Qualche anno fa mi era stato chiesto di esprimere la mia idea di cattolicità ad un gruppo di giovani della regione caucasica dell’ex Unione sovietica. Non avendo padronanza specifica in materia sul piano teologico o ecclesiologico e ancor meno dottrinale, per affrontare questo tema per niente banale o secondario rispetto agli elementi che contraddistinguono le “appartenenze” cristiane soprattutto in quella parte del mondo, mi sono semplicemente avvalso della mia personale esperienza di “cattolico”, attingendo alle tante occasioni di incontro che ho potuto avere con varie realtà ecclesiali, sociali e culturali di matrice cristiana nei cinque Continenti.
In particolare, a quei giovani riuniti per un fine settimana di spiritualità e condivisione conviviale anche con le famiglie del luogo, ho accennato all’esperienza vissuta con la mia famiglia in Etiopia, unico Paese dell’Africa sub-sahariana a vantare una identità cristiana risalente ai tempi della predicazione apostolica (Atti 8: 26-27), secondo la tradizione della chiesa ortodossa Tewahedo (termine che in lingua gh’ez –idioma liturgico dell’Etiopia- starebbe per “uniti come uno”, in riferimento alla natura divina e umana di Gesù Cristo, che si riflette nello spirito di unità della Chiesa).
In Etiopia, è presente una numericamente piccola ma molto attiva e apprezzata Chiesa cattolica che si esprime nei due riti: alessandrino-etiopico, derivato dalla tradizione condivisa nei secoli (non senza incomprensioni e conflitti) con la chiesa ortodossa, e latino- romano, proprio della più recente attività missionaria iniziata nella seconda metà dell’Ottocento.
Questa diversità, sebbene a volte fonte di controversie e malintesi sotto vari aspetti su cui non è opportuno soffermarci ora, è soprattutto motivo di reciproco arricchimento sia spirituale che umano.
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L’espressione cattolico richiama immediatamente ad un valore di universalità, che per la Chiesa cattolica assume non solo e non tanto il significato di unico centro di amministrazione del “potere” in Roma per tutte le chiese sparse nel mondo, ma le riconosce in particolare la capacità di sapersi esprimere come «unità nella diversità», in una vitale pluralità di espressioni della fede cristiana. Una unità che, come sappiamo, non è certo già realizzata, ma che viene costantemente perseguita anche attraverso un paziente lavoro ecumenico per superare lo «scandalo» delle divisioni di varia natura presenti nella Chiesa e realizzare la volontà di Cristo: «che tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).
Una Chiesa, quindi, che riconosce la fratellanza dei cristiani perché uniti nell’unico battesimo, fratelli e sorelle con tutta l’umanità: una Chiesa cattolica, insomma!
E, partendo da queste semplici considerazioni, mi sono ritrovato a descrivere uno spaccato di vita “cattolica” di tanti laici missionari fidei donum che in molte parti del mondo esprimono, con la loro presenza di comuni battezzati, un senso di fraternità solidale ispirata dal Vangelo, che non ha confini geografici e non pretende di imporre barriere culturali nei confronti dei più poveri ai quali i laici fidei donum prestano il loro servizio sia di evangelizzazione che di promozione umana.
Quando, parlando con un anziano missionario, ho usata il termine “contaminazione” per descrivere una modalità con cui i laici missionari, soprattutto i giovani, sono particolarmente coinvolti nel prestare attenzione alle diverse tradizioni religiose cristiane presenti nei Paesi in cui operano, mi ha subito opposto la sua contrarietà, ritenendo tale espressione del tutto negativa, come se io volessi inquinare una fonte d’acqua pura, cioè quella che da lui giustamente era ritenuta l’“unica” Chiesa di Roma, con sostanze “velenose” sprigionate dalle diversità presenti nelle “Chiese sorelle” che, invece, proprio per le loro particolarità, contribuiscono a rendere la Chiesa davvero cattolica, universale.
Le diversità sane nella Chiesa non sono frutto di personalismi o settarismi, né tanto meno di lotte di potere, ma derivano da consolidate esperienze di condivisione della fede che si innestano, anche modificandolo, nell’albero ultra-millenario delle culture e delle tradizioni dei popoli. Come potremmo altrimenti noi “occidentali” sentirci pienamente partecipi di una fede generata in terra d’Oriente?
E’ proprio il paziente e ponderato sforzo di inculturazione del Vangelo da parte degli annunciatori della Buona Notizia, tra i quali figurano sempre più laiche e laici genuini testimoni di cattolicità a privilegio dei poveri, che rende possibile un reale radicamento della fede cristiana nella storia dei popoli e dell’umanità intera.
LAICI E MISSIONE AD GENTES – di Beppe Magri
*Giuseppe Magri è stato con la moglie Anita Cervi e la famiglia in più periodi durati anni volontario in Etiopia con l’LVIA. Ha ricoperto diversi incarichi legati al mondo missionario in ambiti nazionali. Attualmente è membro del Comitato della Conferenza Episcopale Italiana per gli Interventi Caritativi a favore del Terzo Mondo. Con Anita vive in una canonica nella montagna veronese, a servizio della comunità ecclesiale.