Laici Missionari Comboniani

Vivere il presente con passione

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P. Fernando Domingues

Le riflessioni che seguono vogliono essere semplici commenti al secondo obiettivo proposto da Papa Francesco nella sua Lettera Apostolica a tutti i religiosi in occasione dell’Anno della Vita Consacrata dello scorso novembre 2014, allo scopo di aiutarci a vivere come missionari comboniani il nostro tempo. “La passione per un ideale, nel nostro caso, la missione, è legata all’entusiasmo. La passione non si conquista una volta per sempre. È come una pianta che dobbiamo curare e nutrire ogni giorno. Per questo è necessario trarre profitto da iniziative come quella che ci propone il Papa nell’Anno della Vita Consacrata, per rivedere come stiamo vivendo la nostra consacrazione e qual è il nostro legame con il Vangelo, con l’Istituto e con la missione”, scrive P. Rogelio Bustos Juárez, mccj.

VIVERE IL PRESENTE CON PASSIONE

“Il passato che è memoria e il futuro che è immaginazione li evochiamo dal presente”.
(Sant’Agostino)

  1. La sequela di Cristo, come riferimento primario

Quando si parla di nascita dei carismi, la storia della vita religiosa ci insegna che la prima cosa da cui sono partiti i fondatori e le fondatrici è stato il Vangelo. Dalla lettura attenta della Buona Novella hanno conosciuto Gesù Cristo, hanno ricevuto la Parola e hanno scoperto come potevano seguirlo. Alcuni hanno posto attenzione al Gesù taumaturgo che curava gli infermi, altri al Gesù Maestro che, con autorità, insegnava cose nuove; noi siamo stati colpiti dal Gesù itinerante che deve annunciare il Vangelo a tutti i popoli, poiché per questo è stato inviato.

Sono nate da lì le regole o costituzioni come base teorica per rendere viva l’intuizione carismatica. Nelle Regole del 1971, il nostro Fondatore diceva: Di certo uno spirito umile che ami sinceramente la sua vocazione e voglia essere generoso con il suo Dio, le osserverà di cuore considerandole come il cammino tracciato dalla Provvidenza, ma è importante dire chiaramente che le Costituzioni, la Regola di Vita e le tradizioni di qualsiasi Istituto conserveranno il loro vigore solo se e quando continueranno ad ispirarsi ai valori evangelici.

Per questo il Papa scrive: “La domanda che siamo chiamati a rivolgerci in questo Anno è se e come ci lasciamo interpellare dal Vangelo; se esso è davvero il ‘vademecum’ per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e domanda di essere vissuto con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo (anche se lettura e studio rimangono di estrema importanza), non basta meditarlo (e lo facciamo con gioia ogni giorno). Gesù ci chiede di metterlo in pratica, di vivere le sue parole.

Non sono sicuro se, dopo aver concluso la nostra formazione di base, tutti abbiamo preso sul serio la nostra formazione permanente. Oggi si parla di società liquida e amore liquido (cfr. Z. Bauman) per alludere a quella rapidità con cui stanno cambiando il mondo, la società, la Chiesa e la vita religiosa.

Il Vangelo è la fonte che, con il suo dinamismo e la sua attualità, può indicarci sentieri sui quali indirizzare i nostri passi. In proposito, uno strumento utile può essere il terzo capitolo della Evangelii gaudium (n. 111-173) nella quale Papa Francesco ci invita a rivedere il modo in cui ci avviciniamo alla Parola e la annunciamo.

Ma non basta essere esperti di teologia biblica o buoni pastoralisti se non siamo capaci di mettere in pratica quello che annunciamo. Siamo invitati a rivedere il posto che la Parola occupa nella nostra vita; se essa è veramente quella guida sicura alla quale ricorriamo quotidianamente e che a poco a poco ci fa assomigliare al Maestro.

  1. Conformare la nostra vita al modello del Figlio
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P Manuel Pinheiro. Peru

Se è Gesù Cristo che seguiamo, ci sarà di aiuto riflettere sulla seconda parte del nostro nome, “del Cuore di Gesù”, perché ci permetterà di approfondire la nostra identità. Quando nel 1885, attraverso Mons. Sogaro, la Santa Sede ci concesse di diventare Congregazione religiosa, fummo chiamati: Figli del Sacro Cuore di Gesù. Nel 1979 si giunse alla riunificazione e rinascemmo con il nome di Missionari Comboniani del Cuore di Gesù. È interessante il fatto che si mantenga il riferimento al Cuore di Gesù.

Papa Francesco nella sua lettera sostiene che se il Signore è il nostro primo e unico amore, potremo imparare da lui che cos’è l’amore e sapremo come amare perché avremo il suo stesso cuore, cioè ci identificheremo con Lui. È quanto hanno meditato e condiviso con noi alcuni Padri della Chiesa.

Sant’Ireneo di Lione, ad esempio, parla di “Gesù Cristo che, per la sovrabbondanza del suo amore, è diventato ciò che siamo noi per fare di noi ciò che Lui è” (Contro le eresie, Prefazione del libro V).

San Gregorio Nazianzeno sviluppa un altro aspetto: “Nella mia condizione terrena, sono legato alla vita di quaggiù, ma essendo anche una particella divina, porto in me questo desiderio della vita futura”.

L’uomo non è solo ordinato moralmente, regolato da un decreto sul divino, ma è del ghenos, della stirpe divina, come dice san Paolo, è “stirpe di Dio” (At 17,29).

Sant’Atanasio, nel Trattato sull’incarnazione del Verbo, sostiene che il Logos divino si è fatto carne, diventando come noi, per la nostra salvezza. E, con una frase giustamente divenuta celebre, scrive che il Verbo di Dio “si è fatto uomo perché noi arrivassimo ad essere Dio; si è reso visibile corporalmente perché avessimo un’idea del Padre invisibile, e sopportò la violenza degli uomini perché ereditassimo l’incorruttibilità” (54,3).

Il nostro Fondatore, san Daniele Comboni, facendo sua la spiritualità del suo tempo, seppe rispondere alle sfide della missione ispirandosi alla spiritualità del Sacro Cuore, ampliandone il significato, dandole un’impronta più sociale e missionaria.

Riassumendo, se quelli che hanno approvato il nostro nome hanno giudicato opportuno e necessario includervi il riferimento al Cuore di Gesù, è dunque necessario che ci identifichiamo sempre di più con i suoi sentimenti e li traduciamo in atteggiamenti. Seguiamo Gesù non in qualsiasi modo, ma sforzandoci di essere “cordiali” nel nostro modo di fare, di essere riflesso ed espressione dei sentimenti del Figlio di Dio. Tutto questo ha delle conseguenze nella vita personale e comunitaria. Al punto di farci diventare parabola esistenziale, segno della presenza di Dio stesso nel mondo (cfr. Vita Consecrata n. 22).

3. Fedeli alla missione affidataci

Il terzo punto ci invita a rivedere la nostra fedeltà al mandato che abbiamo ricevuto dai nostri fondatori. Un’intuizione carismatica è, allo stesso tempo, dono e responsabilità. Dono, perché non abbiamo fatto nulla per riceverlo tramite la persona e il lavoro dei nostri fondatori, che però è stato riconosciuto dalla Chiesa, per cui abbiamo la responsabilità di non travisarlo né alterarlo, ma di essere i continuatori di questo regalo che è stato posto nelle nostre mani.

E qui si potranno avere due letture: o aggrapparci al pensiero e all’opera del nostro Padre e Fondatore pretendendo, per fedeltà carismatica, di riprodurre sine glossa quello che lui ha fatto oppure agire in modo tale che tutto quello che facciamo non assomigli affatto a quanto suggerito o proposto dai nostri fondatori e ci muoviamo in totale libertà, interpretando le nuove sfide a nostro piacimento e scarabocchiando l’eredità che abbiamo ricevuto 150 anni fa.

Credo sia bene evitare questi due estremi. È necessario infatti raccogliere la fiaccola dalle mani di quanti ci hanno preceduto conservando la lucidità per scoprire come dobbiamo rispondere alle sfide del presente senza indebolire l’originalità carismatica. È stato questo, mi sembra, l’obiettivo della Ratio missionis e del lavoro di riqualificazione dei nostri impegni su cui l’Istituto ha insistito negli ultimi anni.

Papa Francesco ci esorta a domandarci, in questo Anno della Vita Consacrata, se i nostri ministeri, le nostre opere e presenze rispondono a quelli che lo Spirito Santo ha chiesto ai nostri fondatori. In poche parole, ci invita a vivere in un’attitudine di discernimento costante per non sbagliare e per essere così riflesso ed espressione di quel carisma ecclesiale che abbiamo ricevuto.

4. Diventare esperti di comunione

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P Gino Pastore. Moçambique

Stando così le cose e considerando il valore che ha per noi la vita fraterna, sarebbe opportuno che ci interrogassimo sulla qualità della nostra vita in comune. In proposito, il nostro Fondatore è stato molto chiaro nel descrivere le caratteristiche del suo Istituto: “Questo Istituto perciò diventa come un piccolo Cenacolo di Apostoli per l’Africa, un punto luminoso che manda fino al centro della Nigrizia altrettanti raggi quanto sono i zelanti e virtuosi Missionari che escono dal suo seno: e questi raggi che splendono insieme e riscaldano, necessariamente rivelano la natura del Centro da cui emanano” (Scritti 2648).

È interessante l’immagine che san Daniele utilizza: “cenacolo di apostoli”. Il cenacolo è la stanza del piano superiore, dove il Maestro affidò ai suoi discepoli ciò che portava nel cuore alla vigilia del più alto gesto di donazione. Lo stare insieme è quella realtà che ci trascende e ci avvicina a Dio quando viviamo in comunione con i fratelli. È anche spazio d’intimità, dove possiamo aprire il nostro cuore ai compagni di cammino e mostrarci così come siamo. Lì dove condividiamo ciò che siamo, scoprendo i nostri doni e limiti e quelli di quanti vivono con noi. Teologicamente, la Trinità è il nostro modello: tre persone distinte ma un solo Dio. Vivere assieme ci aiuta a condividere i nostri doni e ad accogliere la ricchezza di quanti vivono accanto a noi. Siamo diversi, ma coltiviamo e promuoviamo l’unità, attraverso il rispetto e la tolleranza. In un istituto internazionale come il nostro, la sfida è maggiore ma non impossibile.

Nell’immagine utilizzata si fa riferimento anche all’apostolicità. Da questo “cenacolo di apostoli” usciranno come “raggi” missionari solleciti e virtuosi per illuminare situazioni di oscurità: il Papa parla di scontro, di difficile convivenza fra culture diverse, di sopraffazione sui più deboli, di disuguaglianza e potremmo continuare con un elenco di situazioni che conosciamo e che ci siamo trovati davanti nel nostro servizio nelle diverse parti del mondo, dove lavoriamo. A tutte queste, siamo chiamati a portare una parola di speranza e d’incoraggiamento, illuminando le oscurità e condividendo un’esperienza di fraternità, frutto della comunione che abbiamo sperimentato. E non baseremo la forza e l’efficacia della nostra vocazione missionaria sulle risorse materiali che potremmo portare alla missione, ma sulla disponibilità a condividere l’esperienza autentica di Dio che abbiamo e sulla dose di umanità che possiamo trasmettere. La qualità della vita missionaria dipenderà dal tempo che siamo disposti a dedicare alle persone emarginate dalla società. Il nostro posto, come missionari – e questo ce lo riconoscono la maggior parte delle Chiese locali – è là dove ci sono tensioni e differenze, dove ci sono situazioni che sono contrarie alla condizione umana. È lì che dobbiamo portare la presenza dello Spirito, cercando di dare testimonianza di unità (Gv 17,21), come ci ricorda il Papa.

Tutto questo si traduce in uno stile proprio che deve essere di ascolto, di dialogo e di collaborazione con le persone con cui veniamo a contatto. Potremo anche essere persone dinamiche e capaci, ma se non sapremo lavorare in gruppo, difficilmente daremo testimonianza dell’amore trinitario sul quale si fonda la vita comunitaria. Le differenze non devono impedirci di dare testimonianza di unità davanti alla Chiesa e al mondo.

5. Appassionati al Regno

Un’ultima considerazione: seguire Gesù, desiderare di assomigliare al suo cuore, rimanere innamorati della missione ed essere costruttori – e non meri consumatori – di comunità, sarà possibile nella misura in cui manterremo sempre viva la passione per il Regno. Se guardiamo bene, molti di noi dimostrano una certa dose di irresponsabilità per il modo in cui amministriamo il tempo e i beni che arrivano nelle nostre mani. Se perdiamo il contatto con le persone, sarà difficile immaginare le mancanze che vive la maggior parte della nostra gente. Nella Lettera, citando Giovanni Paolo II, Papa Francesco afferma: “La stessa generosità e abnegazione che spinsero i Fondatori devono muovere voi, loro figli spirituali, a mantenere vivi i carismi che, con la stessa forza dello Spirito che li ha suscitati, continuano ad arricchirsi e ad adattarsi, senza perdere il loro carattere genuino, per porsi al servizio della Chiesa e portare a pienezza l’instaurazione del suo Regno”.

Perché alcuni dei nostri candidati perdono l’entusiasmo iniziale quando poi fanno parte dell’Istituto? Perché per molti di noi è così facile smettere di essere comboniani, quando compaiono difficoltà o disaccordi? Perché ci è sempre più difficile obbedire e rispondere alle sfide che ci si presentano? Perché è diminuita la nostra passione per il Vangelo e per tutto quello che riguarda la missione? Perché tanti vivono da pensionati prima del tempo? Non sarà forse perché abbiamo trascurato alcuni riferimenti fondamentali legati alla nostra identità, per cui usciamo di strada e perdiamo la rotta?

La passione per un ideale, nel nostro caso, la missione, è legata all’entusiasmo. La passione non si conquista una volta per sempre. È come una pianta che dobbiamo curare e nutrire ogni giorno. Per questo è necessario trarre profitto da iniziative come quella che ci propone il Papa nell’Anno della Vita Consacrata, per rivedere come stiamo vivendo la nostra consacrazione e qual è il nostro legame con il Vangelo, con l’Istituto e con la missione.
P. Rogelio Bustos Juárez, mccj

 

“Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa”.

Brasil Questa terra si chiama Pau BrasilIrajà, Comboios, Caeiras, Olho d’ Agua, villaggi indigeni situati nello stato dell’ Espirito Santo.
Ho trascorso 9 giorni passati da un villaggio all’altro, dormendo nelle famiglie, di casa in casa, celebrando insieme la settimana santa, celebrando insieme la Vita e la sua vittoria contro la morte.
Sono stati giorni intensi, veloci, importanti, belli, carichi di amicizia e di condivisione, noi piccola equipe della famiglia Comboniana (padri, suore, laici, escolasticos) e il popolo indigeno Tupinikim, popolo di questa terra santa. Semplicità, umiltà, condivisione, accoglienza sono le parole che predominano rivivendo quei giorni. La disponibilità e l’affetto delle famiglie incontrate, visitate, vissute, non fa che crescere dentro me la bellezza di quei valori veri e sinceri che valorizzano l’incontro con l’Altro e la sacralità del saper accogliere l’Altro. Il popolo Tupinikim, come tutti i popoli indigeni, è un popolo che ha lottato per far si che la propria terra fosse riconosciuta, fosse rispettata e curata da quegli abitanti che da secoli, ancor prima della colonizzazione portoghese, ci abitavano. Terra indigena, terra santa. Una lotta iniziata dal 1979 fino al 1981 per riconquistare un territorio sempre più ingoiato e sfruttato da una multinazionale straniera, appoggiata da un potere politico ed economico lobbistico. Tanti i tentativi da parte della polizia con armi in spalla, tante le minacce, le violenze, per scacciare le occupazioni dei Tupinikim. Tanti i processi, la ricerca di carte e documenti per dimostrare che era terra indigena e finalmente,  nel 1993, la demarcazione della terra, il riconoscimento che è territorio indigeno protetto, con le sue Comunità e i suoi villaggi (aldeias). Lotta per la Vita, lotta per i diritti, per il rispetto di una cultura che si sta perdendo e che sta resistendo ad una omologazione sempre più dominante, quella che ci vedi tutti come merci e consumatori.
Le minacce sono finite, la legge ha finalmente scritto su carta una verità sempre esistita, ora è il tempo di recuperare un territorio sfruttato da una fabbrica (straniera) che ha piantato eucalipti in ogni luogo, per interessi di mercato, per la fabbricazione di cellulosa, carbone e pellets. Il problema di questi alberi è che crescono molto velocemente, tolgono spazio alla flora autoctona e danneggiano il suolo. Questi alberi, belli a vedersi, gradevoli per la salute, in realtà, prosciugano il terreno, “bevono” molta acqua, impoveriscono la terra e la rendono “sterile”, difficile da coltivare.
Quando il clima, poi, fa la sua parte, con periodi di siccità, tutto diventa difficile e complicato, soprattutto per chi vive dell’aiuto della terra.
Ricominciare, curare la terra e i suoi frutti, attraverso una tradizione indigena che ha sempre rispettato PachaMama, sempre si è presa cura di lei, vivendo nell’essenzialità e questo lo si sente molto in alcuni villaggi ed è una bella lezione di vita.
In questa terra siamo stati accolti, ci siamo sentiti a casa, perché ci hanno fatto sentire a casa, non c’è cosa più bella per un viandante, per uno straniero, per chi viene da fuori, l’essere accolto e preso per mano.

Famiglia Comboniana: padre Elias, padre Savio, sr. Giusy, Emma, Wedipo, Cosmas, Fidel, Grimer (escolasticos)

Emma Chiolini (LMC italiana in Brasile)

Mozambico: NO agli ‘arraffa-terre’

Mozambique

Una trentina di missionari e missionarie comboniani che lavorano nelle province comboniane d’Europa hanno partecipato al “Simposio di Limone 2015”, un evento organizzato dal Gruppo europeo di riflessione teologica (Gert), dal 7 all’11 aprile presso la casa natale di Comboni a Limone sul Garda (Italia). Il tema di quest’anno è stato: “Essere buona notizia oggi in Europa: consolidare, approfondire e immaginare”. Alla fine del Simposio, i partecipanti hanno anche firmato un comunicato condannando il progetto del Ministero dell’Agricoltura e Sicurezza Alimentare del Governo mozambicano che sta per concedere 102.000 Km2 di terre fertili (un terzo dell’Italia) al Consorzio ProSAVANA composto da imprenditori mozambicani, giapponesi e brasiliani. Pubblichiamo di seguito il comunicato dei missionari.

 

Mozambico: NO agli ‘arraffa-terre’ Mozambique

In Mozambico è in atto in questi giorni un altro gravissimo capitolo dell’accaparramento di terre: il cosiddetto arraffa-terre ‘land grabbing’.

Infatti il Ministero dell’Agricoltura e Sicurezza Alimentare del Governo di Maputo ha pubblicato un documento di 204 pagine nelle quali si configura la cessione di 102.000 Km2 di terre (un terzo dell’Italia) al Consorzio ProSAVANA composto da imprenditori mozambicani, giapponesi e brasiliani. Queste fertilissime terre si trovano nelle regioni settentrionali di Nampula, Niassa e Zambézia. In queste regioni sono concentrate 4.200.000 persone; è incredibile che il Mozambico che può contare su circa 30 milioni di ettari coltivabili, ceda 10,2 milioni di ettari ad un consorzio privato.

Il Governo di Maputo afferma che questo progetto servirà ai piccoli agricoltori e all’alimentazione della gente, mentre si sa molto bene che tale progetto utilizzerà pochissima mano d’opera locale perché verranno impiegati mezzi meccanici di alta tecnologia e il prodotto finale servirà unicamente all’esportazione.

Dove andrà a finire tutta questa popolazione che verrà rimossa dalle loro terre? E poi quale sarà l’impatto ambientale di un tale mega-progetto? Che ricaduta avrà sulle falde acquifere? E infine, che effetti politici avrà sui fragili equilibri su cui oggi si regge la pace in Mozambico?

In appoggio alle associazioni contadine locali e ai nostri confratelli e consorelle che con loro lavorano, noi missionari, missionarie, secolari e laici comboniani d’Italia e d’Europa riuniti qui a Limone sul Garda nella casa di San Daniele Comboni, lanciamo un grido di allarme contro questo ennesimo atto di ‘land grabbing’ che verrà pagato pesantemente dagli oltre 4 milioni di persone che vivono in quelle regioni.

Mozambique

Limone sul Garda, 10 Aprile 2015

Padre Alberto Pelucchi, Vicario Generale dei Missionari Comboniani
Padre Alex Zanotelli, Direttore di Mosaico di Pace, Napoli
Padre Antonio Guarino, Castel Volturno, Napoli
Padre Antonio Porcellato, SMA, Vicario Generale, Roma
Padre Arlindo Pinto, Coordinatore di Giustizia e Pace, Roma
Padre Benito De Marchi, Inghilterra
Padre Dario Balula Chaves, Portogallo
Padre Domenico Guarino, Palermo
Padre Efrem Tresoldi, Direttore di Nigrizia, Verona
Padre Fernando Zolli, Firenze
Padre Gianluca Contini, Roma
Padre Gino Pastore, Troia
Padre Giorgio Padovan, Brasile
Padre Giovanni Munari, Superiore Provinciale dei Comboniani in Italia
Padre Guillermo Aguinaga, Polonia
Padre Juan Antonio Fraile, Spagna
Padre Karl Peinhopf, Superiore Provinciale dei Comboniani di lingua tedesca
Padre Martin Devenish, Superiore Provinciale dei Comboniani del Regno Unito
Padre Ottavio Raimondo, Bari
Padre Palmiro Mileto, Bari
Padre Pierpaolo Monella, Limone sul Garda
Suor Dorina Tadiello, Superiora Provinciale delle Comboniane in Italia
Suor Fernanda Cristinelli, Comboniana, Roma
Suor Kathia Di Serio, Comboniana, Verona
Carmelo Dotolo, Pontificia Università Urbaniana, Roma
Clara Carvalho, Secolare Comboniana, Portogallo
Comunità Laici Missionari Comboniani, La Zattera, Palermo
Felicetta Parisi, Napoli
Fratel Friedbert Tremmel, Germania
Maria Lucia Ziliotto, Secolare Comboniana, Treviso

Allegati:

Comunicado_de_imprensa_ProSAVANA.pdf

Master_Plan_ProSAVANA.pdf

Animazione missionaria a Lijó – Barcelos

BarcelosUna settimana dopo la Pasqua, con le parole di Cristo Risorto: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando Voi (Giovanni 20: 21), la comunità di vita di Porto si è recata presso la parrocchia di St. Mary di Lijò (Barcelos) per condividere un’esperienza di vita missionaria.

L’avventura è iniziata venerdi notte con il gruppo giovanile “Gaudium”, con il quale abbiamo trascorso un vivace pomeriggio, colmo di spirito missionario. Il sabato, dopo aver dedicato la mattinata alla condivisione, alla riflessione liturgica e alla riflessione sull’identità degli LMC (secondo le sfide dell’ultima assemblea Internazionale di Maia), abbiamo trascorso il pomeriggio con i giovani del 7°, 8°, 9° e 10° anno di catechismo. Una serata piena di vita e condivisione missionaria che è culminata con la celebrazione dell’Eucarestia assieme all’intera comunità parrocchiale.

Il centro della nostra domenica è stata la celebrazione eucarística; sempre l’annuncio missionario era sostenuto non solo dalla gioia, ma anche dal benevenuto e dalla generosa disponibilità dell’intera comunità parrocchiale. La giornata e le attività si sono concluse con un “grazie” che veniva dal cuore. Un “grazie” esteso all’intera comunità parrocchiale, in particolare ai giovani e ai catecumeni che hanno modificato i loro programmi e impegni per stare con noi e un grazie speciale anche al sacerdote P. João Granja che non ha risparmiato gli sforzi unendosi a noi per tutto il weekend. Veramente “la mano del Signore ha fatto meraviglie, la mano del Signore è stata grande” [Salmo 117 (118)].

LMC Portugal

Visita alla casa di missione di Santa Terezinha, Laici Missionari Comboniani

RayleneIl mio viaggio alla casa di Missione dei Laici Missionari Comboniani (LMC) ha avuto luogo tra il 4 e il 10 marzo di quest’anno. Ho avuto la fortuna di incontrare i Missionari Comboniani in agosto 2014 a Piquiá, Açailândia (MA) e questa visita ad Ipê Amarelo, è stata certamente di grande ispirazione per la mia vocazione; incontrare più laici ed osservare le loro azioni e attività è stato sicuramente il modo per chiarire questi anni della mia vita dedicati alla missione.

“Eccomi qui, con piacere, a fare la Tua volontà Signore” (Salmo 39)

Ho partecipato all’incontro per la Pastorale per la Cura dei bambini, al workshop di pittura per donne, gruppi di giovani, discepoli di Emmaus, alle catechesi e alla via crucis nella comunità. Attività che svolgo nella mia comunità di San José de Egypt, Parrocchia di nostra Signora di Fatima ad Imperatriz / Maranhão.

Nei giorni in cui ero a Nova Contagem, Minas Gerais, ho avuto modo di vedere i progetti, quali il progetto di Giustizia e Pace della Casa Comboniana , lo spazio denominato “Speranza” nella comunità di Nostra Signora Ausiliatrice – ACCSA e, attraverso alle nostre conversazioni con Lourdes, persino il progetto della Scuola industriale di Carapira nel Mozambico

Indubbiamente, ciascun dettaglio ha segnato questa mia esperienza, in particolare l’affetto di tutti, la condivisione e le richieste di preghiera di Lourdes per ciascun membro delle comunità che abbiamo incontrato, è stato importante in questo momento in cui dovrò prendere una decisione.

Raylene “Dormii e sognai che la vita è gioia. Mi svegliai e trovai che la vita è servizio. Servii e ritrovai la felicità”.

Raylene Bananeira

Imperatriz-Maranhão