Laici Missionari Comboniani

Edizione tedesca degli Scritti (Schriften) di San Daniele Comboni

Escritos Comboni en AlemánE’ stato “un parto piuttosto faticoso” ma ne valeva la pena. L’ultimo dei figli di una famiglia diventa spesso il bambino prediletto di tutti. Ora, in occasione della festa di San Daniele Comboni, il 10 ottobre 2017, i suoi scritti e le lettere sono stati pubblicati anche in tedesco. Sono stati presentati ai confratelli e agli amici durante il Simposio Missionario il 7 e 8 ottobre 2017 a Ellwangen. I Superiori provinciali o singoli confratelli che desiderano avere un esemplare, possono rivolgersi a P. Anton Schneider, vice-provinciale.

Ringraziamo tutti quelli che hanno contribuito e lavorato senza sosta perché si realizzasse questa edizione: in particolare P. Georg Klose e P. Alois Eder per la traduzione e i responsabili della redazione finale, la signora Andrea Fuchs e P. Anton Schneider.

Speriamo che questo sforzo della DSP porti frutti abbondanti, cioè, che leggendo e meditando le lettere di Comboni diventi più viva e presente la sua figura in ciascuno di noi e in mezzo a noi e si rafforzi così la nostra identità comboniana.

Escritos Comboni en Alemán

 

comboni.org

Progetto della Famiglia Comboniana con gli immigranti ad Almería

LMC España

La commissione della Famiglia Comboniana – comboniani, comboniane e laici missionari comboniani – si è riunita il 14 e 15 ottobre a Granada (Spagna) per continuare a dare forma all’elaborazione del progetto di aprire una missione come Famiglia missionaria in una zona di accampamenti di immigrati, a San Isidro de Níjar, Almería.

La realtà degli immigrati che si sono stabiliti lì, per la maggior parte africani, interroga i missionari e le missionarie e li chiama a dare una risposta sulla base del carisma comboniano di “salvare l’Africa con l’Africa”. Sosteniamo e incoraggiamo questo modello di collaborazione e preghiamo affinché questa esperienza vada avanti. Ringraziamo la commissione per l’impegno e il lavoro, sognando assieme un nuovo tipo di presenza missionaria in Spagna.

Condividiamo un breve video di una delle visite fatte ai vari accampamenti di immigrati a San Isidro de Níjar e che mostra bene la realtà che si vive lì.

LMC Spagna

Grazie, san Daniele Comboni, per aver fondato l’Istituto

Comboni

Carissimi confratelli, BUONA FESTA di san Daniele Comboni!
In quest’anno in cui celebriamo i 150 anni di fondazione del nostro Istituto, una delle belle cose che contempliamo è la celebrazione della santità di Comboni nelle comunità cristiane delle Chiese locali in cui viviamo e alle quali partecipiamo.

Comboni, bendito é Deus em teu nome”, “Comboni, Dio è benedetto nel tuo nome”: così cantavano, carissimi confratelli, i nostri parrocchiani di Curitiba che ho incontrato durante la mia visita alla provincia e ai confratelli del Brasile. Sì, una Chiesa locale del Brasile, molto lontana dall’Africa, benediceva Dio e lodava san Daniele Comboni. Che bello che san Daniele Comboni, nostro Padre e Fondatore, sia diventato una figura così attraente, grazie alla condivisione che ne è stata fatta da parte dei Comboniani, delle Comboniane, delle Secolari Missionarie Comboniane e dei Laici Missionari Comboniani. Sì, i santi e le sante parlano a tutti, ovunque. In Mozambico, dove si celebravano, assieme ai 150 anni di vita dell’Istituto, i 70 anni di presenza e di generoso servizio dei Comboniani, nella parrocchia di Benfica-Maputo, i bravi giovani del coro cantavano “Continente Africano alegremo-nos e cantemos, o mundo inteiro alegre-se e cante dando graças ao Senhor. Foi um profeta no seu tempo. Denunciou a escravidão. Ouviu o grito dos Africanos”, “Continente Africano, rallegriamoci e cantiamo, il mondo intero gioisca e canti, rendendo grazie al Signore, perché Comboni è stato profeta nel suo tempo. Ha denunciato la schiavitù e ha ascoltato il grido degli Africani”.

Grazie Comboni! Grazie Africa, perché hai modellato Comboni e ne hai fatto un santo e generoso Uomo di Dio.

Carissimi confratelli, in quest’anno in cui celebriamo i 150 anni della fondazione del nostro Istituto missionario, vogliamo ringraziare Dio per il dono di san Daniele Comboni e per il dono dei confratelli che si sono consumati e donati totalmente per il popolo di Dio nella missione. Ringraziamo i nostri confratelli uccisi mentre erano impegnati al servizio del Vangelo e della missione. Vogliamo dire loro GRAZIE: essi sono diventati ‘santi e capaci’ “Santi e capaci. L’uno senza dell’altro val poco per chi batte la carriera apostolica. Il missionario e la missionaria non possono andar soli in paradiso. Soli andranno all’inferno. Il missionario e la missionaria devono andare in paradiso accompagnati dalle anime salvate. Dunque primo santi, cioè, alieni affatto dal peccato ed offesa di Dio e umili: ma non basta: ci vuole carità che fa capaci i soggetti” (Scritti 6655).

Nel contesto dei 150 anni del nostro Istituto, sarebbe molto bello dedicare un momento di preghiera di ringraziamento per questi nostri confratelli “santi e capaci”, che si sono consumati per il Regno di Dio in mezzo ai popoli a cui erano stati mandati. Contemplare questi nostri confratelli santi e capaci, ci provoca a chiederci: e io, ho la stessa disponibilità a fare un cammino di vita in continua conversione? Aspiro alla santità missionaria e alla capacità evangelica che contribuisce alla vita dei miei fratelli e delle mie sorelle con cui costruiamo il Regno di Dio, al nostro mondo così bisognoso e ferito?

Pensando ai nostri confratelli “santi e capaci” ci accorgiamo di avere un profondo e ricco pozzo di spiritualità missionaria e comboniana al quale attingere. Abbiamo moltissimi confratelli di tutte le età, di tutte le culture e di tutte le razze che ieri e oggi hanno vissuto e vivono imbevuti di questa grande spiritualità e sono diventati esemplari. “I missionari comboniani identificati, generosi e disposti a dare la vita per Cristo e per la missione sono tanti; senza rumore si spendono ogni giorno nei vari servizi che sono loro affidati” (AC 2015, n. 14).

In quest’anno in cui celebriamo i 150 anni del nostro Istituto, vorrei menzionare quattro confratelli e una consorella il cui processo di beatificazione e canonizzazione, all’interno delle comunità cristiane e della Chiesa, è già cominciato.

“Santi e capaci” nell’evangelizzazione: “Dalla mia vita dipende la salute di tante anime; tanto più io sarò santo, tante più ne salverò… Molto fa chi molto ama e molto ottiene chi molto soffre. Davanti alla Madonna di Lourdes ho chiesto la grazia del martirio”, “O Cuore Sacratissimo di Gesù, io mi chiudo nella piaga del vostro dolcissimo costato e ne do le chiavi alla mia cara madre Maria e la prego di non aprirmi se non per venire a godervi per tutta l’eternità(Mons. Antonio Maria Roveggio, dal diario personale).

“Santi e capaci” nella vita di comunità: “Tra me e i confratelli due volte mi ricordo di aver insistito, e anche con un po’ di calore, nel mio modo di vedere, così per due minuti può darsi che l’armonia non sia stata delle più dilettevoli, ma Deo gratias; tutte e due le volte, seduta stante, li ho pregati di perdonarmi la mia furia, e così loro hanno detto: sì, sì, va bene. Se qualche rara volta succede di metter acqua sul fuoco degli altri lo si fa volentieri, tanto più che costa meno” (Fr. Giosuè dei Cas, 13.1.1927, lettera al Sup. Gen., lettera d’ufficio).

“Santi e capaci” nella carità: “La santità è l’albero e l’amore il suo frutto. Più ci sforziamo di amare, conoscere, servire Dio e più ci sentiamo attratti, come da calamita, a servire Lui nella persona di tutti i bisognosi, massimamente i più lontani e i più sofferenti” (P. Bernardo Sartori, lettera da Otumbari, 19.1.1979).

“Santi e capaci” nel desiderio di vivere il Vangelo: “Resta che devo continuare nello sforzo di vivere la presenza di Gesù nel mio cuore e chiedermi frequentemente cosa farebbe Lui al mio posto. Mi ha colpito il pensiero di ascoltare la parola di Dio senza difese, ed il colloquio con Gesù nel tabernacolo senza difese. Quindi non difendermi con tante scuse se la mia vita è diversa dalla parola di Dio, e non parlare di Gesù imponendo il mio punto di vista umano, meschino. Purtroppo devo fare ancora più o meno gli stessi propositi del passato” (P. Giuseppe Ambrosoli, Estratto degli Esercizi Spirituali, 9-15.1.1981).

“Santi e capaci” nella profezia: “Amo molto tutti voi e amo la giustizia, e per la giustizia basta la volontà di ogni persona, basta la volontà come Chiesa, come comunità, prima che la rivolta possa far sorgere imprevedibili brutalità nel nostro ambiente sociale. Non approviamo la violenza, benché riceviamo violenza. Il prete che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte. Caro fratello, se la mia vita ti appartiene, ti apparterrà pure la mia morte” (P. Ezechiele Ramin, Omelia a Cacoal, 17.2.1985).

“Santi e capaci” nella collaborazione: Suor Maria Giuseppa Scandola, ammalata, manda il messaggio al giovane missionario ammalato, P. Giuseppe Beduschi, dicendo “Gli Scilluk hanno bisogno di lei…, lei non morrà, in sua vece morirò io…” e per lui offre la vita e muore dopo qualche giorno (1.9.1903) mentre P. Giuseppe vivrà ancora per molti anni (morirà il 10.11.1924).

Comboni

Ecco i figli e le figlie di san Daniele Comboni. Buona Festa di san Daniele Comboni!
P. Tesfaye Tadesse Gebresilasie MCCJ
a nome del Consiglio Generale

 

Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2017

PapaFrancisco

La missione al cuore della fede cristiana

 

Cari fratelli e sorelle,

anche quest’anno la Giornata Missionaria Mondiale ci convoca attorno alla persona di Gesù, «il primo e il più grande evangelizzatore» (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 7), che continuamente ci invia ad annunciare il Vangelo dell’amore di Dio Padre nella forza dello Spirito Santo. Questa Giornata ci invita a riflettere nuovamente sulla missione al cuore della fede cristiana. Infatti, la Chiesa è missionaria per natura; se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire. Perciò, siamo invitati a porci alcune domande che toccano la nostra stessa identità cristiana e le nostre responsabilità di credenti, in un mondo confuso da tante illusioni, ferito da grandi frustrazioni e lacerato da numerose guerre fratricide che ingiustamente colpiscono specialmente gli innocenti. Qual è il fondamento della missione? Qual è il cuore della missione? Quali sono gli atteggiamenti vitali della missione?

La missione e il potere trasformante del Vangelo di Cristo, Via, Verità e Vita

1. La missione della Chiesa, destinata a tutti gli uomini di buona volontà, è fondata sul potere trasformante del Vangelo. Il Vangelo è una Buona Notizia che porta in sé una gioia contagiosa perché contiene e offre una vita nuova: quella di Cristo risorto, il quale, comunicando il suo Spirito vivificante, diventa Via, Verità e Vita per noi (cfr Gv 14,6). È Via che ci invita a seguirlo con fiducia e coraggio. Nel seguire Gesù come nostra Via, ne sperimentiamo la Verità e riceviamo la sua Vita, che è piena comunione con Dio Padre nella forza dello Spirito Santo, ci rende liberi da ogni forma di egoismo ed è fonte di creatività nell’amore.

2. Dio Padre vuole tale trasformazione esistenziale dei suoi figli e figlie; trasformazione che si esprime come culto in spirito e verità (cfr Gv 4,23-24), in una vita animata dallo Spirito Santo nell’imitazione del Figlio Gesù a gloria di Dio Padre. «La gloria di Dio è l’uomo vivente» (Ireneo, Adversus haereses IV, 20, 7). In questo modo, l’annuncio del Vangelo diventa parola viva ed efficace che attua ciò che proclama (cfr Is 55,10-11), cioè Gesù Cristo, il quale continuamente si fa carne in ogni situazione umana (cfr Gv 1,14).

La missione e il kairos di Cristo

3. La missione della Chiesa non è, quindi, la diffusione di una ideologia religiosa e nemmeno la proposta di un’etica sublime. Molti movimenti nel mondo sanno produrre ideali elevati o espressioni etiche notevoli. Mediante la missione della Chiesa, è Gesù Cristo che continua ad evangelizzare e agire, e perciò essa rappresenta il kairos, il tempo propizio della salvezza nella storia. Mediante la proclamazione del Vangelo, Gesù diventa  sempre nuovamente nostro contemporaneo, affinché chi lo accoglie con fede e amore sperimenti la forza trasformatrice del suo Spirito di Risorto che feconda l’umano e il creato come fa la pioggia con la terra. «La sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 276).

4. Ricordiamo sempre che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est, 1). Il Vangelo è una Persona, la quale continuamente si offre e continuamente invita chi la accoglie con fede umile e operosa a condividere la sua vita attraverso una partecipazione effettiva al suo mistero pasquale di morte e risurrezione. Il Vangelo diventa così, mediante il Battesimo, fonte di vita nuova, libera dal dominio del peccato, illuminata e trasformata dallo Spirito Santo; mediante la Cresima, diventa unzione fortificante che, grazie allo stesso Spirito, indica cammini e strategie nuove di testimonianza e prossimità; e mediante l’Eucaristia diventa cibo dell’uomo nuovo, «medicina di immortalità» (Ignazio di Antiochia, Epistula ad Ephesios, 20, 2).

5. Il mondo ha essenzialmente bisogno del Vangelo di Gesù Cristo. Egli, attraverso la Chiesa, continua la sua missione di Buon Samaritano, curando le ferite sanguinanti dell’umanità, e di Buon Pastore, cercando senza sosta chi si è smarrito per sentieri contorti e senza meta. E grazie a Dio non mancano esperienze significative che testimoniano la forza trasformatrice del Vangelo. Penso al gesto di quello studente Dinka che, a costo della propria vita, protegge uno studente della tribù Nuer destinato ad essere ucciso. Penso a quella celebrazione eucaristica a Kitgum, nel Nord Uganda, allora insanguinato dalla ferocia di un gruppo di ribelli, quando un missionario fece ripetere alla gente le parole di Gesù sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», come espressione del grido disperato dei fratelli e delle sorelle del Signore crocifisso. Quella celebrazione fu per la gente fonte di grande consolazione e tanto coraggio. E possiamo pensare a tante, innumerevoli testimonianze di come il Vangelo aiuta a superare le chiusure, i conflitti, il razzismo, il tribalismo, promuovendo dovunque e tra tutti la riconciliazione, la fraternità e la condivisione.

La missione ispira una spiritualità di continuo esodo, pellegrinaggio ed esilio

6. La missione della Chiesa è animata da una spiritualità di continuo esodo. Si tratta di «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 20). La missione della Chiesa stimola un atteggiamento di continuo pellegrinaggio attraverso i vari deserti della vita, attraverso le varie esperienze di fame e sete di verità e di giustizia. La missione della Chiesa ispira una esperienza di continuo esilio, per fare sentire all’uomo assetato di infinito la sua condizione di esule in cammino verso la patria finale, proteso tra il “già” e il “non ancora” del Regno dei Cieli.

7. La missione dice alla Chiesa che essa non è fine a sé stessa, ma è umile strumento e mediazione del Regno. Una Chiesa autoreferenziale, che si compiace di successi terreni, non è la Chiesa di Cristo, suo corpo crocifisso e glorioso. Ecco allora perché dobbiamo preferire «una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze» (ibid., 49).

I giovani, speranza della missione

8. I giovani sono la speranza della missione. La persona di Gesù e la Buona Notizia da Lui proclamata continuano ad affascinare molti giovani. Essi cercano percorsi in cui realizzare il coraggio e gli slanci del cuore a servizio dell’umanità. «Sono molti i giovani che offrono il loro aiuto solidale di fronte ai mali del mondo e intraprendono varie forme di militanza e di volontariato […]. Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!» (ibid., 106). La prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si celebrerà nel 2018 sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, si presenta come occasione provvidenziale per coinvolgere i giovani nella comune responsabilità missionaria che ha bisogno della loro ricca immaginazione e creatività.

Il servizio delle Pontificie Opere Missionarie

9. Le Pontificie Opere Missionarie sono strumento prezioso per suscitare in ogni comunità cristiana il desiderio di uscire dai propri confini e dalle proprie sicurezze e prendere il largo per annunciare il Vangelo a tutti. Attraverso una profonda spiritualità missionaria da vivere quotidianamente, un impegno costante di formazione ed animazione missionaria, ragazzi, giovani, adulti, famiglie, sacerdoti, religiosi e religiose, Vescovi sono coinvolti perché cresca in ciascuno un cuore missionario. La Giornata Missionaria Mondiale, promossa dall’Opera della Propagazione della Fede, è l’occasione propizia perché il cuore missionario delle comunità cristiane partecipi con la preghiera, con la testimonianza della vita e con la comunione dei beni per rispondere alle gravi e vaste necessità dell’evangelizzazione.

Fare missione con Maria, Madre dell’evangelizzazione

10. Cari fratelli e sorelle, facciamo missione ispirandoci a Maria, Madre dell’evangelizzazione. Ella, mossa dallo Spirito, accolse il Verbo della vita nella profondità della sua umile fede. Ci aiuti la Vergine a dire il nostro “sì” nell’urgenza di far risuonare la Buona Notizia di Gesù nel nostro tempo; ci ottenga un nuovo ardore di risorti per portare a tutti il Vangelo della vita che vince la morte; interceda per noi affinché possiamo acquistare la santa audacia di cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della salvezza.

Dal Vaticano, 4 giugno 2017
Solennità di Pentecoste

FRANCESCO

 

 

 

L’accoglienza dei nuovi paradigmi e sfide della missione

Paradigma-missione

Riprendendo la visione del Concilio Vaticano II, papa Francesco ha eletto il paradigma della “Chiesa in uscita” a programma missionario del nostro tempo. Questa ripresa è significativa in quanto contestualizzata in un mondo, quello odierno, che è in forte discontinuità con il passato. “Non viviamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca”: con queste parole papa Francesco ci ha ricordato che i vecchi schemi con i quali interpretavamo il mondo e la missione non sono più efficaci per rispondere alle sfide di oggi. La nuova realtà globale richiede una “missione globale”, considerata in tutta la sua complessità e con presupposti, stile e strumenti rinnovati rispetto alla tradizione del passato (EG 33).

Lo schema classico che vedeva le Chiese del nord mandare missionari nel sud del mondo è superato dalle trasformazioni degli ultimi decenni, con la globalizzazione e una mobilità umana che hanno raggiunto livelli mai visti prima. Anche le circoscrizioni comboniane riflettono questo cambiamento: nella composizione del personale, nell’inviare missionari ad altre province, nel fatto che l’animazione missionaria è un impegno presente ovunque e non più un campo di servizio esclusivo delle province del nord del mondo.

Il criterio geografico della missione non costituisce più il punto di riferimento principale. Rimane l’idea di frontiera ma questa, ora, si qualifica nelle periferie umane ed esistenziali. È una grande sfida per gli Istituti missionari, la cui maggioranza dei membri di oggi ha probabilmente aderito al proprio istituto identificando la missione con una particolare area geografica. C’è un legame affettivo con la geografia e la storia; la nozione di “missione globale” desta un certo disagio, il timore di vedersi “bloccati” nel nord del mondo o nella propria provincia d’origine per l’idea che “la missione è ovunque”, o “anche in Europa”. In realtà, questa preoccupazione – comprensibile e giustificata – riflette ancora lo schema geografico, che è quello che dicevamo superato. Come pensare, allora, in modo alternativo, più rispondente alla realtà di oggi?

Papa Francesco ci invita a partire dalle frontiere, le “periferie che hanno bisogno della luce del vangelo” (EG 20). Queste non sono semplicemente un dato geografico, ma il risultato di un sistema economico-finanziario che genera esclusione, della cultura dello scarto che produce impoverimento e violenza. Portare la luce del vangelo in queste periferie richiede anzitutto inserzione, cioè:

  • una presenza radicata sul territorio;
  • un coinvolgimento nella vita quotidiana della gente;
  • una solidarietà nella loro sofferenza e istanze;
  • un accompagnare questa umanità lungo tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere.

Qui sta la chiave dell’approccio ministeriale: questo accompagnamento non è generico, non è una pastorale ordinaria portata nelle periferie. Al Capitolo Generale del 2015 è emerso che siamo presenti, inseriti in alcune periferie molto significative per il nostro carisma, come ad esempio tra gli afro-discendenti e i popoli indigeni in America Latina, o tra i popoli pastoralisti e i residenti delle baraccopoli in Africa. Però spesso non c’è una pastorale specifica che tenga conto della particolarità del contesto, delle situazioni, della cultura locale, dell’unicità di quel popolo. Una pastorale che, nella complessità del mondo d’oggi, richiede l’articolazione di diversi ministeri e un evangelizzare come comunità. Comunità apostoliche che non solo collaborano identificando e condividendo i propri doni, ma anche che testimoniano il Regno vivendo la fraternità e la comunione nella diversità.

Tutti questi elementi non sono “nuovi”; presi in se stessi possono essere già presenti in varie esperienze dell’Istituto e se ne è già parlato in diversi Capitoli. Ma siamo chiamati ad assumerli in una nuova prospettiva, o paradigma, cioè un punto di vista sulla missione che ne riorganizzi tutti gli aspetti fondamentali. L’immagine della “Chiesa in uscita” è un’icona che suggerisce un’idea di missione e una metodologia pastorale (prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare, EG 24). È paradigmatica, perché richiede anche che altre dimensioni fondamentali, come la formazione e l’organizzazione dell’Istituto a vari livelli, divengano coerenti e finalizzate a questa missione.

A questo punto, come possiamo accogliere in pratica questo paradigma e quali sfide dobbiamo affrontare? Il Capitolo ci suggerisce di cominciare dalla missione, partendo dall’identificazione delle priorità continentali, condivise da più circoscrizioni e vissute in una più ampia collaborazione, a livello interprovinciale o continentale. Nel contesto di tali priorità, siamo chiamati a sviluppare delle pastorali specifiche come riqualificazione della nostra presenza e servizio missionario. Tenendo fermo questo punto centrale, avremo un punto di riferimento per ripensare anche la formazione e la riorganizzazione dell’Istituto.

  1. Sviluppare delle pastorali specifiche

Sviluppare una pastorale specifica è un compito ecclesiale, non si può fare da soli. Richiede dialogo, partecipazione, collaborazione, molteplicità di competenze ed esperienze. Soprattutto, ci vuole un metodo che permetta di valorizzare tutti i contributi, accogliere esperienze e prospettive diverse, e creare comunione nella diversità. Una pastorale specifica viene assunta quando, nonostante le varietà di vedute, prospettive teologiche, sensibilità e ministeri, tutti possono riconoscervisi senza dover annullare il proprio senso di identità. È un punto di fondamentale importanza, specialmente in un Istituto che sta crescendo in internazionalità e che comincia a vivere la sfida dell’interculturalità.

Tutto questo è possibile partendo dalla condivisione dalla base delle esperienze più trasformative in relazione alla pastorale specifica presa in considerazione, con un approccio di “indagine elogiativa” (Appreciative Inquiry). La riflessione comune su tali esperienze rigeneranti fa sorgere delle nuove intuizioni e comprensioni di ciò che rende un ministero fruttuoso in quel contesto.

Per meglio comprenderne il perché dell’efficacia e per approfondirne le dinamiche, queste esperienze vanno poi confrontate con un’analisi socio-culturale dei contesti della pastorale specifica, per coglierne il quadro d’insieme, le dinamiche e le tendenze.

Analogamente, una riflessione teologica e ministeriale specifica su quella realtà ci aiuta a mettere meglio a fuoco i nostri ministeri e ad identificare gli strumenti operativi più adatti.

Il passaggio successivo è quello del discernimento partecipato di alcuni principi che possano guidarci in quel contesto pastorale specifico. Proprio in quanto linee guida, questi non danno delle soluzioni prefabbricate, ma lasciano spazio per adattarsi alle situazioni particolari e per la creatività. Su questa base sarà possibile costruire un cammino di comunione in cui sperimentare, ricercare, imparare, condividere, scambiare esperienze e personale, documentare scoperte e risultati, e così via in cicli successivi di azione-riflessione (Action Learning).

  1. La riorganizzazione

Per riuscire sviluppare e sostenere delle pastorali specifiche è necessario arrivare gradualmente ad una riorganizzazione delle nostre presenze e modo di operare. Fino ad ora la nostra presenza missionaria è stata principalmente basata sul criterio geografico: i confratelli vengono destinati ad una provincia e poi, a seconda dei bisogni, vengono assegnati ad una comunità. Questa struttura riflette il presupposto che – al di là di alcuni servizi particolari – generalmente il lavoro missionario consista nel fondare o portare a maturazione delle comunità cristiane o parrocchie. Ma questo non è l’unico modo possibile di pensare l’organizzazione del lavoro missionario.

Per esempio, i gesuiti da alcuni decenni hanno cominciato a pensare il loro servizio missionario anche come risposta ai bisogni umani dei rifugiati (JRS), di persone colpite dall’AIDS (AJAN), e alle situazioni di ingiustizia (centri di fede-giustizia – faith-justice). Il personale viene adeguatamente preparato ed assegnato per questi servizi.

In anni recenti, anche l’Istituto comboniano ha intrapreso una riflessione sull’approccio ministeriale, guardando in particolare ad alcuni gruppi umani che subiscono esclusione e a ministeri in ambiti prioritari (AC ’03 n. 43 e 50; AC ’09 n. 62-63; AC ’15 n. 45). Ovviamente l’elemento geografico è ineludibile, in quanto anche questi gruppi umani sono spazialmente collocati, l’inserzione nella Chiesa locale esige anche una presenza parrocchiale, ma il criterio guida è il ministero specifico verso questi popoli che richiede:

  1. Equipe pastorali. Sono composte di diversi ministri, con specifiche competenze e una varietà di doni personali, che collaborano come squadra. Vista la complessità del mondo d’oggi, è opportuno mettere assieme competenze di vario genere, includendo per esempio quelle nelle scienze umane e sociali. La diversità di competenze è di aiuto nella collaborazione; la diversità di nazionalità e culture all’interno dell’equipe, vissute nella fraternità, sono un segno profetico in un mondo sempre più diviso ed in conflitto. Questa comunione/solidarietà è ciò che contraddistingue un’equipe pastorale, che non è solo una squadra di lavoro affiatata ed efficace, ma una fraternità di discepoli-missionari. Evidentemente, comunità di grandezza media avranno maggiori possibilità di essere significative, potendo mettere assieme competenze e ministeri complementari e trasversali (come ad esempio GPIC), assorbire meglio le assenze per vacanze o motivi di salute, sviluppare una riflessione più ricca e condividere competenze e risorse con altre comunità impegnate nella stessa pastorale specifica. Ciò richiede una riduzione del numero di comunità, ma facilita il lavoro in rete, dal livello locale a quello inter-provinciale.
  2. Lavoro in rete. L’equipe pastorale non lavora in isolamento, ma è anzitutto inserita e collabora con la Chiesa locale. Va anche oltre, cooperando con varie componenti della società civile per una trasformazione sociale ispirata ai valori del Regno. Ci sono anche altri livelli di collaborazione che l’esperienza ci segnala come critici: ad esempio il fare rete con altre comunità ed equipe ministeriali, sia a livello regionale che su scala internazionale. Senza questo supporto e continuo stimolo all’apertura e alla crescita, allo scambio e alla condivisione di risorse, un’equipe locale ben presto si troverà a corto di ossigeno. Soprattutto per quanto riguarda la ricerca, la sperimentazione, l’apprendimento continuo e la riflessione sulle buone pratiche e l’innovazione. Il mondo continua a spostarsi, mentre l’equipe rischia di fermarsi e fossilizzarsi, o di reagire alle situazioni anziché rispondervi creativamente.
  3. Strutture di sostegno. Le varie equipe impegnate in una stessa pastorale specifica a livello locale hanno bisogno di strutture di collegamento e di sostegno. Questo sarebbe anche il miglior contesto per proporre dei percorsi di formazione permanente, ricerca e sperimentazione per meglio accompagnare la gente nel suo cammino di inclusione e trasformazione. La collaborazione con istituzioni accademiche e di ricerca, per esempio, può essere una risorsa utile, come anche dei segretariati specifici e dei processi di ricerca e azione partecipata. Bisogna anche ripensare le strutture in cui viviamo o che amministriamo nel nostro ministero. Queste infatti possono porre una certa distanza tra la gente e i missionari, o anche semplicemente assorbirli così tanto nell’amministrazione da far perdere il contatto diretto con le persone o la disponibilità a camminare accanto ad esse. Va poi notato come anche il Fondo Comune Totale sia un’opportunità che può aiutarci a fare una programmazione partecipata e responsabilizzante nel contesto di una pastorale specifica a livello provinciale. La dimensione economica, infatti, attiene alle scelte di stile, mezzi, cooperazione e programmazione di un settore pastorale, con il quale interagiscono i progetti comunitari. Infine, la riduzione degli impegni e la riqualificazione delle presenze e servizi missionari richiesti dall’ultimo Capitolo Generale diventeranno una realtà se avremo gli strumenti e il metodo per realizzarli attraverso cammini di comunione, inclusivi e partecipati. È su questo versante che si gioca l’efficacia di una leadership che non sia soltanto amministrativa, ma che ci porti verso una nuova primavera.
  1. Una formazione mirata

Anche la formazione di base va rivista per sviluppare competenze ministeriali, soprattutto per quanto riguarda il curriculum degli scolastici. I programmi di teologia, che generalmente offrono una preparazione teologica accademica, non necessariamente formano agli atteggiamenti e alle competenze utili all’approccio ministeriale, né forniscono sostegno, metodologie e strumenti pratici che tanto gioverebbero ad una pastorale specifica. Va da sé che un curriculum di studi sarà tanto più utile quanto più verrà incontro alle scelte di ministeri specifici dell’Istituto. Si potrebbe pertanto pensare alla possibilità di caratterizzare la formazione negli scolasticati con degli orientamenti coerenti con le priorità ministeriali del continente in cui si trovano. Anche se poi un confratello si troverà a lavorare in altri contesti, le competenze ministeriali acquisite saranno in parte trasferibili e comunque una base migliore per impararne di nuove.

In conclusione, l’accoglienza del nuovo paradigma di missione non significa rottamare il passato per introdurre solo cose completamente nuove. Piuttosto, si tratta di riorientare e integrare i diversi aspetti della vita e del servizio missionario (pastorali specifiche, persone, riorganizzazione, economia) attorno alla visione di missione indicata dal Capitolo e ai processi partecipativi di riqualificazione delle nostre presenze e servizio missionario.
Fr. Alberto Parise mccj

Domande

  1. Per sviluppare pastorali specifiche è richiesta una lettura approfondita della realtà. È pratica comune (nelle comunità, zone, circoscrizioni e continenti) una lettura della realtà (attraverso l’adozione, ad esempio, del circolo ermeneutico) per identificare necessità pastorali e adottare modalità di presenza e di intervento che incontrino tali necessità?
  2. Quali passi sono stati fatti nella circoscrizione per ripensare gli obiettivi, la struttura, lo stile e i metodi di evangelizzazione secondo un’ottica ministeriale?
  3. Ministeri specifici (che riguardano, per esempio, gli afro-discendenti e i popoli indigeni in America Latina, i popoli pastoralisti in Africa e i residenti delle baraccopoli, i rifugiati ecc.) richiedono, oltre ad equipe pastorali, un lavoro in rete e strutture di sostegno che abbiano delle prospettive pastorali continentali. Quanto la nostra programmazione pastorale riesce a superare i limiti geografici della circoscrizione e adottare un approccio continentale? Quali strutture continentali dovrebbero essere rafforzate per favorire un criterio continentale alle necessità pastorali comuni?