Laici Missionari Comboniani

Elementi della spiritualità comboniana

Comboni

Stiamo celebrando i 150 anni del Piano di san Daniele Comboni. Il testo ha avuto più di un’edizione. La nostra riflessione sarà basata sulla IV ed., pubblicata a Verona dalla Tipografia Vescovile di A. Merlo, dal titolo “Piano per la rigenerazione dell’Africa proposto da Don Daniele Comboni missionario apostolico dell’Africa centrale, Superiore degli istituti dei neri in Egitto”.

ELEMENTI DELLA SPIRITUALITÀ COMBONIANA CHE EMERGONO DAL PIANO PER LA RIGENERAZIONE DELLA NIGRIZIA

Introduzione
La prima domanda che ci poniamo è se sia più opportuno chiamare il testo di Comboni piano o progetto. Anche se il termine ebraico che indica questa realtà è costantemente tradotto con progetto, piano o disegno, la questione merita di essere posta. La parola greca tradotta con progetto dà l’idea di movimento. La nozione di “piano”, dunque, indica qualcosa di statico, mentre “progetto” implica dinamicità. Il piano di solito è una fredda elaborazione, senza alcun coinvolgimento soggettivo, senza cuore; il progetto è vissuto dall’interno, con una carica soggettiva forte, ed è questo il caso del testo che san Daniele Comboni ha presentato alla Chiesa. C’è il coinvolgimento del cuore di Comboni nel testo del Piano, per questo è forse più opportuno parlare di “Progetto per la rigenerazione della Nigrizia”. San Daniele visse l’opera della Rigenerazione della Nigrizia dentro di sé (è l’immagine di Potier) prima di giungere alle sue implicazioni pratiche. Nelle righe che seguono continueremo a chiamare il testo di Comboni “Piano”, per rispetto alla memoria del nostro Padre fondatore, ma senza dimenticarne l’aspetto dinamico, quella dinamicità che nasce dalla contemplazione del Cuore di Cristo Buon Pastore, fonte della sua missione.

L’esperienza carismatica in San Pietro, in occasione della canonizzazione di Santa Margherita Maria Alacoque, è stato il momento fondante di questo Piano ma non l’unico, come sottolinea bene il Padre Generale: “Il Piano non è il testo, ma è la vita nascosta nelle parole, nei pensieri, nelle intuizioni, nei sogni e nei desideri che sono stati il motore capace di muovere le mani di Comboni per lasciare traccia di quello che lo Spirito voleva esprimere e che va molto al di là delle idee e delle strategie che diventeranno in qualche modo risposta al grido che sale e importuna le orecchie di Dio per suscitare la sua misericordia” (Il Piano di Comboni, Lettera del Superiore Generale, MCCJ Bulletin 258, gennaio 2014).

Possiamo dire che il Piano scaturisce, da una parte, da una spiritualità “con i piedi per terra”, fatta di studi e di ricerca, e, dall’altra, dall’esperienza dell’amore di Dio fatta da Comboni e che egli traduce in un testo a beneficio dei suoi fratelli e sorelle africani.

Il nostro contributo si divide in cinque punti: 1. Un Piano nato da uno sguardo diverso. 2. Un Piano mosso dall’indignazione. 3. Un Piano da realizzare a più mani. 4. Un Piano con un tocco di… “genere”. 5. Un Piano da pagare con la propria vita.

1. Un Piano nato da uno sguardo diverso

Sennonché il cattolico, avvezzo a giudicare delle cose col lume che gli piove dall’alto, guardò l’Africa non attraverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della sua Fede; e scorse colà una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comun Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il giogo di Satana in sull’orlo del più orrendo precipizio. Allora, trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per istringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli, sovra cui par che ancor pesi tremendo l’anatema di Canaam” (S 2742).

Il paragrafo più denso, che è alla base di tutto e che costituisce il fondamento in assoluto di tutto il resto del testo è il n. 2742: “il cattolico avvezzo a giudicare delle cose col lume che piove dall’alto…”. Comboni è questo cattolico che, a forza di giudicare sempre a partire dalle ispirazioni divine, ha assunto un’abitudine che lo porta a guardare l’Africa non a partire dagli interessi umani e a scoprire fratelli che hanno il suo stesso Padre e ai quali bisogna portare la Buona Novella della Salvezza. Evidentemente per giudicare dall’alto, bisogna rinascere dall’alto (Gv 3); rinascere dall’alto è un dono di Dio ma richiede anche un’ascesi (sforzo). La fonte di questo sguardo diverso sull’africano, considerato un fratello appartenente alla propria famiglia, che Comboni vuole stringere fra le braccia dandogli il bacio di pace e di amore, è la carità accesa dalla divina fiamma sul Golgota, uscita dal costato del Crocifisso. L’esperienza dell’amore del crocifisso è il motore dello slancio missionario che lo spinge verso questa periferia, l’Africa, vista dagli altri sotto il prisma degli interessi umani. L’esperienza della fede, che cambia il suo sguardo sull’africano, l’esperienza della carità divina che lo spinge verso queste “barbare terre” sono dunque fonte della sua fiducia nell’uomo africano che egli associa come protagonista all’opera di rigenerazione dell’Africa, “convertire l’Africa con l’Africa”. Oggi, nelle nostre comunità, nelle nostre missioni, questo sguardo di fede sugli eventi, sulle persone e sull’esperienza dell’amore del Crocifisso, che non è mai separato dall’amore del prossimo, è un elemento importante per la costruzione di una fraternità e confraternità che va al di là del colore della pelle, dell’etnia, della provenienza provinciale, ecc. Il Piano nasce dalla fede che opera attraverso la carità in vista di una liberazione dell’uomo africano: “La nostra Opera è basata sulla fede. È un linguaggio che lo intendono poco anche fra i buoni sulla terra. Ma l’hanno compreso i Santi, che soli noi dobbiamo imitare” (S 6933).

Il Piano ha un centro spirituale, il Cuore di Gesù, e dei centri materiali, gli istituti dove saranno preparati gli evangelizzatori e le evangelizzatrici, in cui possano vivere ed operare sia africani che europei (cfr. S 2764) e che andranno verso il centro dell’Africa.

“Possiamo dire che il Piano scaturisce, da una parte, da una spiritualità ‘con i piedi per terra’, fatta di studi e di ricerca, e, dall’altra, dall’esperienza dell’amore di Dio fatta da Comboni e che egli traduce in un testo a beneficio dei suoi fratelli e sorelle africani”.

2. Un Piano mosso dall’indignazione

Piano ComboniOra la desolante idea di vedere forse per molti secoli sospesa l’opera della Chiesa a vantaggio di tanti milioni di anime gementi ancora nelle tenebre e nelle ombre di morte, dee ferire profondamente e fieramente straziare il cuore d’ogni pio e fedele cattolico infiammato dello spirito della carità di Gesù Cristo. Egli è perciò, che a secondare l’impulso di questa sovraumana virtù, e a dileguare per sempre dal filantropo cattolico il desolante pensiero di abbandonare avvolte nell’infedeltà e nella barbarie quelle vaste e popolate regioni, che sono senza dubbio le più necessitose e le più derelitte del mondo, è d’uopo deviare dal sentiero fino ad ora seguito, mutare l’antico sistema, e creare un nuovo piano che guidi più efficacemente al desiato fine” (S 2752).

Il Piano nasce dall’indignazione provocata in Comboni dallo stato di abbandono in cui si trovava l’Africa dal punto di vista della fede, ma anche dello sviluppo sul piano umano. Comboni è quel cattolico pieno di pietas, infiammato della carità di Gesù Cristo, che si rattrista ed è desolato davanti alla situazione dell’Africa; che s’indigna “ci sarà perdonato, se l’impeto del cuore, dove protestiamo di sentir forte il grido della miserazione, che verso di tutti noi mandano quegl’infelici figliuoli di Adamo e nostri fratelli, spingesse la mente fuor della linea della verità e della certezza” (S 2754). Un’indignazione che lo spinge alla ricerca di un cammino per l’evangelizzazione dell’Africa, senza paura di sbagliare, senza una certezza assoluta; anche se sbaglia, sarà perdonato. La paura di sbagliare paralizza l’azione evangelizzatrice e ci chiude in noi stessi, limitando la nostra audacia di andare in cerca di nuove strade. Preferisco, dice Papa Francesco “una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (EG 49).

Dio stesso s’indigna davanti ad ogni forma di non dignità della persona umana: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze” (Es 3,7). È l’indignazione di Gesù davanti alle moltitudini prostrate come pecore senza Pastore. Come ogni vera indignazione, che nasce da una contemplazione, l’indignazione di Comboni non è rimasta sterile, ma lo ha portato alla compassione e all’azione. Un’azione che si caratterizza per l’intima condivisione di vita con l’Africa: “L’Africa e i poveri neri si sono impadroniti del mio cuore, che vive soltanto per loro, particolarmente da quando il Rappresentante di Gesù Cristo, il S. Padre, mi ha incoraggiato a lavorare per l’Africa” (S 941).

Molte delle nostre indignazioni davanti agli orrori del mondo rimangono sterili perché, mentre condanniamo le situazioni di guerra che ci sono nel mondo, allo stesso tempo riproduciamo nelle nostre comunità e nelle nostre missioni gli stessi meccanismi di guerra fra di noi, anche se su scala minore: “All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica” (EG 98).

Inoltre, la nostra indignazione rimane sterile quando ci indigniamo davanti alla povertà estrema nella quale si trovano migliaia di nostri contemporanei, ma siamo incapaci di piccoli sacrifici che la missione ci chiede. Pensiamo in questo momento a certi missionari che accettano la destinazione a condizione che, nel posto in cui andranno, ci siano i mezzi tecnologici, come ad es. internet. Quando c’è la passione per la missione e la compassione per le persone, il resto è superfluo.

3. Un Piano da realizzare a più mani

Familia CombonianaL’Opera dev’essere cattolica, non già spagnola o francese o tedesca o italiana. Tutti i cattolici devono aiutare i poveri Neri, perché una nazione sola non riesce a soccorrere la stirpe nera” (S 944).

Nel Piano appare chiaramente questa dimensione della collaborazione. L’appello alla collaborazione per l’opera della rigenerazione dell’Africa deriva dalla consapevolezza che san Daniele Comboni ha del fatto che l’opera è di Dio e non un affare personale, è affare della Chiesa: “Siccome l’opera che ho tra le mani è tutta di Dio, così è con Dio specialmente che va trattato ogni grande e piccolo affare della Missione” (S 3615).

Questa collaborazione si manifesta nel momento della formazione degli evangelizzatori ed evangelizzatrici. Pur valorizzando le ricchezze carismatiche di ogni Istituto religioso nella formazione degli africani e africane, san Daniele Comboni indica ciò che non deve mancare nel cammino formativo. Prima di tutto, lo spirito di Gesù Cristo (cfr. S 2770): si tratta di radicare nel loro cuore (nel cuore dei formandi, uomini e donne) lo spirito di Gesù Cristo.

Che cosa intende Comboni per spirito di Gesù Cristo? Nella vita di Gesù Cristo due sono gli elementi fondamentali: l’esperienza di Dio come Padre (Abba) e l’esperienza del Regno. Radicare lo spirito di Gesù Cristo nel cuore degli evangelizzatori e delle evangelizzatrici vuol dire portarli a fare esperienza di Dio come Padre, cioè aiutarli a fare esperienza del cristianesimo non come un insieme di leggi o di una grande idea, ma come un incontro con la persona di Gesù (cfr. Deus Caritas est, 1); è l’unico modo per sviluppare in essi la libertà dei figli di Dio contro qualsiasi paura di spiriti che paralizzino la crescita umana, spirituale e sociale.

Il secondo elemento è sviluppare negli africani la passione per l’annuncio del Regno di Dio, che è Regno di amore, di pace, di giustizia e di misericordia; l’unico modo per dissipare le dense tenebre che coprivano la vasta distesa dell’Africa Centrale (S 2741).

Un terzo elemento che caratterizza lo spirito di Gesù è l’umiltà: “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (cfr. 2Cor 8,9).

4. Un Piano con un tocco di… “genere”

Il piano quindi, che noi proponiamo è: la creazione di altrettanti Istituti d’ambo i sessi, che dovrebbero circondare tutta l’Africa, giudiziosamente collocati in luoghi opportuni alla minima distanza dalle regioni interne della Nigrizia, sopra terreni sicuri ed alquanto civilizzati, in cui potessero vivere ed operare sì l’europeo, che l’indigeno africano” (S 2764).

La valorizzazione della donna nell’opera dell’evangelizzazione da parte di san Daniele Comboni non è solo un’opzione strategica nel senso che le donne avrebbero resistito di più al clima duro dell’Africa (parlando delle europee) o sarebbero entrate più facilmente in certi ambienti ostili al cristianesimo. La valorizzazione della figura femminile nel suo Piano per la rigenerazione della Nigrizia è un’opzione di vita. È una delle conseguenze di quello sguardo contemplativo sulla realtà: per quelli che sono in Gesù Cristo, non c’è più greco o ebreo, circonciso o incirconciso… donna o uomo, c’è solo Cristo, che è tutto e in tutto (cfr. Col 3,9-11).

Si spiega così anche la devozione di san Daniele per la Madonna. Accanto al titolo “Vergine della Nigrizia”, troviamo, nei suoi Scritti, diversi titoli con cui Comboni si riferisce alla Madre di Dio. Uno dei nostri confratelli ha anche preparato una Litania in base ai titoli utilizzati da Comboni per rivolgersi a Maria.

San Daniele Comboni è in sintonia con il patrimonio della grande tradizione cattolica: lungi da qualsiasi devozionismo, Maria è il cuore della Chiesa. Nella Chiesa, diceva von Balthasar, Maria ha un posto più alto di Pietro e nell’Evangelii gaudium, Papa Francesco dice che Maria è più importante dei vescovi. Bisogna quindi rivalutare questa componente femminile nella Chiesa in equilibrio con quella maschile per non cadere, da una parte, nel maschilismo e nel clericalismo, e, dall’altra, nel femminismo esasperato o semplicemente in certe teorie di genere che tanto male fanno all’umanità. Nella vita di san Daniele questo equilibrio c’è stato, perché accanto alla Vergine Maria, c’è san Giuseppe, suo sposo, e nel carattere di Comboni – potremmo dire – i due elementi s’intrecciano: Comboni è in grado di difendersi con virilità quando è calunniato e di rendere verità ai fatti con parole a volte molto dure ma, allo stesso tempo, è capace di perdonare fino in fondo chi lo accusa falsamente. Alla forza, unisce l’elemento della misericordia, della compassione e della tenerezza, che sono tipicamente femminili. Non è un caso se la Commissione che ha l’incarico di eseguire il Piano si chiama “Società dei SS. Cuori di Gesù e di Maria per la rigenerazione della Nigrizia, sotto il patrocinio della Vergine Immacolata, di san Giuseppe, suo sposo, e dei principi degli Apostoli”.

5. Un Piano da pagare con la propria vita

Comboni y la VirgenSu questa grande idea si è fissato il nostro pensiero; e la rigenerazione dell’Africa coll’Africa stessa ci parve il solo Programma da doversi seguire per compiere sì luminosa conquista. Il perché nella nostra debolezza ci siamo creduti lecito di suggerire sommessamente una via, sulla quale camminando, più probabilmente giungere all’alto scopo, dove d’altronde si appuntarono sempre tutti i pensieri della nostra vita, e pel quale saremmo lieti di versare il nostro sangue fino all’ultima stilla” (S 2753).

Esiste uno stretto rapporto fra il Piano elaborato da san Daniele Comboni e la sua vita concreta. Tutti i suoi pensieri sono rivolti al Piano per il quale sarà disposto a dare il suo sangue fino all’ultima goccia. È l’immagine del Buon Pastore che è venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cfr. Gv 10,10).

Questa affermazione da parte di Comboni non è retorica. San Daniele, il 10 ottobre 1881, morirà a Khartoum, al vertice di una vita totalmente dedicata all’Africa e agli Africani. Dietro il Piano di Comboni ci sono nomi, cognomi, volti di africani e africane per i quali Comboni dà la propria vita. Possiamo dire che ciò che Papa Francesco afferma a proposito dei pastori della Chiesa è del tutto vero nel caso di san Daniele Comboni: possiamo sentire l’odore degli africani sotto la veste dell’infaticabile missionario dell’Africa. Affinché un Piano pastorale, dunque, affinché un progetto comunitario possa uscire dalla carta ed essere elaborato – ci insegna san Daniele Comboni – bisogna metterci cuore, amore, con la consapevolezza che dietro a quel Piano ci sono migliaia di vite che attendono la loro rigenerazione spirituale e umana allo stesso tempo, bisogna essere disposti a dare il proprio contributo, a dare il proprio sangue per la sua realizzazione. Perché a volte, infatti, i nostri piani pastorali non escono dalla carta? Forse mancano di quel coinvolgimento affettivo ed effettivo con la gente per cui il Piano diventa un pezzo di carta in più, oppure perché non siamo disposti a dare qualche goccia di sangue per la sua realizzazione, energia, tempo.

Conclusione

Alla fine di questa breve riflessione, possiamo dire che per comprendere il Piano, bisogna entrare in profondo dialogo con il suo autore, san Daniele Comboni, con la sua vita e con tutta la sua opera. Bisogna scoprire lo spirito che anima il Piano, al di là delle povere parole che lo traducono, per non perdersi in sterili dibattiti, quali ad es. “figlio di Cam” o altri del genere.

Salvar Africa con Africa

Il Piano traduce la passione di san Daniele per l’Africa, la sua preoccupazione di conquistare la perla nera alla Chiesa di Gesù Cristo. Il Piano è nato da una visione di fede che muove all’indignazione-compassione-azione davanti alla situazione di abbandono nella quale si trovava l’Africa. San Daniele ha capito che l’evangelizzazione dell’Africa non era un affare personale, ma della Chiesa. Ha cercato il confronto e il dialogo con il pontefice, con il prefetto di Propaganda Fide e con personalità legate all’esperienza africana, insomma ha cercato collaborazione coinvolgendo strettamente la figura femminile. Per l’elaborazione e l’esecuzione del Piano, san Daniele Comboni ha dato la sua vita, perché, dietro al Piano, ha capito che c’è una moltitudine di vite, una moltitudine di fratelli e sorelle che attendono il Messaggio della rigenerazione.

Novembre 2014

P. Fidèle Katsan, mccj

Incontro degli LMC a Norimberga re: “Evangelii Gaudium”

Grupo LMC AlemaniaIl gruppo tedesco degli LMC si è riunito a Norimberga nella casa dei Missionari Comboniani dal 17 al 19 ottobre 2014. Anche lo sciopero dei macchinisti non ha potuto fermarlo 🙂 .

Sabato ci siamo dedicati ad un intenso studio dell’enciclica “Evangelii Gaudium” aiutati da Pia Schildmair. Domenica sono stati illustrati gli aspetti comuni dell’enciclica con la spiritualità di Comboni. Abbiamo chiesto di ricevere concreti input da ciascuno e dal gruppo e concordato i passi per porli in essere. Che la gioia del Vangelo ci accompagni lungo il nostro cammino!

Barbara Ludewig

Echi dalla missione LMC

Susana

Fin dalla più tenera età volevo essere vicina a coloro che non possiedono nulla, e soprattutto, essere una con loro, per fare da ponte tra i più poveri fra i poveri e le rispettive autorità locali e ovviamente tra questi ultimi e l’Europa.

Ricordo che quando partii a 24 anni per la missione nella Repubblica Centrafricana non avevo proprio idea di cosa mi aspettasse. Sapevo solo che Dio mi stava chiamando e che il cuore dell’Africa aveva bisogno di me tanto quanto io ne sentivo il bisogno.

In questo senso, la formazione con i Laici Missionari Comboniani (CLM) è stata molto importante e mi ha sostenuto nel rinsaldare la mia vocazione di laica missionaria con il carisma comboniano. A quel tempo amavo l’Africa e non concepivo l’idea di “felicità”, senza impegnarmi attivamente per un mondo più felice, più giusto ed autentico. Oggi, dopo cinque anni trascorsi nel cuore dell’Africa, posso dire che il mio donarmi alla missione mi ha portato molto di più che gioia, mi ha fatto comprendere il senso della vita, la forza e la speranza nel nuovo mattino e, soprattutto, sento ora più che mai l’amore e la presenza di Dio. Dopo tutto, con il mio essere presente tra i più poveri del mondo, io vivo fra la popolazione più amata da Dio.

Dimenticata dagli uomini

 PigmeosNella Repubblica Centrafricana, un paese dimenticato dagli uomini ma amato da Dio, sono entrata a far parte della prima comunità internazionale LMC a Mongoumba, nella foresta; vivendo e lavorando con i Pigmei e i Bantus (popolazione non pigmea).

Una delle battaglie che portavo avanti quotidianamente era nei confronti della deforestazione. Infatti, se non si porrà rimedio a questa situazione, presto non esisterà più il territorio dei Pigmei; inoltre i Bantus, che vivono nei villaggi, diventeranno manodopera a basso costo per coloro che vogliono sfruttare la regione.

Attualmente, a causa della deforestazione, i Pigmei e i non-Pigmei sono costretti a convivere in un territorio ristretto provocando così uno shock culturale che nessuno aveva previsto. Tutto ciò grazie alle imprese del legno che hanno forti interessi nella regione. E questo ha fatto sì che i pigmei vivono attualmente in una condizione di schiavitù e di totale emarginazione sociale. Per agire contro tale esclusione sociale, la missione ha creato e gestisce sei scuole per l’integrazione dei pigmei. Le scuole sono presenti un pò ovunque nella foresta in un raggio di circa 60 km. Tentiamo, attraverso un metodo specifico, di fare in modo che i bambini dei Pigmei frequentino i primi anni di istruzione primaria affinché si possano meglio integrare nella scuola pubblica.

Altri problemi di questa regione riguardano la salute. Fintantoché i pigmei vivranno nella giungla, che viene distrutta, si determinerà per loro un destino di fame e malattie. Da un lato vi è la fame, perché gli alberi, che sono alla base della loro alimentazione, vengono abbattuti. Dall’altra parte vi è il problema della salute. Le malattie aumentano perché diventa sempre più difficile trovare alberi e piante medicinali che vengono utilizzati nella medicina tradizionale. In questo senso, e per aiutare l’integrazione dei Pigmei nel sistema sanitario pubblico, la missione gestisce una clinica. Essa è destinata ad accogliere i Pigmei e i più poveri del paese. Qui non forniamo consultazione, essa serve solo da ponte tra i pazienti e il centro di sanità pubblica e fornisce il supporto necessario per l’assunzione di farmaci. Noi lavoriamo con una infermiera del Soccorso Africa Centrale (Central African lifeguard) che ci aiuta a controllare che i pazienti assumano i giusti farmaci e promuoviamo l’educazione sanitaria nei territori dei Pigmei.

In questi luoghi, la nostra lotta è molto più che quotidiana, è una lotta portata avanti minuto per minuto! In ogni momento nel centro di sanità pubblica accertiamo gravi errori da parte dei medici, provocati sia dall’ignoranza, sia dalla negligenza di coloro che vi lavorano, nonché dalla discriminazione sociale e dalla mancanza di consapevolezza dell’importanza del valore che ha la vita.

Ci sono giorni che questo centro sembra produrre più morte che vita. Quindi, quando i decessi si verificano “senza che debbano verificarsi “, avviamo battaglie che a volte si concludono avanti i tribunali giudiziari e talvolta anche il Ministero della Sanità.

Dare voce

Escola Pigmea

Guardando queste persone – Pigmei e Bantu – ci si rende conto che essi sono semplicemente vittime della corruzione globale che induce il Governo Centrafricano ad essere più preoccupato per le forniture di armi  piuttosto che per la salute e l’istruzione. Come possiamo andare contro corrente, in tale contesto? Certamente non è un compito facile, ma questo non ci scoraggia. Piuttosto continuiamo a lottare per la vita e la vera libertà in questo paese, solo in teoria indipendente, ma che subisce quotidianamente gli abusi della colonizzazione.

Attualmente, questa comunità di LMC è aiutata dai Missionari Comboniani e dai Secolari Missionari Comboniani. All’interno di questa Famiglia Comboniana, lavorando come comunità apostolica, sviluppiamo progetti in vari settori cercando,  attraverso la testimonianza di vita, di annunciare Colui che ci ha inviato alla missione.

La missione in tutte le parti del mondo ha infatti bisogno di testimonianze di vita che sono determinanti per la liberazione dei popoli. Attualmente nella missione, la sfida non è “fare qualcosa per gli altri”, ma “essere qualcuno con gli altri”. La preghiera senza l’azione è inutile e lontana dai valori evangelici .

Oggi, la missione ci sfida a vivere secondo i valori che rappresentiamo, per un mondo in cui tutti, senza eccezione, di fatto figli di Dio, in Lui abbiano vita in abbondanza.

Susana Vilas Boas LMC

Missione in Guerrero (Messico)

CarolinaOggi, 15 ottobre 2014, è trascorso un mese dalla partenza di Carolina Carreón Martinez per la sua destinazione in  missione nelle montagne di Guerrero dove si è impegnata a lavorare per 3 anni. In questa comunità, dove i  padri Comboniani sono presenti tra la popolazione indigena Mixtec (NAU SAVIL), si sentiva la necessità di una presenza di Laici Missionari, poiché in precedenza erano stati accompagnati dagli LMC Marcela Angeles, Olivia, Lety, Rosario e Alma .

Carolina ha detto “sì” alla chiamata di Dio di annunciare il Suo Regno, rivelandoci il suo amore per l’umanità, la fiducia e il rispetto per le popolazioni indigene affinché essi stessi diventino protagonisti della propria liberazione. Essa conta sul supporto e la preghiera del gruppo dei Laici Missionari Comboniani a cui appartiene.

Cari saluti.

Adriana M Salcedo Cabello

 

Sì significa No

Borana Culture Ethiopia
Borana Culture, Southern Ethiopia

“Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Rivoltosi al primo disse: “Figlio, vai a lavorare oggi nella vigna.” Il ragazzo rispose: “Non ne ho voglia.” Ma poi ci ripensò e vi andò. Rivoltosi al secondo gli fece la stessa domanda. Il ragazzo rispose: “Vado signore” ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? …” Matteo 21:28-31

Dopo la lettura di questa parabola una domenica durante la messa celebrata nella missione rurale di Dadim, il parroco, p. Antonio, missionario nigeriano, si immerse nella sua omelia sicuro di sé. Una vigna era difficile da immaginare lì in quella terra rossa arida nel sud dell’Etiopia. Quindi decise di cambiare i dettagli della parabola utilizzando immagini di vita quotidiana conosciute alla gente del posto. Dadim è una regione in cui si vive di pastorizia ed è ubicata in prossimità della frontiera con il Kenya, dove bovini e cammelli si muovono liberamente e la vita dei semi-nomadi Borana si svolge attendendo al proprio bestiame. Così p. Anthony decise di equiparare la storia a quella di un figlio cui viene richiesto di portare ad abbeverare il gregge. La storia era però la stessa: il primo figlio disse “No”, ma poi vi andò; il secondo figlio disse “Sì” ma poi non vi andò. In seguito egli chiese alla comunità raccolta “Chi dei due ha compiuto la volontà del genitore?” i parrocchiani risposero all’umanimità: “il secondo figlio!” Il parroco, un po’ confuso, raccontò di nuovo precisamente la storia. Tuttavia, la comunità non aveva capito male. Essi avevano risposto chiaramente – infine il secondo figlio aveva fatto ciò che era giusto.
Nella loro cultura, un “No” non è mai espresso, mai pronunciato o addirittura mai sussurrato. Per insultare qualcuno, rifiutare una richiesta, soprattutto nei confronti di un padre, è il massimo del disprezzo. L’unica risposta possibile è “Sì”. Ma il Tuo “Sì” deve voler dire “Sì” fra i Borana? La risposta sembra essere no. Si può concordare un orario di incontro e un luogo e mai presentarsi, si possono accettare taluni lavori e mai compierli, si può decidere di fermarsi e invece partire, o decidere di partire e invece restare. E’ possibile che realmente essi intendano dire di “Sì” con buone intenzioni, ma poi subentrano fattori che nel loro stile di vita difficile possono far fallire i loro piani così che molti “Sì” non sono in realtà mai portati a compimento. Dire “No” è così grave che anche facendo in seguito l’azione giusta, questa non può modificare in bene ciò che era l’atteggiamento sbagliato di origine.
Non si raggiunse un accordo tra il sacerdote (che era arrivato da poco tempo) e i parrocchiani. Per i Borana era l’atteggiamento iniziale del primo figlio che era sbagliato. Con quale audacia dire “No” a suo padre? Il lavoro del missionario presenta spesso queste situazioni di perplessità. Questa esperienza mi ha fatto venire in mente le diversità fra le culture e le sfide del messaggio evangelico in uno specifico contesto culturale. Forse p. Anthony ha imparato una lezione importante per il suo futuro lavoro con la comunità di quest’area, anche se è certo che egli spera ancora che il “Sì” si concretizzi autenticamente in azione ed impegno.

– Maggie

Maggie, Mark, Emebet, Isayas e Therese Banga, Laici Missionari Comboniani, Awassa, Etiopía