Laici Missionari Comboniani

Il “serpente” che ci salva

Un commento a Giovanni 3, 14-21: Quarta domenica di Quaresima, 15 Marzo 2015

In questa quarta domenica di Quaresima, leggiamo una parte del capitolo terzo del vangelo di Giovanni. Per capirlo, come sempre, bisogna fare riferimento alle Scritture e tradizioni ebraiche, poiché Gesù e i suoi discepoli erano ebrei e vivevano da tali la loro relazione con il Padre. Anche noi, in quanto discepoli di Gesù, siamo in qualche modo “ebrei” e dobbiamo partire dalle tradizioni ebraiche per capire meglio Gesù, allo stesso tempo che preghiamo lo Spirito Santo perché ci faccia sperimentare questa meravigliosa verità: che guardando Gesù sulla croce possiamo contemplare la misericordia del Padre che ci salva dalle nostre ferite e peccati.

Per la nostra riflessione ci soffermiamo su tre punti:

serpiente

1.- Il serpente nel deserto

Giovanni dice che Gesù (alzato sulla croce) assomiglia quel serpente che Mosè alzò, per commando di Dio, nel deserto per guarire i membri del popolo d’Israele, morsicati precisamente dai serpenti. La storia a cui si riferisce Giovanni ci viene raccontata nel capitolo 21 del libro dei Numeri. Dopo una lunga camminata nel deserto, arrivando a un certo luogo (dove recentemente hanno trovato delle figure di serpenti), gli ebrei se sentivano stanchi, scoraggiati, delusi… e cominciarono a criticare amaramente Dio e il suo profeta Mosè. In questa situazione, qualcosa di peggio successe ancora: apparirono dei serpenti velenosi e molti morivano a causa della loro morsicatura. Fu una esperienza tremenda di rabbia, dolore e sgomento. Ma allora gli ebrei pensarono che quella “tragedia” era frutto della sua arroganza e ribellione,  si pentirono e chiesero Mosè di intercedere per loro davanti a Dio. In risposta a le sue preghiere, Dio comanda  a Mosè di fare un serpente e di metterlo sopra un asta: “Chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”, promise il Signore.

Questa storia un po’ strana per la nostra mentalità ha, comunque, un significato molto interessante. Da una parte, aiuta a ricordare le molte ribellioni e peccati del popolo, che dimentica facilmente i benefici della Alleanza con Dio. E dall’altra, ci insegna come Dio sia capace di trasformare anche i nostri peccati in occasione di grazia.

Per me, personalmente, questa storia mi ricorda anche i miei costanti fallimenti, peccati e inconsistenze, ma senza portarmi a un senso di disperazione, perché la misericordia di Dio può far nascere acqua nel deserto e trasformare un tradimento in una occasione di amicizia.

Barrancabermeja-colombia

2.- Gesù Cristo è il “serpente” alzato sopra il asta della croce

Giovanni fa riferimento a questa storia dell’AT, ma non vuole rimanere essa, vuole portarci oltre, a un suo significato più profondo. Giovanni ci dice che Dio, come ha utilizzato lo strumento del castigo, l’immagine di quei serpenti assassini, per salvare il popolo nel deserto, così usa la morte di Gesù sulla croce (un castigo orribile e odioso) come “l’antidoto” contro il veleno della nostra ribellione e peccato. Dalla stessa materia del male, della bugia, l’arroganza e la morte, Dio nella sua misericordia infinita costruisce il bene, la verità e la vita.

Per questo noi, discepoli di Gesù, guardiamo costantemente la sua croce, non perché ci piaccia la croce (strumento di tortura e di morte) , ma perché in essa vediamo l’incarnazione dell’infinita misericordia di Dio, capace di superare la radice del male con un Amore senza limiti, con una donazione di se stesso fino alla fine. Colui che è la vita non ha paura di morire, Colui che è l’amore non ha paura di soffrire le conseguenze dell’odio.

Per noi cattolici la croce è qualcosa di molto naturale, forse anche troppo. Alcuni ci criticano questo eccesso di famigliarità con la croce, che ci può far dimenticare che la croce è un strumento di morte, come una pistola o un  fucile. Veramente, i nostri critici hanno ragione se prendiamo la croce troppo alla leggera: Si tratta di una cosa orribile e mostruosa… Ma non  più orribile a mostruosa degli assassini e violenze di ogni genere che usiamo noi umani contro altri umani. Basta guardare la TV o leggere i giornali per rendersi conto di quanto male esista nel nostro mondo. Non possiamo chiudere gli occhi.

Gesù non ha voluto fuggire da questa dura realtà umana. Al contrario, la assume, si fa solidale e ne porta le conseguenze. Come diceva Comboni, lui “fa causa comune” con ognuno di noi anche nei momenti più bui della nostra vita, anche nei momenti di peccato. E facendo “causa comune” Lui si fa incarnazione dell’amore misericordioso del Padre, un amore che fa possibile la vita dove regna la morte, la verità dove abbonda la bugia, l’amore dove cresce l’odio.

Sulla Croce Gesù ci dice che non esiste peccato che non possa essere perdonato, non esiste ferita che non possa essere guarita, non esiste situazione tragica che  non possa diventare mediazione di salvezza, poiché  l’amore di Dio non ha limiti.

3.- Credere è vivere nella luce

Giovanni conclude dicendo che chi crede sarà salvo. Chi non crede assomiglia colui che, quando si accende la luce, chiude gli occhi e si rifiuta di vedere, perché preferisce il suo proprio orgoglio e cecità. La tragedia umana consiste precisamente in questo: che molte volte preferiamo vivere nel buio del nostro peccato, dei nostri vizi, delle nostre bugie, e non aprirci sinceramente al potere misericordioso di Dio, che può trasformare il nostro peccato in “concime”  per una vita nuova.

La Quaresima è l’occasione di entrare in questa dinamica di salvezza: riconoscere in nostri peccati, alzare gli occhi alla croce di Gesù Cristo e lasciarci illuminare dalla luce di verità ed amore che viene dal costato aperto di Colui che è sulla croce. Quaresima è il tempo di lasciare che Dio penda la nostra realtà, nella sua verità, e trasformi il nostro peccato in grazia per noi stessi e per il mondo.

  1. Antonio Villarino

Roma

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