzitutto per promuovere la soggettività, il protagonismo degli esclusi (cf. la “rigenerazione dell’Africa con l’Africa”). Ma, soprattutto, si tratta di fare un accompagnamento che spesso parte da situazioni di crisi, affrontando realtà spesso schiaccianti senza avere soluzioni pronte a portata di mano. Anche se fragili e vulnerabili, e limitate in tutti i modi, le persone insieme possono riuscirci, se attingono alla creatività che viene dall’amore. La sfida allora è quella di adottare percorsi che evocano l’umanità nei partecipanti, stimolano il loro potere di amare, li collegano tra loro e agli inviti dello Spirito Santo per dare risposte nuove e trasformanti.

Alberto Parise, MCCJ

La dimensione escatologica della trasformazione sociale

El Mundo

Una riflessione teologica

P. Francesco Pierli MCCJ e Sr. Teresita Cortés Aguirre CMS

El Mundo

1. TRASFORMAZIONE SOCIALE E RIFLESSIONE TEOLOGICA

Il tema della trasformazione sociale è di grande attualità, sia in ambito ecclesiale, come testimoniano documenti come la Evangelii gaudium, la Laudato si’ e la Fratelli tutti, sia nel contesto della società civile e politica, come si evince dal grande impegno per gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. È ormai assodato che il modello di sviluppo dominante sta impattando gli ecosistemi e le forme di vita sul pianeta a livelli insostenibili. Per questo è necessaria una conversione sistemica, per salvaguardare e promuovere la vita, gli ecosistemi, la dignità umana e il bene comune. In breve, una trasformazione sociale, che significa un cambiamento di paradigma, di strutture socioeconomiche e dei presupposti culturali, della mentalità, che le sottendono.

Una comunità di fede non può esimersi dal riflettere teologicamente su questa realtà. La teologia non dovrebbe portarci a pensare a tesi o ipotesi a livello astratto, ma sempre in termini di situazioni concrete, come una scienza che si china a guardare l’umanità. Perché se fare teologia significa parlare di Dio, non ci sentiamo di non partire dalla consapevolezza che è una scienza a servizio dell’umanità. Desideriamo parlare di un Dio che appunto si china a guardare e a rialzare l’umanità. Ci sono degli esempi emblematici con la Teologia della Liberazione nata in America Latina, e con la Teologia di taglio africano di Jean Marc Ela, o di Laurenti Magesa già contestualizzati a teologizzare a partire sia dalle situazioni concrete, sia dalla storia e dalla religiosità dei popoli e dalla loro esperienza di Dio. Davanti a fenomeni globali tanto complessi e dolorosi che stiamo vivendo che cosa dice Dio a noi, ai popoli, a nazioni in punto di rottura sociale e umanitaria?

La grande sfida è trovare un linguaggio che esprima l’esperienza che la gente di oggi, nel 2021, ha di Dio. Coscienti che tentiamo di scoprire un linguaggio per parlare di Dio, a partire dalla “storia”, ma da una storia che diventa parte della nostra esperienza.  Si tratta di fare teologia umilmente perché sono esperienze profonde che i nostri contemporanei fanno del “mistero di Dio”. La riflessione teologica – una riflessione sull’esperienza alla luce della Parola per un discernimento per rispondere alle situazioni della vita – ci aiuta a scoprire la presenza di Dio nella storia, così come gli inviti che lo Spirito ci fa nelle situazioni che sperimentiamo.

Fino a cent’anni fa, il popolo dipendeva prevalentemente dalla natura e questo significava mantenere un legame consapevole, vitale con essa, accettando un Dio che è Creatore e che crea un essere umano creatore-creativo, non inerte. Oggi, invece, siamo abituati a dominare la natura, nel bene e nel male. L’essere umano ha le sue idee, i suoi pensieri, ma Dio ha le sue idee, i suoi pensieri (“I miei pensieri non sono in vostri pensieri” (Is 55,8). Davanti a cose terribili che accadono e delle quali noi non ci sentiamo responsabili, c’è chi è tentato di ritenere Dio responsabile di tutto. Dall’altra parte, c’è stato un periodo in cui si parlava “della morte di Dio”, non in senso ontologico, ma più pragmatico, come a dire: la tecnologia e la crescita intellettuale dell’essere umano non rendeva più necessario Dio, né un intervento di Dio.

In tutte le esperienze umane del mistero di Dio, in tutte le culture, si cercava un linguaggio per parlare della divinità, perché si capiva che la Vita umana e tutto il Creato è al di là di ogni nostra spiegazione.  Sull’esperienza di Dio influiscono le condizioni geografiche, climatiche, delle creature che circondano il gruppo umano, sia per costituire il corpo di credenze, come quello del culto, della liturgia, dei rituali e di ogni espressione usata per entrare in rapporto con Dio. Così come per i luoghi di culto, per la simbologia e l’immaginifico, per i miti, per l’organizzazione sociopolitica, per le relazioni umane, fino all’arte, la musica, ecc. Influisce se ci sono monti, o foreste, o fiumi. Influisce la forza del sole, come vedono gli astri, le fasi lunari, gli animali; se c’è deserto, o c’è’ l’oceano. Lo spazio, il luogo, il tempo, i fatti vissuti, le gesta degli eroi, degli antenati, la tradizione orale, il ricordo: la Storia è luogo teologico, e vediamo come da sempre Dio si è manifestato in persone e fatti storici concreti. Le esperienze di Dio sono molto diverse e quindi anche le espressioni sulla percezione delle esperienze di Dio sono pluralistiche.

2. COME L’UMANITÀ SPERIMENTA DIO NEL MOMENTO PRESENTE

Innanzitutto è cruciale prendere atto che oggi più che mai l’umanità è cosciente delle infinite trasformazioni che avvengono ogni giorno nell’universo. Oggi sappiamo che le trasformazioni sono una costante nella storia. Tramite i mezzi di comunicazione siamo informati anche sulla speditezza di codeste trasformazioni. Mai come oggi siamo stati al di dentro del ritmo delle trasformazioni, dal punto di vista della tecnologia e dal punto di vista dell’economia di mercato che continuamente ci bombardando con nuove informazioni. Abbiamo una sovrabbondanza di informazioni, importanti o meno importanti, in tempo reale.

Succede però che così come arriva la notizia di un avvenimento, arrivano anche le interpretazioni e le possibili manipolazioni che possono anche essere distruttive della dignità della persona umana, (che sta nell’essere a immagine di Dio: “Ed ‘Elohim creò ha-‘adam = l’umano – in sua immagine, in immagine di ‘Elohim lo creò, maschio e femmina li creò”, Gen 1,26-28), ma addirittura andare contro la libertà individuale e comunitaria di singoli e di gruppi umani.

Mai come oggi ci sono degli approfondimenti e studi sulla psiche umana per onorare la sacralità di ogni essere umano, e mai come oggi si vedono calpestati i diritti di bambini, di donne e di uomini “scartati” dalla società. Con aberrazioni incredibili fino al punto di trovare chi motiverebbe i giovani al suicidio e chi li coadiuverebbe a compierlo.

Mai s’era vista tanta partecipazione delle donne con posti di direzione nell’ambito politico, sociale, economico, ecologico, e religioso, per esempio nella chiesa cattolica, osserviamo come Papa Francesco ha chiamato e continua a chiamare donne consacrate, anche delle Laureate da noi a Tangaza University College (Nairobi), o laiche, a fare parte del governo della chiesa, con nomine che prima erano esclusive del clero, ed ora sono persino in diversi Dicasteri Vaticani. Pure nell’ambito scientifico: come una Chiara Marletto, scienziata italiana a Oxford, che sta rivoluzionando con una nuova ipotesi, la teoria di Einstein e la meccanica quantistica, per spiegare l’universo. Eppure mai come oggi si commettono tanti femminicidi in ogni parte del mondo.

Mai come oggi, tantissime aggregazioni che gridano “libertà, libertà”, per la libertà dell’orientamento sessuale, per libertà di opinioni, per libertà di questo e di quello, ma poi sono tantissime pure le nuove schiavitù.

Mai così cresciuta come oggi con lo sviluppo la produzione dei beni di consumo e dei servizi, però mai è stato tanto esagerato l’accumularsi delle ricchezze, dei beni della terra, che sono beni comuni globali perché creati per tutta l’intera umanità che però restano nelle mani di pochi. E d’altra parte, mai come ora sono state le schiere di affamati: secondo calcoli di esperti, nell’ultimo anno sono un milione in più coloro che vivono sotto la soglia della povertà estrema.

Siamo al massimo dello sfruttamento, incommensurabile della natura, del creato e dell’essere umano; e mai ci sono stati tanti raggruppamenti internazionali, interreligiosi, intergenerazionali di protesta contro di esso e per la protezione dell’ambiente e dei diritti umani. Co sono più violenza e crudeltà terribili tra i fondamentalisti, e più criminalità organizzata planetaria. C’è un’esplosione demografica in alcune nazioni, mancanza di prole in altre.

Siamo in mezzo ad una crisi sanitaria globale mai immaginata, col Covid 19, che però a Papa Francesco fa esclamare: “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla” (dal suo discorso del 31 maggio 2020) parole che a noi fanno respirare l’aria fresca della sfida del possibile, perché noi siamo convinti che ogni crisi è una “opportunità”.

Di fatto, sono germogliati, con lui e indipendentemente da lui, in ogni angolo del mondo, tra persone di diverse religioni e ideologie tanti lodevoli tentativi di solidarietà, di fratellanza, di coinvolgimento nella riflessione, nell’analisi, nel discernimento e nella ricerca di “possibili soluzioni”. Per esempio: di economia sociale, di economia di partecipazione, di economia civile come pure di imprenditoria sociale. Costatiamo che pure in minoranza, sono molti coloro che danno voce ai senza voce: “Apre la bocca in favore del muto, per sostenere la causa di tutti gli infelici” (Proverbi 31,8-9).

Non abbiamo inteso fare un’analisi accurata della realtà, abbiamo menzionato queste cose per “ascoltare” la domanda di chi grida: “Dio, dove sei tu?”, o per “ascoltare” la risposta di chi anche in situazione di: “Mio Dio, perché mi hai abbandonato?” si butta nelle braccia di un Padre Misericordioso che si china appunto a guardare e rialzare l’umanità ferita. Dio è l’assente per certuni. Ma Dio è presente per parecchi altri. Troviamo entrambe le posizioni. Disperazione e rabbia, ma anche umiltà, speranza, impegno, come ci diceva un’amica con parole semplici ma sapienti: “Dio sta cercando la nostra collaborazione per sostenere la sua creazione”. La nostra collaborazione, il nostro Impegno. Per che cosa?

La cruz

3. GESÙ E LA MANIFESTAZIONE DEL REGNO DI DIO

Per Dio, non è facile essere percepito perché Dio è invisibile. Nella necessità dei singoli e dei popoli di percepire la sua vicinanza, e per rendersi più visibile, Dio ha voluto incarnarsi, letteralmente “farsi carne” per essere veduto, ascoltato, sentito, odorato, toccato, così, con tutte le dimensioni sensoriali del corpo umano, per un contatto fisico vero. L’ incarnazione di Gesù è la risposta “trasformante” del Padre per la forza e l’amore dello Spirito Santo che da sempre e per sempre è, e sarà il protagonista, l’artefice di ogni nuova mediazione, di ogni ministero, di ogni trasformazione. Gesù ci insegnerà il modo di rapportarsi con Dio e il modo di relazionarsi con gli altri. Gesù è la risposta al bisogno, di più comunione creatore-creature, che arriva al contatto corpo a corpo. Basti ricordare l’emorroissa il cui anelito era “toccare” fosse soltanto il suo mantello, per essere guarita (Mc 5,25-34). Ecco Gesù che si fa presente. Salvatore, liberatore, redentore. Così fu per il cieco che ascoltando prima il rumore della folla e poi la sua voce, riprende il coraggio insieme alla sua dignità, poi riprende anche la salute dei suoi occhi (Lc 18,35-43). Così con il sordomuto: “Gesù pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua” (Mc 7,31-37) Eccolo Gesù, soprattutto davanti ai malati, egli non trascurava il contatto fisico. Gesù tocca e si lascia toccare anche da una donna, che gli lava e gli profuma i piedi in mezzo a commensali donne e uomini attoniti. “…Ella mi ha rigato i piedi di lacrime, li ha asciugati coi suoi capelli, gli ha baciati e unti con l’olio.” (Lc 7,36-50). Perché l’Annuncio di Gesù del Regno, non è quello di una realtà astratta, ma concreta, di un Regno di Dio che fa di tutti fratelli e sorelle.

La comunione e il contatto fisico è sempre trasformante e incoraggiante, e dà forza, gioia, slancio. Quel Gesù presenza del Padre, “sacramento del Padre”, segno e strumento (Schillebeeckx) è la mediazione più sublime e paradigma di tutte le susseguenti mediazioni. È così che la gente oggi sperimenta Dio. Senza mediazioni non si può fare l’esperienza di Dio. Se si lamenta che la pandemia ha sconvolto la vita dell’umanità, ha sconvolto di più ancora la vita e gli ultimi giorni dei malati in isolamento, moribondi in tremenda solitudine e che non potevano sentire la mano amica, la voce consolatrice, il respiro vicino dei loro cari. Se nella fede crediamo che “Maria, la mamma celeste era con ognuno, per fare compagnia, dare conforto e consolarlo come era ai piedi della Croce, col suo figlio Gesù”, come si è espresso Papa Francesco, così pure dobbiamo credere che però nella convivenza umana, nell’aspettativa antropologica e dal punto di vista cristiano, questo non dovrebbe diventare prassi, perché appunto tutti siamo chiamati ad essere le mediazioni non rimpiazzabili oggi, sacramenti, segni e strumenti, della presenza del Dio invisibile, ed anche del Gesù invisibile.

Nella nostra riflessione teologica sulla Trasformazione Sociale, noi puntiamo ad avere presente il Gesù storico, che va includendo donne e uomini, di diverse provenienze e religiosità, e dall’altra parte anche il mistero della sua risurrezione, non come dualismo, ma per non dimenticare, che si parte dalla vita umana concreta, poi si vive nel mistero della fede e poi si torna alla vita concreta come in un movimento di flusso e riflusso della vita di Dio. Splendido è il motto sullo stemma della nostra Universitá Tangaza, appunto: “TANGAZA FUMBO LA IMANI”, che ha il significato dell’invio ad annunciare la risurrezione, cioè “ANNUNCIA IL MISTERO DELLA FEDE”.

Nel considerare il Gesù storico, non possiamo non ricordare San Paolo che scrive esplicitamente che “Gesù è nato da una donna, e nato sotto la legge” (Gal 4,4) e ci domandiamo il perché di questa sua sottolineatura. È perché il Dio invisibile si fa visibile tramite mediazioni. Tramite Gesù unico mediatore della salvezza. “Egli è immagine del Dio invisibile…. per mezzo di lui furono create tutte le cose” (Col 1,15-20) che rivelano il Creatore; dal quale sgorgano tutte le altre mediazioni. Le prime sono state le donne, come missionarie inviate da Gesù risorto: “Andate ad annunciare ai miei fratelli” quella Buona Novella (Lc 4,22), e in seguito a tutti i discepoli/e missionari/e. Poi c’è stato l’invio: “Andate in tutto il mondo” (Mc 16,9-20) e fino ai nostri giorni, nella logica dell’incarnazione, di ministri della Parola, siamo testimoni del Signore risorto: mediazioni, incarnazioni.

4. TEOLOGIA TRINITARIA DELLA TRASFORMAZIONE SOCIALE

Noi affermiamo una teologia trinitaria della trasformazione sociale, a partire dalla riflessione biblica sul Gesù storico e da considerazioni teologiche bibliche, soprattutto in Paolo, già menzionato, e in Giovanni, che hanno già una cristologia e una pneumatologia, che però non sono mai separate dal Padre Creatore, in una dinamica di interrelazione, di comunione e di donazione reciproca. Dio è uno e trino, uno e multiplo; di conseguenza, la nostra riflessione porta implicita sia la comunione sia il pluralismo, sia l’unicità sia la diversità. La comunione non significa livellamento, ma rispetto della diversità. Così come il Regno di Dio che Gesù vive ed insegna non è livellamento, ma accoglienza e accettazione delle diversità, perché Dio Padre crea la diversità e perché lo Spirito Santo elargisce e arricchisce ogni persona, ogni popolo, ogni cultura, ogni religione, con la quantità immensa dei suoi doni. Vediamo quindi nella Trinità la donazione reciproca e d’insieme, sia per la cura dell’umanità, sia per la cura di quanto esiste nel Cosmo, il Creato globale, creature conosciute o sconosciute; per quel Tutto, con l’urgenza di essere vivificato, liberato, sostenuto, accompagnato dalla comunione e dal dinamismo creativo e trasformativo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Ecco il paradigma che si dispiega davanti a noi, come un modello per la nostra partecipazione, la nostra collaborazione all’azione di Dio, che è di trasformazione continua, di comunione, ma anche di pluralismo sia nelle piccole comunità cristiane, sia nelle chiese locali, sia nella chiesa universale, sia nel mondo, “casa comune”, sia a livello cosmico. Al centro: Gesù Cristo Alfa e Omega che in modo mirabile il Padre fa risorgere dai morti per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, come colui che esercita il suo influsso nell’acquisto della sapienza. “Porrò il mio spirito su di loro” (Ez 37,14), “Effonderò su tutti il mio Spirito…” (Gl 3,1-5), “Colui che gli ammaestrerà nella verità” (Gv 14,16).

Dopo la Risurrezione di Gesù i discepoli erano “perseveranti e concordi nella preghiera insieme ad alcune donne e a Maria la madre di Gesù…” (At 1, 14); “scese lo Spirito su di loro” (At 2,1-17), con “I doni dello Spirito [che] sono giustizia, pace e gioia” (Rom. 14, 17). È lo “Spirito che conferisce i carismi e molteplicità di doni” (1Cor 12,3) In questo modo lo Spirito li abilita, e ci abilita, ci fa strumenti, ministri dell’evangelizzazione, perciò della trasformazione.

Da quando col Concilio Vaticano II si riscoprì la figura determinante dello Spirito Santo, si svelò allora a noi missionari/e in misura piena, il significato di ciò che narra l’evangelista Luca, quando Gesù nella sinagoga di Cafarnao prese il rotolo della Parola e lesse: “Lo Spirito del Signore è su di me, egli mi ha consacrato ed inviato ai poveri per annunciare loro la Buona Novella” del Regno (Lc 4,16ss). Dal Concilio Vaticano II in poi in ogni Documento del Magistero o Dottrina Sociale della Chiesa porterà un capitolo sullo Spirito Santo. Ci è caro evocare l’insistenza di Papa Giovanni Paolo II, che nelle sue diverse Encicliche ci istruisce dicendo che “La Dottrina Sociale della Chiesa è parte integrante del messaggio del Vangelo da trasmettere, da portare in tutto il mondo”.

5. IL MINISTERO SOCIALE E IL SENSO ESCATOLOGICO DELLA TRASFORMAZIONE SOCIALE

Tutta la vita di Gesù è un esempio per noi su come vivere la ministerialità, offrendosi e donandosi. “Passò beneficando, facendo il bene” (At 10,38): è così che noi vediamo i ministeri sociali. E li vediamo con l’esigenza di viverli con la spiritualità di Gesù, coi sentimenti che erano nel Cuore di Gesù (Fil 2,5-11) e nella fratellanza universale che egli visse. Gesù, nella notte in cui fu tradito, nel contesto di un pasto fraterno coi suoi discepoli e discepole, e quando il suo donarsi raggiunge l’apice, nella coscienza piena del ministero per il quale fu chiamato dal Padre, ci insegna a chinarci e lavare i piedi, vuol dire al servizio totale, e poi pronuncia il suo testamento: “questo è il mio corpo offerto”, “questo è il mio sangue versato”.  Ma nei tempi dell’Annuncio della sua passione, soprattutto quando parla dell’offerta della sua vita, “cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, per venire ucciso e il terzo giorno risorgere” (Matteo 16,21-23).

Il centro, il nucleo della nostra fede, è Gesù Cristo il Signore risorto. Questo Gesù Cristo risorto è il cuore del nostro annuncio, e la ragione del nostro ministero trasformante. Il Signore risorto, il cui nome primo era Gesù che significa: “Il Signore è la salvezza”. E siamo anche interessati al ministero di Gesù, alla sua parola, buona novella del Regno, alle sue parabole del Regno, alla sua vita vissuta in “koinonia”, comunione, creando comunità e comunione, creando Regno, coi suoi discepoli, con le sue discepole, anticipando i beni divini della fratellanza universale già su questa terra, ma da realizzarsi quando la sua signoria sarà confermata e il suo titolo di Kyrios arriverà alla pienezza. La salvezza, la liberazione che lui ottiene per il creato e per l’umanità, mira alla parusia, è orientata verso l’escatologia, e cioè alla realtà futura vera. La salvezza c’è “già e non ancora”. La nostra preghiera è quella che Gesù ci ha insegnato: “Padre nostro…venga il tuo Regno” (Lc 11,2-4). Regno per il quale viviamo, che già sperimentiamo, e che ci adoperiamo a costruire, trasformando situazioni, lasciandoci trasformare da questo “già qui e non ancora”. È questo che noi consideriamo la realtà escatologica alla quale mira la trasformazione sociale, culminando nella pienezza del Regno. La nostra speranzaè grande perché guardiamo a questi beni escatologici con grande fiducia in Dio, così come con entusiasmo e gioia. La fede nella risurrezione di Gesù è ciò che ci mantiene forti e slanciati pur nella situazione tribolata e turbolenta del mondo che pare sospeso nella sconfitta della Croce. Ma crediamo nella Risurrezione. Il nostro manifesto è che la Risurrezione è pegno della possibilità-necessità della trasformazione sociale e della manifestazione della realizzazione piena del Regno di Dio negli ultimi tempi.

Anche il nostro corpo umanoè sottomesso a profondissime trasformazioni. Senza riferimento alle trasformazioni non potremo avere comprensione dell’essere umano nella sua realtà terrena. Quello che a noi sembra importante sottolineare prima di tutto è che il corpo è una realtà che passa per diversi stadi di trasformazione(“Già dal seno materno…” Sal 138), a livello fisico e a livello psichico. Gli stadi come infanzia, adolescenza e età adulta si pensano spesso come passaggi ad una coscienza superiore e una risposta migliore alla chiamata all’essere. Anche nelle cellule del nostro corpo come pure nel sangue che scorre nelle nostre vene si vanno effettuando delle trasformazioni. Lo stadio finale del corpo è la risurrezione, quando assume la sua forma definitiva di essere accolto dopo essersi offerto e donato. “L’umano” è delle persone umane quando le due dimensioni sono insieme. La morte deve essere interpretata, è uno dei passaggi che dobbiamo attraversare, un grande momento che dobbiamo affrontare per arrivare alla pienezza della vita nel Regno di Dio, dove tutto il nostro essere sarà nuovo e definitivo. Dobbiamo vedere la morte non come punizione per il peccato, non come separazione che distrugge la persona, ma che la trasforma, che la configura meglio ad una nuova dimensione, ad uno stadio ulteriore di conoscenza e d’amore di quando camminava nel corpo creato. Il rapporto tra anima e corpo si ridefinisce, ma non noi come persone. Si entra nella realtà di Dio, in maniera definitiva, e in un incontro, in un rapporto nuovo con lui e col cosmo che non è più quella realtà materiale del nostro piccolo corpo, ma ora è una relazione nuova con tutto ciò che esiste della realtà che riflette la persona: corpo e anima. L’ultima e definitiva trasformazione è quando tutti i corpi saranno risorti ed entreranno in comunione, e ci saranno “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 21,1-7). Vita e morte sono realtà preziose nel divenire in pienezza una sola cosa con Dio, con gli altri, con tutto il Creato. “Benedetto sia Dio che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale in Cristo, secondo il mistero della sua volontà di ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef 1,3-10).

6. IL SENSO SACRAMENTALE DELLA CREAZIONE

Abbiamo parlato di Gesù come sacramento del Padre e abbiamo espresso la certezza della nostra chiamata ad essere anche noi sacramenti – segni e strumenti – di questo Padre che ci ha creato per la comunione tra di noi e con tutto. Ancora una nostra considerazione sul Creato e su come vediamo in esso il Dio che ci si rivela Mistero al di là delle nostre capacità di comprensione.

Chi si proponga di fare una riflessione teologica passa necessariamente per una lettura di eventi e trasformazioni sociali, umane, come pure per un avvicinamento alle scienze per la lettura degli eventi che accadono nel cosmo (macro e microcosmo) perché in tutto c’è la presenza di Dio e perché tutto è di fondamentale importanza per l’essere umano. Tutto ciò va contestualizzato secondo le persone o i gruppi umani che fanno questa lettura già col proprio patrimonio genetico, storico, culturale.

Noi guardiamo il fascino e il mistero della creazione con occhio contemplativo, poetico, scientifico. Con occhio contemplativo perché il nostro è l’occhio di un credente che coglie la grandezza, la complessità, l’armonia, la bellezza, e vede un Mistero irresistibile. Un mistero che ama, che si è investito tuttoa fare questo “creato”. Un mistero che si è impegnato, s’impegna, ama, ha cura, ci accompagna noi figli e figlie, che si prende cura del nostro “habitat” e di noi, affinché ci sentiamo a casa nostra, come i teneri genitori che vogliono che i figli trovino un focolare, casa e amore. Ed è bello non soltanto sapere che Egli ha creato noi dal suo amore (Caterina da Siena), ma ha preparato, ha creato pure questo “habitat” dal suo amore, e per di più con un profondo anelito alla nostra collaborazione con lui. Dio non vuole consumatori soltanto, ma creatori. Perché siamo la sua famiglia, il suo popolo e vuole che godiamo questo focolare adorabile, vuole che lo rispettiamo e lo costruiamo insieme a lui. Egli stesso gioisce: al termine di ogni giorno di creazione “Dio vide che era cosa buona… poi creò il sesto giorno l’essere umano, vide quanto aveva fatto e vide che era cosa molto buona” (Gen 1,1-31). Possiamo vederlo questo Creato con occhio poetico che fa appunto scaturire dai nostri cuori poesie e lodi, come i Salmi: “Sei vestito di splendore e maestà…. Quanto sono numerose le tue opere Signore, tu le hai fatte tutte con sapienza, la terra è piena della tua ricchezza”(Sal 104,1.24). E ancora: “sopra i cieli si innalza la tua magnificenza” (Sal 8,2). Sgorga in noi un ventaglio armonioso di sentimenti nobili nel voler costruire, co-creare con Lui. Quindi ecco atteggiamenti di contemplazione, di gioia, di apprezzamento, di valorizzazione. Anche se a volte ci lamentiamo perché ci sono dei limiti nel Creato essendo in evoluzione, tra colori, forme, movimenti concordati; a volte ci sono dei limiti alle trasformazioni e ne deriva un male per noi, come per esempio nei movimenti tellurici nell’interno della terra che provocano dei devastanti terremoti.

Comunque noi guardiamo la creazione anche con occhio scientifico. Oggi le scienze ci parlano del cosmo come di una realtà ordinata, con armonia, con relazioni, con visioni, con tempi e forme in concordanza, con coerenza con coesione. Ci parlano di una realtà grandiosa incommensurabile e non caotica ma portentosa, nella quale tutto è collegato, tutto interconnesso, tutto interdipendente. Dentro la quale noi ci siamo, e pur essendo creature meravigliose, siamo piccolissime, non altro che “polvere di stelle”.

Da sempre uomini e donne hanno guardato con interesse i fenomeni del cosmo, degli astri, ma oggi infinitamente di più, coi telescopi più grandi, più specifici, più raffinati, lo studio del cosmo si allarga e si può osservare la sua espansione. Questo soltanto riguardo il macrocosmo, e tanto o più sorprendente e stupefacente è lo studio del microcosmo. Quanta realtà c’è in un quantum? In un corpuscolo di luce, in un’onda di frequenza? Coi microscopi più minuscoli la scienza riesce a penetrare, ma non a delucidare completamente il mistero della realtà: macro e microcosmo in ininterrotta trasformazione. Tutto questo capovolge il paradigma di ogni concezione precedente riguardo la realtà, dell’origine del cosmo e quindi dell’essere umano.

Quanta nostalgia del mistero divino deriva da tutti questi studi! E quanto è ammaliante che nuove ipotesi nascano e nuove formule, tentando di spiegarsi meglio, a prova e controprova. Per tanti di noi al mondo, tutto ciò è motivo di grande gioia per i successi della conoscenza umana nell’evolversi della sua storia. Per altri invece è quasi motivo di spavento e paura perché cadono delle certezze che sembravano eterne. E anche se tutto questo che si vede continuerà ad essere studiato, e anche si riuscissero a comprovare in pieno scientificamente tutte le ipotesi, il Dio Creatore non si vede. A Dio si arriva con la fede, non con le scienze. È soltanto nella fede, con l’occhio illuminato dalla fede, che si arriva al Dio Creatore. Quindi la Creazione è anche lei un Sacramento, segno e strumento della manifestazione di Dio.

Al Tangaza University College, c’è un dipinto assai suggestivo, prodotto della collaborazione tra l’Università e degli artisti di Korogocho, dove viene rappresentata la creazione in continua trasformazione ed evoluzione. È un’icona, un’illustrazione da contemplare a lungo per la sua ricchezza e profondità di contenuto: spirituale, religioso, ecologico, sociologico, antropologico, teologico. Una cosmovisione, che mostra come nel cosmo complessissimo, incantevole, colorito, dinamico, ci siano ininterrotte trasformazioni, di nuove scoperte di comete, di stelle che appaiono e che poi spariscono. Uno spazio intergalattico, interstellare seducente che data da più di 13 miliardi di anni di evoluzione. Dove l’essere umano emergeall’interno di questo cosmo infinito, come frutto dell’evoluzione, come frutto di tante realtà già esistenti, dove però l’umanità emerge comeoriginale, come capolavoro, come diversa, con una presa di coscienza della sua esistenza, e con delle domande da dove veniamo e di ciò che riceviamo.Dio ha messo in moto il processo della creazione.Non l’ha messo in moto per essere sempre Dio da solo a continuare a creare. Dio è il perno della creazione, ma poi ha voluto altre mani.

Dove, dunque, l’essere umano appare come autore, con la sua presenza e con le sue mani. È sì recipiente, ma è anche donante. Come essere intelligente che riflette, che si interroga, che analizza, che si pone degli obiettivi, che può valutare ciò che è bene e ciò che è male. Che può entrare in relazione con l’Altro, col Trascendente, col mistero, con Dio, come pure con gli altri essere umani e con tutto il Creato. Come colui che può cogliere che ci sono energie trasformatrici fuori di lui, ma anche in lui. Vede che le leggi della natura influiscono su questo mondo, ma vede che anche lui può influire e deve influire a seconda delle sue capacità, nella diversità personale e del suo gruppo umano. Anche lui è chiamato ad essere creatore-creativo secondo le sue caratteristiche frutto di una storia globale ma anche personale. Perché nella logica di Dio Creatore, nessuno è passivo: tutti sono recipienti frutti di una storia, ma allo stesso tempo chiamati ad essere attivi per migliorare, per correggere, per trasformare, per ribaltare in maniera creativa e dinamica queste energie trasformatrici. E mentre c’è il divenire, la trasformazione, la crescita nell’intorno, c’è anche un auto-divenire, un’auto-trasformazione, una crescita personale. Naturalmente viene sottolineatacon la volontà esplicitata dall’arte,un’altra realtà, la presenza distinta ma in comunione di collaborazione dell’uomo e della donna, che sono chiamati ad interagire, in relazione di convivenza, di amicizia e di fratellanza, di amore non solo usufruendo del Creato ma co-creando. Quasi al centro dell’icona si mette molto in evidenza che la donna splendidamente sta “producendo”, lavorando.Ci fa pensare quanta realtà c’è in un seme, in uno stelo, in un fiore, in un frutto; in un grembo materno. Donna co-creatrice, “autrice” di trasformazione. Questo è un fatto notevole ed eccezionale anchea Tangaza dove tantissime donne ricevono e offrono un’educazione universitaria con una progettualità già orientata alla trasformazione sociale persino con l’imprenditoria sociale. La croce nell’angolo superiore destro dell’icona che inoltra in movenza discendente i suoi fasci luminosi, rappresenta allo stesso tempo Gesù Salvatore, Liberatore, tramite la sua croce, morte e risurrezione, ma anche l’amore e la tenerezza del Padre, che con la forza dello Spirito Santo accompagna, conforta, illumina, scalda, incoraggia. Lo fa sia nell’approfondimento e analisi del senso delle situazioni personali, comunitarie, globali, di crescita e di sviluppo; sia nelle situazioni di sofferenza, nell’agire con responsabilità creativa per trovare insieme soluzioni, strategie, modalità; e anche nella cura del Creato e dell’umanità, rappresentata dal globo terrestre.“La Creazione sarà anche ella liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloria dei figli e delle figlie di Dio” (Rm 8,20-22).

Conclusione

La dipendenza dell’umanità dal cosmo è intesa, in chiave spirituale, come condizione e passaggio costante alla comunione con Dio Creatore in cui c’è la vita. Il peccato è prendere il mondo come fine a stesso, anziché come sacramento della comunione con Dio, nella consapevolezza che Dio è tutto in tutti. In altre parole, il mondo è un’epifania di Dio, un mezzo della sua rivelazione e presenza. Il mondo ci parla di Dio e in sé è un mezzo essenziale per la comunione con Dio.

Quando Comboni parlava di “rigenerazione”, rifletteva su un tema generativo del suo tempo (lo spirito del risorgimento in Italia e nei popoli che lottavano per l’indipendenza) e lo rileggeva in chiave spirituale: una rinascita nello Spirito, battesimale, che genera vita nuova in Gesù risorto. Ma questo non era inteso in senso analogico, o come una realtà “parallela” a quella storica e sociale del suo tempo. Comboni non aveva una visione dualistica della realtà – sacro/profano, spirituale/materiale, soprannaturale/naturale – ma coglieva la sacramentalità della realtà, in cui queste dimensioni sono un tutt’uno perché ordinate all’incontro con il Risorto, alla comunione con Dio e all’unità della famiglia umana. Di qui veniva il suo impegno infaticabile per la trasformazione sociale che lo ha portato a schierarsi in prima linea per la giustizia sociale, la dignità umana e dei popoli, e lo sviluppo umano integrale. Non aveva in mente un progetto umano da realizzare, una sorta di utopia o società ideale, ma piuttosto aveva a cuore l’esperienza di comunione con Dio e con l’umanità, di inclusione e di vita in pienezza (o eterna). Ma tutto questo richiede comunque delle mediazioni storiche, che Comboni ha cercato e interpretato nei contesti specifici in cui si è trovato, come ad esempio nella comunità cristiana di Malbes o nella stazione urbana di Khartoum in ambito islamico, o sui Monti Nuba in un contesto più libero, che lo ha portato addirittura a mettere in dubbio i propri presupposti occidentali e l’idea di “civiltà”.

Così oggi, sulla scia di Comboni, vediamo la trasformazione sociale attraverso la lente della coscienza sacramentale del mondo: è una trasformazione che ha la dinamica del mistero pasquale, del dono di sé come “pietra sotterra”, che si mette in gioco nella realtà quotidiana, che si lascia trasformare in una kenosi – come già Comboni – che chiede di spogliarsi di tutto per lasciare spazio alla forza dello Spirito. È una trasformazione che va verso “cieli nuovi e terra nuova” spinta dall’amore oblativo di Gesù che opera nel mondo attraverso la vita e i ministeri di comunità cristiane che vivono in lui, come cenacoli di apostoli, profondamente coinvolti nella realtà storica dei popoli, soprattutto degli esclusi, e del Creato.

P. Francesco Pierli MCCJ e Sr. Teresita Cortés Aguirre CMS

ECONOMIA, TERRA DI MISSIONE

P Albanese

Una nuova prospettiva sull’Europa e il mondo per i Laici Missionari Comboniani

Sabato 11 settembre 2021, ore 10 – 13

https://www.youtube.com/channel/UC-_1UzNojFeGAiUMch1wFJQ

P Albanese

Nel XX anniversario dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York il missionario comboniano e giornalista P. Giulio Albanese MCCJ affronterà il tema dell’economia civile nel webinar “Economia, terra di missione”, promosso dal Coordinamento Europeo dei Laici Missionari Comboniani. L’incontro, in linea col progetto “The Economy of Francesco”, sarà trasmesso in diretta streaming, con traduzioni simultanee in inglese e spagnolo, sabato 11 settembre dalle ore 10 alle 13 sul canale youtube dei Missionari Comboniani:

https://www.youtube.com/channel/UC-_1UzNojFeGAiUMch1wFJQ

La registrazione dell’incontro sarà successivamente disponibile allo stesso canale.

A partire da un’analisi geopolitica del continente europeo P. Albanese svelerà i meccanismi del sistema bancario ombra, il cosiddetto Shadow Banking, fra i principali responsabili del divario sempre più incolmabile fra Nord e Sud del mondo, ulteriormente inasprito dalla pandemia da Covid-19.

Il missionario rifletterà poi sul tema della solidarietà, intesa come corresponsabilità dei cittadini, credenti e non, nel contrastare l’esclusione sociale e prendersi cura della res publica, ovvero la “Casa comune” dell’umanità. È chiaro il riferimento alle parole di Papa Francesco, “la nostra non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”, ovvero – spiega P. Giulio – “una realtà spazio-temporale che ha bisogno di redenzione, cioé evangelizzazione intesa come globalizzazione perspicace di Dio”.

Da qui la domanda cruciale: è possibile conciliare il business con le istanze poste dal bene comune per una società più equa, giusta e solidale?

La risposta è si ed è questo il messaggio chiave del webinar: fare appello alla cittadinanza, e in particolare ai Laici Missionari Comboniani, perché ci si prenda cura dei beni comuni insieme alle amministrazioni locali, indirizzo già sancito dalla Costituzione Italiana nell’ultimo comma dell’art. 118 che chiama appunto in causa il “principio di sussidiarietà”.

“Cosa fare dunque in concreto, pensando soprattutto alle necessità di sviluppo e progresso nelle periferie del pianeta?” – chiede p. Giulio – “È evidente che il mondo missionario deve scendere in campo, evangelizzando anche nell’aeròpago dell’economia. Servono consacrati e laici in grado di studiare nuove strategie secondo quanto auspicato da Papa Francesco nello storico summit dei giovani economisti del 2020 ad Assisi”.

Da qui la proposta davvero concreta, dal punto di vista dell’economia reale, di un modello innovativo che coinvolga la società civile, il cosiddetto social business. Obiettivo del modello, ideato dal Premio Nobel Muhammad Yunus (1940), economista bengalese ideatore del microcredito moderno, è la creazione di imprese con finalità sociali da concepire e condurre come vere e proprie aziende, ma con l’imperativo del vantaggio sociale al posto della massimizzazione dei profitti. Parole chiave? Sostenibilità e concezione di un benessere condiviso, mai esclusivo.

Sempre sabato 11 settembre 2021 l’incontro proseguirà in forma privata nel pomeriggio, dalle ore 17 alle 19, come momento di verifica per i Laici Missionari Comboniani, europei e non, chiamati a riflettere sugli insegnamenti di P. Albanese e sulle reali opportunità di concretizzazione del modello Yunus.

P Albanese

Padre Giulio Albanese MCCJ (Roma, 1959) è membro della Congregazione dei Missionari Comboniani e giornalista. Ha diretto il New People Media Centre di Nairobi e fondato nel 1997 la Missionary Service News Agency (MISNA). Autore di 15 libri pubblicati da case editrici quali Feltrinelli, Einaudi, EMI Editrice Missionaria Italiana, Messaggero di Padova, collabora con numerose testate giornalistiche, fra cui L’Osservatore Romano, Avvenire, Radio Vaticana, il Giornale Radio Rai, oltre a precedenti collaborazioni con CCN, BBC, Radio Svizzera Italiana. Ha insegnato Giornalismo Missionario e Giornalismo Alternativo presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e ha diretto le riviste missionarie delle Pontificie Opere Missionarie (Popoli e Missione e Il Ponte d’Oro). Nel 2003 il presidente Carlo Azeglio Ciampi lo ha insignito del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana per meriti giornalistici nel Sud del mondo. Dal gennaio 2018 è anche direttore responsabile della rivista Amici di Follereau. È inoltre membro del Comitato per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo della Conferenza episcopale italiana (Cei) e ospite di trasmissioni e forum sui temi legati all’Africa e al Sud del mondo. Svolge il suo ministero pastorale nella parrocchia Regina Pacis di Fiuggi.

Laici Missionari Comboniani (LMC)

Sono uomini e donne di ogni età, singoli, coppie e famiglie, ispirati al vangelo di Gesù di Nazareth e al carisma del suo discepolo San Daniele Comboni (Limone sul Garda, 1831 – Khartoum, 1881). Vivono del loro lavoro e impostano scelte e stili di vita a servizio della giustizia e della pace e nel rispetto dell’ambiente. Fanno parte della Famiglia Comboniana insieme ai Comboniani, alle Comboniane e alle Secolari Missionarie Comboniane. Insieme si impegnano a realizzare il piano del Comboni “Rigenerare l’Africa con l’Africa” (1864), chi attraverso periodi di volontariato nel Sud del mondo (missio ad gentes) e chi dove vive e opera ogni giorno (missio intra gentes). Gli LMC sono presenti in Europa (Austria, Germania, Italia, Polonia, Portogallo, Spagna), in Africa (Benin, Chad, Congo, Egitto, Ethiopia, Ghana, Kenya, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Togo, Uganda) e in America del Nord, Centrale e del Sud (Brasile, Canada, Colombia, Ecuador, Messico, Peru, Stati Uniti).