Laici Missionari Comboniani

Pasqua in Etiopia

Il cammino attraverso la Settimana Santa qui in Etiopia richiede di togliersi i calzari per sentire il suolo pietroso sui piedi nudi. Gli Etiopi non celebrano la Pasqua in modo puramente intellettuale, al contrario, essi hanno bisogno di viverla anche con il corpo. Essi manifestano il loro cammino spirituale nella settimana con espressioni tangibili che sono allo stesso tempo profonde e semplici: l’allegria nell’agitare gioiosamente le palme mentre il Re fa il suo ingresso a cavallo di un asino vero, i 10 chilometri di processione lungo le stazioni della via Crucis sotto un sole cocente, letteralmente scalando la collina del Calvario, le rievocazioni drammatiche che sono di complemento alle liturgie, le quattro lunghe ore di prostrazioni e preghiere nella giornata del Venerdì Santo per sentire la Passione nel proprio corpo. Ancora l’espressione di fede è segnata da una semplicità umile – le processioni che si svolgono nel fango lungo mandrie di bestiame, le croci disadorne composte da due pezzi di legno incrociati, fissati con un chiodo, il Battesimo della Domenica di Pasqua impartito da una ciotola di plastica in una piccola cappella dalle pareti di fango. Tutto qui è bello e ricco di significato allo stesso tempo. Perché la Passione di Gesù sia totalmente redentiva necessita di essere vissuta anche con il corpo.

Processione della Domenica delle Palme:

Ethiopia palm sunday

Via Crucis del Venerdì:

Ethiopia - Good Friday1 good friday1

Vigilia di Pasqua e Domenica:

Vigil and easter sunday

Mark & Maggie Banga

Laici Missionari Comboniani al servizio in Awassa, Ethiopia

I primi mesi in Etiopia

Madzia-Adis

Sono arrivato in Etiopia i primi di gennaio. E’ iniziata qui la mia prima esperienza di missione! Ho lavorato inizialmente come fisioterapista nel centro sanitario di Bushullo, vicino ad Awassa (zona sud dell’Etiopia) dove vivono Maggi & Mark con i loro figli!

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Attualmente questi primi mesi li trascorro ad Addis Abeba (presso la comunità MCCJ). Frequento un corso di Aramaico, la seconda lingua semitica più parlata nel mondo, dopo l’arabo. Il sistema di scrittura aramaica è chiamato fidel. Ogni parola è rappresentata da una sequenza di consonanti+vocali e ve ne sono più di 230! E’ motivo di grande soddisfazione per me essere riuscito a leggere qualche parola (finalmente!). Ovunque mi trovo cerco di capire i testi che mi circondano: sugli autobus, sui palazzi …. 😉

Terminata la scuola mi dedico al volontariato, sfruttando le mie capacità di fisioterapista e allo stesso tempo miglioro l’aramaico provando a comunicare con i pazientiJ. Qui la gente è molto cordiale con me, mi aiuta in tutto, è sempre sorridente e cordiale. E’ una gioia essere qui. Essi mi insegnano la loro cultura – attraverso la cerimonia del caffè o della enjera. Ho avuto modo di assistere anche alla festa del Timkat – una fra le più importanti della Chiesa ortodossa Etiope, che celebra l’Epifania e il Battesimo di Gesù. E’ molto interessante fare esperienza della varietà di chiese qui – la chiesa cattolica è solo l’1%, la più importante è la chiesa Ortodossa, cui si aggiungono le chiese protestanti e la religione islamica. La religione sembra essere una parte importante della vita di questa popolazione, anche nel linguaggio le espressioni più comuni includono la parola “Dio” – come per esempio la risposta ad un saluto è: “Sto bene, grazie a Dio”.

peopleSto facendo piano piano conoscenza di questo luogo, di questa gente, di questa cultura, di questa lingua. E, giorno dopo giorno, sono sempre più felice del fatto che Dio mi abbia portato fino a qui. 😉

Madzia Plekan. LMC in Etiopía

L’asinello e il “vero nardo”

Commentario a Mc 11, 1-11 e Mc 14-15, Domenica delle Palme, 29 Marzo 2015

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La liturgia ci offre oggi due letture dal vangelo di Marco: Una, prima della benedizione delle palme, sulla ben nota storia di Gesù entrando in Gerusalemme montato su un asinello (Mc 11, 1-11); la seconda, durante la Messa, è la “Passione” (le ultime ore di Gesù a Gerusalemme), raccontata nei capitolo 14 e 15.
In compagnia di Marco entriamo nella Settimana Grande dell’ anno cristiano, in cui celebriamo, ravviviamo a attualizziamo l’estraordinaria esperienza del nostro Maestro, Amico, Fratello e Redentore Gesù, chi, con grande lucidità e coraggio, anche se con angoscia e dolore, entra in Gerusalemme per incarnare definitivamente l’amore del Padre per i suoi figli.
Tutta questa settimana deve essere per noi un tempo di speciale intensità, con più spazio per la lettura biblica, per la meditazione, per il silenzio contemplativo, per fare memoria di questo grande evento che coinvolge Nostro Signore, ma anche noi stessi, con le nostre esperienze di vita e morte, di grazia e peccato, di angoscia e speranza.
Da parte mia, faccio, come al solito, tre brevi riflessioni:

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1) Il Re sul’asinello
Fa ormai qualche anno da quando ho avuto la gioia di visitare Terra Santa e di restare per dieci giorni a Gerusalemme. Tra altre cose, un giorno ho percorso a piedi il cammino che va da Betfagé al Monte degli Olivi, da dove si può contemplare la città santa. Non è una distanza molto lunga anche se in salita. Secondo il testo di Marco, Gesù lo fece su un asinello e acclamato dalla moltitudine. E’ una scena che ci sembra simpatica e si presta a rappresentazioni folkloristiche, ma dobbiamo stare attenti a non perdere il vero significato di questo gesto profetico di Gesù. Per capirlo bene, io non trovo niente di meglio che riprodurre un testo del libro di Zaccheria, al quale probabilmente si è ispirato lo stesso Marco:

“Esulta grandemente figlia di Sion,
giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino,
un puledro figlio d’asina.

Farà sparire i carri da Efraim
e i cavalli da Gerusalemme,
l’arco di guerra sarà spezzato,
annunzierà la pace alle genti,
il suo dominio sarà da mare a mare
e dal fiume ai confini della terra”.
(Zac 9, 9-10).

Da parte mia solo un brevissimo commento: Quanto ne abbiamo bisogno di un re simile in questo tempo di arroganza e violenza! Abbiamo bisogno di questo Re umile e pacifico che non s’impone con la forza dei cavalli o le armi, ma con la consistenza della sua Verità liberatrice e il suo Amore senza condizioni.

2) Il nardo “sprecato”
Il racconto della “Passione” secondo Marco, che leggiamo oggi, inizia con un episodio molto interessante. Si tratta della storia di una donna anonima che si avvicina a Gesù con un vasetto di alabastro che rompe per versare tutto il contenuto (“olio profumato di nardo genuino”) sul suo capo. I presenti si scandalizzano e criticano amaramente la donna per quel “spreco” assurdo. Pero Gesù difende la donna spiegando che ha anticipato l’unzione del suo corpo.
Infatti, contemplando questo vaso roto che sparge un olio profumato e carissimo, uno non può non pensare allo stesso corpo di Gesù, “rotto” per sparge il prezioso profumo del amore del Padre. La storia della Passione che leggiamo oggi ci parla di Gesù tradito dai suoi amici, Gesù angosciato davanti alle sofferenze che lo aspettano, Gesù terribilmente martirizzato, Gesù abbandonato… Ma un Gesù che si consegna liberamente, con un grande AMORE: “Non si faccia quello che io voglio ma quello che Tu, Padre, vuoi”.
La sua morte può sembrare uno “spreco”, come la decisione di tanti missionari che rischiano la pelle in posti dove abbonda la violenza, mancano le adeguate condizioni sanitarie e di rispetto per i diritti umani. Molti si domandano: Perché rischiare la vita? Non si tratta di un gesto inutile e esagerato, un spreco? La risposta è allo stesso tempo semplice e meravigliosa: L’amore non ha limiti, non fa calcoli; chi ama non dubita in rompere il vasetto del suo corpo per spargere nel mondo il buon odore della vita amata da Dio in un mondo che a volte “puzza” parecchio.
La stessa cosa si può dire di tante genitori, che rompono la sua vita in favore dei suoi figli, tante persone che lavorano per la salute degli altri, tante religiose che curano anziani abbandonati, e tanti altri che generosamente mettono la propria vita al servizio dei più bisognosi di vicino o di lontano….
Ognuno di noi è chiamato in questa Settimana Santa a rompere il vasetto della propria vita e a seguire i passi di Gesù, fiduciosi che il Padre non si lascerà vincere in generosità e che l’amore è più forte della morte.

P. Antonio Villarino
Roma

“La vita è un dono e noi la meritiamo donandola”

Un commento a Gv 12, 20-33: Quinta Domenica di Quaresima, 22 Marzo 2015

Ci stiamo avvicinando alla Settimana Santa, la grande Settimana del anno liturgico e della vita cristiana. In questa Domenica leggiamo un brano del capitolo 12 di Giovanni, prima d’iniziare il grande racconto della Passione, che comincia con il famoso gesto della lavanda dei piedi.

Questo brano di Giovanni ci presenta a Gesù in Gerusalemme, durante una festa ebraica, alla quale partecipavano persone venute da diverse parti del mondo. Tra queste persone c’erano –si dice– alcuni “greci” che volevano vedere Gesù, il quale pronuncia un breve ma significativo discorso.  Vediamo:

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  • “Vogliamo vedere Gesù”

In primo luogo, fissiamo la nostra attenzione su questi “greci” che volevano vedere Gesù. In realtà, quando l’evangelista scrive questo vangelo, esistevano già delle comunità di discepoli e discepole, cristiani a cristiane, che procedevano dalla cultura “greca”, che era la cultura dominante dell’epoca, qualcosa di simile alla nostra “cultura globale” di oggi. Questa presenza di “greci” nelle comunità di discepoli fu, di facto, un grande balzo in avanti, culturale e religioso. La grande proposta di rinnovamento umano e spirituale di Gesù, pensata in primo luogo per il popolo ebraico, si aprì abbastanza presto a genti di altri popoli, culture e riti religiosi…

A partire da quella prima apertura, il cristianesimo (il discepolato di Gesù) si aprì sempre più a nuovi popoli superando continuamente nuove frontiere. In ogni epoca storica degli ultimi venti secoli, nuovi gruppi umani hanno detto: “Vogliamo vedere Gesù”. E in dietro a quelli primi missionari, Andrea e Filippo, sono venuti Paolo, Ireneo, Agostino, Patrizio, Francisco Javier, Comboni… e tanti altri.

Siamo convinti che anche oggi ci sono molte persone e gruppi umani, aldilà di ogni frontiera geografica o culturale, che desiderano vedere Gesù, conoscere il vero Gesù, il Gesù che parla al cuore di ogni persona e cultura, il Gesù che porta la Verità, il perdono gratuito, l’amore senza condizioni, un progetto di umanità fraterna e giusta…

Oggi, come ieri, l’umanità ha bisogno di nuovi “Andrea e Filippo”, persone che conoscono Gesù personalmente (no dai libri ma dalla loro esperienza di vita), persone che hanno trovato questo “tesoro” che è la persona di Gesù e sono disposti a agire da “facilitatori”, in modo che anche altri conoscano e godano la parola, l’amore e la persona stessa di Gesù.

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  • Se il grano di chicco non muore…

Quando gli presentano i “greci”, Gesù pronuncia un breve discorso che può apparire enigmatico ad alcuni, ma che a me sembra abbastanza chiaro, se ci prestiamo un po’ di attenzione. Vediamo:

  1. E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. Qui e in altre parti del vangelo Gesù parla della sua “ora” e della sua “gloria”. Penso che nel nostro linguaggio potremo usare parole come “Trionfo”, “vittoria”, “Stima”, “riconoscimento”… Gesù, come tutti noi, ha bisogno di cercare il trionfo, la stima, l’onra… Ma la grande differenza tra Lui e noi e che la “gloria” che Lui cerca non è la “vanagloria” o una soddisfazione auto-referenziale, ma la “stima”, il “riconoscimento” che viene dal Padre. Questo riconoscimento, Gesù lo condivide con i discepoli, con i semplici, con i veri adoratori di Dio.
  2. Se il grano di Chicco caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Questa frase è molto conosciuta ed è entrata nella nostra cultura, con un significato abbastanza chiaro: La vita nasce dal sacrificio di qualcuno; la gloria, il trionfo, la vittoria non accadono senza sacrificio e dolore. Nella bocca di Gesù, queste parole parlano chiaramente della sua morte, che Lui è disposto a accettare sicuro che dalla sua morte nascerà una nuova vita per il mondo.
  3. “Chi ama la sua vita, la perde…”. L’esempio del grano di Chicco vale per Gesù, ma anche per tutti noi. La frase ci fa ricordare la parabola dei talenti, in cui si condanna il servo che per paura nasconde il talento ricevuto senza negoziarlo per farlo rendere altri talenti. La vita non si può viverla nella paura e nell’egoismo. Deve essere vissuta nella generosità, nella donazione e nel servizio. Come ha detto un famoso poeta, “la vita ci è stato donata e noi la meritiamo donandola”.

Queste parole di Gesù non sono delle “belle parole” di laboratorio filosofico. Sono l’espressione veritiera della sua propria vita, totalmente consegnata al Padre per il bene dei suoi figli. Gesù non si è tirato indietro davanti alle sofferenze e alla stessa morte. Ha saputo morire nella fiducia che dalla sua morte nascerebbe una nuova vita per l’umanità, come di fatto sta accadendo.

Contemplando Gesù nella sua parola, nella sua comunità, nella Eucarestia, nel lavoro, nelle persone bisognose, vicino alla settimana di Passione, anche noi siamo spinti a donare la nostra vita con generosità e fiducia, senza paura di spenderla per amore, sapendo che questa “spendersi”, questo “donarsi” è il migliore modo di  “guadagnare” la vita per sempre.

Antonio Villarino

Roma