Carissimi confratelli, BUONA FESTA di san Daniele Comboni!
In quest’anno in cui celebriamo i 150 anni di fondazione del nostro Istituto, una delle belle cose che contempliamo è la celebrazione della santità di Comboni nelle comunità cristiane delle Chiese locali in cui viviamo e alle quali partecipiamo.
“Comboni, bendito é Deus em teu nome”, “Comboni, Dio è benedetto nel tuo nome”: così cantavano, carissimi confratelli, i nostri parrocchiani di Curitiba che ho incontrato durante la mia visita alla provincia e ai confratelli del Brasile. Sì, una Chiesa locale del Brasile, molto lontana dall’Africa, benediceva Dio e lodava san Daniele Comboni. Che bello che san Daniele Comboni, nostro Padre e Fondatore, sia diventato una figura così attraente, grazie alla condivisione che ne è stata fatta da parte dei Comboniani, delle Comboniane, delle Secolari Missionarie Comboniane e dei Laici Missionari Comboniani. Sì, i santi e le sante parlano a tutti, ovunque. In Mozambico, dove si celebravano, assieme ai 150 anni di vita dell’Istituto, i 70 anni di presenza e di generoso servizio dei Comboniani, nella parrocchia di Benfica-Maputo, i bravi giovani del coro cantavano “Continente Africano alegremo-nos e cantemos, o mundo inteiro alegre-se e cante dando graças ao Senhor. Foi um profeta no seu tempo. Denunciou a escravidão. Ouviu o grito dos Africanos”, “Continente Africano, rallegriamoci e cantiamo, il mondo intero gioisca e canti, rendendo grazie al Signore, perché Comboni è stato profeta nel suo tempo. Ha denunciato la schiavitù e ha ascoltato il grido degli Africani”.
Grazie Comboni! Grazie Africa, perché hai modellato Comboni e ne hai fatto un santo e generoso Uomo di Dio.
Carissimi confratelli, in quest’anno in cui celebriamo i 150 anni della fondazione del nostro Istituto missionario, vogliamo ringraziare Dio per il dono di san Daniele Comboni e per il dono dei confratelli che si sono consumati e donati totalmente per il popolo di Dio nella missione. Ringraziamo i nostri confratelli uccisi mentre erano impegnati al servizio del Vangelo e della missione. Vogliamo dire loro GRAZIE: essi sono diventati ‘santi e capaci’ “Santi e capaci. L’uno senza dell’altro val poco per chi batte la carriera apostolica. Il missionario e la missionaria non possono andar soli in paradiso. Soli andranno all’inferno. Il missionario e la missionaria devono andare in paradiso accompagnati dalle anime salvate. Dunque primo santi, cioè, alieni affatto dal peccato ed offesa di Dio e umili: ma non basta: ci vuole carità che fa capaci i soggetti” (Scritti 6655).
Nel contesto dei 150 anni del nostro Istituto, sarebbe molto bello dedicare un momento di preghiera di ringraziamento per questi nostri confratelli “santi e capaci”, che si sono consumati per il Regno di Dio in mezzo ai popoli a cui erano stati mandati. Contemplare questi nostri confratelli santi e capaci, ci provoca a chiederci: e io, ho la stessa disponibilità a fare un cammino di vita in continua conversione? Aspiro alla santità missionaria e alla capacità evangelica che contribuisce alla vita dei miei fratelli e delle mie sorelle con cui costruiamo il Regno di Dio, al nostro mondo così bisognoso e ferito?
Pensando ai nostri confratelli “santi e capaci” ci accorgiamo di avere un profondo e ricco pozzo di spiritualità missionaria e comboniana al quale attingere. Abbiamo moltissimi confratelli di tutte le età, di tutte le culture e di tutte le razze che ieri e oggi hanno vissuto e vivono imbevuti di questa grande spiritualità e sono diventati esemplari. “I missionari comboniani identificati, generosi e disposti a dare la vita per Cristo e per la missione sono tanti; senza rumore si spendono ogni giorno nei vari servizi che sono loro affidati” (AC 2015, n. 14).
In quest’anno in cui celebriamo i 150 anni del nostro Istituto, vorrei menzionare quattro confratelli e una consorella il cui processo di beatificazione e canonizzazione, all’interno delle comunità cristiane e della Chiesa, è già cominciato.
“Santi e capaci” nell’evangelizzazione: “Dalla mia vita dipende la salute di tante anime; tanto più io sarò santo, tante più ne salverò… Molto fa chi molto ama e molto ottiene chi molto soffre. Davanti alla Madonna di Lourdes ho chiesto la grazia del martirio”, “O Cuore Sacratissimo di Gesù, io mi chiudo nella piaga del vostro dolcissimo costato e ne do le chiavi alla mia cara madre Maria e la prego di non aprirmi se non per venire a godervi per tutta l’eternità” (Mons. Antonio Maria Roveggio, dal diario personale).
“Santi e capaci” nella vita di comunità: “Tra me e i confratelli due volte mi ricordo di aver insistito, e anche con un po’ di calore, nel mio modo di vedere, così per due minuti può darsi che l’armonia non sia stata delle più dilettevoli, ma Deo gratias; tutte e due le volte, seduta stante, li ho pregati di perdonarmi la mia furia, e così loro hanno detto: sì, sì, va bene. Se qualche rara volta succede di metter acqua sul fuoco degli altri lo si fa volentieri, tanto più che costa meno” (Fr. Giosuè dei Cas, 13.1.1927, lettera al Sup. Gen., lettera d’ufficio).
“Santi e capaci” nella carità: “La santità è l’albero e l’amore il suo frutto. Più ci sforziamo di amare, conoscere, servire Dio e più ci sentiamo attratti, come da calamita, a servire Lui nella persona di tutti i bisognosi, massimamente i più lontani e i più sofferenti” (P. Bernardo Sartori, lettera da Otumbari, 19.1.1979).
“Santi e capaci” nel desiderio di vivere il Vangelo: “Resta che devo continuare nello sforzo di vivere la presenza di Gesù nel mio cuore e chiedermi frequentemente cosa farebbe Lui al mio posto. Mi ha colpito il pensiero di ascoltare la parola di Dio senza difese, ed il colloquio con Gesù nel tabernacolo senza difese. Quindi non difendermi con tante scuse se la mia vita è diversa dalla parola di Dio, e non parlare di Gesù imponendo il mio punto di vista umano, meschino. Purtroppo devo fare ancora più o meno gli stessi propositi del passato” (P. Giuseppe Ambrosoli, Estratto degli Esercizi Spirituali, 9-15.1.1981).
“Santi e capaci” nella profezia: “Amo molto tutti voi e amo la giustizia, e per la giustizia basta la volontà di ogni persona, basta la volontà come Chiesa, come comunità, prima che la rivolta possa far sorgere imprevedibili brutalità nel nostro ambiente sociale. Non approviamo la violenza, benché riceviamo violenza. Il prete che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte. Caro fratello, se la mia vita ti appartiene, ti apparterrà pure la mia morte” (P. Ezechiele Ramin, Omelia a Cacoal, 17.2.1985).
“Santi e capaci” nella collaborazione: Suor Maria Giuseppa Scandola, ammalata, manda il messaggio al giovane missionario ammalato, P. Giuseppe Beduschi, dicendo “Gli Scilluk hanno bisogno di lei…, lei non morrà, in sua vece morirò io…” e per lui offre la vita e muore dopo qualche giorno (1.9.1903) mentre P. Giuseppe vivrà ancora per molti anni (morirà il 10.11.1924).
Ecco i figli e le figlie di san Daniele Comboni. Buona Festa di san Daniele Comboni!
P. Tesfaye Tadesse Gebresilasie MCCJ
a nome del Consiglio Generale