Commentario a Gv 15, 9-17: VI Domenica di Pasqua, 10 maggio 2015
Continuiamo la lettura del vangelo di Giovanni, come nelle domeniche precedenti, ma questa volta passiamo dalle allegorie (Buon Pastore, Vite e tralci) a una diretta e commovente dichiarazione di amicizia in un circolo formato da Gesù, il Padre e i discepoli. V’invito a leggere questo testo, come se ognuno di noi fosse presente in quella stanza del “piano superiore” di quella casa di Gerusalemme, dove il Maestro era con i suoi amici, prima di affrontare l’ora decisiva della sua vita. Vediamo alcuni spunti:
1. L’ora decisiva, l’ora della verità
Dal capitolo 13 al capitolo 17, Giovanni ci racconta gesti, sentimenti e parole di Gesù in quelle ultime ore della sua vita, quando Lui aveva già percepito la gravità del conflitto con le autorità del suo popolo e quando sembrava che il suo progetto di rinnovamento profondo, il progetto del Regno del suo Padre, stava ormai andando verso il fallimento. Nel testo si sente una speciale forza emotiva, perché c’è in gioco molto di più di un’idea o un progetto; in gioco ci sono le relazioni profonde tra Gesù, i suoi amici e il Padre.
Di fatto, quella sera di Giovedì Santo era uno di quei momenti cruciali che capitano nella nostra vita, nei quali possiamo diventare dei codardi e traditori (fuggendo dal conflitto, per salvare la pelle) o dare il massimo della nostra generosità, re-affermando la nostra fedeltà senza se e senza ma, e la nostra capacità di dare anche la vita in una decisione suprema di fiducia in Dio en nel progetto al quale ci chiama. In questo momento supremo, Gesù celebra con i suoi amici la tradizione religiosa della Pasqua, facendola attutale e propria; e, come il popolo in Egitto, anche Lui si dispone a “passare”, in questo caso, “passare da questo mondo al Padre”. In un momento così non si scherza; la vita è giocata sul suo valore più autentico e si centra sul fondamentale, su quello che più ci importa.
2.- Alla fine, solo rimane l’amore
Gesù ha condiviso tre anni intensi con i suoi discepoli e discepole; assieme fecero lunghi viaggi, guarirono malati, annunziarono il perdono, mangiarono in amicizia, entrarono in discussione con i farisei, fecero proposte di rinnovamento morale… Adesso, quando arriva la fine, tutto questo sembra importante, ma fino a un certo punto anche secondario. Infatti, quello che più sta al cuore di Gesù in questo momento della verità è espresso chiaramente nel testo: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”. Rimanete nel mio amore”. Questo è la chiave di tutto.
Questo è il segreto della sua vita. Gesù non dubita, neanche nei momenti più tragici in cui esperimenta il fallimento, di essere amato dal Padre. Questa è la fonte di cui sorge la sua profonda serenità e gioia, che li fa godere la bellezza dei fiori e il canto degli uccelli, lodare Dio perché si manifesta ai piccoli e re-compone i cuori rotti. Questa è la radice della sua libertà di fronte ai moralismi fanatici di sinistra o di destra. Inoltre, questa sua esperienza di essere amato dal Padre, Lui la stende, con naturalità, al piccolo gruppo dei suoi amici, quelli che l’hanno seguito dalla Galilea e che, anche se non sempre lo capiscono cento per cento, li rimangono fedeli. Non c’è bisogno che siano perfetti e bravissimi. In questo momento solo importa una cosa: che Lui li ama sopra ogni cosa e chiede a loro di fare lo stesso. Loro non sono “servi” di un padrone, funzionari di un progetto politico o di una causa. Loro sono “amici”, anzi “fratelli” e condivide con loro tutto: gioie e tristezze, sogni e fallimenti e, sopra di tutto, l’amore del Padre.
3.- Rimanere
Ai suoi amici, Gesù solo chiede questo: Che si amino e chi rimangano nel suo amore. Ma l’amore che circola tra Gesù e i suoi amici, come il sangue del cuore ai membri del corpo, non à un sentimento “buon mercato” per persone superficiali, senza radici (come le piante in terra sabbiosa). E’ un’amicizia salda, radicata nella coscienza di essere figli dello stesso Padre e nella condivisione del sogno divino di una nuova umanità. Non si tratta di un’amicizia di “convenienza” (che dura fin che durano i benefici), ma un’amicizia che va oltre i fallimenti e i successi, un’amicizia che rimane salda nel tempo e che si apre a tutti quelli che vogliono camminare con Gesù e i suoi. Un’amicizia che porta a “accettare i comandamenti”, seguire gli insegnamenti dell’Amico-Maestro, non tanto perché è stato “comandato” quanto perché viene da Lui e a Lui vogliamo essere libera e appassionatamente fedeli. Un’amicizia che deviene vicinanza di cuore, concreto aiuto vicendevole, capacità di perdonare e comprensione, fedeltà gratuita… e tante altre cose di cui che ognuno di noi può esperimentare nella propria vita.
In ogni Eucarestia che celebriamo, noi re-affermiamo quest’amicizia, la facciamo crescere y chiediamo che diventi feconda, facendo che la nostra gioia sia piena, come Gesù ha promesso.
P. Antonio Villarino
Roma