Laici Missionari Comboniani

Mozambico: NO agli ‘arraffa-terre’

Mozambique

Una trentina di missionari e missionarie comboniani che lavorano nelle province comboniane d’Europa hanno partecipato al “Simposio di Limone 2015”, un evento organizzato dal Gruppo europeo di riflessione teologica (Gert), dal 7 all’11 aprile presso la casa natale di Comboni a Limone sul Garda (Italia). Il tema di quest’anno è stato: “Essere buona notizia oggi in Europa: consolidare, approfondire e immaginare”. Alla fine del Simposio, i partecipanti hanno anche firmato un comunicato condannando il progetto del Ministero dell’Agricoltura e Sicurezza Alimentare del Governo mozambicano che sta per concedere 102.000 Km2 di terre fertili (un terzo dell’Italia) al Consorzio ProSAVANA composto da imprenditori mozambicani, giapponesi e brasiliani. Pubblichiamo di seguito il comunicato dei missionari.

 

Mozambico: NO agli ‘arraffa-terre’ Mozambique

In Mozambico è in atto in questi giorni un altro gravissimo capitolo dell’accaparramento di terre: il cosiddetto arraffa-terre ‘land grabbing’.

Infatti il Ministero dell’Agricoltura e Sicurezza Alimentare del Governo di Maputo ha pubblicato un documento di 204 pagine nelle quali si configura la cessione di 102.000 Km2 di terre (un terzo dell’Italia) al Consorzio ProSAVANA composto da imprenditori mozambicani, giapponesi e brasiliani. Queste fertilissime terre si trovano nelle regioni settentrionali di Nampula, Niassa e Zambézia. In queste regioni sono concentrate 4.200.000 persone; è incredibile che il Mozambico che può contare su circa 30 milioni di ettari coltivabili, ceda 10,2 milioni di ettari ad un consorzio privato.

Il Governo di Maputo afferma che questo progetto servirà ai piccoli agricoltori e all’alimentazione della gente, mentre si sa molto bene che tale progetto utilizzerà pochissima mano d’opera locale perché verranno impiegati mezzi meccanici di alta tecnologia e il prodotto finale servirà unicamente all’esportazione.

Dove andrà a finire tutta questa popolazione che verrà rimossa dalle loro terre? E poi quale sarà l’impatto ambientale di un tale mega-progetto? Che ricaduta avrà sulle falde acquifere? E infine, che effetti politici avrà sui fragili equilibri su cui oggi si regge la pace in Mozambico?

In appoggio alle associazioni contadine locali e ai nostri confratelli e consorelle che con loro lavorano, noi missionari, missionarie, secolari e laici comboniani d’Italia e d’Europa riuniti qui a Limone sul Garda nella casa di San Daniele Comboni, lanciamo un grido di allarme contro questo ennesimo atto di ‘land grabbing’ che verrà pagato pesantemente dagli oltre 4 milioni di persone che vivono in quelle regioni.

Mozambique

Limone sul Garda, 10 Aprile 2015

Padre Alberto Pelucchi, Vicario Generale dei Missionari Comboniani
Padre Alex Zanotelli, Direttore di Mosaico di Pace, Napoli
Padre Antonio Guarino, Castel Volturno, Napoli
Padre Antonio Porcellato, SMA, Vicario Generale, Roma
Padre Arlindo Pinto, Coordinatore di Giustizia e Pace, Roma
Padre Benito De Marchi, Inghilterra
Padre Dario Balula Chaves, Portogallo
Padre Domenico Guarino, Palermo
Padre Efrem Tresoldi, Direttore di Nigrizia, Verona
Padre Fernando Zolli, Firenze
Padre Gianluca Contini, Roma
Padre Gino Pastore, Troia
Padre Giorgio Padovan, Brasile
Padre Giovanni Munari, Superiore Provinciale dei Comboniani in Italia
Padre Guillermo Aguinaga, Polonia
Padre Juan Antonio Fraile, Spagna
Padre Karl Peinhopf, Superiore Provinciale dei Comboniani di lingua tedesca
Padre Martin Devenish, Superiore Provinciale dei Comboniani del Regno Unito
Padre Ottavio Raimondo, Bari
Padre Palmiro Mileto, Bari
Padre Pierpaolo Monella, Limone sul Garda
Suor Dorina Tadiello, Superiora Provinciale delle Comboniane in Italia
Suor Fernanda Cristinelli, Comboniana, Roma
Suor Kathia Di Serio, Comboniana, Verona
Carmelo Dotolo, Pontificia Università Urbaniana, Roma
Clara Carvalho, Secolare Comboniana, Portogallo
Comunità Laici Missionari Comboniani, La Zattera, Palermo
Felicetta Parisi, Napoli
Fratel Friedbert Tremmel, Germania
Maria Lucia Ziliotto, Secolare Comboniana, Treviso

Allegati:

Comunicado_de_imprensa_ProSAVANA.pdf

Master_Plan_ProSAVANA.pdf

Mangiare insieme, aprire la mente, diventare testimoni

Commentario a Lc 24, 35-48, Terza Domenica di Pasqua, 19 aprile 2015
Leggiamo oggi l’ultima parte del capitolo 24 di Luca. Dopo l’episodio dei due discepoli di Emmaus, che riconoscono Gesù nel “partire il pane” e che tornano a Gerusalemme per condividere quello che hanno vissuto, Luca ci racconta come Gesù si manifesta a tutto il gruppo, nel cenacolo, dove la comunità è radunata, anche se piuttosto triste, confusa e piena de dubbi. Nel testo che leggiamo oggi possiamo trovare molti spunti di meditazione. Io mi trattengo soltanto in tre:

MinoCenaEcologica1) L’importanza di mangiare assieme: “Mangiò davanti a loro”.
Luca ci racconta che, visto che i discepoli erano rimasti sotto shock e stentavano a credere quello che vedevano, Gesù domandò un po’ di cibo e si mise a mangiare davanti a loro. Mangiare con qualcuno è sempre stato un gesto di grande significato sociale. Mangiare assieme unisce le famiglie, accresce le amicizie, stabilisci vincoli sociali… e perfino favorisce gli affari.
Per quello che ci dicono i vangeli, Gesù andava frequentemente a mangiare nelle case delle persone più diverse: per festeggiare un matrimonio (Cana), per celebrare una nuova amicizia (con Levi), per trovare dirigenti sociali (farisei)… Gesù comparava anche il Regno di Dio con un banchetto a cui ci invita Dio. Mangiare assieme è un segno della nuova fraternità umana che Gesù ha annunciato nel nome del suo Padre celeste; e di questa fraternità, sigillata con il suo corpo e sangue consegnati sulla croce, è anticipazione l’ultima cena.
Gesù ha fatto della cena comunitaria un segno della sua presenza tra i discepoli, compagni nella lotta in favore del Regno di Dio in un mondo frequentemente ostile. Certo che tutto può essere falsato, come succede con certe cene ipocrite, che non sono quello che appaiono. E questo può capitare anche con il grande sacramento della presenza viva di Gesù in mezzo a noi: l’Eucarestia. Possiamo falsarla, e di fatto lo facciamo. Ma, se la viviamo onestamente, l’Eucarestia diventa il grande segno di una umanità rinnovata, di una Chiesa che ascolta la Parola a condivide il pane. Se viviamo l’Eucarestia sinceramente, Gesù è presente tra di noi, la comunità cresce nella comunione (inclusa la condivisione dei beni necessari per la vita) e l’umanità trova nel suo seno questo fermento di vita nuova, capace di farla crescere in giustizia, pace, riconciliazione e amore.
2) Menti aperte: “Le aprì le menti per capire le Scritture”
Gesù apre loro l’intelligenza per capire le Scritture a partire da quello che stanno vivendo, e per capire quello che vivono a partire dalle Scritture. Questo capitava già quando Gesù camminava sulle strade della Galilea e della Giudea. Precisamente per questo Gesù era il Maestro: aveva parole luminose, chiare, rilevanti, che erano come delle lampade che illuminavano la realtà. Ascoltandolo era facile capire come, per esempio, guarire un paralitico era più importante che seguire alcune norme religiose; che il Padre si rallegra tanto quando un suo figlio pentito torna a casa dopo una brutta esperienza; che aiutare un sconosciuto ferito ci fa diventare veri figli del Padre… che la sua propria morte trovava un senso nella fiducia assoluta e nell’amore definitivo di un Dio che non ha paura di “perdere” la propria vita per amore.
Per tutto questo, fino a oggi, e per secoli futuri, i discepoli ci raduniamo regolarmente: per ascoltare la parola di Gesù, per farci illuminare da essa in un dialogo fecondo tra vita e parola. A partire della vita cappiamo meglio la parola e, leggendo la parola, cappiamo la vita. E in tutto questo esperimentiamo che Gesù vive in mezzo a noi e ci accompagna nel nostro camminare.

P10009163) Diventare testimoni “Il suo nome sarà predicato a tutti i popoli”
Ascoltare la parola luminosa di Gesù, mangiare con Lui e con la comunità dei discepoli, esperimentare la presenza dello Spirito nella mia vita e nel mondo, è il più grande dono che ho mai potuto ricevere. Questo ha trasformato la mia vita, facendomi sentire figlio amato e fratello tra fratelli. Per questo, come Pietro e Paolo, come Luca e tantissimi altri discepoli, anche io sono un testimone, un missionario, qualcuno che vuole condividere con il mondo il dono ricevuto. Diventare testimoni di Gesù nel mondo è la più fascinante missione che una persona può avere.
La missione non è una carriera orgogliosa per fare proseliti di una setta, neanche propaganda di una ideologia o diffusione di un sistema religioso… La missione ci fa umili testimoni di un dono ricevuto: una Parola che da senso alla nostra vita nel mondo, anche in mezzo a contradizioni, nostre ed altrui; una fraternità che impariamo a costruire giorno dopo giorno, non perché noi siamo migliori degli altri, ma perché siamo discepoli, disposti a imparare, anche se questo grandioso progetto del Regno ci supera grandemente; una esperienza dello Spirito che, secondo la promessa di Gesù, ci guida, nella libertà e nell’amore, in mezzo a difficoltà, contradizioni e peccati.
Grazie, Gesù per la tua Parola; grazie per la tua cena di fraternità; grazie per il tuo Spirito che ci accompagna e ci guida in questa dolce missione di diventare tuoi testimoni, “per la vita del mondo”.
Antonio Villarino
Roma

Visita alla casa di missione di Santa Terezinha, Laici Missionari Comboniani

RayleneIl mio viaggio alla casa di Missione dei Laici Missionari Comboniani (LMC) ha avuto luogo tra il 4 e il 10 marzo di quest’anno. Ho avuto la fortuna di incontrare i Missionari Comboniani in agosto 2014 a Piquiá, Açailândia (MA) e questa visita ad Ipê Amarelo, è stata certamente di grande ispirazione per la mia vocazione; incontrare più laici ed osservare le loro azioni e attività è stato sicuramente il modo per chiarire questi anni della mia vita dedicati alla missione.

“Eccomi qui, con piacere, a fare la Tua volontà Signore” (Salmo 39)

Ho partecipato all’incontro per la Pastorale per la Cura dei bambini, al workshop di pittura per donne, gruppi di giovani, discepoli di Emmaus, alle catechesi e alla via crucis nella comunità. Attività che svolgo nella mia comunità di San José de Egypt, Parrocchia di nostra Signora di Fatima ad Imperatriz / Maranhão.

Nei giorni in cui ero a Nova Contagem, Minas Gerais, ho avuto modo di vedere i progetti, quali il progetto di Giustizia e Pace della Casa Comboniana , lo spazio denominato “Speranza” nella comunità di Nostra Signora Ausiliatrice – ACCSA e, attraverso alle nostre conversazioni con Lourdes, persino il progetto della Scuola industriale di Carapira nel Mozambico

Indubbiamente, ciascun dettaglio ha segnato questa mia esperienza, in particolare l’affetto di tutti, la condivisione e le richieste di preghiera di Lourdes per ciascun membro delle comunità che abbiamo incontrato, è stato importante in questo momento in cui dovrò prendere una decisione.

Raylene “Dormii e sognai che la vita è gioia. Mi svegliai e trovai che la vita è servizio. Servii e ritrovai la felicità”.

Raylene Bananeira

Imperatriz-Maranhão

Convegno in occasione dei 150 anni del “Piano per la rigenerazione per l’africa”

congreso RomaAFRICA, CONTINENTE IN CAMMINO.

Cari amici, partecipando al Convegno del 13-14-15 Marzo 2015, “Africa in cammino” organizzato in occasione dei 150 anni del “Piano per la rigenerazione dell’Africa” del nostro fondatore S. Daniele Comboni, vi offro come riflessione la sintesi conclusiva di Fulvio del Giorgi, che coglie la sostanza dei lavori di questi tre giorni, vissuti intensamente e gioiosamente nello scambio e nell’incontro di tutta la famiglia comboniana.

Il Convegno ha visto la sua conclusione con la celebrazione eucaristica, celebrata da S.E.R. Card. Fernando Filoni.

Ringraziamo la madre generale Luzia Premoli che ha aperto i lavori donandoci il benvenuto ed esponendoci il programma di questi giorni e ringraziamo anche il padre generale Enrique Sanchez González che ha chiuso i lavori con un invito a sviluppare nella nostra vita e nella nostra missione le riflessioni che sono emerse nel convegno. “Abbiamo fatto un cammino insieme come un’opportunità per ricevere un’aria nuova, fresca, un’aria che riconosciamo che stà cambiando l’umanità e non possiamo negarlo. Ora partendo con questa sensibilità nuova – dice p. Enrique- il sogno del Comboni si rivela bello, attuale e una grande sfida.

Ricordiamoci che l’Africa non ha bisogno di benefattori, perché è capace e sempre più consapevole di se stessa e i nostri missionari se ne rendono conto sul campo.

Non è accidentale che i nostri istituti si stanno rinvigorendo attraverso tanti fratelli che vengono dall’Africa e questo dimostra quanto è veritiero il “Piano” del Comboni. L’Africa deve diventare protagonista della sua storia.

congreso RomaIl dono ricevuto da Comboni è un dono, non tanto per lui ma per tutti quelli che dopo di lui ne vivono la forza dello Spirito in esso contenuto.

Perché l’Africa ha qualcosa che nessuno ha. Ha una vita propria, è un dono particolare, prezioso per tutta l’umanità. Non si può spiegare, deve essere vissuto; è un’esperienza d’amore. Quindi auguro a tutti di continuare questo cammino, di continuare questa esperienza d’amore con una nuova freschezza per una nuova giovinezza africana”.

Vi lascio dunque questa bella sintesi sui temi del Convegno curata da Fulvio De Giorgi e che ho portata a casa per condividerla con voi! Un saluto e buona missione a tutti.

Rosanna Braglia, LMC Italia

 

 

congreso Roma“Vedendo tutto questo, se Daniele Comboni, fosse qui avrebbe il cuore pieno di consolazione e gioia, vedere l’Africa cosi cresciuta. Vedere i figli e le figlie dei suoi istituti coinvolti in questo grande progetto.

Vedere il suo sogno, in parte compiuto con tanti frutti, anche e soprattutto nel laicato delle donne e in parte, pista per le intuizioni ancora da seguire nel futuro.

Questo il principale frutto del nostro convegno che continua a chiamarci ad una svolta. E’ fondamentale dirlo, che tutti hanno sottolineato, è che non ci deve mai più essere: uno sguardo negativo, catastrofico e triste, sull’Africa.

Papa Francesco ci ricorda che “Può essere missionario solo chi cerca la felicità del prossimo!”.

Partendo dal pensiero del Comboni che diceva “E’ il Sacro Cuore di Gesù che mi fa sormontare tutte le enormi difficoltà per realizzare il mio ‘Piano di rigenerazione della nigrizia con la nigrizia stessa!’.

Le parole chiave, sono due: “PIANO” e “CUORE”.

Prima parola “PIANO”. Cos’è un Piano? E’ un progetto che mette alla prova le capacità critiche di ciascuno e che impegna le volontà sorrette da una grande speranza.

Sono chiamati tutti da ogni continente a decolonizzare la nostra speranza, i nostri disegni, piani, sguardi, affidandoli ad una speranza che è più grande di noi e che ci sorregge nelle fatiche.

La decolonizzazione dello sguardo, rende limpido il nostro occhio e ci fa vedere un’Africa che continua a crescere, alla quale l’Europa può essere patners dei fattori positivi. Un giovane Rinascimento africano in atto.

L’Europa può cooperare, camminando insieme in amicizia.

L’Africa degli africani ci ha detto che vuole vivere in pienezza la sua vita, accanto a tutti i popoli.

Dunque decolonizzando lo sguardo e superando stereotipi, la diaspora e l’emigrazione trans-continentale in tutte le direzioni sono una risorsa, nonostante sia causata da squilibri interni al Paese a causa di grandi sofferenze.

Ma è importante non fissarle per sempre in un orizzonte negativo di morte, ma liberarle e rigenerarle come occasione, come chance per un mondo più plurale e più bello.

Ecco ‘più bello’, le mostre fotografiche esposte qui, le sculture, il films, la musica offerta in questo convegno, ci fanno constatare l’insieme di grande bellezza e di creatività estetica che ci viene dalla nuova arte, dalla nuova cinematografia. E la nostra speranza vede cosi meglio la tramatura positiva che si ricostruisce in un progetto, e in un piano che cresce intorno a noi.

“Piano”, richiama ancora l’appianare; cioè colmare le valli e abbassare i monti, mettere tutti sullo stesso “Piano”.

E qui il discorso richiama quello di Matteo, quello di Gesù sulla montagna; Luca chiama il discorso del ‘piano’ della pianura e Luca dice anche “Guai a voi ricchi…”.

Se siamo sullo stesso ‘piano’ ci guardiamo direttamente negli occhi, cosi le ingiustizia, le disuguaglianze, diventano intollerabili. “Rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili” è la dinamica del MAGNIFICAT.

Capiamo cosi come ci ha detto Samia Nkrumah (ministro nel suo Paese) che è giusto che gli africani possono controllare la loro economia a beneficio degli africani stessi e che ritrovano la via del Pan-africanesimo.

Appianare, significa colmare le valli o i baratri della corruzione delle liste di governo.

Riconoscere che il cammino della democrazia africana deve essere autonomo e nuovo e non nelle forme europee; certo sarà un cammino che presenta luce e ombre, di governi corrotti e dittatoriali che neanche un fallimento delle leadership africane, deve rallentare la coscientizzazione dei cittadini, per migliorare le dirigenze politiche che siano disinteressate per formare agenti di “trasformazione sociale” come diceva Efrem Tresoldi (Nigrizia), citando Pierli.

“Appianare” significa abbattere le montagne delle inimicizie e degli odi, delle guerre interne e montagne di armamenti come ci ha mostrato Maurizio Simoncelli (Archivio Disarmo); “cercando sempre la via appianata della pace e della stabilità” come ha osservato Alfredo Mantica (interventi dell’Italia in Africa).

E allora le Afriche al plurale, verso le quali continua il nostro cammino, sono l’ Africa della giustizia, l’ Africa della Pace, l’ Africa della salvaguardia del creato, l’ Africa dei diritti.

Ma “Piano” ci dice pure che è meglio andare ‘piano’. Chi conosce le lettere che scriveva Comboni ai suoi missionari, diceva che “Si, molti missionari hanno fretta, ma voi andate piano!”.

Elogio alla ‘lentezza’, se vuol dire “paziente perseveranza, ascolto e discernimento, camminare insieme senza lasciare indietro nessuno”. Significa dunque un piano ecclesiologico inclusivo e partecipativo e dal profilo femminile, come ha detto suor Luzia Premoli (generale comboniane) e suor Elisa Kidanè (ComboniFem), che si realizza nelle comunità di base, come ci ha detto il cardinale Peter Turkson.

Da più parti si è fatto notare l’importanza delle conoscenze storiche per superare le ferite delle discriminazioni passate e delle guerre civili più o meno recenti.

Tutti i Paesi e i Continenti le hanno vissute, ma tutti dobbiamo dirci che per andare avanti occorre parlarsi e cercare insieme una purificazione della memoria e una storia se non condivisa, almeno inclusiva da diversi punti di vista.

Ci vuole pazienza, ricerca non semplificazione sbrigative e sommarie.

Pazienza = andare piano. Anche come Chiesa che riconcilia e che vive come famiglia di Dio, abbiamo il compito di interrogarci sulla storia della salvezza che si dipana nell’oggi di Dio e sulle responsabilità alle quali siamo chiamati.

La seconda parola è “CUORE”. IL Cuore di Cristo. Il cuore ha due fondamentali movimenti di sistole e diastole.

Nel Cuore di Cristo questi due movimenti sono l’incarnazionismo e l’escatologismo.

Da una parte l’incarnazione. Il Vangelo entra e si fa carne in tutte le culture di oggi per farle fiorire alla liberazione e alla salvezza.

Un Vangelo che entra, assume su di se, si incultura, si incarna oggi nelle complessità culturali, nel pluralismo delle identità in evoluzione, nei confini intellettuali ed esistenziali, nelle culture scartate, nei crescenti meticciati culturali. Oggi il Vangelo ha un volto meticcio.

Questa incarnazione allora sa scoprire, accogliere e valorizzare, come ci ha detto (il teologo) Martin N’Kafu, tutti i segni del tempo, ovunque siano. Solo cosi, si avrà una teologia africana, non perché rielaborata in Africa, ma perché sa accogliere e far fiorire tutti i semi del Verbo sparsi nelle culture, religioni africane, senza escludere nessun tessuto culturale, geografico e umano.

Questa incarnazione come ci ha detto Cécile Kyengue (parlamentare europea), cerca il primato della vita e perciò si oppone e lotta contro il traffico degli esseri umani e contro la nuova schiavitù; cioè contro gli orizzonti di violenza e di morte in cui è Cristo stesso incarnato nei piccoli, che viene violentato e ucciso.

In questa inculturazione col passo dell’incarnazione, un grande ruolo e una grande responsabilità è affidato alla comunicazione, ai media, e al giornalismo. P. Giulio Albanese e Fabrizio Colombo hanno sottolineato questo aspetto, insieme agli ospiti della tavola rotonda.

Quindi una crescita in positivo della comunicazione dell’Africa nell’integrazione digitale e cartacea, corre sul filo della rete, ma sempre rendendo visibile e trasparente il positivo che cresce in lei, come “LA PERLA”, definita da suor Elisa Kidanè, nel rispetto profondo della persona.

Non si tratta come dice suor Elisa di dare voce a chi non ne ha, ma si tratta forse, di non darne ulteriore voce a chi ne ha troppa.

E perciò continuare a decolonizzare lo sguardo anche nella stampa missionaria comboniana.

Ma accanto al movimento dell’incarnazionismo, il Cuore di Cristo ha il movimento dell’escatologismo, cioè la capacità di staccarsi da ogni ingiustizia, da ogni idolo, da ogni orizzonte intra-mondano, tutti i cristiani di ogni continente, siamo tutti extra-comunitari in questo mondo. “Siamo nel mondo, ma non siamo del mondo”.

Françoise Kankindi ha detto “Mi sento a casa in tanti posti”. Ciò è bello ma possiamo dire di più. “Il Regno di cui siamo cittadini, la nostra vera patria, non è di questo mondo”.

Termino con un’affermazione del 12° secolo, diceva un grande mistico, Ugo da S. Vittore “Colui che trova dolce la sua patria, non è che un tenero principiante. Colui, per il quale ogni terra è la propria, è già una persona forte”.

“Ma solo è perfetto colui, per il quale tutto il mondo, non è che un Paese straniero”, io ho preso questa frase da un autore bulgaro vissuto in Francia, il quale l’ha preso in prestito da Eduard Said palestinese vissuto negli Stati Uniti, il quale l’ha preso a sua volta da un autore tedesco esule in Turchia! “

Fulvio De Giorgi

 

 

Pace, gioia, perdono, missione

Commentario a Gv 20, 19-31: Seconda Domenica di Pasqua, 12 aprile 2015

vigo-hermanitas++++In questa seconda domenica di Pasqua, leggiamo ancora il capitolo 20 di Giovanni, che ci parla di quanto è accaduto in quel “primo giorno della settimana”, cioè, al’inizio della “nuova creazione”, della nuova epoca storica che stiamo vivendo come comunità di discepoli missionari di Gesù. La presenza di Gesù vivo in mezzo alla comunità si ripete di nuovo otto giorno dopo, per toccare il cuore di Tomasso, esattamente come succede con noi ogni domenica, quando la comunità cristiana si raduna (ogni otto giorni) per celebrare la presenza del Signore.
Il vangelo ci dice che Tomaso non credette fin che non vide il costato ferito di Gesù. Precisamente da quel costato ferito, da quel cuore che amò sino alla fine, sorge lo Spirito che fa vivere la Chiesa come corpo di Cristo. Con lo Spirito la comunità-chiesa riceve i suoi doni: pace, gioia, perdono, missione. Vediamo brevemente:

P10009071) “Pace a voi”
Gesù usa la formula tradizionale del saluto tra gli ebrei, una formula che alcune culture usano ancora oggi in un modo o un altro. Nel nostro linguaggio di oggi potremmo dire: “Ciao, come stai, ti voglio bene, sono il tuo amico, voglio essere in pace con te”. Vi pare poco? A me pare moltissimo. Ricordo quando Papa Francesco, appena eletto, si presentò alla logia della Basilica di S. Pietro e semplicemente disse: “Buona sera”. E’ bastato questo piccolo saluto per che la moltitudine saltassi di gioia. Non c’era bisogno de una profonda riflessione né di una dichiarazione speciale; soltanto quello: una semplice parola di riconoscimento dell’altro con un atteggiamento di apertura e amicizia.
In questo senso, penso all’importanza e bellezza di un saluto cordiale e affettuoso tra i membri di una famiglia, riaffermando ogni giorno la vicinanza vicendevole, che riempie la vita di gioia; penso al saluto rispettoso e positivo tra i colleghi di lavoro, che fa la vita più leggera e produttiva; penso a quella mano che ci diamo durante la Messa riconoscendo nell’altro un fratello, anche se non ci conosciamo; penso al gesto di comprensione e appoggio allo straniero… Penso alla pace mondiale di cui tanto bisogno né abbiamo in questi tempi di violenza generalizzata. In tutte queste situazioni, Gesù risorto è il primo a dirmi: “Ciao, pace a te”. Così anch’io posso diventare strumento di pace.
In oltre, è interessante notare che, salutando, Gesù mostra le sue mani e il suo costato, con i segni della tortura cui era stato sottomesso. Questo vuol dire che la pace di Gesù non à una pace “buon mercato”, superficiale; è una pace a caro prezzo, pagata con la propria vita. Ci fa ricordare che salutare con la pace non sempre è facile… anzi tante volte è molto difficile. Ma Gesù –e noi con lui– è un “guerriero” della pace, una persona coraggiosa, che non ha paura della sofferenza. La pace è frutto del coraggio, non della debolezza.

2) Gioia: “I discepoli gioirono vedendo il Signore”.
L’arrivo di Gesù, con il suo saluto di pace, produce gioia. Come produce gioia, l’arrivo di un amico; come c’è gioia in una famiglia o in una comunità, quando c’è accettazione mutua. Non si tratta di una gioia “superficiale”, che nasconde le difficoltà, i problemi o i peccati; non è la gioia di chi falsa la realtà, di chi si droga con il vino, i piaceri di ogni tipo o l’orgoglio insensato.
E’ la gioia di chi si sente rispettato e rispetta; la gioia di chi si sente riconosciuto e riconosce; la gioia di chi si sa amato e ama gratuitamente; la gioia di chi crede di essere figlio del Padre. E’ la gioia di chi ha trovato un senso per la sua vita, una missione per la quale spendere il suo tempo e le sue energie, anche se questo implica lotta e sofferenza. E’ la gioia di chi ha trovato in Gesù un amico fedele, un maestro affidabile, un Signore che vince il male con il bene.

3) Perdono: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi”.
La gioia del discepolo non è quella di una persona incosciente o di chi si crede “perfetto” e capace di fare tutto bene. E’ la gioia di chi si sente perdonato e disposto a seminare perdono. Gesù risorto donò alla sua Chiesa lo Spirito del perdono, della misericordia e della riconciliazione. Papa Francesco ha ricuperato per il nostro tempo il chiamato “principio misericordia”. La Chiesa non à il luogo della Legge e della condanna, ma uno spazio dove è sempre possibile ricominciare da capo. Senza misericordia, l’umanità diventa un luogo dove non è possibile la vita, perché, alla fine, non è possibile vivere di sola legge. Noi tutti abbiamo bisogno di misericordia, pace, riconciliazione, fraternità… E tutto questo è un dono che riceve chi si avvicina nella fede al Cristo risorto.

4) Missione: “Come il Padre ha inviato me, così io invio voi.
La comunità dei discepoli, pacificata, perdonata, divenuta spazio di misericordia, si fa comunità missionaria, inviata nel mondo, per diventare precisamente questo: spazio di misericordia, di riconciliazione e di pace; quanto bisogno ne ha il mono di questo spazio! Quanto è necessario diffondere nel mondo queste comunità di discepoli di discepole che umilmente credenti diventano luoghi di saluto pacifico, di perdono e di gioia profonda!
P. Antonio Villarino
Roma