Commento a Gv 2, 13-25: Domenica, 8 Marzo 2015
In questa terza domenica di Quaresima, e nelle due seguenti, lasciamo Marco e prendiamo il vangelo di Giovanni, che, a differenza dei sinottici (Matteo, Marco e Luca), ci presenta Gesù a Gerusalemme dal capitolo secondo, di cui leggiamo la seconda parte sulla “purificazione” del Tempio. Partendo da questa lettura vi condivido queste riflessioni:
1) Purificare la religione
Il Tempio di Gerusalemme –e la Città stessa– era la cosa più sacra per Gesù, buon figlio del suo popolo, e per i suoi discepoli. Tempio e Città erano come un “sacramento” della meravigliosa presenza di Dio nella vita d’Israele e di tutti i suoi abitanti. Gesù, con Maria e Giuseppe, li ha visitati fin da bambino e li amava di tutto il suo cuore, perché in loro trovava l’impronta del passo del Padre nella storia del suo popolo. Nel Tempio si univano i suoi due grandi amori: il Padre e il Popolo. Come il salmista, egli dice: “lo zelo per la tua casa mi divora”. Ed è precisamente questo zelo che produce in lui una rivolta radicale quando vede il degrado che soffre il Tempio a causa della corruzione e il mercantilismo. Gesù si propone purificare il Tempio, sapendo che Dio non si fa “intrappolare” da nessuna istituzione, fosse essa ance molto “sacra”. Infatti, più avanti nel vangelo di Giovanni, dirà alla samaritana: “è giunto il momento in cui né su questo monte, ne in Gerusalemme adorerete il Padre…I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”.
Una tentazione delle persone religiose è la manipolazione e l’abuso dei riti e dei luoghi sacri. Certo, abbiamo bisogno di riti e di luoghi sacri per pregare e celebrare, ma, attenzione con metterli al servizio de nostri interessi personali o di gruppo. I discepoli di Gesù dobbiamo essere sempre attenti a non cadere negli possibili abusi e a purificare costantemente le nostre pratiche religiose.
2) Il segno del “corpo”
Quando i giudei gli domandarono ché segni faceva per giustificare il suo atteggiamento purificatore, Gesù rispose che il segno era il suo corpo, diventato vero “tempio”, luogo d’incontro tra Dio e l’umanità. La fede dei discepoli non ha il suo centro in nessun luogo geografico o rito speciale, ma nel corpo di Gesù, un corpo che “incarna” l’obbedienza al Padre, sottomesso alla sofferenza estrema, mal nel quale alla fine si mostrò il trionfo di Dio.
Unito a quello di Cristo, anche il nostro corpo (espressione tangibile del nostro spirito) diventa luogo dell’incontro con Dio: un corpo capace di soffrire e di amare in modo molto concreto e tangibile, un corpo che s’inginocchia e si prostra per adorare, un corpo che si fa strumento di servizio ai poveri e abbandonati, un corpo che vede, ascolta, accoglie, abbraccia i corpi martirizzati dei figli di Dio. Come dice papa Francesco, i malati e i poveri sono il corpo di Cristo e della sua Chiesa. Servirli è adorare Dio. Abusare di loro o del proprio corpo è una profanazione.
3) La precarietà della fede
L’evangelista ci racconta che, vedendo Gesù fare dei “segni”, molti credettero, ma Lui non si fidava. I vangeli parlano molto della opposizione e dei tradimenti che ha dovuto soffrire Gesù, fino a rimanere praticamente solo e abbandonato da tutti. Nella vita di Gesù ci sono stati di momenti esaltanti, di entusiasmo, in cui le moltitudini lo seguivano pensando di aver trovato un re di cui potevano profittare o un capo utile ai loro programmi politico o religiosi. Ma Gesù non si fa “intrappolare” nella trappola di quel entusiasmo facile, che voleva separarlo dalla sua vera missione in obbedienza al Padre. Gesù rimane sempre fiducioso, libero, realista, aperto e fedele fino alla morte, senza badare troppo all’incostanza di quelli che lo circondavano…
La tentazione dell’entusiasmo facile e della superficialità ci si presenta anche a noi come singoli o come gruppi nella Chiesa. Ognuno di noi –le nostre comunità, la Chiesa nel suo insieme– può avere la tentazione di accontentarsi con una religiosità superficiale, organizzare qualche tipo di “trappola” metodologica per attirare seguitori, fosse anche solo in apparenza… Questa non è la strada di Gesù. Lui non si scandalizza per quelli suoi “amici” che l’abbandonano, né confonde la fede con l’applauso facile; sa invece riconoscere la fede autentica, sincera, “incarnata” in un corpo e in una vita generosamente consegnata in adorazione e servizio al “copro di Cristo” nel’Eucarestia e nei Poveri.
Preghiamo perché lo Spirito di Gesù ci apra il cuore a questa fede ferma, concreta e costante, nonostante i dubbi e le molte debolezze.
P. Antonio Villarino
Roma