Laici Missionari Comboniani

Ricordando il passato…

Emma Brasil LMCGià sono passati 5 mesi dal mio arrivo in Brasile, sono arrivata il 1 dicembre 2013 in Nova Contagem, periferia di Belo Horizonte, Minas Gerais.

I primi mesi non sono stati facili, come tutti gli inizi, una cultura da conoscere, una lingua da imparare, abitudini e modi differenti e un luogo che non conoscevo.

Quando vai in missione devi imparare a rimparare, avere pazienza con te stessa e con gli altri, darsi tempo per saper incontrare, conoscere, relazionarsi, ascoltare, capire. Saper costruire quella cultura dell’incontro con l’Altro che permette di creare quelle coordinate dove l’IO e il TU si incontrano per creare un NOI e cominciare un cammino condiviso. Non un semplice relazionarsi,ma un scendere in profondità che ti dispone a cambiare, per conoscere e farsi conoscere, un “toccarsi” reciprocamente, senza avere paura. Non è facile quando siamo adulti, quando già abbiamo una nostra formazione, una propria maniera di pensare, a volte questo “cambiare pelle” è doloroso, difficile, ma estremamente importante e arricchente.

Imparare di nuovo e saper accettare, imparare di nuovo e saper aspettare, imparare per crescere e soprattutto per saper Amare. In missione devi stare con la testa, con i piedi e con il cuore, caso contario rischi di vivere di una esperienza limitata e parziale. In questi cinque mesi ho imparato e sto continuando a fare questo, tutti i giorni, con le difficoltà e le sfide che questo implica.

Anche l’incontro con Dio è vissuto in una forma differente, lo sto incontrando in un modo nuovo, nella profondità dei gesti, così concreti e significativi, negli incontri con le persone, nei luoghi così periferici della storia, tutto porta ad un dialogo nuovo con Lui, molto più profondo e importante. Condividere la Parola di Dio in una piccola casa di mattoni, semplice e povera ha tutto un altro sapore, ha tutta un’altra visione. Missione è anche riscoprire Dio , scoprirlo insieme agli Altri.

Qui in Nova Contagem ho iniziato a partecipare nella Pastorale Carceraria, facendo visita nelle carceri. Il carcere è un ambiente duro, difficile, con molte sfide. Le prime sono quelle burocratiche, con attese di identificazione o controlli, a volte lunghe, a volte snervanti, a volte come proibizioni.

La pastorale carceraria è anche un lavoro di difesa e promozione dei diritti umani, denunciando situazioni ingiuste, poco dignitose che non rispettano i detenuti e i loro familiari. Le visite hanno il compito di ascoltare, appoggiare, guidare i detenuti sia da un punto di vista spirituale, sia umano. In alcune prigioni ci si relaziona con loro dietro a pesanti grate di ferro, in uno spazio piccolo, dove devi allungare il braccio per stringere la mano, salutare, anche questa è una bella sfida! Ma sempre viene superata con il desiderio di entrare in relazione, di toccarsi e condividere con mani giunte la preghiera del Padre Nostro, un emozione che supera ogni barriera.

Oltre alla pastorale carceraria sto conoscendo il metodo APAC (associazione di protezione e assistenza ai detenuti). E’ un’alternativa al sistema carcerario dove i detenuti sono rispettati, valorizzati e riconosciuti nella loro dignità in quanto persone e non giudicati secondo il crimine che hanno commesso. Non esiste polizia nelle strutture APAC, non esistono uniformi, ne controlli umilianti, i detenuti si educano a vicenda nel rispetto di una disciplina che aiuta a responsabilizzare e responsabilizzarsi, con l’aiuto di volontari. Un sistema innovatore che non punisce o condanna, ma educa e aiuta a rieducare. Vivere le due esperienze a confronto, carcere comune e APAC, mi permette di vedere e conoscere come da una parte un sistema continua a perpetuare la violenza e il crimine e come al contrario il rispetto per l’individuo nella sua dignità, educa e rieduca la persona nella società aiutandola ad essere migliore.

Nella Comunità di Ipe Amarelo, dove vivo, aiuto nella Pastorale dei bambini, per ora sto visitando le famiglie del bairro invitandole all’appuntamento mensile del peso dei bimbi. E’ una forma di controllo per combattere e prevenire obesità o situazioni di denutrizione. Sono famiglie molto povere, in forte situazione di vulnerabilità.

In fine, altro momento importante nella mia esperienza missionaria è l’incontro con il gruppo Testimoni di Speranza, un gruppo di famiglie che condividono le problematiche legate alla dipendenza di droga e alcool. Sono in particolare donne, mamme, nonne, mogli che hanno un figlio, un nipote, un marito che usa droga o beve. Strumento di questo gruppo è la condivisione delle proprie esperienze, l’ascoltare e l’ascoltarsi, per trovare appoggio e forza, un autoaiutarsi a vicenda. C’è molta fede in queste persone, molta determinazione e coraggio, ogni volta torno a casa trasformata, per me è un piacere far parte di questo gruppo, c’è molto da imparare in una semplicità arrichente.

Significativa per me è la vita comunitaria, condividendo un cammino comune con gli altri, accogliendo le differenze, vivendo la spiritualità Comboniana, l’amore per Dio e per la Vita. Tutto è un cammino di crescita e scoperta, di se stessi e degli altri. Molto importanti sono i momenti di preghiera fatti insieme, dove attraverso la parola di Dio si condivide la propria esperienza missionaria, personale e comunitaria.

Per ora questa è la mia camminata missionaria, ho ancora tante cose da scoprire nel cammino, ma con coraggio, fede, entusiasmo continuo a camminare, ricordandomi che missione non è fare grandi cose, ma piccole cose che hanno un grande valore.

Oggi 10/2/2016…

Mi sembra ieri il mio arrivo in Brasile, ma già sono passati due anni e sto iniziando il terzo.

Sento un poco di tenerezza leggendo quelle parole scritte all’inizio del mio percorso. Ricordo, ancora, i primi passi insicuri e timidi. Oggi guardandomi indietro, vedo una camminata bella, a volte difficile, a volte con cadute, ma sempre in piedi e in salita. La missione ti cambia se ti lasci cambiare. Non è vero che non abbiamo aspettative quando partiamo, ne abbiamo eccome, anche se tentiamo di negarle. Ma queste cadono quando iniziamo a spogliarci dalla nostra mentalità per incontrare la metalità dell’Altro, lasciando cadere barriere e corazze.

La vita comunitaria insegna a fare questo. Vivere insieme è un continuo mediare e mediarsi, scoprire e scoprirsi , a volte litigando, a volte passando momenti difficili, ma sempre nel tentativo di incontrarsi e volersi bene. Ognuno ha il suo carattere, le sue modalità, il suo temperamento, chi forte, chi debole e anche le sue ferite che si porta dietro e a volte i litigi non sono tanto con gli altri, ma proprio con queste ferite.

Bisogna essere testimoni, bisogna essere Parola che si incarna in azione, iniziando proprio dal luogo dove si vive e questo luogo è la Comunità.

“Comunità, luogo di perdono e di festa”, luogo di condivisione e comunione.

Oggi i miei passi sono forti e sicuri, ma sempre in un cammino di scoperta e di apprendimento…un cammino fatto sempre a piedi nudi.

Emma Chiolini, Laica Misionera Comboniana

Chi semina nel pianto, raccoglie con gioia

Piquia

È stato un anno di lacrime e semi, per la comunitá di Piquiá de Baixo.

Molti giá conoscono la lotta orgogliosa, resistente e tenace di questa comunitá alle porte dell’Amazzonia orientale brasiliana.

Soffrendo da quasi trent’anni gli effetti devastanti dell’inquinamento siderurgico e minerario, gli abitanti hanno cominciato ad organizzarsi e denunciare l’omissione del Governo e le responsabilitá delle imprese, rivendicando –per cominciare- il trasferimento collettivo in una regione libera dall’inquinamento.

Il nuovo quartiere, pianificato dalla comunitá stessa con um processo partecipativo e l’appoggio tecnico di competenti architetti e sociologi, sará finanziato in parte grazie ad un programma governativo di abitazione pubblica. Nel dicembre del 2014 la comunitá era riuscita a far approvare il suo progetto dalla commissione tecnica del Governo, ma occorreva l’approvazione politica.

Dall’inizio del 2015, Piquiá de Baixo ha aspettato. Le promesse di approvazione si ripetevano durante i diversi mesi dell’anno, ma questa semente piantata con tanto sudore dalla comunitá sembrava non voler germinare.

Nel frattempo, altre lacrime sono state versate in Brasile, a causa del crimine ambientale delle imprese minerarie Vale e BHP-Billiton, con il crollo di una diga di scorie e l’inondazione di 62 milioni di m3 di fango tossico lungo tutto il bacino fluviale del Rio Doce, fino all’oceano. Dodici persone sono morte, undici scomparse, intere comunitá spazzate via o contaminate.

Una delegazione di Piquiá de Baixo si trovava a Mariana, dove la diga è crollata, poche settimane prima del disastro. Partecipava all’Incontro Internazionale delle Vittime dell’impresa Vale che, per una oscura coincidenza, era stato convocato proprio in quella regione.

È triste che le comunitá vengano ad incontrarsi e riconoscersi in funzione delle tragedie e della sofferenza che hanno in comune. Non è questo ció che vorrebbero condividere; non desiderano essere ricordate per le lacrime, ma, al contrario, per le loro forme di resistenza e vittoria.

Piquiá de Baixo ha piantato diversi semi di resistenza, nel 2015: per mantenere gli abitanti del quartiere uniti ed informati, sono stati realizzati diversi “circoli di dialogo”, in piccoli gruppi attorno alle case; è stata organizzata tutta la documentazione di ciascuna famiglia che sará trasferita; la comunitá si è articolata in diverse istanze, per mantenere forte la pressione e non cessare di rivendicare i suoi diritti: dal Consiglio Municipale al Governo del Maranhão, dal Ministero delle Cittá fino alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH).

Nel mese di ottobre, il presidente dell’Associazione Comunitaria degli Abitanti di Piquiá, con l’appoggio dell’equipe giuridica, ha partecipato ad un’udienza tematica alla CIDH, a Washington, sollecitando misure urgenti di riparazione e mitigazione dei danni, alla presenza del Governo brasiliano.

Il tempo del raccolto ha tardato, ma è arrivato! Il 29 dicembre, l’Associazione degli Abitanti ha ricevuto il titolo ufficiale di proprietá del terreno in cui il villaggio sará ricostruito.

Il 31 dicembre, il Ministero delle Cittá ha pubblicato nel Diario Ufficiale la selezione del progetto dell’Associazione Comunitaria. Dopo un anno e 14 giorni di attesa, la comunitá ha finalmente la garanzia formale del finanziamento per il nuovo quartiere!

Chi semina nel pianto raccoglie nella gioia, dice il Salmo 126, che settimana prossima l’intera comunitá proclamerá in una celebrazione di ringraziamento e festa, per rinnovare le forze.

Gli abitanti di Piquiá giá lo dicevano in altre parole, ricordando che “la nostra agonia è la nostra vittoria”. Nella lotta persistente, nella tenacia di chi non abbassa la testa e non si arrende, giá si trova un frammento di vittoria, cosí come nella semente sta nascosto il germoglio.

Puó tardare, ma la vita vincerá!

P Dário MCCJ, Xoan Carlos LMC

 

Gimcana della Gioventù

Domenica scorsa, si è svolta la gimcana con il tema: “siamo chiamati a vivere giovane”. L’evento è stato organizzato dai coordinatori dei giovani della parrocchia di Santo Domingo per favorire l’integrazione, incoraggiare i giovani all’impegno nel cammino di fede e nella costruzione del Regno di Dio, attraverso la “civiltà dell’amore”.
Durante la riunione, e come una proposta per il mese delle vocazioni, sono stati organizzati dei banchetti dai Missionari Comboniani , dalle Suore Salesiane, dai Fratelli di San Gabriele e dai Laici Missionari Comboniani .
L’organizzazione della gimcana è iniziata con la Santa Messa nella comunità di San Giuda, l’offerta della Messa è stata donata all’insediamento Rosa Leon come gesto concreto di azione: “io vengo per fare, con piacere, la tua volontà Signore.”

Minerale di ferro, viaggio senza ritorno

Brasil“Minerale di ferro, viaggio senza ritorno: dall’Amazzonia brasiliana alle industrie automobilistiche tedesche” è il titolo di una produzione cinematografica, promossa dalla “Rede Justiça nos Trilhos” e finanziata da Misereor, un’organizzazione di vescovi cattolici tedeschi che da cinquant’anni lavora per combattere la povertà in Africa, Asia e America Latina. Il filmato racconta, in 28 minuti, il quotidiano delle comunità che subiscono l’impatto del “Programa Grande Carajás”, il più grande progetto di estrazione del minerale di ferro del mondo, negli stati brasiliani del Maranhão e del Pará.

Misereor appoggia i progetti portati avanti dalla “Rede Justiça nos Trilhos”, una rete di comunità colpite dai progetti minerari nel nord del Brasile: organizzazioni, gruppi pastorali, movimenti sociali e gruppi di ricerca accademica che perseguono la giustizia ambientale in quella regione. Questa Rete ha anche l’appoggio dei Missionari Comboniani.

Il documentario riflette sul processo di estrazione ed esportazione del minerale di ferro dalla Serra de Carajás, nello stato del Pará, al porto di São Luís, nello Stato del Maranhão. Sono circa cento le comunità che subiscono i vari impatti e le conseguenze di questo percorso del ferro, come l’espulsione delle famiglie dalle loro terre, l’inquinamento dell’aria e dell’ambiente e gli incidenti.

Più del cinquanta per cento del minerale di ferro della Germania proviene dal Brasile, ma le industrie automobilistiche non hanno interesse a verificare se le materie prime per la produzione si portano dietro una serie di violazioni dei diritti umani e di ingiustizia ambientale.

Questo documentario solleva interrogativi, provoca e indica nuove strategie di azione congiunta nella catena di produzione dell’acciaio.

“Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa”.

Brasil Questa terra si chiama Pau BrasilIrajà, Comboios, Caeiras, Olho d’ Agua, villaggi indigeni situati nello stato dell’ Espirito Santo.
Ho trascorso 9 giorni passati da un villaggio all’altro, dormendo nelle famiglie, di casa in casa, celebrando insieme la settimana santa, celebrando insieme la Vita e la sua vittoria contro la morte.
Sono stati giorni intensi, veloci, importanti, belli, carichi di amicizia e di condivisione, noi piccola equipe della famiglia Comboniana (padri, suore, laici, escolasticos) e il popolo indigeno Tupinikim, popolo di questa terra santa. Semplicità, umiltà, condivisione, accoglienza sono le parole che predominano rivivendo quei giorni. La disponibilità e l’affetto delle famiglie incontrate, visitate, vissute, non fa che crescere dentro me la bellezza di quei valori veri e sinceri che valorizzano l’incontro con l’Altro e la sacralità del saper accogliere l’Altro. Il popolo Tupinikim, come tutti i popoli indigeni, è un popolo che ha lottato per far si che la propria terra fosse riconosciuta, fosse rispettata e curata da quegli abitanti che da secoli, ancor prima della colonizzazione portoghese, ci abitavano. Terra indigena, terra santa. Una lotta iniziata dal 1979 fino al 1981 per riconquistare un territorio sempre più ingoiato e sfruttato da una multinazionale straniera, appoggiata da un potere politico ed economico lobbistico. Tanti i tentativi da parte della polizia con armi in spalla, tante le minacce, le violenze, per scacciare le occupazioni dei Tupinikim. Tanti i processi, la ricerca di carte e documenti per dimostrare che era terra indigena e finalmente,  nel 1993, la demarcazione della terra, il riconoscimento che è territorio indigeno protetto, con le sue Comunità e i suoi villaggi (aldeias). Lotta per la Vita, lotta per i diritti, per il rispetto di una cultura che si sta perdendo e che sta resistendo ad una omologazione sempre più dominante, quella che ci vedi tutti come merci e consumatori.
Le minacce sono finite, la legge ha finalmente scritto su carta una verità sempre esistita, ora è il tempo di recuperare un territorio sfruttato da una fabbrica (straniera) che ha piantato eucalipti in ogni luogo, per interessi di mercato, per la fabbricazione di cellulosa, carbone e pellets. Il problema di questi alberi è che crescono molto velocemente, tolgono spazio alla flora autoctona e danneggiano il suolo. Questi alberi, belli a vedersi, gradevoli per la salute, in realtà, prosciugano il terreno, “bevono” molta acqua, impoveriscono la terra e la rendono “sterile”, difficile da coltivare.
Quando il clima, poi, fa la sua parte, con periodi di siccità, tutto diventa difficile e complicato, soprattutto per chi vive dell’aiuto della terra.
Ricominciare, curare la terra e i suoi frutti, attraverso una tradizione indigena che ha sempre rispettato PachaMama, sempre si è presa cura di lei, vivendo nell’essenzialità e questo lo si sente molto in alcuni villaggi ed è una bella lezione di vita.
In questa terra siamo stati accolti, ci siamo sentiti a casa, perché ci hanno fatto sentire a casa, non c’è cosa più bella per un viandante, per uno straniero, per chi viene da fuori, l’essere accolto e preso per mano.

Famiglia Comboniana: padre Elias, padre Savio, sr. Giusy, Emma, Wedipo, Cosmas, Fidel, Grimer (escolasticos)

Emma Chiolini (LMC italiana in Brasile)