Laici Missionari Comboniani

Deserto, opportunità di cambio

Commentario a Marco 1, 12-15, Prima Domenica di Quaresima, 22 Febbraio 2015

La lettura continua del primo capitolo del vangelo di Marco, che abbiamo fatto nelle ultime quattro domeniche, viene interrotta oggi, perché cominciamo il tempo di Quaresima che nella liturgia cattolica è un tempo speciale con la sua propria sequenza di letture. Comunque, anche oggi leggiamo, dal primo capitolo di Marco, quattro versetti, brevi ma molto carichi di significato. Da tutte le riflessioni possibili io scelgo queste tre:

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1) Deserto: Dalla la parola alla vita
Gesù, dopo il suo battesimo e la straordinaria dichiarazione del Padre – “Tu sei il Figlio mio predieletto” – va nel deserto, “spinto” dallo Spirito. Perché? Io penso che, tra altre possibili ragioni, Gesù, come tutti noi, deve fare la strada che va dalla parola ascoltata come vocazione (“Figlio”) alla realtà della vita concreta (missione); una strada che bisogna percorrere con fede e perseveranza, disciplina e lavoro, chiarezza di mente e fortezza di spirito; in una lotta “a morte” contro lo spirito del male, cercando di pacificare in noi e attorno a noi le “fiere selvagge” della violenza e della arroganza, superando prove, dubbi e tentazioni.
Il deserto, come sappiamo, nella storia d’Israele, è la grande scuola per imparare a lasciare in dietro la schiavitù e vivere come un popolo libero, in un processo di purificazione e di apertura ai piani di Dio. Il deserto diventa così la grande opportunità che Dio offre al suo popolo perché impari a diventare libero e fedele.
Anche noi, certamente, abbiamo il nostro deserto o i nostri deserti. Possiamo pensarci un po’:Quali sono le difficoltà e le prove che abbiamo davanti a noi in questo preciso momento della nostra vita? Quali le tentazioni che ci minacciano? Può darsi che anche noi, come Israele dopo aver attraversato il Mare Rosso, come Gesù dopo il Battesimo, superato l’entusiasmo iniziale, vediamo lontano il sogno di diventare veri figli di Dio, de condurre una vita piena di amore e di verità, di giustizia e di generosità, di pace e di servizio.
Anche noi facciamo l’esperienza che tra la parola (i buoni desideri) e la realtà (di una vita piena, conforme ai desideri e alla parola) c’è molta strada da fare, per cui abbiamo bisogno di tutta la nostra capacità di lotta e di perseveranza. La Quaresima è una buona occasione per re-affermarci in questa lotta, per rinnovare la nostra speranza e la nostra decisione di andare avanti sulla strada dei discepoli di Gesù.

2) Approfittare l’occasione
Del deserto Gesù ne esce vincitore, confermato nella sua vocazione e missione, fiducioso che questa è la grande occasione che Dio offre a Lui e al mondo. Gesù ha fatto esperienza della vicinanza del Padre, non solo nei momenti di felicità e di benedizione, ma anche nei momenti bui di difficoltà, di prova e di lotta. Gesù viene fuori dal deserto per entrare nel mondo, mischiarsi con la gente comune, a trasmettere un messaggio chiaro: “Il Regno di Dio è vicino”, approfittate l’opportunità, prendete l’occasione.
Ma, quando diciamo che il Regno di Dio è vicino cosa intendiamo? Dove si trova il Regno di Dio: nella chiesa, nella città, nella parrocchia, dove? Il Regno di Dio –la sua presenza vincente– è in noi e in mezzo a noi, nel tempio e nella famiglia, sulla strada e nel lavoro, nell’ospedale e nel campo da gioco… da per tutto. Ma allora, perché non lo vediamo? Se non lo vediamo, forse è che bisogna lavare gli occhi, pulire l’udito, aprire il cuore…
Anche in questo la quaresima ci può aiutare; infatti, questo è un tempo per leggere di più la Bibbia, per disciplinare di più la nostra vita, per crescere nella generosità verso gli latri, per purificare il cuore… Tutto questo ci può aiutare a aprire gli occhi dello spirito e vedere quello che forse non riusciamo a vedere a causa della polvere della strada: la stanchezza, la routine, il fallimenti ripetuti, l’orgoglio ferito…

3) Fidarsi e cambiare rota
Gesù invita i suoi connazionali a credere in questa presenza del Regno di Dio, a fidarsi di Lui e, conseguentemente, cambiare di vita; ii invita a superare la condizione di schiavi e avere il coraggio di vivere da figli, con fiducia e coraggio, superando ogni tentazione di sfiducia e scetticismo.
Infatti, quello che ci impedisci vedere-udire-toccare il Regno di Dio in noi è l’atteggiamento di Adamo ed Eva, che nel paradiso si hanno fatto ingannare del maligno, sono caduti nella trappola di considerarsi falsamente uguali a Dio, arroganti e pieni di se stessi, nascondendo dietro a una foglia di fico la sua nudità, in vece di riconoscere il suo errore e la sua limitatezza, chiedere perdono e rinnovare la sua amicizia con il Creatore. Credere è uscire da noi stessi, lasciare di guardarci come si fossimo il centro del mondo, e riconoscere il nostro posto nella vicinanza di Dio, fidandosi di Lui, non come schiavi, non come falsi dei, ma come figli e fratelli.
La quaresima è un tempo opportuno, una grande occasione che ci viene offerta per cambiare rota, per tralasciare lo stupido orgoglio che ci imprigiona e ci separa del prossimo, da Dio e dalla miglior parte di noi stessi; una occasione per re-affermare la nostra fede che l’Amore del Padre è più grande del nostro peccato e dei nostri errori; e che in questo Amore possiamo rinascere e, attraverso il deserto delle prove e delle difficoltà, riprendere la nostra strada verso la meta, che non è altra che la vita piena in Dio; una vita piena di verità e di amore, di giustizia e di generosità… una vita, in definitiva, da Figli che camminano verso la Terra promessa che ci aspetta aldilà del deserto.
Ed è precisamente questo che celebriamo nella Eucarestia, memoriale di Colui che è uscito dal deserto vincitore a annunziatore della vittoria di Dio sul male di questo mondo. Con Lui, con Gesù, anche noi saremo vincitori e annunziatori-missionari della sua e dalla nostra vittoria.
P. Antonio Villarino
Roma

La mano tesa: potere di Dio

Commentario a Mc 1, 40-45: Domenica, 15 febbraio 2015

Leggiamo l’ultima parte del Capitolo primo di Marco, che abbiamo letto dalla terza a questa sesta domenica del tempo ordinario. Meditando questa lettura, che ci parla della esperienza di un lebbroso guarito da Gesù, dopo il suo tempo di preghiera in solitudine, mi fermo a quattro riflessioni:

Riconoscere la propria debolezza e trasformala in supplica
La prima cosa che mi chiama l’attenzione è che il lebbroso –con una malattia considerata allora grave e vergognosa- non nasconde la sua realtà, non dice come l’ubriaco: “io non ho bevuto”; al contrario, si riconosce malato e bisognoso di aiuto; non racchiude se stesso nella solitudine e la disperazione, ma esce del suo isolamento e fa un atto di fiducia in se stesso, nel prossimo, in Gesù.
Lo sappiamo: la prima cosa da fare per guarire è accettare che uno è malato, non auto-ingannarsi mosso da un falso orgoglio. La seconda è riconoscere che uno da solo non riesce a uscire dalla malattia, da una adizione che mi schiavizza, da una situazione di conflitto sterile… Nel nostro tempo, si parala molto di auto-stima e sono tantissimi i libri di auto-aiuto; anche un famoso e rispettato teologo ha scritto un libro di spiritualità col titolo “Bere dal proprio pozzo”. E hanno ragione: ognuno di noi è un figlio/figlia di Dio, ha una dignità inalienabile e i propri doni a risorse…
Ma la mia esperienza mi dice che l’auto-stima e l’auto-aiuto non bastano. In certi momenti, bisogna saper chiedere aiuto; andare da un’altro/a, che è in grado di prestarci il necessario aiuto materiale, una buona parola, una spinta morale… In questa esperienza si trova anche la preghiera di supplica, che soltanto y poveri e umili capiscono veramente. I ricchi e orgogliosi non chiedono, loro comandano. Ma guai di coloro che sempre si considerano ricchi! Sicuramente mentono. La preghiera del lebbroso, invece, è caratteristica della persona umile: “Signore, si vuoi, puoi guarirmi”.

Imagen%20101[1]La mano stesa, potere di Dio
Davanti alla supplica sincera del lebbroso –fatta con il cuore e con la vita, più che con le parole– Gesù stende la mano e lo tocca. “Stendere la mano” su situazioni e persone, è un gesto che nella Bibbia ha molto a ché vedere con il potere salvatore di Dio. Lo ha fatto Mosè all’ora di traversare il Mare Rosso; lo facevano i profeti per passare il suo potere spirituale ai successori, lo facevano gli apostoli. Ma noi sappiamo che il vero potere di Dio è il suo amore. In effetti, come ha detto papa Benedetto XVI, “solo il amore redime”. L’amore fatto carezza, l’amore fatto gesto d’incoraggiamento, l’amore fatto benda per le ferite, l’amore fatto parola limpida e veritiera, l’amore fatto comprensione e solidarietà in mille forme diverse.
In Gesù, questo amore di Dio si è fatto persona concreta, carezza, sguardo che capisce e anima, mano che tocca a guarisce. Anche la Chiesa – comunità di discepoli missionari, estensione di Gesù Cristo nel oggi della storia– si fa: mano tesa che si unisce a la parola per dire ai umiliati: coraggio, io voglio, guarisci. Certo, la malattia fa parte di tutta esperienza umana, non sarà mai dal tutto eliminata, ma la parte più difficile della malattia è il sentirsi diminuiti, indifesi, un “nessuno”… In quel momento, la mano di Gesù e della Chiesa si stende per dirci: Non avere paura, tu sei prezioso, avanti.

Ritornare alla comunità
Gesù comanda al lebbroso guarito di presentarsi ai responsabili della comunità e realizzare i riti necessari per la sua re-integrazione alla stessa. Si tratta di riti che, anche se discutibili in se stessi, tengono unita la comunità; sono come i vimini di un canestro: ognuno da solo è poca cosa, ma tutti insieme, adeguatamente organizzati, costituiscono il canestro, bello e utile… Così succede con i riti di una comunità umana e cristiana: in se stessi, isolati, sono discutibili; ma nel suo insieme aiutano a mantenere viva la comunità e fortificano la vita di tutti.
Ricordo che, nei miei tempi di missionario in Ghana, ho dovuto trattare il caso di una donna accusata di stregoneria. Dopo una serie di dialoghi e di riti con la comunità locale, l’ho accompagnata a casa e l’ ho capito il problema: per certe ragioni, che non è il caso di menzionare adesso, quella signora era diventata una “lebbrosa”, isolata dalla comunità. La soluzione per il suo problema includeva la sua re-integrazione alla vita della comunità: lavori, riti, feste, problemi, gioie… Molti di noi abbiamo bisogno con una certa frequenza di una spinta spirituale per ritornare pienamente alla comunione: in famiglia, in comunità, nei gruppi, in parrocchia… E per fare questo abbiamo bisogno della mano e della parola di Gesù.

Il segreto messianico
Gesù dice al lebbroso di fare silenzio su quello che è avvenuto. Si tratta del famoso “segreto messianico”, con cui, secondo gli esperti, Gesù voleva proteggersi da una falsa interpretazione (politica, trionfalista) della sua missione.
Mi pare che in questa nostra epoca noi siamo troppo preoccupati di apparire nei media. Esagerando, si può dire che qualche volta sembra che siamo disposti a “vendere l’anima” per apparire sulla TV o altri media di comunicazione. Alcuni artisti dicono: “Che parlino di me, anche male; l’importante è che parlino”. Gesù ci mostra una altra strada: quella dell’autenticità, della verità di vita, della trasparenza… Quello non vuol dire fuggire dalla piazza pubblica o dai media. Ma cercare la pubblicità in se stessa non sembra essere il metodo missionario di Gesù. E neanche quello di una santa del nostro tempo, molto “coccolata” dai media, come Teresa di Calcuta. L’importante è cercare la verità di Dio, il resto arriverà quando dio vorrà.
P. Antonio Vilalrino
Roma

La Giornata de Cafarnao

Mc 1, 21-28: DOMENICA 1 DI FEBBRAIO 2015

Cafarnaum

Abbiamo letto oggi dal capitolo primo di Marco la prima parte della prima giornata di Gesù a Cafarnao. Per riflettere su questo testo, vi propongo tre brevi spunti: sul luogo, sulla parola autorevole a sulla lotta tra spirti immondi e il santo di dio.

Prima di tutto, rendiamoci conto del luogo dove ci porta la narrazione di Marco.

Siamo a Cafarnao, una città al nord della Galilea, sulla riva del Lago di Genesaret, crocevia commerciale e culturale tra Palestina, Libano e Asiria . Cafarnao, come tutte le città di oggi, era un luogo dove bolliva la vita con tutti i suoi elementi, positivi e negativi.  Sicuramente, c’era una certa richezza, scambio di culture, presenza del Impero Romano (che era la grande potenza del momento), con la sua apertura alla modernità e alla globalizzazione. Ma c’era anche, sicuramente, molta  confusione, corruzione, ingiustizia, disprezzo dei poveri, miscredenza e presenza del male in generale, nelle persone e nelle strutture pubbliche… In questa città pluri-culturale, c’era anche una sinagoga, nella quale si ascoltava la parola di Dio ogni sabato, anche se forse con un atteggiamento di troppa sonnolenza e rutine.

Cafarnao può essere l’immagine della nostra propria città, della nostra civiltà attuale: anche in questa città c’è tanta vita, buona e meno buona; c’è tanta ricchezza, ma  anche tanta povertà, c’è generosità e c’è grande egoismo, c’è confusione e ricerca di novità. C’è miscredenza, ma anche fedeltà religiosa  desideriodi trovare Dio. E in questa nostra città c’è sicuramente Dio. C’è Gesù vivo nello Spirito, c’è il corpo di Cristo che è la Chiesa, che siamo noi chiamati a fare presenti in questo ambiente la verità e l’amore di Dio. Noi siamo, come Gesù e con Lui,  chiamati a essere missionari in questo ambiente, in queste nostre città, in questo nostro mondo in trasformazione. Come Gesù a Cafarnao, anche noi dobbiamo essere testimoni di Dio nella grande città, perché anche qui le persone cercano verità, bellezza, amore e liberazione.

La parola di autorità

Nella sinagoga di Cafarnao, dove tanti erano andati con fedeltà, ma anche forse con una certa rassegnazione, a sentire le solite parole del rabbino di turno, si trovano che quella giornata non è come tutti i sabati, che quel profeta che parla è differente, che in Gesù si fa presente una parola nuova, che stupisce e fa lodare Dio, perché parlava con autorità.

Possiamo domandarci dove stava quella autorità di Gesù, quella novità d’insegnamento?

A me pare che la parola, qualunque parola, ha autorità, diventa autorevole quando è vera, quando è autentica, quando corrisponde alla verità della vita. Non si tratta di concetti nuovi o di parole brillanti, ma di parola legata alla vita.

Io ho ascoltato una volta Madre Teresa di Calcuta. Come sapete, era una donna piccola, vecchia, per niente brillante, ma tutti la ascoltavamo con devozione. Diceva cose molto semplici, non erano “trovate” molto originali. Era la dottrina che tutti sappiamo. E invece: tutti noi, che eravamo lì a ascoltarla, ascoltavamo con molta attenzione, come dicendo: “é vero, quello che dice è vero”; e ci sentivamo illuminati, consolati, animati, incoraggiati. Il motivo era che quelle parole semplici e conosciute uscivano da una vita vissuta in sincerità e generosità. Quelle parole avevano lo stampo, la autorevolezza, dell’autenticità.

Così, penso io, erano le parole di Gesù, ma in un grado più alto. E, grazie alla risurrezione, le parole di Gesù, possono essere ascoltate ancora oggi e, se ascoltate da un cuore sincero, mostrano la sua verità e autorevolezza. E’ lui il maestro che ci guida nella vita, come nessun altro può fare. Ed è per questo che veniamo tutte le domeniche ad ascoltare la sua parola, proclamata dalla Chiesa. Ed è per questo che leggiamo il vangelo frequentemente, perché sappiamo che è parola di verità  e di vita.

Con Gesù anche noi siamo chiamati a diventare portatori, nelle Cafarnao di oggi, di parole autentiche. In certo modo, tutti noi abbiamo l’opportunità e il dovere di parlare e di insegnare, specialmente alcuni: preti, insegnanti, genitori…

Come fare perché la nostra parola sia autorevole? Penso che l’unica risposta sia: Quello che fa la nostra parola autorevole, con autorità, e la sua autenticità e la sua verità. I figli, per esempio, capiscono subito quando il papà dice verità  o quando racconta bugie. Ricordo quando ero in Ghana, i maestri obbligavano i bambini ad andare in chiesa la domenica, ma loro non andavano. Erano parole buttate al vento, come seminare nel mare.

Il discepolo missionario ogni giorno si affida a Gesù, Parola vera del Padre,  e chiede la grazia di diventare anche lui portatore di parole vere, che illuminano, guariscono, incoraggiano: in chiesa, a casa, nel lavoro, ovunque.

Il terzo punto è la prima battaglia che Marco ci racconta tra gli “spiriti immondi” e “il santo di Dio”.

Nella Bibbia, anche nei Vangeli, si parla parecchio di “spiriti immondi” o di “spiriti impuri”. E’ un linguaggio che non usiamo nei nostri tempi. Ma la realtà e l’esperienza che quel linguaggio racconta è oggi tanto reale come ai tempi di Gesù. Possiamo dire che con queste parole si fa riferimento a tutta quella realtà del mondo che si oppone a Dio e alla felicità dell’essere umano: che crea confusione, ingiustizia, disordine, caos, come succedeva al inizio della creazione, che in realtà ci fa schiavi e ci impedisce di diventare figli, liberi e liberatori.

Penso che nel mondo di oggi troviamo tanti spiriti immondi che ci appartano da Dio, ci fanno schiavi e creano confusione e caos. In questi giorni, subito viene a la nostra mente la violenza cecca che abbonda nel mondo di oggi. Ma ci sono tante altre cose “impure”, “immonde”, che ci opprimono: le dipendenze dalla droga, dal alcol, dal sesso senza controllo, da un consumo sfrenato… Penso alla corruzione politica, a la corruzione religiosa, alla arroganza che umilia e distrugge in poveri e i semplici…

Questo mondo corrotto, immondo, impuro, che è attorno a noi, ma anche in noi, diventa nervoso, violento, aggressivo, quando  si trova davanti al “santo di Dio”, quando si trova davanti a Gesù, che rappresenta la verità, la purezza, la libertà  e la santità di Dio.

Ma Gesù è capace di fare tacere questo spirito noioso, falsamente arrogante, distruttivo. Il potere di Dio è più forte ed e capace di vincere il male. A volte parliamo di Gesù come una persona buona, ma nel fondo forse pensiamo che è un debole, confondendo bontà con inconsistenza, invece Gesù si rivela anche come il potere di Dio, capace di liberarci dal male che è in noi e in torno a noi.

Noi come Chiesa, siamo eredi di questo potere di Gesù, che si manifesta nella carità attiva, nella parola giusta al tempo giusto, nei sacramenti del perdono  e del pane eucaristico, nella preghiera sincera e impegnata… Nutriti con la  parola e il corpo di Gesù, anche noi, come Gesù, nelle Cafarnao di oggi, siamo, non solo portatori della sua parola, ma anche guerrieri del su esercito di amore per vincere il male. La vittoria sul male esige una sua lotta, una sia consistenza, una sua perseveranza. A volte ci sentiamo mancare le forze, ma, fiduciosi nella presenza del Risuscitato, abbiamo la speranza di vincere.

P. Antonio Villarino MCCJ. Roma