Laici Missionari Comboniani

Il ruolo ministeriale del fratello

Joel Cruz
Joel Cruz

INCARNAZIONE DELLA PAROLA, FRATERNITÀ E PROMOZIONE UMANA

Qui di seguito presentiamo l’esperienza di Fratel Joel Cruz Reyes in Ecuador. In cui le caratteristiche del ministero del Fratello si distinguono per una nuova prospettiva di promozione umana che ha come fondamento la Parola.

1. Incontro con la missione

Nel 1997 sono arrivato in Ecuador, assegnato al Centro Culturale Afro-Ecuadoriano della città di Guayaquil. All’epoca, l’accompagnamento degli afro-discendenti ruotava intorno alla religiosità, alla formazione liturgico-sacramentale e socio-politica, con l’obiettivo di renderli socialmente ed ecclesialmente consapevoli. A questo scopo si è cercato il supporto di esperti laici in psicologia, antropologia, sociologia, politica.

Dal comportamento, dagli atteggiamenti e dalle motivazioni che ho percepito negli afro-discendenti che venivano al Centro, mi sono reso conto che la loro dipendenza dal missionario era cronica. Si erano abituati a considerarsi materialmente, spiritualmente e moralmente indigenti. Certamente questo comportamento è stato un riflesso delle ombre della loro storia ancora operanti nel presente, ma è stato anche una conseguenza della visione paternalistica che aveva prevalso nel loro accompagnamento. Questo non ha permesso loro di crescere in umanità e in spirito; li ha bloccati ruolo di “oggetto”, non ha permesso loro di avanzare verso il ruolo di “soggetto” ecclesiale e sociale.

2. Capire e avviare i processi

A poco a poco ho capito che questi processi, pur essendo molto buoni, erano scollegati dalla fede e dalla Parola, come se la “rigenerazione dell’essere umano afro-discendente fosse solo un problema umano-sociale”. Mi sono reso conto che i processi non hanno raggiunto la contemplazione dell’afro-discendente come figlio di Dio, immagine e somiglianza di Lui, scolpito dalla storia, anche dalle circostanze sociali ed ecclesiali avverse, vero, ma soprattutto pensiero dell’essere umano, voluto da Dio e con una specifica missione nella Chiesa, nella società, nel mondo.

I risultati sono stati logici perché, da un lato, l’accompagnamento gerarchico ereditato dalla tradizione pastorale predominante nella Chiesa li ha resi “oggetti-dipendenti” dall’azione del “soggetto” che era il missionario. D’altra parte, l’intervento di specialisti laici senza una visione religiosa, di fede e scollegati dalla Parola di Dio, non poteva offrire altro che un modo di vedere l’afro-discendente e la sua storia, come un “problema” personale e sociale. Non si vedevano come “esseri umani”, ma come un “problema sociale” e “oggetto” di abusi, maltrattamenti ed esclusione. Erano convinti di essere solo “vittime” e non esseri umani con una responsabilità ecclesiale e sociale.

3. Presenza che condivide la vita

Quando ho cominciato a camminare con loro, mi sono reso conto che la presenza del Fratello che, per la sua natura vocazionale, è spogliato del sacro, a poco a poco sta “trasformando” la gerarchia relazionale nelle strutture culturali, sociali ed ecclesiali, fino a consolidare la circolarità della fraternità ministeriale voluta da Gesù. Che il Fratello, proprio perché religioso, è capace di contemplare l’umanità delle persone che accompagna e di metterla in moto (promozione umana) nella Chiesa e nella società.

Ho capito che il Fratello è un ponte tra la scienza e la fede, tra il Vangelo e la società, tra la Chiesa e il mondo, tra la vita religiosa e laica, tra il ministero sacerdotale e quello laico. Senza la sua presenza, spesso i processi diventano “estremi”: vanno all'”estremo liturgico-sacramentale” o all'”estremo politico-sociale”. E il Fratello ha un piede ad ogni estremità. Egli è quindi capace di equilibrare i processi di evangelizzazione e di far vedere all’essere umano la sua storia non come una tragedia umana senza Dio, ma come una storia sacra di salvezza, dove Dio non solo è presente, ma si fa carne e assume come proprie le cause di quell’essere umano.

4. I miracoli della fraternità

Il Signore mi ha dato l’opportunità di vedere i miracoli della fraternità che nascono dalla consapevolezza di sapere che siamo tutti fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre. Con la stessa dignità e responsabilità missionaria di Cristo e, quindi, inteso come il Corpo Nero di Cristo in quella società discriminante ed escludente che ha messo in ombra la Chiesa anche in quel contesto. Mi ha dato l’opportunità di sperimentare il potere liberatorio di questo “diventare uno in più tra loro”, di non aver paura di “abbassarsi”, proprio come Gesù (Filippesi 2, Emmaus) e di cercare con loro le vie, le risposte, le soluzioni.

Questo essere tra il popolo di origine africana come “compagno di viaggio” e non come guida o insegnante, ha fatto sì che si iniziasse a gustare e ad assaporare la comunione e la partecipazione, a comprendere il valore e la potenza del “cenacolo degli apostoli” sognato da san Daniele Comboni. Così è nata la Confraternita dei missionari afro-ecuadoriani, il Cammino afro-biblico, i processi di etno-educazione e di ricreazione culturale in un contesto urbano, le organizzazioni e associazioni afro con finalità culturali e sociopolitiche e la pastorale giovanile afro.

Il cammino fraterno con gli afro-discendenti mi ha permesso di contemplare come “l’oggetto” si è trasformato in un “soggetto” sociale ed ecclesiale. E tutto è cominciato quando hanno scoperto se stessi come esseri umani, figli di Dio, missionari del Padre. E questa consapevolezza si semina vivendo con loro, discutendo con loro, come Gesù fece con i suoi discepoli: sulla strada, in casa, alla festa, lì dove si trovavano; conversando, rispondendo alle loro preoccupazioni, spiegando, condividendo senza fretta, senza luoghi fissi, solitamente lontano dal tempio.

Avendo sperimentato il potere rigenerante della fraternità negli esseri umani, ho pensato e immaginato il Fratello missionario comboniano come una “levatrice” di ministeri laici che vanno oltre le strutture del tempio e le questioni religiose. Di un ministero che tocca temi umani e sociali; come compagno di quei ministeri che nascono con una proiezione secolare per infondere loro lo Spirito e per essere la forza trasformatrice di Dio nella società.

Il cammino con la gente mi ha fatto riconoscere come un Fratello religioso, cioè un “esperto” nello stabilire la profonda connessione tra il mondo e Dio, tra la carne e lo spirito, tra l’umano e il divino. Un esperto nell’aiutare l’essere umano a comprendere Dio da cittadino che agisce nella società e da essere umano che si riconosce come sua presenza.

5. Strategia e sguardo al futuro

Ma come far sì che la fraternità che promuove l’umanità della gente si rafforzi e non finisca per diluirsi nella tradizione evangelizzatrice che guarda più al liturgico-sacramentale? Come rendere più visibile e significativo il ministero dell’incarnazione del Verbo in ministeri che toccano temi umani e sociali nell’Istituto, nella Chiesa e nella società? A queste domande ha trovato risposta nella proposta di San Daniele Comboni di istituire Centri di formazione dove l’africano non cambia e il missionario non muore.

Questa strategia mi è sembrata la più adeguata alla realtà numerica e dispersa del Fratello nell’Istituto e, quindi, per poter pensare ad una forma che accompagni il ministero del Fratello, lo identifichi, lo definisca e lo renda più comprensibile. Per questo motivo, proprio come il sacerdote è accompagnato dalla figura della parrocchia, un’opera che spiega e rende comprensibile il suo ministero, così ho iniziato a immaginare un’opera che potesse far esplodere tutta la forza ministeriale della fraternità nell’Istituto. Nacque così l’idea delle Opere Comboniane per la Promozione Umana (OCPH) e il Centro Culturale Afro-Ecuadoriano di Guayaquil divenne la prima di queste opere.

PER UNA RIFLESSIONE PERSONALE E COMUNITARIA:

1. Cosa mi colpisce di più di questa esperienza religiosa? Perché?

2. Che cosa suscita in me questa esperienza? Per quale motivo?

3. Cosa ci dice come comunità?

4. Quale parte o quali parti di questa esperienza possono illuminare il lavoro parrocchiale o i progetti missionari nelle nostre comunità/missioni?

PER APPROFONDIRE

Orientamenti di Papa Francesco e Benedetto XVI sulla fraternità

Riflessioni prese dal documento “Appunti per una spiritualità missionaria della fraternità” di Fr. Alberto Degan.

In questo terzo millennio, il Papa propone una missione affascinante: combattere la “globalizzazione dell’indifferenza” costruendo la “globalizzazione della fraternità”.  Naturalmente, è un appello per tutti i cristiani, ma in noi Fratelli questa chiamata suscita indubbiamente un senso di gioia e una responsabilità particolare.

  • I primi due messaggi per la Giornata Mondiale della Pace di Papa Francesco (i messaggi del 2014 e del 2015) sono interamente dedicati al tema della fraternità. “La fraternità è il fondamento e la via della pace“, ci dice Francesco. Infatti, la pace e la giustizia non sono solo una questione “tecnica” di apportare cambiamenti strutturali per ridurre le scandalose disuguaglianze che caratterizzano il mondo di oggi, né è solo una questione politica. La pace e la giustizia sono soprattutto una sfida spirituale: solo se ci sentiamo fratelli, figli dello stesso Padre, la gente sarà pronta a fare i cambiamenti e i “sacrifici” necessari per dare vita a una società giusta e fraterna. Come diceva Francesco nel messaggio Urbi et orbi per il Natale 2018, “senza la fraternità che Gesù Cristo ci ha dato, i nostri sforzi per un mondo più giusto non andrebbero molto lontano” (Salmo 84, 11-12).
  • Papa Benedetto XVI ha proposto la fraternità come principio economico: “Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, per essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione della fraternità“, ha affermato nella sua enciclica “Caritas in veritate” n. 34. E ha aggiunto: “La grande sfida che abbiamo… è di mostrare… che nelle relazioni commerciali il principio di gratuità e la logica del dono, come espressione della fraternità, possono e devono avere spazio nell’attività economica ordinaria” (CV 36). Benedetto XVI propone che la logica della fraternità riconfiguri il nostro sistema economico.
  • Più recentemente, Papa Francesco ha dedicato l’intero messaggio della Giornata Mondiale della Pace 2014 al tema della fraternità: “Fraternità, fondamento e cammino verso la pace”. I titoli delle diverse parti di questo documento sono: “Siete tutti fratelli, (Mt 23,8)”, “La fraternità, la premessa per superare la povertà”, “La riscoperta della fraternità nell’economia”, “La fraternità spegne la guerra”, “La fraternità genera la pace sociale”, “La fraternità aiuta a proteggere e coltivare la natura”. Solo dando un rapido sguardo a questi titoli si capisce che per Francesco la fraternità – lungi dall’essere un concetto casuale e “romantico” – è un principio di fede molto concreto, con inevitabili implicazioni sociali, politiche ed economiche. Secondo il Papa, la giustizia sociale non può essere costruita se prima non coltiviamo nel nostro cuore un profondo senso di fraternità.
  • La prima parte di questo documento è intitolata “Dov’è tuo fratello? (Gen 4:9). Nella Bibbia, questa è la seconda domanda che Dio rivolge all’uomo, e questo significa che per Dio è una domanda fondamentale. Gli esseri umani, così come sono stati concepiti dal nostro Creatore, realizzano la loro umanità quando lasciano il loro egoismo e si preoccupano delle condizioni di vita dei loro fratelli, quando entrano in una logica di comunione e di fraternità che li fa percepire che la loro vita ha senso solo se è vissuta in un atteggiamento di solidarietà con i loro simili. In altre parole, per Dio essere umano significa essere e sentirsi fratelli.
  • Gesù si presenta a noi come il “primogenito in mezzo a tanti fratelli” (Rm 8,29): la fraternità è la via tracciata da Dio per la realizzazione della nostra umanità. Come dice un proverbio africano, “Io sono un essere umano perché tu sei un essere umano”, cioè: “Mi sento bene e posso realizzare la mia umanità quando vedo che anche i miei fratelli stanno bene e possono realizzarla”. Ma nella nostra società prevale la logica opposta, quella del vecchio adagio latino “Mors tua vita mea“, che significa: “La tua morte è la mia vita“, “Solo se ti uccido e prendo possesso dei tuoi beni posso vivere felice”.

Non sorprende quindi che Helmut Maucher – presidente della multinazionale Nestle negli anni ’80 e ’90 – abbia detto di aver bisogno di dirigenti con “l’istinto omicida“. In questo modo, come afferma l’economista Hinkelammert, “la lotta per uccidere l’altro è vista come fonte di prosperità e di vita“. Così, l’evangelizzatore propone il modello e la spiritualità dell’uomo-fratello contro il modello e la “spiritualità” dell’uomo-killer.

Per combattere l’ingiustizia e la povertà, quindi, è necessaria una “rivoluzione spirituale”, una spiritualità della fratellanza che ci faccia capire che la sconfitta e la morte di mio fratello saranno, prima o poi, anche la mia sconfitta e la mia morte. Come disse Martin Luther King, “o riusciremo a vivere come fratelli o moriremo tutti come sciocchi“.

  • Nella Evangelii Gaudium (n. 186) Francesco afferma che il nostro amore per “i più abbandonati della società” deriva “dalla nostra fede in Cristo che è sempre vicino ai poveri“. Indubbiamente, di fronte a tante sfide enormi, ci sentiamo spesso piccoli e impotenti: non abbiamo risposte immediate su cosa fare. Ma Gesù ci dà un’indicazione molto chiara di DOVE ESSERE: oggi come ieri, Gesù “sempre vicino ai poveri” ci chiama ad essere VICINO AI POVERI, VICINO AGLI ULTIMI.

Il nostro Capitolo generale del 2015 ha accolto l’invito del Papa e ha indicato come primo criterio per la riqualificazione dei nostri impegni il criterio della “vicinanza ai poveri” (AC15 n.44.5). Questo è un criterio che per noi Fratelli comboniani ha un valore speciale, perché il nostro Fondatore ci vedeva come coloro che sono più vicini alla gente, perché passiamo più tempo con loro: “In Africa centrale, i Fratelli artigiani ben preparati contribuiscono al nostro apostolato più dei sacerdoti alla conversione, perché gli studenti neri e i nuovi arrivati (la maggior parte dei quali si trovano nella stessa situazione) sono quelli che hanno più bisogno di conversione. … devono passare un tempo piuttosto lungo con  i “maestri” e gli “esperti”, che a parole e con l’esempio sono veri apostoli per i loro alunni) sono con i fratelli, e li osservano e li ascoltano più di quanto possano osservare e ascoltare i sacerdoti” (S5831).

Nota: Vedere anche l’ultima enciclica di Papa Francesco “Fratelli Tutti” sulla fraternità e l’amicizia sociale (3 ottobre 2020).

PREGHIERA PERSONALE

“E il Verbo si è fatto carne e ha abitato in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la sua gloria (la gloria che corrisponde all’unigenito del Padre), piena di grazia e di verità”. Jn 1,14

Riflessioni dagli incontri continentali dei Fratelli in America:

  • In mezzo a una mentalità e tradizione ecclesiale che imprigiona la Parola di Dio nei templi, nei discorsi teorici e che difficilmente osa andare oltre le strutture ecclesiali e toccare questioni umane e sociali, si inserisce la figura ministeriale del Fratello Missionario Comboniano.
  • La sua vocazione a “fare carne al Verbo”, nel contesto in cui vive e vive insieme, e a plasmare l’essere umano come figlio di Dio e fratello di tutti, lo porta ad aprire percorsi e iniziative che non si limitano alle strutture e alle tradizioni della Chiesa, perché la “incarnazione missionaria del Verbo” è vissuta in armonia con i tempi e i luoghi in cui si trova.
  • Lo spirito fraterno di Dio lo conduce all’inserimento nella vita e nella quotidianità della gente, quindi è in grado di scoprire e salvare la ricchezza e l’esperienza delle persone e dei gruppi umani che accompagna in missione, con lo scopo di arricchire la Chiesa, la società e di promuovere l’aspetto veramente umano delle persone attraverso le quali passa, come opera e rivelazione di Dio che deve essere conosciuta, riconosciuta, valorizzata, assunta e proposta dalla Chiesa al mondo.
  • La convivenza fraterna con la gente, dalla coscienza e dallo spirito missionario, ne fa il “radar” che coglie i segni, i segnali, i rumori, le sfide… che la realtà umana e sociale pone nel qui e ora. Per questo motivo, la sua parola e il suo contributo sono decisivi per il dinamismo, la creatività e l’aggiornamento della missione comboniana.
  • Il suo volto evangelico-sociale e fraterno lo rende un “ponte” tra la società e la Chiesa, tra laici e religiosi, tra laici e clero. Proprio per questo diventa il volto sociale dell’impegno missionario della Chiesa. Questa dimensione vocazionale la inserisce nel cuore della sensibilità umana che cerca la solidarietà, la giustizia, la pace e l’impegno a trasformare la società. La sua vocazione ne fa una presenza che rafforza la coscienza e lo spirito dell’essere umano a vivere il Regno come giustizia, pace, gioia (Rm 14, 17ss)
  • Il ruolo del Fratello come persona consacrata e ministro di Cristo, quindi, è l’edificazione e la crescita umana e cristiana delle persone e delle comunità, nella prospettiva del Vangelo; per questo motivo, la sua azione non esclude il ministero della Parola. La sua presenza evangelizzatrice tra la gente sottolinea la dimensione della fraternità in tutti i suoi aspetti: lo sviluppo integrale delle persone, la promozione della giustizia, della pace, dei diritti umani… cioè il suo ministero tocca direttamente le questioni sociali, antropologiche e culturali dal punto di vista del Regno di Dio.

CONDIVISIONE IN COMUNITÀ E LINEE D’AZIONE

  1. In un clima di preghiera e di ascolto reciproco, condividiamo in comunità i frutti della preghiera personale.

2. Riflettiamo insieme:

a. Cosa ti fa pensare a ciò che abbiamo condiviso e pregato sul ministero del Fratello?

b. Cosa senti che lo Spirito ci invita a fare, personalmente, come comunità, come Provincia e come Istituto?

c. Come possiamo rispondere concretamente agli inviti dello Spirito?

d.  Il nostro impegno è: ________________________________

“Il ministero dei Fratelli, discepoli di Cristo fraterno, presta attenzione alla dimensione della fraternità in tutti i suoi aspetti, compreso lo sviluppo integrale delle persone, la promozione della giustizia, della pace e dei diritti umani. Si tratta, quindi, di un ministero aperto prevalentemente alla dimensione sociale, antropologica e culturale del Regno di Dio, orientato alla trasformazione sociale, alla testimonianza e all’annuncio della fraternità e all’animazione della comunità cristiana”.

SUGGERIMENTI PER LA CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA

Nel momento del PADRE NOSTRO, mantenete un prolungato momento di silenzio per pensare alla fratellanza che nasce da Dio.

Campagna sugli effetti nocivi dell’attività mineraria sulla salute e sull’ambiente

Piquia
Piquia

Oggi, 29 ottobre, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), insieme a Justiça nos Trilhos (Giustizia sui Binari), ha lanciato una campagna globale di informazione sull’impatto delle industrie minerarie e siderurgiche a Piquiá de Baixo, nell’Amazzonia brasiliana, che da più di tre decenni stanno deteriorando la salute delle comunità locali e devastando l’ambiente.

La campagna segna il trentesimo anniversario del Grupo Ferroeste nel comune di Açailândia e invita tutti a sostenere la lotta per i diritti di questa comunità, alla quale le aziende e lo Stato hanno chiuso gli occhi per tanto tempo.

Per saperne di più: https://bit.ly/3kFKur8

Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2020

Papa Francisco

«Eccomi, manda me» (Is 6,8)

Papa Francisco

Cari fratelli e sorelle,

Desidero esprimere la mia gratitudine a Dio per l’impegno con cui in tutta la Chiesa è stato vissuto, lo scorso ottobre, il Mese Missionario Straordinario. Sono convinto che esso ha contribuito a stimolare la conversione missionaria in tante comunità, sulla via indicata dal tema “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”.

In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla pandemia da covid 19, questo cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta Isaia: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: «Chi manderò?» (ibid.). Questa chiamata proviene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia che interpella sia la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale. «Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: “Siamo perduti” (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme» (Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020). Siamo veramente spaventati, disorientati e impauriti. Il dolore e la morte ci fanno sperimentare la nostra fragilità umana; ma nello stesso tempo ci riconosciamo tutti partecipi di un forte desiderio di vita e di liberazione dal male. In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da sé stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé.

Nel sacrificio della croce, dove si compie la missione di Gesù (cfr Gv 19,28-30), Dio rivela che il suo amore è per ognuno e per tutti (cfr Gv 19,26-27). E ci chiede la nostra personale disponibilità ad essere inviati, perché Egli è Amore in perenne movimento di missione, sempre in uscita da sé stesso per dare vita. Per amore degli uomini, Dio Padre ha inviato il Figlio Gesù (cfr Gv 3,16). Gesù è il Missionario del Padre: la sua Persona e la sua opera sono interamente obbedienza alla volontà del Padre (cfr Gv 4,34; 6,38; 8,12-30; Eb 10,5-10). A sua volta Gesù, crocifisso e risorto per noi, ci attrae nel suo movimento di amore, con il suo stesso Spirito, il quale anima la Chiesa, fa di noi dei discepoli di Cristo e ci invia in missione verso il mondo e le genti.

«La missione, la “Chiesa in uscita” non sono un programma, una intenzione da realizzare per sforzo di volontà. È Cristo che fa uscire la Chiesa da se stessa. Nella missione di annunciare il Vangelo, tu ti muovi perché lo Spirito ti spinge e ti porta» (Senza di Lui non possiamo far nulla, LEV-San Paolo, 2019, 16-17). Dio ci ama sempre per primo e con questo amore ci incontra e ci chiama. La nostra vocazione personale proviene dal fatto che siamo figli e figlie di Dio nella Chiesa, sua famiglia, fratelli e sorelle in quella carità che Gesù ci ha testimoniato. Tutti, però, hanno una dignità umana fondata sulla chiamata divina ad essere figli di Dio, a diventare, nel sacramento del Battesimo e nella libertà della fede, ciò che sono da sempre nel cuore di Dio.

Già l’aver ricevuto gratuitamente la vita costituisce un implicito invito ad entrare nella dinamica del dono di sé: un seme che, nei battezzati, prenderà forma matura come risposta d’amore nel matrimonio e nella verginità per il Regno di Dio. La vita umana nasce dall’amore di Dio, cresce nell’amore e tende verso l’amore. Nessuno è escluso dall’amore di Dio, e nel santo sacrificio di Gesù Figlio sulla croce Dio ha vinto il peccato e la morte (cfr Rm 8,31-39). Per Dio, il male – persino il peccato – diventa una sfida ad amare e amare sempre di più (cfr Mt 5,38-48; Lc 23,33-34). Perciò, nel Mistero pasquale, la divina misericordia guarisce la ferita originaria dell’umanità e si riversa sull’universo intero. La Chiesa, sacramento universale dell’amore di Dio per il mondo, continua nella storia la missione di Gesù e ci invia dappertutto affinché, attraverso la nostra testimonianza della fede e l’annuncio del Vangelo, Dio manifesti ancora il suo amore e possa toccare e trasformare cuori, menti, corpi, società e culture in ogni luogo e tempo.

La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio. Ma questa chiamata possiamo percepirla solo quando viviamo un rapporto personale di amore con Gesù vivo nella sua Chiesa. Chiediamoci: siamo pronti ad accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la chiamata alla missione, sia nella via del matrimonio, sia in quella della verginità consacrata o del sacerdozio ordinato, e comunque nella vita ordinaria di tutti i giorni? Siamo disposti ad essere inviati ovunque per testimoniare la nostra fede in Dio Padre misericordioso, per proclamare il Vangelo della salvezza di Gesù Cristo, per condividere la vita divina dello Spirito Santo edificando la Chiesa? Come Maria, la madre di Gesù, siamo pronti ad essere senza riserve al servizio della volontà di Dio (cfr Lc 1,38)? Questa disponibilità interiore è molto importante per poter rispondere a Dio: “Eccomi, Signore, manda me” (cfr Is 6,8). E questo non in astratto, ma nell’oggi della Chiesa e della storia.

Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia  diventa una sfida anche per la missione della Chiesa. La malattia, la sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano. La povertà di chi muore solo, di chi è abbandonato a sé stesso, di chi perde il lavoro e il salario, di chi non ha casa e cibo ci interroga. Obbligati alla distanza fisica e a rimanere a casa, siamo invitati a riscoprire che abbiamo bisogno delle relazioni sociali, e anche della relazione comunitaria con Dio. Lungi dall’aumentare la diffidenza e l’indifferenza, questa condizione dovrebbe renderci più attenti al nostro modo di relazionarci con gli altri. E la preghiera, in cui Dio tocca e muove il nostro cuore, ci apre ai bisogni di amore, di dignità e di libertà dei nostri fratelli, come pure alla cura per tutto il creato. L’impossibilità di riunirci come Chiesa per celebrare l’Eucaristia ci ha fatto condividere la condizione di tante comunità cristiane che non possono celebrare la Messa ogni domenica. In questo contesto, la domanda che Dio pone: «Chi manderò?», ci viene nuovamente rivolta e attende da noi una risposta generosa e convinta: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Dio continua a cercare chi inviare al mondo e alle genti per testimoniare il suo amore, la sua salvezza dal peccato e dalla morte, la sua liberazione dal male (cfr Mt 9,35-38; Lc 10,1-12).

Celebrare la Giornata Missionaria Mondiale significa anche riaffermare come la preghiera, la riflessione e l’aiuto materiale delle vostre offerte sono opportunità per partecipare attivamente alla missione di Gesù nella sua Chiesa. La carità espressa nelle collette delle celebrazioni liturgiche della terza domenica di ottobre ha lo scopo di sostenere il lavoro missionario svolto a mio nome dalle Pontificie Opere Missionarie, per andare incontro ai bisogni spirituali e materiali dei popoli e delle Chiese in tutto il mondo per la salvezza di tutti.

La Santissima Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione e Consolatrice degli afflitti, discepola missionaria del proprio Figlio Gesù, continui a intercedere per noi e a sostenerci.

Roma, San Giovanni in Laterano, 31 maggio 2020, Solennità di Pentecoste

Franciscus

Ministerialità: un approccio a partire dalla ricchezza semantica dei testi biblici

La Palabra
La Palabra

Introduzione

Il presente articolo vuole essere un semplice e breve contributo al processo di riflessione e condivisione attorno al tema della ministerialità a partire dai testi biblici. Visto che il sostantivo astratto “ministerialità” non compare nei testi sacri, il nostro approccio sarà basato sulla pluralità semantica del termine ministro. È importante sottolineare fin d’ora che il nostro testo non intende includere tutti i termini biblici equivalenti a “ministro”, né approfondire i cosiddetti ministeri biblici come ad esempio sacerdote, re, profeta, apostoli, evangelisti, pastori, dottori. Ci limiteremo quindi ad affrontare alcuni elementi teologico-linguistici associati ai termini per condividere, in un secondo tempo, a titolo conclusivo, una breve riflessione e alcune domande in vista di un eventuale approfondimento del tema.

  1. Visione generale dei termini biblici equivalenti a ministro
    1. Nell’Antico Testamento
      1. MESHARET

La radice di questo termine ebraico designa qualsiasi servizio. Nel contesto del nostro tema, merita di essere sottolineato il servizio di Giosuè a Mosè in Es 24,13; 33,11, Nm 11,28 e Gs 1,1. In questi testi, MESHARET significa ministro, ausiliare diretto, discepolo. Mosè infatti portava Giosuè ai suoi incontri con Dio sul monte e nella tenda. Il ministero di Giosuè consisteva nell’aiutare Mosè a comprendere il messaggio di Dio, per poi trasmetterlo al popolo. Ciò che è interessante in questi testi biblici è che l’essere ministro è una fase di preparazione per essere una guida, ossia è un vero e proprio discepolato. Perciò, MESHARET rinvia al tema del rapporto discepolo-maestro, del saper apprendere per continuare una missione o un ministero. Da questo punto di vista, il concetto di MESHARET ci trasmette l’idea che, nel rapporto discepolo-maestro, il discepolo non apprende solo dal maestro ma anche dalla realtà. Ossia, anche la realtà diventa maestra. Pertanto, il ministro è, allo stesso tempo, discepolo del Signore e della realtà.

  1. EBED

Altro termine usato nell’Antico Testamento per designare ministro è EBED. Questo termine indica non solo il comune servizio di qualsiasi persona subordinata ad un padrone, come nel caso di Nàaman (2 Re 5,6), ma anche la subordinazione ai piani divini, come nel caso del servo di Dio (EBED ADONAI o EBED HAELOHIM) in Is 42,1-4; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-15; 53,1-12. Anche se gli studiosi non concordano sull’identità storica del EBED ADONAI, i testi mostrano chiaramente che la sottomissione ai piani di Dio è la condizione per realizzare la missione ricevuta.

  1. Nel Nuovo Testamento

Per quanto riguarda il Nuovo Testamento (NT), meritano di essere evidenziati i seguenti termini:

  1.  PAIS/DOULOS

Nell’accezione comune, PAIS significa bambino. In Mt 12,18 tuttavia si cita la versione greca di Is 42,1 nella quale il termine PAIS traduce il significato ebraico di EBED (servo), per indicare che Gesù è Servo di Dio. Con la stessa intuizione, nel portico di Gerusalemme, dopo la Pentecoste, Pietro dichiara per la prima volta che Gesù è il Servo di Dio (At 3,13). In effetti Pietro rimase così segnato dall’immagine di Gesù-servo che questa divenne punto di riferimento delle sue prime predicazioni, dopo la Pentecoste. Così, egli presenta l’immagine di Gesù-servo come paradigma di qualsiasi tipo di servizio nella Chiesa nascente. Ne è una prova testuale la trasposizione semantica che il NT opera fra i termini PAIS (bambino, servo) e DOULOS (schiavo, servo). Facciamo attenzione: rivolgendosi agli apostoli in Gv 15,15, Gesù qualifica il suo rapporto con loro come un rapporto di amicizia e non di servitù o schiavitù. Inoltre, il termine DOULOS (servo) continuerà a caratterizzare la missione dei discepoli. Infatti, Gesù raccomanda che i rapporti interpersonali siano contrassegnati dagli atteggiamenti e sentimenti del servo, che devono essere adottati da chiunque voglia essere grande nel Regno dei Cieli (Mt 20,27; Mc 10,44). Va osservato anche che DOULOS è il titolo col quale Paolo si presenta alle sue comunità (Rm 1,1; 2 Cor 4,5; Gal 1,10; Ef 6,6; Fil 1,1; Tt 1,1). Alcuni cristiani sono chiamati servi (DOULOI) in Col 4,12; 2 Tm 2,14; Gc 1,1. Pietro, Giuda e tutta la Chiesa sono servi (DOULOI) di Cristo secondo 2 Pt 1,1; Gd 1,1; Ap 1,1. Possiamo così constatare che i termini PAIS e DOULOS diventano sinonimi e Gesù-servo appare l’unico paradigma nell’esercizio dei ministeri.

Di questo termine, tre significati meritano particolare attenzione:

  1. indica i servitori e gli amministratori pubblici che vengono chiamati servi di Dio perché svolgono con zelo il loro incarico (Rm 13,6). A loro, il cristiano deve essere sottomesso e per loro deve pregare, affinché abbiano una vita tranquilla, pacifica, pia e onesta (2 Tm 2,2).
  • Anche colui che annuncia il vangelo di Gesù Cristo a coloro che non Lo conoscono, perché diventi un’offerta a Lui gradita, è chiamato LEITOURGOS (Rm 15,16).
  • Il termine viene applicato anche a Gesù per indicare il suo ministero di mediatore fra Dio e gli uomini (Eb 8,2). È interessante anche il fatto che nel NT, con questo termine, si equipari il ministero del servitore pubblico a quello dell’evangelizzatore, perché entrambi, ispirandosi a Gesù-mediatore, servono lo stesso Dio. Come abbiamo appena detto, ispirarsi a Gesù-mediatore vuol dire assumere e svolgere, dentro e fuori dalla Chiesa, la dimensione sacerdotale dei ministeri. Tutti i ministeri, infatti, senza eccezione alcuna, si rivestono di una dimensione sacerdotale, ossia, la mediazione fra il creatore e il creato.
    • HYPĒRETES

Per quanto riguarda il termine HYPĒRETES, troviamo soltanto il significato di “ministro della Parola” (Lc 1,2; At 26,16). In questi testi, l’esperienza di Cristo appare come una condizione necessaria per l’esercizio del ministero. Basta vedere che i “servitori della Parola”, menzionati in Lc 1,2, sono testimoni oculari. Saulo, in At 26,16, è costituito servo e testimone di quanto aveva appena visto e di ciò che il Signore doveva ancora mostrargli. Da questi passaggi emerge l’idea che i ministeri nascono dall’esperienza di Cristo e si nutrono di questa.

  1. DIAKONOS

È un termine ampiamente usato nel NT, ma in contesti e con significati diversi. Fondamentalmente, è bene soffermarsi su quanto segue: DIAKONOS è la persona che riceve la missione di servire la Chiesa. Stefano e i suoi amici lo sono perché si occupano delle opere caritatevoli della comunità (At 6,1-6); Paolo e Apollo, per quanto lavorino instancabilmente nell’evangelizzazione, preferiscono essere considerati semplicemente dei diaconi (DIAKONOI) della Chiesa (1 Cor 3,5-15); Tichico (Ef 6,21), Epafra (Col 1,7) e Timoteo (1 Ts 3,2) sono DIAKONOI perché collaborano più direttamente nell’evangelizzazione. Anche Gesù Cristo è DIAKONOS perché non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita in riscatto di molti (Mt 28,28; Mc 10,45; Rm 15,8). L’assistenza ai più bisognosi è considerata non solo una DIAKONIA (ministero, servizio) ma una condizione necessaria per avere un posto nel Regno dei cieli (Mt 25,31-46). In particolare, vale la pena evidenziare i testi sull’inferiorità del DIAKONOS: Lc 12,37 e 22,26-27. Il DIAKONOS è inferiore a Dio e al popolo che gli è affidato. In effetti, sembra che questa sia stata una caratteristica importante dei ministeri nelle prime comunità cristiane.

  1. OIKONOMOS

OIKONOMOS è l’amministratore che cura i beni del suo signore. Va osservato che nella tradizione paolina e petrina, gli apostoli e tutti i cristiani sono chiamati OIKONOMOI, perché amministrano i misteri e le grazie di Dio (1 Cor 4,1-2; 1 Pt 4,10). Il simbolismo dell’amministratore della casa è davvero evocativo, perché insiste sul dovere di ogni cristiano di avere un ministero. Così, i ministeri sono visti come una forma di amministrare la OIKOS (dimora, casa) di Dio (1 Cor 3,5-9).

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  • Riflessione

La ricchezza semantica di cui abbiamo parlato non va vista come una mera ricercatezza linguistica degli autori biblici, bensì come una prova evidente della diversità di esperienze di ministerialità presso il popolo di Israele e nelle prime comunità cristiane. Allo stesso modo, questa ricchezza semantica ci serve come fondamento e ispirazione per la continua contestualizzazione dei ministeri.

  • Diversità di esperienze ministeriali

Da quanto detto sopra, è evidente che le varie esperienze di ministerialità riportate nei testi sacri interessano agli agiografi per presentare, attraverso di esse, un Dio che suscita ministeri per il servizio della Sua casa. Ricordiamo che nel NT, casa di Dio (OIKOS TOU THEOU) indica, in senso stretto, la Chiesa di Cristo (1 Tm 3,15; Eb 3,6) e, in un senso più ampio, tutto l’universo (At 7,44-50). La complessità insita nei concetti dimostra l’importanza di approfondire non solo il significato dell’espressione “casa di Dio”, ma anche i ministeri che si richiedono per poterla amministrare integralmente. La casa di Dio è talmente complessa che non è possibile amministrarla senza una vasta gamma di ministeri. Urge, pertanto, stimolare la nascita di nuovi ministeri dentro e fuori dalla Chiesa. In questo senso, i Comboniani sono chiamati ad animare questo processo che oggi più che mai appare come una conditio sine qua non per l’evangelizzazione del mondo contemporaneo.

  • Contestualizzazione dei ministeri

Le varie esperienze di ministerialità nella Bibbia sono accompagnate da un processo di contestualizzazione, cioè di adeguamento dei ministeri ad un determinato contesto. Per i Comboniani, la contestualizzazione comporta due processi intrinsecamente interdipendenti: il processo ad intra e il processo ad extra. Ad intra perché richiede che si ripensino i ministeri e gli impegni missionari alla luce della realtà interna dell’Istituto (numero di confratelli, formazione accademica, geografia vocazionale, situazione economica, ecc.). Ad extra perché ci sfida a identificare, nel contesto in cui lavoriamo, persone, mezzi e metodi per favorire il sorgere, con questi e a partire da questi, di nuovi ministeri o l’attualizzazione di quelli già esistenti. Entrambi i processi richiedono realismo, coraggio e ottimismo. Va rilevato che, nel processo di contestualizzazione dei ministeri, assunti individualmente e come gruppo, la lettura contestualizzata della Sacra Scrittura svolge un ruolo insostituibile. Per questo motivo, è fondamentale reimparare a leggere la Bibbia a partire dal contesto del destinatario contemporaneo. Solo così sarà possibile individuare i ministeri più appropriati ad ogni realtà.

3. Domande per un approfondimento

a) In che cosa consiste questa “inferiorità del ministro” applicata al missionario comboniano?

b) Oggi sentiamo la necessità di nuovi ministeri nella Chiesa e nell’Istituto? Quali?

c) La casa di Dio è immensa e complessa. Come amministrarla integralmente?

d) Siamo stati capaci di contestualizzare il carisma comboniano e i ministeri ad esso legati?

e) Siamo riusciti a contestualizzare la nostra ermeneutica dei testi biblici, allo scopo di suscitare ministeri adeguati alla realtà? Quali difficoltà abbiamo incontrato?

Bibliografia consigliata

COLLINS, J.N. (2014). Diakonia Studies: Critical Issues in Ministry. Oxford: Oxford University Press.

COMISSÃO Teológica Internacional. (2002). Da Diaconia de Cristo à Diaconia dos Apóstolos.

GUIJARRO, S. (2017). La Aportación del Análisis Contextual a la Exégesis de los Textos Bíblicos. Cuestiones Teológicas, 44 (102), 283-300.

KING, N. (2019). Ministry in the New Testament. New Blackfriars, 100 (1086), 155-164.

MĂCELARU, M.V. (2011). Discipleship in the Old Testament and Its Context: A Phenomenological Approach. Pleroma, 13 (2), 11-22.

P. José Joaquim L. Pedro, mccj