Speriamo che stiate bene. Noi stiamo benissimo. Stiamo iniziando il nuovo anno scolastico. Linda e Pius tornano nelle scuole per insegnare “abilità di vita”. Io passo sempre più tempo negli ambulatori. Sto aspettando pazientemente il mio permesso di lavoro ufficiale. Anche il nostro lavoro pastorale, il progetto Why Blue Sky a sostegno degli insegnanti, torna a svolgersi regolarmente.
Le ultime tre settimane, a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno, le abbiamo trascorse in viaggio. Subito dopo il Natale, trascorso a Kitelakapel, siamo andati nella regione del Turkana, abitata dall’omonima tribù. Ci siamo andati insieme a Guilia e Hani che sono venuti a trovarci di nuovo 🙂 . Siamo andati a visitare due missioni comboniane a Lokichar e Lodwar. Costruite da zero dai missionari comboniani. In mezzo al nulla. A Lokichar c’è una chiesa, una scuola e un centro per bambini con varie disabilità. Nei villaggi vicini ci sono altre scuole costruite dai Comboniani e consegnate alla popolazione. Lo stesso vale per Lodwar. Scuole, cappelle, centri sanitari. Dalla gente alla gente. Creati con amore per servire gli altri.
Lunedì siamo tornati da Nairobi. Abbiamo trascorso una settimana lì, espletando varie formalità, ma anche conoscendo numerosi progetti, come un centro per bambini nel mezzo della più grande baraccopoli dell’Africa, gestito da un nostro amico della comunità LMC, o la casa per bambini di strada Kivuli Center, fondata dal sacerdote diocesano Kizito. Come comunità internazionale, abbiamo anche partecipato all’incontro annuale del gruppo LMC del Kenya. Insieme abbiamo valutato il 2023 e pianificato il 2024. Durante l’incontro sono stati eletti i nuovi leader e, durante la Santa Messa solenne, una delle candidate, Mercy, è diventata ufficialmente una laica missionaria comboniana. È incredibile quanto ci sentiamo parte di questo gruppo.
Abbiamo diverse idee in testa e workshop programmati. Il nuovo anno si preannuncia intenso. Vi terremo aggiornati su ciò che accade tra noi.
L’ospitalità e l’arrivo in Kenya sono iniziati il 19 novembre 2022, accolti da p. Maciej e Linda e dai membri del LMC Kenya. Come nuovo LMC internazionale proveniente dall’Uganda mi sono state presentate tante persone e tanti luoghi a Nairobi…. Karibu Kenya.
Visitare il Peace Center, dove molte vite sono state perse a causa del terrorismo, è stato un momento di riflessione e meditazione. È stato un momento di riflessione e meditazione, per trovare grazia e pace e la divina misericordia di Dio. Riflettiamo sul mondo di oggi con la guerra tra Ucraina e Russia, la guerra in Sudan, le pandemie e le nostre lotte quotidiane con gli altri e con noi stessi.
Gratitudine
Vorrei iniziare ringraziando la mia comunità LMC Uganda e il MCCJ Uganda per tutto il sostegno finanziario, spirituale e morale che mi hanno dato per poter viaggiare, affrontare l’impegnativo ambiente dell’esperienza missionaria… Sacrificano un po’ dai loro duri guadagni per contribuire al mio mantenimento a Kitelakapel. Si riuniscono nella casa della comunità di Bugolobi Mbuya per condividere e riunirsi per incontri, preghiere, ricordi e formazione di nuovi membri. Si incontrano anche a Luwero per seminari e workshop per rinfrescare la loro fede e il loro lavoro missionario.
Grazie anche ad Alberto e al Comitato Centrale e Africano e all’équipe di coordinamento per gli addestramenti e i programmi di formazione e per tutto il sostegno morale dato in questo anno e l’incoraggiamento nei momenti difficili di paura e ansia.
Non avete scelto me, ma io ho scelto voi perché andiate e portiate frutti che durino nel tempo… Gv 15,16
La mia comunità di Kitelakapel…
Nella comunità vivono tre persone: Linda Micheletti dall’Italia, Marzena Gibek dalla Polonia e Pius Oyoma dall’Uganda. Ci prendiamo cura e ci guardiamo l’un l’altro. Siamo il primo gruppo che ha avviato la comunità internazionale a Kitelakapel, in Kenya. Riceviamo spesso visitatori dall’interno e dall’esterno del Kenya. Condividiamo insieme bei momenti di preghiera e di risate. La nostra comunità organizza giochi per i bambini. Facciamo anche vari corsi di formazione come la lingua Kiswahili, l’enneagramma, programmi di formazione, assemblee e partecipiamo alla Messa e ad altre feste in chiesa. Viaggiamo per la formazione e facciamo ritiri per i giovani.
Il Signore è amorevole e misericordioso, lento all’ira e pieno di amore costante…
Educazione….
Insegniamo Life Skills nelle scuole secondarie di St. Paul’s Boys e St. Bakita Girls boarding school. Ringraziamo i nostri sponsor che hanno sostenuto finanziariamente i costi per raggiungere le scuole più lontane e formare più di 800 studenti nell’anno accademico 2022-2023, mentre cerchiamo di aprire le porte ad altre scuole che hanno bisogno dei nostri servizi.
Il mio lavoro e la mia missione… trasformare vite…. toccare vite…. ispirare… seminare talenti… e competenze pratiche
Lasciate che i bambini vengano da me…
Attività pastorali con le piccole comunità cristiane… Jumuiya.
Un’altra delle nostre attività principali consiste nel visitare le famiglie, pregare per i malati e le famiglie in difficoltà e connettersi… essere lì… essere con le persone, facciamo anche incontri con YSC, Scuola Domenicale, Catechismo, Gruppo Bakhita, coro, Gruppo TTI.
Kitelakapel è un’area della parrocchia di Kacheliba. È ancora un’area di prima evangelizzazione. C’è una piccola chiesa, costruita dall’MCCJ, e una casa dei padri con un progetto agricolo. Non lontano da essa, l’MCCJ ha costruito una nuova casa che ci è stata assegnata, in un grande complesso. All’interno del complesso, sul lato sinistro della casa delle LMC, c’è il progetto di costruire, in futuro, un ospedale, e sul lato destro una sala e dei campi da gioco per i giovani. L’idea è di prepararsi alla possibilità che un giorno questa possa diventare una parrocchia a sé stante. È una zona molto emarginata, molto arida, dove la gente non ha accesso all’acqua e vive principalmente di pastorizia. I Pokot di quest’area rimangono piuttosto attaccati alle loro tradizioni, con bassi tassi di frequenza scolastica e bassi risultati scolastici. Appena arrivati qui, abbiamo subito individuato alcune necessità di base, in termini di lavoro pastorale, poiché sembra esserci uno scarso coinvolgimento dei fedeli nella gestione delle attività della chiesa. Lo stesso catechista incaricato è troppo impegnato per dedicare tempo ai Jumuiya e insegnare il catechismo. Solo di recente alcune donne si sono organizzate in un piccolo coro, mentre ci sono ancora lacune nell’organizzazione della pulizia della chiesa e nella fornitura di elementi essenziali come candele e altri accessori per la celebrazione della Messa.
Per quanto riguarda gli aspetti sociali, nella zona è evidente il problema della dipendenza dall’alcol, così come quello della droga, delle famiglie in disfunzione, delle gravidanze precoci e dei matrimoni precoci (con conseguente abbandono scolastico), ma siamo ancora in fase di comprensione e di scoperta dei bisogni sociali di questa zona.
Economia…
Sostenere le comunità con idee e programmi per sopravvivere ai tempi difficili dell’economia dopo la pandemia di COVID e le guerre mondiali in corso è anche parte dei miei compiti… SACCO è un sistema per incoraggiare il risparmio e lo sviluppo di prodotti per creare posti di lavoro e aumentare le entrate e i guadagni del gruppo… Sono stato nominato coordinatore del progetto per il LMC Kenya.
Benedirò i frutti del vostro duro lavoro e vi moltiplicherò… vi sosterrò con la mia destra vittoriosa… nulla vi separerà mai dal mio amore.
I miei sostenitori…
L’incontro con il nostro vescovo HENRY JUMA è stato il momento più emozionante della mia vita e questo sentimento di fede e passione mi ha fatto godere ogni momento della sua presenza… Il nostro parroco, padre Charles, un uomo amichevole e paterno e i padri della parrocchia di Kacheliba e della parrocchia di Amakuriat… Le sorelle e i fratelli comboniani e i nostri missionari laici del Kenya. Il nostro superiore provinciale p. Andrew, così accogliente, caloroso e paterno con tutti.
P. Philippe e P. Thomas, le nostre leggende del Pokot occidentale, condividono con noi i momenti più belli dei 50 anni dei Comboniani a Kacheliba. Giubileo d’oro…
Nel momento in cui vi ho incontrato, il mio valore è aumentato e questo è quanto voi siete preziosi per me…
La gioventù… giovane… l’energia e la magia.
Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, affinché vi sollevi a suo tempo. Lasciate a Lui tutte le vostre preoccupazioni, perché Lui si prende cura di voi…
Dio è il mio creatore e il mio redentore e mi ama profondamente… Shukurani…
La
Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli mette in evidenza un testimone della
missione tra gli acholi in Uganda, dove ha trascorso i 31 anni del suo servizio
missionario. Per noi comboniani un tale evento ci riempie di gioia e allo
stesso tempo di responsabilità. La Beatificazione si terrà in terra d’Uganda,
Kalongo, il 22 novembre 2020, Solennità di Cristo Re dell’Universo.
Dopo
aver sentito il parere del Padre Generale e suo Consiglio; consultato la Chiesa
locale di Gulu attraverso il suo Arcivescovo, Mons. John Baptist Odama; la
Chiesa locale di Como nella persona del suo Vescovo, Mons. Oscar Cantoni, e
anche il parere della famiglia Ambrosoli c’è stato un parere unanime che la
Beatificazione avvenga a Kalongo dove P. Giuseppe ha svolto in pienezza e totalmente
il suo servizio missionario. La data più significativa è sembrata il 22
novembre, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Ora, trattandosi di un atto
pontificio, doveva essere consultato il prefetto della Congregazione delle
Cause dei Santi, Card. Giovanni Angelo Becciu, il quale ha convintamente
espresso la volontà di presiedere la cerimonia della Beatificazione, proprio
per il significato missionario che essa riveste. Naturalmente tutto dovrà
essere sottoposto all’approvazione della Santa Sede, la quale si esprimerà con
un decreto ufficiale.
La
Beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli mette in evidenza un testimone della
missione che più volte ha espresso il desiderio di essere sepolto tra i suoi
acholi, dove ha trascorso i 31 anni del suo servizio missionario. Per noi
comboniani un tale evento ci riempie di gioia e allo stesso tempo di
responsabilità. Anzitutto il luogo dove avverrà l’evento, Kalongo (Nord Uganda)
che faceva parte del Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale di cui il
Comboni fu il primo Vicario Apostolico e inoltre il luogo dove P. Giuseppe
Ambrosoli ha espresso il meglio di sé nell’opera dell’ospedale e nella scuola
per Ostetriche.
Una
continuità significativa dunque dal punto di vista materiale, l’Uganda, estremo
lembo del Vicariato dove il Comboni ha invano sognato di arrivare e che ora
invece si realizza, attraverso P. Giuseppe, quale primo figlio dell’Istituto a
essere beatificato. Significato ancora più pregnante dal punto di vista
spirituale, e per una duplice ragione: perché anche P. Ambrosoli, come il
nostro santo Fondatore che l’ha preceduto, entra a far parte di quel fondamento
nascosto su cui si erge maestosa la Chiesa africana e poi perché riceve
ulteriore conferma il metodo inciso indelebilmente nel «Piano»: “Salvare l’Africa
con l’Africa”! Molti dunque sono i motivi per ringraziare e continuare con
novello slancio missionario per il bene della Chiesa e della società.
Forse
può sembrare un annuncio estemporaneo e fuori luogo perché ben altre sono le
preoccupazioni del momento. Tuttavia proprio per quello che padre Ambrosoli ha
rappresentato in campo sanitario: per le conoscenze e la competenza con cui ha
operato e per l’afflato spirituale con cui ha affrontato emergenze e malattie,
capiamo quanto la sua figura sia attuale e la sua intercessione necessaria. La
beatificazione si farà, sempre coronavirus permettendo, a Kalongo il 22 novembre
2020. Il luogo è altamente significativo: padre Giuseppe, sepolto tra i “suoi”,
tra i “suoi” sarà anche glorificato.
Ci
sarà la Beatificazione di padre Ambrosoli in Uganda? La domanda ha un senso
perché, tenendo presente la situazione di pandemia globale che ha colpito il
pianeta, la risposta non può che essere interlocutoria. Si, si terrà a Kalongo
il 22 novembre 2020, sempre che il COVID-19 lo permetta. Allo stato dei fatti
abbiamo i seguenti documenti a supporto di tale affermazione. La richiesta ufficiale
della Postulazione del 28 gennaio 2020 in cui si presenta al Santo Padre la
disponibilità del Card. Giovanni Angelo Becciu di recarsi a Kalongo il 22
novembre 2020 a rappresentarlo nella cerimonia di Beatificazione. Di seguito,
dietro sollecitazione della Postulazione, la Segreteria di Stato inviava il 16
marzo u.s. una lettera alla Nunziatura di Kampala. In tale documento, per la
verità datata 9 marzo 2020, si afferma che il Santo Padre ha deciso che il rito
di Beatificazione si farà a Kalongo il 22 novembre 2020 e il suo rappresentante
sarà il Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause
dei Santi. La lettera è confermata dalla Nunziatura che l’ha inviata
all’arcivescovo di Gulu, Mons. John Babtist Odama, il 17 u.s.. In una E-mail
del 23 marzo il Vicario Generale della Diocesi di Gulu, mons. Matthew Odong, conferma la recezione della lettera:
«At this point, it is very clear that the rite of beatification of the Servant
of God Father Doctor Giuseppe Ambrosoli will take place “SACRED HEART” KALONGO
PARISH». Di
fatto poi l’Arcivescovo il 21 e 22 marzo (sabato e domenica) si è recato a
Kalongo ed ha annunciato pubblicamente in parrocchia luogo e data dell’evento. “The news has been received with great joy by our
people here in the Archidiocese of Gulu». Nel frattempo si
sono tenute alcune riunioni con il Consiglio Generale e i provinciali d’Uganda
e d’Italia per coinvolgere le rispettive province, compatibilmente ai movimenti
condizionati che la situazione del momento permette. A nessuno però sfugge il
significato missionario di questa beatificazione che avviene in missione come
ultima espressione della missionarietà: lo scambio di doni tra Chiese sorelle e
quasi una identificazione in cui credibilmente un missionario, nel nostro caso
il prossimo Beato Ambrosoli, è glorificato in mezzo ai “suoi” di Kalongo. Per
adesso non cessiamo di invocarlo in un momento così preoccupante dell’umanità,
lui che ha affrontato la malattia con illuminata determinazione, ma soprattutto
con fede e carità soprannaturali.
IL LUNGO CAMMINO VERSO LA BEATIFICAZIONE
Il cammino della beatificazione di p.
Giuseppe è iniziato nel 1999, dodici anni dopo la sua morte, ossia quasi subito
dopo che il suo corpo è stato trasportato il 22 agosto 1994 da Lira a Kalongo.
Esattamente come accadeva nei primi tempi della Chiesa: ci si è potuti muovere
perché la fama di santità e l’ammirazione per p. Giuseppe, il grande dottore
dal cuore buono e dalle mani abilissime, ma soprattutto perché l’uomo di Dio,
che curava nel corpo e nello spirito, era ancora molto presente nella memoria
della gente. La gente del tempo, sia a Kalongo, come a Ronago non aveva dubbi
sulla qualità spirituale che p. Giuseppe aveva trasmesso con la sua cura dei
sofferenti e l’attenzione riservata alle mamme che dovevano partorire. Padre
Giuseppe tutelava sì la vita dei corpi, fin dal loro nascere, ma soprattutto
arrivava a guarire l’intimo delle persone.
Così il comboniano, p. Mario Marchetti, poteva
sollecitare il vescovo di Gulu, Mons. Martino Luluga, a costituire una
Commissione d’investigazione. In seguito, l’Arcivescovo di Gulu che gli era
succeduto, Mons. John Baptist Odama, iniziava il processo il 22 agosto 1999 e
lo concludeva il 4 febbraio 2001 sul piazzale antistante la chiesa parrocchiale
di Kalongo. Allo stesso tempo il vescovo di Como, Mons. Alessandro Maggiolini,
il 7 novembre 1999 ascoltava i testimoni che si trovavano a Ronago, e in genere
in Italia, chiudendo il processo il 30 giugno 2001.
A quella data si erano potute condurre a termine le
sessioni ed ascoltare tutti i 90 testimoni che avevano conosciuto p. Giuseppe.
Tra questi 62 laici, 18 missionari e preti diocesani, 10 suore. Tra i laici da
notare la folta schiera dei testimoni di Kalongo, di Ronago, paese natale di p.
Giuseppe e anche dei 12 medici che con lui avevano operato nell’ospedale della
savana. Insomma un’ampia rappresentatività della società civile e religiosa:
catechisti, insegnanti, responsabili di comunità, operai, infermieri e
infermiere, un capo di polizia e anche un generale, che per un brevissimo tempo
era stato Presidente dell’Uganda dopo il secondo Obote. «Per noi – ebbe a dire – la
morte del dottor Ambrosoli è come il crollo di un ponte. Ci vorranno molti anni
per rimpiazzarlo».
Dai documenti e dalle testimonianze emergeva chiara la
vita santa di p. Giuseppe. Riportiamo qui alcune affermazioni significative.
All’apertura del Processo, il 22 agosto 1999, Mons. Odama, in una lettera ai
vescovi della Provincia Ecclesiastica di Gulu e ai membri della Conferenza
Episcopale Ugandese descriveva la figura del Servo di Dio come segue:
«Esempio
di eroica carità e di umile servizio alle persone; un grande esempio di zelante
missionario dei tempi moderni; modello di prete e di dottore divenuto famoso
per la sua intensa spiritualità e per la coscienziosa abilità medica; un
attraente e convincente esempio di giovane moderno che ha risposto totalmente
alla chiamata di Cristo e alla sua forma di vita». «Dal suo modo di accogliere
le persone, di intrattenersi con loro, di consigliarle e di incoraggiarle – depone John Ogaba– si aveva l’impressione di trovarsi davanti a Gesù». Il
dottore Luciano Tacconi, che ha lavorato con lui a Kalongo, non ha paura di
affermare:«Per me il
segreto della “santità” di p. Giuseppe sta nella sua grande
semplicità e nell’attaccamento massimo al dovere. Gli altri medici rispettavano
e ammiravano molto la professionalità di p. Giuseppe, il quale insisteva anche
con me perché, senza fare delle prediche, dessimo il buon esempio come
cristiani con l’attaccamento al lavoro e nel rispetto della dignità delle
persone»: Allora prezioso è quanto Mons. Gianvittorio Tajana afferma
al processo: «Secondo la mentalità, oggi
vigente nella Chiesa, se l’Ambrosoli sarà proclamato santo, sarà il
santo della vita ordinaria». Certamente non una vita scialba, ma una
vita ordinaria, di ogni giorno, in cui ha fatto costantemente delle cose
straordinarie. E non può essere che così quando si incontra uno come p.
Giuseppe, come lo ricorda in un sermone Mons. Alessandro Maggiolini, vescovo di
Como:«Padre Ambrosoliha
dato volto al Vangelo con la sua vita messa radicalmente al servizio di Cristo,
dell’evangelizzazione e degli ultimi»
Il materiale raccolto a Gulu e a Como, sia testimonianze
che documenti, giungeva a Roma in Congregazione delle Cause dei Santi nel mese
di giugno dell’anno 2001 e il 7 maggio 2004 gli si riconosceva la validità
giuridica per ricostruire la vita terrena e provare la santità della persona e
dell’opera di p. Giuseppe. Dal 2004 al 2014 ci sono voluti poi complessivamente
10 anni di lavoro che hanno coinvolto il Postulatore della Causa, la
Congregazione vaticana, ossia i Teologi, i Cardinali e i Vescovi prima del
giudizio definitivo di Papa Francesco, l’unico che poteva decretare le virtù
eroiche.
Quindi nel 2009 il Postulatore della Causa faceva
stampare la Positio, la quale era
consegnata ai Consultori Teologi che nel Congresso Peculiare del 4 dicembre
2014 si esprimevano favorevolmente: 9 su 9. Uno di essi afferma:
«La figura di
Giuseppe Ambrosoli gode, e per molti aspetti, di una sua attualità specifica. È
stato un religioso, comboniano che si è impegnato a vivere i consigli
evangelici e la vocazione missionaria in una professione specifica di stile
“laicale”, come è quella del medico chirurgo. L’impegno scrupoloso
nell’attività professionale nulla ha rubato alla sua vita di preghiera e alle
esigenze della comunità: l’Eucaristia, celebrata e adorata, è sempre stato il
centro della sua giornata. Può essere perciò valido modello per i comboniani
suoi confratelli, come per ogni religioso e religiosa di vita attiva, ed anche
per i membri degli Istituti di vita consacrata. Come medico chirurgo ha molto
da dire con il suo esempio ai medici e operatori sanitari, ed è anche motivo di
speranza per volontari impegnati in organizzazioni sanitarie, spesso “no
profit” e di volontari che soccorrono infermi di malattie spesso contagiose e
mortali».
I
Padri Cardinali e Vescovi nella Sessione Ordinaria del 15 dicembre 2015,
presieduta dal Card. Angelo Amato, riconoscevano che il Servo di Dio aveva
esercitato in grado eroico le virtù teologali (fede, speranza e carità), le
virtù cardinali (prudenza, giustizia, temperanza e fortezza) e quelle annesse
(voti di castità, povertà e obbedienza e l’umiltà). Il Cardinale poi riferiva
tutto a Papa Francesco il quale, due giorni dopo il 17 dicembre, sempre del
2015, confermava l’eroicità delle virtù e scriveva un decreto con cui
riconosceva al Servo di Dio, Giuseppe Ambrosoli, il nuovo titolo di Venerabile
con cui poteva venir invocato.
Secondo
Papa Francesco la santità di p. Giuseppe poteva essere sintetizzata da due
frasi che si leggono in due sue lettere: «Le
persone devono sentire l’influsso di Gesù che porto con me;
devono sentire che in me c’è una vita soprannaturale espansiva ed irradiantesi
per sua natura»
infatti « Dio è amore. Io sono il suo
servo per quelli che soffrono». Si trattava di una motivazione spirituale
che dalla gioventù fino alla morte aveva percorso tutta la sua vita e
illuminato la sua riconosciuta professione medica. In fondo questa motivazione
spirituale risponde a una domanda che nasce di fronte alla vita missionaria del
padre: «Come è stato possibile che un uomo sia
riuscito a fare tutto quello che ha fatto e come l’ha fatto, con fedeltà,
semplicità, serenità, dono totale di se stesso e gioia fino agli ultimi e
drammatici giorni della sua vita?». La risposta andava e va cercata – sembra
dire il Papa – nella sua profonda vita spirituale. Padre Giuseppe Ambrosoli è
stato una persona che ha vissuto la vita cristiana di ogni giorno in maniera
straordinaria, cioè una vita NORMALE assolutamente FUORI DAL NORMALE. Ha
esercitato il servizio medico, non semplicemente come conseguenza della sua
fede e del suo amore, ma come parte integrante del Vangelo che predicava. Con
lui anche il servizio medico era parte imprescindibile dell’evangelizzazione.
Ci si poteva arrestare qui. E invece, no.
Per la beatificazione
mancava un ultimo gradino: il miracolo. Il sigillo che la Chiesa affida a Dio
per proporre il suo servo come intercessore ed esempio per il suo Istituto e
per la Chiesa locale, che l’ha visto nascere, e poi quella che l’ha accolto
nello svolgimento della sua missione, l’ha visto morire e ne ha conservato il
suo corpo e la memoria.
Di guarigioni e cure
straordinarie p. Giuseppe ne aveva ottenute già in vita, ma tra tutte brillava
una avvenuta nel 2008 all’ospedale di Matany, all’estremo nord est del Nord
Uganda, in Karamoja. Si trattava di una
mamma karimojong di 20 anni, Lucia Lomokol di Iriir, madre già di un bambino e
arrivata in condizioni disperate all’ospedale per un altro già morto in grembo
che le aveva causato un’infezione mortale. Tant’è che uno dei medici, il dott.
Erik Domini, responsabile del reparto Maternità, il 25 ottobre 2008 al momento
dell’accettazione tentava un’ultima disperata operazione ma senza risultato.
Poi per il progressivo peggioramento la faceva trasferire
dalla corsia generale alla sala travaglio perché pensava che non era
conveniente per le altre pazienti (mamme in attesa di parto e allattanti)
essere testimoni della morte di una giovane mamma. e perciò la faceva
trasferire nella sala travaglio. Alla
sera dello stesso giorno il dott. Erik, constatando un continuo peggioramento,
faceva chiamare il parroco di Matany, p. Marco Canovi, il quale amministrava
l’unzione degli infermi a Lucia. Riportando a casa p. Marco, il dott. Erik si
ricordava di un santino di p. Giuseppe con apposita preghiera che conservava
nel suo appartamento e ritornava in ospedale accanto a Lucia munito di quello
che lui considerava essere stata un’ispirazione inattesa. Dopo aver ricevuto
l’assenso della stessa Lucia, di sua madre e di suo marito collocava il santino
sulla spalliera del letto della moribonda e radunava le infermiere per
l’invocazione. Terminato tutto verso mezzanotte si accomiatava da loro
chiedendo di essere avvisato la mattina seguente per il funerale di Lucia. Alle
cinque del mattino si presentava e, con sua grande sorpresa, trovava Lucia
completamente cosciente e presente a se stessa. Tutti i presenti attribuivano
l’improvvisa cura all’invocazione di P. Giuseppe.
Il
vescovo di Moroto, Mons. Henry Apaloryamam
Ssentongo a cui apparteneva la parrocchia di Matany,
venuto a conoscenza del fatto, ha voluto che con un processo si raccogliesse
tutta la documentazione per sottoporla allo studio delle Cause dei Santi:
questa avrebbe detto se si trattava di un evento inspiegabile scientificamente
e se c’erano le condizioni da poter attribuire la guarigione alla potenza
divina. Così il 17 settembre 2010 iniziava il processo sul presunto miracolo,
riunendo anzitutto i testimoni presenti al fatto: il
dott. Erik Domini, ostetrico ginecologo, medico curante; il dott. Alphonse
Ayepa, medico anestesista; il sig. Daniel Irusi, infermiere; la sig.ra Betty
Agan, ostetrica professionale; la sig. ra sanata, Lucia Lomokol, contadina e
casalinga; il sig. Akol Lobokokume, membro dell’esercito e marito di Lucia; la
sig.ra Sabina Kodet, la mamma della sanata; la sig.ra Mary Annunciata Longole,
ostetrica; la sig.ra Lilian Adwar, assistente infermiera; la sig.ra Fotunate
Magdalene Alany, ostetrica e p. Marco Canovi, parroco di Matany. In più erano
chiamati di dovere, un medico specialista anestesiologo, il dott. Bruno
Turchetta e i due periti che
dovevano esaminare lo stato reale di Lucia, i
dottori: John Bosco Nsubuga e Leo Odong. Raccolta poi anche tutta la
documentazione clinica il processo si concludeva a Moroto quasi un anno dopo,
il 21 giugno 2011. Portati tutti i documenti a Roma, la Congregazione delle Cause dei Santi un anno dopo, l’11
maggio 2012, riconosceva validità giuridica a tutta la documentazione. Tuttavia si dovevano aspettare
ancora 6 anni, dal 2012 fino al 2018, perché il caso di Lucia potesse essere
esaminato.
La situazione Ambrosoli si sbloccava il 28
novembre 2018 con la Consulta Medica
costituita da 7 professori che riconoscevano, per maggioranza qualificata
(5/2), il fatto della cura da shock settico (setticemia irreversibile)
che si era risolta in maniera
assolutamente inaspettata, rapida,
completa, duratura e inspiegabile alla luce delle
attuali conoscenze mediche. Cioè
Lucia si trovava curata in maniera inspiegabile scientificamente, sia
perché la terapia chirurgica effettuata era stata incompleta non essendo stato
asportato l’utero, primaria causa e focolaio di infezione, sia perché era stato
sospeso il farmaco considerato salvavita, la dopamina, non essendocene più in
ospedale. Nel loro linguaggio specialistico i
professori avevano fatto scrivere: «Shock settico secondario dacorioamnionite
purulenta putrefattiva ((taglio cesareo ed estrazione del feto morto e
putrefatto).
Tromboflebite pelvica e tromboflebite profonda della grande safena dell’arto
inferiore sn. con dermatite gangrenosa della metà inferiore della gamba”. Questo era il passaggio decisivo che permetteva di
procedere oltre.
Ora bisognava dimostrare che
l’invocazione era avvenuta nel momento del peggioramento fatale dello stato di
Lucia; che in quel momento si era invocato p. Giuseppe Ambrosoli e che dopo
tale invocazione si era verificato un cambiamento repentino positivo. C’erano
10 testimoni oculari a testimoniare che per iniziativa del dott. Erik Domini
era stato invocato p. Ambrosoli e altrettanti che avevano assistito quella
notte al viraggio dello stato di salute di Lucia. Chi conosce la materia può
ragionevolmente affermare che da mezzanotte alle cinque, come è il nostro caso,
un tale cambiamento può essere definito rapido. Infatti 7 mesi dopo
l’inspiegabilità della cura, affermata dai medici, il 13 giugno 2019 il Congresso Peculiare dei Consultori
teologi ha potuto appurare l’evento della preghiera rivolta a p. Ambrosoli e il
miglioramento repentino dello stato di salute di Lucia Lomokol.
Con questi dati, cinque mesi dopo, il 19
novembre 2019 i Cardinali e i Vescovi nella loroSessione Ordinariapresieduta dal Card. Giovanni Angelo
Becciu decidevano di portare il caso al Santo Padre. Questi, 9 giorni dopo, il
28 novembre 2019 riconosceva il carattere soprannaturale della cura di Lucia,
quindi il miracolo e comandava di preparare un Decreto con valore giuridico e
da inserire negli Atti della Congregazione dei Santi: Ecco le testuali parole:
«Constare de miraculo a Deo patrato per
intercessionem Ven. Servi Dei Iosephi Ambrosoli, Sacerdotis professi
Missionariorum Combonianorum Cordis Iesu, videlicet de celeri, perfecta ac
constanti sanatione cuiusdam mulieris a (Si tratta di un miracolo compiuto
da Dio per intercessione del Venerabile Servo di Dio Giuseppe Ambrosoli,
sacerdote professo dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, vale a dire di
una cura rapida, perfetta e duratura di
una signora) da Shock settico secondario da corioamnionite purulenta putrefattiva.
Tromboflebite pelvica e tromboflebite profonda della grande safena dell’arto
inferiore sn. con dermatite gangrenosa della metà inferiore della gamba».
Se si sta bene attenti, in tutto questo lungo
percorso fino alla Beatificazione, il Santo Padre si è lasciato guidare dalla
presenza di due principi spirituali: l’eroicità
delle virtù e la preghiera di intercessione. Ora l’evento del miracolo e
della beatificazione possono porre due domande: perché questa grazia a una
karimojong e a una mamma e perché l’evento della celebrazione proprio a
Kalongo? Secondo logiche umane tutto
avrebbe dovuto sconsigliare tale coincidenza: spesso tra etnie diverse non
corre buon sangue e la condizione femminile è l’anello più sottoposto a
sfruttamento nella società e inoltre Kalongo è un luogo al di fuori dei
circuiti che contano. Eppure è proprio qui che la maniera di vivere la missione
di p. Giuseppe Ambrosoli ha dato esempi che non potranno mai più essere dimenticati:
qui ha accolto e difeso sempre tutti; qui si è messo a servizio della vita
nascente e qui ha esercitato la sua straordinaria professionalità medica nella
semplicità e nell’umiltà.
L’evento della Beatificazione di p. Giuseppe
Ambrosoli non potrà dunque essere vissuto, nell’oggi della vita cristiana, che
come evento di fede, di comunione e di gioia.
Dal 6 gennaio al 7 febbraio, la Provincia comboniana dell’Uganda ha ricevuto la visita ufficiale del Superiore Generale, P. Tesfaye Tadesse, e dell’Assistente Generale, P. Pietro Ciuciulla. Durante la visita, P. Tesfaye e P. Pietro si sono incontrati anche con i Laici Missionari Comboniani ugandesi (nella foto).
Il Superiore Provinciale, P. Achilles Kiwanuka Kasozi, mettendosi in comunicazione con le varie comunità della Provincia, ha fatto sì che P. Tesfaye e P. Pietro potessero visitare tutte le comunità e incontrare tutti i confratelli. Così, quasi in tutte le comunità hanno potuto avere incontri personali con ognuno dei confratelli e incontri con tutti i membri della comunità assieme, con un riscontro delle loro osservazioni sulla situazione delle comunità.
Il Padre Generale, nei suoi messaggi ai confratelli, ha sottolineato la necessità della riconciliazione per una vita comunitaria proficua e, per lo stesso motivo, ha suggerito ai confratelli di tenere regolari incontri comunitari e pastorali. In particolare, ha sottolineato la vita di preghiera, sia a livello personale che comunitario, dicendo che una comunità che prega insieme, rimane unita.
La Provincia è molto grata per questa visita che è un segno di comunione con tutto l’Istituto e un incoraggiamento ai confratelli nei diversi contesti missionari della Provincia.
“I nostri bambini hanno appena terminato il loro periodo di vacanze. Questa volta è durato insolitamente a lungo: 3 mesi. Il motivo è stato l’elezione del nuovo presidente dell’Uganda, il 18 febbraio 2016. Per fortuna tutto è andato bene e non ci sono stati grossi problemi. In meno di tre settimane sarò di nuovo in Polonia: qualcosa finisce, qualcosa di nuovo inizia. Durante queste vacanze, ho trascorso la maggior parte del tempo con i bambini più piccoli che hanno qualche problema a scuola, una sorta di corsi di recupero. Dopo i lavori di ristrutturazione, abbiamo tenuto le lezioni nella sala da pranzo, trasformata in aula scolastica. Abbiamo passato un mucchio di tempo lì, imparando ma anche divertendoci. Abbiamo dipinto, modellato con la plastilina, colorato e ritagliato: cose normali, in Polonia ma, per i miei bambini in Uganda, cose speciali e nuove”.
Oltre a lavorare nell’amministrazione, tengo i bambini e faccio l’assistente sociale. Ho scoperto che questo è il posto migliore per me; è incredibile e sorprendente, perché non era quello che volevo fare. La missione insegna l’obbedienza e l’impegno nei posti in cui è necessario, non dove uno pensa che dovrebbe andare. A volte la nostra immaginazione non coincide con la realtà; il nostro punto di vista è diverso da quelle che sono le vere necessità del mondo. Scopriamo che le nostre ere necessità sono il tempo, la preghiera e, soprattutto, l’apertura allo Spirito Santo. Abbiamo bisogno di tutto questo per scoprire quello che Dio vuole veramente da noi, in un determinato luogo. Non posso dire di saperlo fin dall’inizio, ma continuo a cercare. Sto iniziando a capire perché sono stata mandato qui. Ora, mentre sta per finire il mio periodo missionario di 2 anni, so che tornerò qui, tra questi miei bambini, a St. Jude.
St. Jude non è solo i bambini, ma anche persone che lavorano qui. Le donne che si prendono cura dei bambini e con cui ho trascorso tanto tempo. All’inizio ero impegnata nella gestione di tutti i dipendenti; una cosa davvero difficile, essendo io la persona più giovane qui, e dovevo diventare un supervisore. Avrei dovuto controllare e valutare. Non era una situazione facile, perché ero venuta qui per aiutare, non per controllare. Tuttavia, come ho già detto, la missione insegna l’umiltà, ma insegna anche a capire te stessa, le tue conoscenze e comportamenti. Devo ammettere che a volte le cose più semplici si sono concluse con qualche incomprensione. Il modo di essere, di parlare, i gesti sono stati interpretati in modo errato. Per fortuna, con il tempo, abbiamo imparato gli uni dagli altri.
La missione è anche comunità, piuttosto eccezionale nel mio caso. Siamo stati mandati in un posto totalmente nuovo e abbiamo creato una comunità a Gulu, come a Matany, dove lavora Danusia (un’altra LMC). Eravamo in quattro, giovani e inesperte: tre polacche e una spagnola. Anche il tempo che abbiamo trascorso pregando, parlando e riposando ma anche discutendo e creando qualche malinteso, è stato bello e intenso. Ciò che ci ha sempre unite, però, è stata la missione, la gente e, soprattutto, la preghiera. Ognuna di noi è un’immagine diversa di Dio, ma con la stessa fede e con un grande cuore aperto.
A nome della mia comunità e mio, vorrei ringraziare tutti voi, per ogni piccolo gesto, per le cartoline e i messaggi di posta elettronica. A nome dei miei bambini, desidero ringraziarvi per tutti gli aiuti economici, grazie ai quali i nostri bambini hanno ora delle divise nuove e del cibo migliore, abbiamo potuto curarli meglio e… colorato il loro mondo. Ma soprattutto vorrei ringraziarvi per ogni vostra preghiera, per ogni pensiero per noi: senza di voi, non saremmo qui
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