Laici Missionari Comboniani

Con Gratitudine e Speranza

Messaggio conclusivo del simposio ai confratelli

Simposium MCCJNoi missionari comboniani, provenienti dalle diverse circoscrizioni e accompagnati da membri della Famiglia Comboniana, ci siamo trovati a Roma per celebrare l’anniversario dei 150 anni del nostro istituto. Per tutti noi celebrare significa innanzitutto fare memoria delle nostre origini e della storia che il Signore sta tracciando con noi e con i popoli che abbiamo incontrato nel cammino. Ricordare non è un esercizio di archeologia, ma un processo vivo di ringraziamento al Signore e affidamento fiducioso del nostro futuro nelle sue mani. Ricordare è ripartire, rinnovati.

Eredità: dalla gratitudine alla fedeltà

La nascita del nostro istituto non è avvenuta a tavolino, ma è stata il frutto di un lungo processo di vita e di missione. È stata un parto doloroso e travagliato in un momento di cambio epocale. Siamo nati in povertà, senza particolari appoggi ecclesiastici, politici ed economici. Questo evento quasi unico nella storia del movimento missionario del XIX secolo ci ha donato una più grande libertà di rispondere alla nostra speciale vocazione. Anche se il percorso di definizione giuridica dagli inizi non è stato semplice, è chiaro che Comboni desiderava una famiglia di missionari che fossero:

  • ad vitam, ovvero non solo disposti a donare il loro tempo, ma la loro stessa vita per la missione;
  • cattolici, cioè non prigionieri di logiche nazionalistiche;
  • innamorati di Dio e dei popoli, facendo causa comune con i poveri.

Papa Francesco ci dice che “la gioia del missionario brilla sempre sullo sfondo di una memoria grata”. La gratitudine è riconoscersi amati e, spinti da questo amore, uscire per condividere l’esperienza con gli altri. La gratitudine non è statica, ma è un movimento dentro di noi, fuori di noi e in avanti, è un cammino. In quest’ottica, la riunificazione dell’istituto, la nuova regola di vita e la canonizzazione di san Daniele Comboni diventano momenti qualificanti della nostra storia e occasioni per ripartire e continuare il suo percorso con creatività.

Gratitudine significa riconoscere nella nostra storia la fedeltà di Dio, riflessa nella generosa fedeltà di tanti confratelli di ieri e di oggi: fedeltà al Vangelo, a Comboni, alla missione ardua, alla preghiera, alla povertà evangelica, al popolo di Dio e all’internazionalità.

Cammini di rigenerazione

Oggi abbiamo gli strumenti per studiare e conoscere di più il fondatore e la nostra storia, e questo simposio ha dato il suo contributo a questo fine. Siamo coscienti che ogni volta che ci riavviciniamo a Comboni e alla sua grazia carismatica facciamo un salto di qualità.

Una riconfigurazione del nostro istituto è necessaria. Ci troviamo di fronte alla sfida di una missione che non si ferma, che è ancora lontana dalle sue mete. L’invecchiamento dei membri del nostro istituto accompagnato da un calo di vocazioni in molte delle nostre circoscrizioni, i nuovi paradigmi di missione e il cambio del nostro ruolo all’interno delle chiese locali sono alcune fra le sfide che aggiungono ansia al nostro presente. Questa missione esige una testimonianza che va molto al di là delle opere e interroga il nostro stile di vita, e ci chiede la consegna di tutto noi stessi.

Sentiamo che la riconfigurazione del nostro istituto passa attraverso quattro cammini: la mistica, l’umiltà, la fraternità e la ministerialità.

  • Non è solo questione di riscoprire il gusto della preghiera, ma sviluppare una spiritualità della presenza di Dio nella storia dei popoli e nei volti delle persone. La fede e la speranza dei poveri ci insegnano questa mistica, senza la quale rischiamo di inaridire e di perdere il senso del nostro cammino missionario.
  • Umiltà. Consapevoli dei nostri limiti e fragilità, ci sentiamo chiamati a passare dal protagonismo alla testimonianza. Oggi non conta solo “fare missione”, ma prima e soprattutto “essere missione”. Non bastano le parole e le opere, ci sono tante persone capaci di parlare e di fare, a volte anche meglio di noi. La sfida che abbiamo è mostrare con la nostra vita il tesoro che custodiamo nel cuore.
  • Fraternità. Sia negli interventi che nei lavori di gruppo è spesso emerso il desiderio di volerci più bene fra di noi. Dobbiamo crescere nella qualità delle nostre relazioni comunitarie. Questo problema si manifesta nell’inadeguatezza di discernimento e progettualità comunitari e nel poco condividere il nostro vissuto. Alcuni di noi non si sentono a casa nelle nostre comunità. Essere fratelli fra di noi vuol dire anche far spazio gli uni gli altri, nelle diverse culture ed età, e a volte richiede momenti di riconciliazione, anche sacramentale. Più fraternità aiuterebbe ad integrare missione e consacrazione e a migliorare il nostro discernimento comunitario.
  • Ministerialità. I nuovi contesti sociali ci invitano con urgenza a rivedere la nostra ministerialità. Oggi abbiamo bisogno di essere meglio qualificati in diversi campi dell’evangelizzazione, lavorando in equipe con tutti i soggetti della famiglia comboniana e della chiesa locale. La missione è il punto di riferimento di ogni percorso formativo. La ministerialità non basta se non è fondata sulla passione di Cristo per l’umanità.

Da questo anniversario ripartiamo come fratelli, consapevoli delle sfide e delle difficoltà, ma carichi di speranza:

“Il missionario non si lascia abbattere da nessuna difficoltà. Tutte le croci sono meritorie perché si lavora solo per Cristo e per la missione” (San Daniele Comboni)

“Che lo Spirito faccia sovrabbondare in voi la speranza” (Papa Francesco)

Simposium MCCJ

Inno per i 150 anni della Fondazione dell’Istituto Comboniano

LOGO 150 aniversario MCCJI Missionari Comboniani del Sud Sudan hanno composto un Inno per i 150 anni (1867-2017) della Fondazione dell’Istituto Comboniano. “Si tratta di un semplice segno per questa celebrazione che viene dalla nostra terra – ha detto P. Guido Oliana, uno dei principali promotori dell’iniziativa –. L’abbiamo registrato con i nostri poveri mezzi. Forse il risultato avrebbe potuto essere migliore, ma ha un tocco originale e rustico e il sapore del Sud Sudan. È cantato da un gruppo di seminaristi del seminario maggiore di Juba e da una suora comboniana con una sua amica.”

WE ARE CALLED TO GO AND PREACH

We are called to go and preach the joy of the Gospel.
The pierced Heart of Jesus kindles us in love.
We are called to go and preach the joy of the Gospel.
The pierced Heart of Jesus kindles us in love.

1. We are moved by Saint Comboni’s spirit
to be a cenacle of prayerful apostles.
We are born from Jesus’ pierced heart,
and enkindled by his tender love,
and inspired by his divine Spirit,
to go and preach his Gospel of joy

2. We are called Comboni Missionaries
of the Heart of Jesus Christ the Lord.
This indeed is our inspiration,
and our pride, our cross, and our glory.
We are told to be holy and capable,
well prepared to give our life for Christ.

3. We are called to contemplate the cross
so as to know how God has loved the world.
We are moved to reach out to people
and proclaim the power of the Gospel
that frees people from any evil spirit
and empowers them as children of God.

Troverete il “canto” in allegato e sul Comboni Website.

L’evoluzione storica dell’Istituto dei Missionari Comboniani

LOGO 150 aniversario MCCJ“La vita di Daniele Comboni (1831-1881) – scrive P. Fidel González Fernández, missionario comboniano – ha una chiara unità di fondo in cui si intrecciano i diversi aspetti. Ma in questa nota storica vogliamo fermare la nostra attenzione su Comboni fondatore di “istituti missionari”, nel contesto degli Istituti missionari dipendenti da Propaganda Fide. Comboni fonda due “Istituti” missionari: un Seminario o Istituto missionario per le Missioni Africane (1867) e l’Istituto delle “Pie Madri della Nigrizia” (1872), che rientra nella storia dei “novelli istituti” di vita consacrata che nell’Ottocento hanno una speciale storia innovatrice. Nell’evoluzione storica dell’Istituto dei Missionari Comboniani si possono chiaramente individuare tre fasi”.

L’ISTITUTO COMBONIANO PER LE MISSIONI AFRICANE NELLA SUA PRIMA TAPPA “SECOLARE”

(Prima parte)

  1. La storia della missione e degli istituti missionari sotto Propaganda Fide

La storia dell’evangelizzazione inizia il giorno stesso della Pentecoste e va progressivamente sviluppando forme nuove nella storia della Chiesa[1]. Nei primi secoli il cristianesimo si diffuse “da esperienza a esperienza” (Ratzinger) e soltanto a partire del secolo IV prenderà forme missionarie progressivamente “organizzate”. Nell’età moderna l’evangelizzazione prende nuove forme, modalità ed estensione. Troviamo, infatti, consacrati all’opera di evangelizzazione fra i popoli non cristiani, ordini religiosi antichi e nuovi istituti che iniziano a essere chiamati “istituti missionari ad gentes”. Il nome e il concetto di “istituto missionario” sono relativamente moderni nella storia della Chiesa, come pure il termine “missione”. Sono stati introdotti dopo la fondazione di Propaganda Fide (1622), nel senso di mandati da parte del Papa in qualunque parte del mondo (i gesuiti e più tardi i lazzaristi, Congregatio Missionum, 1625) per opere apostoliche fra cattolici, a-cattolici e non cristiani (“levangelizzazione dei popoli o ad gentes”).

Joseph Ratzinger in una delle ultime pagine del libro Gesù di Nazaret, dove parla della “venuta intermedia del Signore” (fra Betlemme e la Gloria definitiva), scrive che tale “venuta” adotta molte modalità, ma ce ne sono alcune che “fanno epoca”. Si riferisce all’impatto di alcune figure attraverso le quali Cristo opera nella storia. Lo Spirito Santo, attraverso queste figure, suscita nella Chiesa dei movimenti che testimoniano la bellezza di essere cristiani in epoche in cui la stanchezza della fede diventa una specie di pandemia generalizzata. Così è accaduto nella storia missionaria moderna. Riflettendo sulla storia missionaria ad gentes della Chiesa nell’epoca missionaria inaugurata con la fondazione di Propaganda Fide, si possono segnalare numerose figure missionarie carismatiche che hanno svolto quest’opera missionaria ad gentes. Fondando la Congregazione di Propaganda Fide, il Papa aveva attribuito a questa la missione di costituire i ministri necessari “per insegnare il Vangelo e la Dottrina cattolica in tutte le missioni”. Nell’impossibilità di avere missionari propri, la Congregazione dovette ricorrere agli antichi Ordini religiosi. E solo dopo aver incontrato notevoli difficoltà in questo appello, Propaganda Fide appoggia la nascita di nuove istituzioni missionarie sotto la sua giurisdizione. Così inizia la storia degli Istituti missionari “ad gentes”.

Propaganda Fide, da una parte, vedeva i vantaggi che gli antichi Ordini religiosi offrivano alle missioni ma, dall’altra, ne riconosceva anche gli inconvenienti. Questi due aspetti sono sottolineati in una relazione del segretario di Propaganda, Alberizi, del 4 novembre 1657, dove si dice che una “perversione dei fini a volte fa sì che i religiosi cerchino prima la gloria del proprio istituto, persuasi che stanno lavorando per la gloria di Dio”. Altri inconvenienti segnalati erano le lotte tra i diversi Ordini religiosi, la poca importanza che davano alla creazione del clero indigeno o il fatto che non davano ad esso sufficiente fiducia, e la loro opposizione alla nomina di Vescovi nelle missioni. La tendenza era a “perpetuarsi” nei territori attraverso un monopolio missionario su questi. Alberizi accennava anche ai motivi della scarsità di risultati nell’evangelizzazione, come pure ai danni dovuti al monopolio di certi Ordini, e al controllo dell’attività missionaria da parte di enti politici ai quali si trovavano spesso legati gli stessi missionari. La relazione si concludeva con un’allusione diretta alla fondazione recente del Seminario delle Missioni Estere di Parigi (MEP) e al Collegio Urbano di Propaganda a Roma. Ci si trovava così davanti a una nuova realtà nella vita della Chiesa: quella degli Istituti missionari “secolari”[2]. È qui che, col tempo, si inserirà l’iniziativa di diversi missionari, fra i quali Daniele Comboni, di fondare Seminari Missionari o Istituti (la terminologia è ancora molto imprecisa e la figura giuridica di tali fondazioni raggiungerà soltanto verso la fine del sec. XIX una più chiara fisionomia). Nell’Ottocento non si potevano fondare altri Ordini religiosi secondo il modello di quelli antichi, perché non era permesso sia dal punto di vista canonico che dalle legislazioni civili liberali dell’epoca. Con la Rivoluzione francese siamo all’inizio di una nuova tappa epocale anche nella storia della Chiesa e della vita consacrata apostolica. La storia missionaria della Chiesa attraversava da tempo una crisi profonda e molte istituzioni ecclesiali erano in netta decadenza (alcune addirittura scompaiono), ma sorgeranno numerose fondazioni apostoliche nuove, ancora in cerca di una fisionomia giuridica propria.

Il crollo dell’Antico Regime e lo scardinamento dell’antica società degli “stati” sociali, seguiti dall’instaurazione della nuova società liberale delle “classi” sociali e delle unità politiche nazionali travolgono il vecchio ordine culturale, sociale e politico e, con esso, anche quello ecclesiastico. In questa società dominata dal liberalismo, nella Chiesa molte vecchie strutture ecclesiastiche deperiscono o addirittura sono travolte dall’ideologia dominante. La vita degli antichi Ordini si dibatte fra la possibilità dell’estinzione e, in alcuni casi, della restaurazione. Non bisogna però additare come unico responsabile di questo stato di cose lo Stato liberale. Molti Ordini versavano da tempo in una situazione di decadenza interna. La Santa Sede procedeva – spesso a fatica – a una loro restaurazione emanando leggi e norme inefficaci. Di quegli Ordini religiosi antichi, ne sopravvivono pochi: sono quelli che riscoprono di nuovo la forza del proprio carisma con un ritorno alla primitiva instituti inspiratio. Nascono comunque nuove realtà ecclesiali, che si manifestano anche nella storia missionaria.

  1. Contesto del nuovo movimento missionario

Nel campo dell’attività missionaria della Chiesa, bisogna rendersi conto dello stato disastroso dell’attività missionaria ad gentes ai tempi della Rivoluzione francese. Dopo la soppressione dei gesuiti (1773), l’abbandono obbligato delle loro missioni aveva costituito una vera catastrofe per l’attività missionaria. Lo storico delle missioni, Joseph Schmidlin, fa notare che all’inizio dell’800, i missionari presenti in tutto il mondo non cattolico non oltrepassavano i 300 (compresi quelli che lavoravano nei paesi protestanti). Simbolo di tale decadenza fu la soppressione del Dicastero di Propaganda Fide dal Direttorio francese (15 marzo 1798) che lo definisce come un “établissement fort inutile”. Napoleone ne permise di nuovo l’esistenza, ma per metterlo al servizio dei propri interessi. Questa mentalità sarà predominante in tutte le potenze coloniali dell’Ottocento e del Novecento. La vita del Dicastero, nonostante la sua riorganizzazione ad opera di Pio VII nel 1817, languisce fino ai tempi di Gregorio XVI. Sarà a partire da questi anni travagliati che si avrà un lento risveglio della dimensione missionaria ad gentes in alcuni circoli minoritari.

In questo risveglio missionario bisogna segnalare un movimento generalizzato di rinnovamento cristiano di fronte alla mentalità della cultura illuminista, prima, e di quella liberale-positivista, poi. Alcuni vedono l’urgenza dell’attività missionaria come imperativo della “Caritas Cordis Christi”. È in questa prospettiva che bisogna vedere la nascita delle opere a favore delle missioni. Fra i più noti protagonisti del movimento missionario possiamo ricordare l’Istituto delle Missioni Estere di Parigi e i fondatori di “istituti secolari” missionari.

  1. Le diverse fasi dell’evoluzione storica dell’Istituto comboniano

Nel movimento missionario dell’Ottocento, una parte specifica di esso rivolge la sua attenzione verso i popoli neri dell’Africa. In questo movimento missionario si collocano la travagliata storia della Missione dell’Africa Centrale e l’attività fondazionale di Comboni. In questa storia il giovane missionario Daniele Comboni è andato occupando un posto sempre più significativo. Il suo percorso formativo lo ha aiutato nella sua maturazione apostolica. La sua definitiva vocazione a favore dell’evangelizzazione di quei popoli di colore e la genesi della sua vocazione come fondatore di un Seminario missionario per le Missioni Africane, che raggiunse il momento carismatico più significativo con la proposta del “Piano per la rigenerazione dell’Africa” (1864), è stato già ampiamente studiato dalla storiografia comboniana recente[3]. La vita di Daniele Comboni (1831-1881) ha una chiara unità di fondo in cui si intrecciano i diversi aspetti. Ma in questa nota storica vogliamo fermare la nostra attenzione su Comboni fondatore di “istituti missionari”, nel contesto degli Istituti missionari dipendenti da Propaganda Fide. Comboni fonda due “Istituti” missionari: un Seminario o Istituto missionario per le Missioni Africane (1867) e l’Istituto delle “Pie Madri della Nigrizia” (1872), che rientra nella storia dei “novelli istituti” di vita consacrata che nell’Ottocento hanno una speciale storia innovatrice[4].

Nell’evoluzione storica dell’Istituto dei Missionari Comboniani si possono chiaramente individuare tre fasi.

La prima fase è quella in cui l’Istituto ha inizio come semplice Seminario di Missioni per l’Africa e quindi con una finalità molto concreta, l’evangelizzazione, in sintonia con esperienze similari già conosciute nella Chiesa a partire dal secolo XVII. I membri erano sacerdoti secolari o candidati al sacerdozio ai quali, fin dagli inizi, si aggiunsero alcuni membri laici. Dai documenti a nostra disposizione non risulta che inizialmente avessero alcun vincolo di voto. Troviamo solo un impegno con il quale il candidato alle missioni africane prometteva di vivere secondo la “finalità” del Seminario sotto i legittimi superiori e otteneva la “patente” di missionario apostolico, che Propaganda Fide dava ai missionari che lavoravano alle sue dipendenze. In questa fase viene sottolineato il carattere di sacerdoti secolari dei suoi membri. Questi restavano vincolati, in un modo o nell’altro, alla propria diocesi di origine, la quale di solito li presentava o almeno li consigliava per l’attività missionaria. L’autorità suprema dell’Istituto è “il Sommo Pontefice e la Congregazione di Propaganda Fide… Il Superiore immediato è il Vescovo di Verona il quale è rappresentato da un Rettore scelto ordinariamente tra i Missionari stessi, membri dell’Istituto Fondamentale, già provetti nell’esercizio dell’Apostolato Africano”. “Il Vescovo di Verona è coadiuvato nelle sue funzioni da un corpo da lui presieduto, composto dei più assennati e distinti Ecclesiastici e secolari della sua Diocesi, il quale porta il titolo di Consiglio Centrale dell’Opera per la Rigenerazione della Nigrizia[5]. In parte, queste Regole riflettono la dinamica giuridica di quelle del MEP, ma con importanti modifiche che riguardano l’autorità, di fatto fondamentale, del Vescovo di Verona e del Consiglio da lui scelto. Il “Vescovo di Verona ha eretto canonicamente detto seminario a richiesta del sacerdote, missionario apostolico, Daniele Comboni” nel 1867. Il Seminario delle Missioni Africane di Verona nasce così e tale resterà, con un’esistenza piuttosto precaria, fino alla fine del 1871[6].

A partire da quell’anno si delinea una fisionomia più precisa di questo Seminario missionario per le Missioni Africane e, più in concreto, per la Missione dell’Africa Centrale, un territorio molto vasto e dai limiti ancora incerti. Comboni aveva già fatto un’esperienza di responsabilità di un’opera missionaria al Cairo, da lui fondata nel 1868. Si rende conto che non è sufficiente un Seminario per le Missioni Africane dell’Africa Centrale, senza una struttura giuridica più specificamente determinata. Alcune dolorose esperienze di quegli anni glielo hanno insegnato. La vita comune e l’attività missionaria esigevano una maggiore coesione tra i suoi missionari e un impegno formale più deciso.

Entriamo così in una seconda fase di questa storia. Comboni comincia a scrivere le Regole del suo Istituto e ne cerca l’approvazione da parte di Propaganda. Occorre segnalare che con il termine Istituto non si indica quanto nel nostro linguaggio attuale esso viene a significare[7].

In questa seconda fase vediamo che dai membri del giovane Istituto si esige un vincolo canonico più specifico ma, sempre secondo le “Regole del 1871-1872”, mai approvate da Propaganda Fide, manca ancora quella precisione giuridica richiesta fin da allora alle istituzioni ecclesiastiche di diritto pubblico. Anche il linguaggio e le norme date, pur attingendo alla terminologia della vita religiosa classica, termini come “noviziato” e altri, rimangono ancora imprecisi. Si tratta di “Regole” esortative, giuridicamente generiche, e per questo non saranno mai approvate. Il periodo di preparazione alla missione africana doveva essere effettuato a Verona o al Cairo. Non si emettevano voti – a quanto pare, nemmeno privati – ma esisteva il vincolo di un giuramento di consacrazione “in perpetuo” alla missione africana, obbedienza ai legittimi superiori con un vincolo di dipendenza dal superiore ecclesiastico proprio. Si parla esplicitamente del Dicastero di Propaganda Fide e del Vescovo di Verona, ma manca una chiara e precisa fisionomia giuridica. Le Regole dell’Istituto presentano caratteri di radicalità (consacrano le loro opere e, se occorre, anche la vita…), ma anche qui non si precisa molto il loro contenuto. Nella prefazione Comboni scrive: “Le Regole di un Istituto che dee formare Apostoli per nazioni barbare ed infedeli, perché sieno durevoli, debbono basare sopra principi generali…” e subito dopo spiega il motivo: “Se fossero molto minute, ben presto, o la necessità, od una cotal vaghezza di mutazione minerebbe il fondamento del loro edificio, e potrebbero riuscire giogo aspro e peso grave per chi le deve osservare. Essendo oltremodo vario e smisurato il campo, sul quale il candidato deve spiegare la sua azione, non può essere limitato a certi determinati uffici come negli Ordini Religiosi; bensì quei principi generali debbono informare la sua mente e il suo cuore in guisa, da sapersi regolare da sé, applicandoli con accorgimento e giudizio nei tempi, luoghi e circostanze svariatissime, in cui lo pone la sua vocazione. Per conseguire pertanto il fine a cui mira il novello Istituto delle Missioni per la Nigrizia, si stabiliscono soltanto quei principi fondamentali, che ne costituiscono il vero carattere, e che servono agli alunni di norma per esaminare con piena uniformità e con quella eguaglianza di spirito e di condotta esteriore, che fa riconoscere i membri di una sola famiglia[8].

In questo periodo i membri dell’Istituto sono già definiti come “ecclesiastici e laici” consacrati alla Missione[9]. Nel testo delle Regole del 1871 si diceva che “L’Istituto, ossia Collegio delle Missioni per la Nigrizia, è una riunione di Ecclesiastici e di fratelli Coadjutori i quali senza vincolo di voti… si dedicano alla conversione dell’Africa[10]. Le “Regole ed organizzazione dell’Istituto delle Missioni per la Nigrizia in Verona” del 1872 sono un testo ridotto e riveduto, da Comboni stesso, delle sue “Regole” del 1871[11]. Il testo di questa nuova edizione delle “Regole” fa parte dei documenti inseriti nella Ponenza cardinalizia a Propaganda del 1872 che determinò la nomina di Comboni a Provicario e l’affidamento della Missione dell’Africa Centrale all’Istituto da lui fondato a Verona e al Cairo. Si dice che: “L’Istituto per le Missioni della Nigrizia è una libera associazione secolare di Ecclesiastici e Laici che consacrano le loro opere e, se occorre, anche la vita per la conversione dei poveri Neri pagani dell’Africa Centrale, sotto la dipendenza dei legittimi superiori, e le norme di queste Regole[12].

Dal 1872 alla morte di Comboni la fisionomia dell’Istituto andrà timidamente definendosi meglio, sia nella mente di Comboni sia negli altri membri. Comboni cercava un’approvazione canonica definitiva da parte di Propaganda: ma che tipo di associazione aveva in mente? Quale fisonomia giuridica voleva? Non si trattava di una congregazione religiosa di voti semplici nel senso moderno, ma neppure – ci sembra – nel senso delle congregazioni o compagnie già esistenti e giuridicamente approvate dalla Chiesa fin dal Cinquecento, come ad es. i Preti della Missione e, più tardi, congregazioni con vincoli di voti semplici come Redentoristi e Passionisti. Si trattava allora di una specie di “società apostolica” composta da sacerdoti e laici consacrati alla Missione come il MEP o altre fondazioni simili?[13] Dai documenti comboniani ci sembra che possa essere questa la tendenza di Comboni. Ma la sua morte prematura tronca le cose, senza chiarire giuridicamente il tema. Lo sviluppo della fase successiva non appartiene più all’operato di Comboni. Dobbiamo però dire che pur non essendo religiosi nella modalità giuridica classica, dai suoi missionari Comboni esigerà quella radicalità di vita evangelica che è caratteristica dei consacrati, aspetto, questo, che troviamo anche in altre società apostoliche simili del tempo. Pensò, forse, alla trasformazione del suo Istituto in congregazione religiosa formale nel senso che assumerà più tardi questa espressione? I documenti che abbiamo non aiutano molto a dare una risposta sicura, anche perché oggetto della storia sono i fatti accaduti e non le intenzioni. Quello che egli certamente voleva era mettere in moto una compagnia di missionari radicalmente consacrati a Cristo e alla sua Chiesa a favore della missione africana, con tutte le caratteristiche di una vita consacrata, seguendo le tracce di esperienze simili già riconosciute dalla Chiesa o in via di riconoscimento.

Forse si potrà dire che dal 1871 al 1881, anno della morte di Comboni, il Seminario o Istituto Missionario Africano da lui fondato si evolve formalmente nella ricerca giuridica di una sua fisionomia propria come “associazione di Ecclesiastici e Laici” consacrati alla Missione, legati con vincoli solidi di appartenenza e stabilità (“consacrazione” prima ad decemnium, secondo le Regole redatte da Comboni nel 1872, ma che lasciano aperta la porta alla perpetuità della consacrazione, e più tardi già esplicitamente “in perpetuo”, come dice il giuramento redatto da Comboni per i Fratelli Laici). Nel suo sviluppo logico, questo avrebbe certamente portato alla formazione di una societas stabile di vita comune e apostolica. Ogni seme ha il proprio tempo di sviluppo e di crescita. Ed è accaduto nel caso comboniano, anche se la morte di Comboni fece scattare un’altra fase, con problematiche del tutto particolari.
P. Fidel González, mccj
La seconda parte di questo articolo sarà pubblicata su
Familia Comboniana di marzo.

[1] Cf. Fidel González, I movimenti nella storia della Chiesa dagli Apostoli ad oggi, Rizzoli, 2000.

[2] Il termine “secolare” fino all’inizio del Novecento comprende tutte le forme di vita apostolica non considerate giuridicamente “religiose” come i monaci, i frati e simili. Le “congregazioni” fondate a partire dal sec. XVI sono considerate genericamente “secolari”.

[3] Cf. Congregatio De Causis Sanctorum, Danielis Comboni. Positio super vitae et virtutibus… (d’ora in poi citata come D.C. Positio), 2 voll. Romae 1988. Sono fondamentali i libri di P. Chiocchetta e A. Gilli: di F. González, Daniel Comboni, Profeta y Apostol de Africa, Mundo Negro, Madrid 1985; Idem, Comboni en el corazón de la Misión Africana. El Movimiento misionero y la Obra comboniana:1846-1910, Madrid 1993.

[4] L’Ottocento ecclesiale cattolico si caratterizza per il protagonismo della donna nella vita ecclesiale con la fondazione di numerosi “novelli istituti” femminili (non entro i limiti della vita monacale, ma anche paragonata agli “istituti secolari”) che coprono tutti i campi della emarginazione sociale e nell’attività missionaria. Queste nuove fondazioni porteranno una “rivoluzione” nel campo del diritto delle religiose o della vita consacrata.

[5] Regole del 1871, cap. II, in D. Comboni, Scritti, 2650-2652.

[6] Cf. Decreto diocesano del Vescovo di Verona, Magno sane perfundimur gaudio, in ACR, sez. A, c. 25/14 (kalendis Iunii [1 Giugno] an. 1867. Programma e Statuto dell’Opera del Buon Pastore, in ACR, sez. A, c. 25/14; Lettera Bonus Pastor del Vescovo di Verona ai Vescovi d’Italia (6 marzo 1868), in ACR, sez. A, c. 25/14; Decreto del Vescovo di Verona con l’erezione canonica del novello Istituto del 8.XII.1871, in ACR, sez. A, c. 25/20: in A. Gilli, L’Istituto Missionario Comboniano dalla fondazione alla morte di Daniele Comboni, pp. 359-378. Seguono altre lettere del Vescovo a Pio IX e al Card. Prefetto di P. F. e altri documenti relativi al tema.

[7] Per “Istituto” si intende un ente di diritto pubblico o privato, costituito sulla base di esigenze organizzative e di obiettivi determinati: i. ecclesiastico (religioso, missionario), ospedaliero, educativo, ecc., istituito secondo precise leggi e norme per un determinato fine di pubblico interesse. “Congregazione” (da congregare, lett. “riunire in gregge”), nel mondo ecclesiastico cattolico, è un gruppo di persone radunato per motivi religiosi o laici. Nella storia della vita religiosa il termine ha avuto diversi significati; uno di essi, dopo il sec. XIX, si riferisce a “Istituto” di vita consacrata con vincoli di voti semplici; ma non si tratta di un termine univoco.

[8] D. Comboni, Regole dell’Istituto delle Missioni per la Nigrizia. Testo del 1871, in P. Chiocchetta, Daniele Comboni: Carte per l’Evangelizzazione dell’Africa, EMI, Bologna 1978, pp. 250-251.

[9] Regole (1872), cap. I, 1, ibidem, p. 276.

[10] Regole (1871), cap. I, ibidem, p. 252.

[11] Cf. D. Comboni, Regole (1871), cap. I-II, in P. Chiocchetta, Daniele Comboni: Carte per l’evangelizzazione dell’Africa, pp. 249-275.

[12] Regole (1872), testo in P. Chiocchetta, Carte per l’evangelizzazione dell’Africa…, o.c., p. 276, e in A. Gilli, L’Istituto Missionario Comboniano dalla fondazione alla morte di Daniele Comboni, pp. 359-378.

[13] Nate, come abbiamo già detto, dopo che con la Rivoluzione francese si ebbe la scomparsa quasi totale della vita religiosa organizzata.