Laici Missionari Comboniani

Messaggio di P. Enrique per la festa del Sacro Cuore

Sagrado Corazon

“Chiediamo la grazia di diventare dei consacrati gioiosi e felici perché portatori nel cuore del tesoro di quell’amore che sgorga dal Cuore trafitto del Signore che san Daniele Comboni scoprì come fondamento su cui costruire la sua missione e al quale si affidò senza mettere limiti. La fiducia nel Cuore di Gesù diventi anche per noi sorgente perenne di un amore che ci aiuti a vivere la nostra consacrazione come il dono più bello che ci sia stato concesso. Buona festa del Sacro Cuore”. P. Enrique Sánchez G. mccj, Superiore Generale.

 

Consacrati nel Cuore di Gesù

Le parole consacrazione e consacrati, con tutti i loro sinonimi, hanno la possibilità di essere approfondite e integrate nella nostra vita, in modo particolare durante quest’anno destinato alla vita religiosa o consacrata, nella misura in cui ci concediamo un momento per la riflessione e, forse, ancora di più, per il ringraziamento per questo dono.

Allo stesso tempo, queste parole rischiano di svuotarsi del loro significato e della ricchezza di cui sono portatrici, se non le confrontiamo con l’esperienza della nostra vita; se non diamo, con la nostra vita, un senso autentico a quello che affermiamo con le parole.

Siamo consacrati. Basta poco per fare quest’affermazione che, però, non appare così evidente quando chiediamo alla nostra testimonianza di vita di esprimere il contenuto di quella che è stata la scelta della nostra vita.

Anche se va detto subito che ci sono esempi estraordinari, molto vicini a noi, di persone che della consacrazione hanno fatto un tesoro e la cui vita si è trasformata in una luce capace di penetrare le tenebre più oscure, oggi abbiamo bisogno di fermarci e chiederci quanto la nostra consacrazione a Dio definisce e caratterizza la nostra identità e il nostro agire.

Riflettere sulla nostra consacrazione può diventare un’occasione straordinaria per appropriarci meglio di ciò che vogliamo dire quando ci riconosciamo persone consacrate a Dio per la missione.

 

La nostra consacrazione missionaria

Come aiuto per la nostra riflessione, in particolare in occasione della festa del Sacro Cuore, mi piacerebbe condividere con voi alcuni brevi pensieri che possano essere delle provocazioni a chiederci quanto e come stiamo vivendo la nostra consacrazione religiosa e missionaria.

Papa Francesco ci ha invitato a fare un esercizio di memoria, per riconoscere nel passato il dono della nostra chiamata, del nostro carisma, lasciando scaturire dal profondo del nostro cuore la gratitudine, la riconoscenza per questo dono. Ci ha raccomandato di contemplare il presente della nostra consacrazione per viverla con passione, senza fare calcoli, con la generosità e l’entusiasmo del primo momento, quando nel silenzio complice di Dio abbiamo sentito pronunciare il nostro nome e sognato una missione senza frontiere.

Il Papa ci ha chiesto di guardare al futuro con speranza, che vuol dire fiducia in Dio, nella sua vicinanza, nella certezza che Lui continua a custodire nel suo cuore un progetto per l’umanità che nessuno potrà impedire, perché sarà sempre un progetto d’amore e l’amore non si ferma di fronte agli ostacoli.

Vivere la nostra consacrazione missionaria in questo modo ci porta a riscoprire, a fare di nuovo l’esperienza della gioia del primo momento della nostra chiamata, e a dire con semplicità, Signore, quanto sei stato grande fissando il tuo sguardo su di me! Non potevi farmi un dono più straordinario.

Essere missionario è stata la scelta migliore che hai fatto per me; grazie, perché sei rimasto fedele e perché quello che mi è accaduto tanti anni fa continua a mantenere la sua freschezza.

Grazie per un presente missionario che ci sfida. La tua chiamata a volte rischia di essere oscurata da tanti ostacoli che troviamo sul nostro cammino. Ci manca la tua passione, il tuo ardore, il tuo coraggio per non lasciarci vincere dall’indifferenza del nostro tempo, dal consumismo che ci circonda, dall’edonismo superficiale che ci assale con le sue trappole, che fanno crescere l’egoismo e la superficialità.

Abbiamo bisogno di passione missionaria, prima di tutto per credere in te con tutto il nostro cuore, per scoprirti presente nel fratello che soffre, nella sorella che è maltrattata, nel giovane condannato a vivere senza la possibilità di sognare un futuro degno, per uscire dalle nostre sicurezze e dalle nostre comodità.

Signore, ci fa bene riconoscere con umiltà e semplicità che ci manca la passione che non ha paura del sacrificio, della rinuncia, dell’abbandono, quella passione che permette di lasciare tutto per fare di te e della tua missione il tutto della nostra vita.

Ci hai dato una vocazione che fa di noi dei privilegiati, perché hai scelto per noi, come luogo per incontrarti, i più poveri, i lontani, quelli che non contano agli occhi dei nostri contemporanei.

“La speranza di cui parliamo – dice il Papa – non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia” (2Tm 1,12).

E noi vogliamo vivere nella speranza, non possiamo non farlo, quando siamo stati testimoni della tua fedeltà, della tua fiducia, della tua premura verso di noi. Non ci spaventa il domani perché sappiamo che tu ci hai preceduto e hai preparato un domani che sarà completamente diverso da quello che avremmo potuto costruire con le nostre forze e con le nostre risorse.

Non abbiamo paura di diminuire, di morire, perché siamo convinti che dove sei presente la vita non può che vincere e che sarai sempre tu a scrivere la bella storia della missione che diventerà anche la nostra.

 

Una consacrazione nei piccoli e grandi dettagli

Quando si parla di consacrazione, mi piace dire che ci riferiamo ad un’esperienza, a una vita che portiamo avanti nei piccoli e grandi dettagli della nostra esistenza, nel quotidiano del nostro agire e nel realizzare il sogno che portiamo nel cuore come ideale che ci spinge ad andare sempre più lontano.

Mi piace dire che essere consacrati non è altro che accettare con gioia che la nostra vita è nelle mani di Colui che ci ha fatto vivere. È accettare che siamo proprietà del Signore, che siamo o stiamo diventando dono di Dio per l’umanità.

Quante volte abbiamo sentito dire che il consacrato o la consacrata sono persone che liberamente hanno accettato di rinunciare a tutto per permettere a Dio di realizzare il suo sogno di amore per l’umanità.

È bello pensare così, perché ci aiuta a capire che la consacrazione non è un’opera che nasce dalla nostra volontà o dalle nostre capacità, ma un’esperienza di grande libertà, di generosità e soprattutto di profonda docilità.

 

Che cosa vuol dire consacrarsi a Dio?

Consacrarsi a Dio vuol dire educare il nostro cuore a vivere sempre aperto e disponibile a quello che Lui vorrà fare di noi. In questo senso, consacrazione è sinonimo di abbandono, di obbedienza e di coraggio, perché con il Signore si sa dove comincia l’avventura, ma non si sa fino a dove ci condurrà.

Parlare di consacrazione significa entrare in un mondo in cui i nostri parametri non funzionano più, perché si entra nel mondo del mistero di Dio, che spezza tutte le nostre logiche e i nostri calcoli e capovolge tutto, diventando Lui il protagonista della nostra storia e il padrone della nostra esistenza.

E qui ci vengono in mente tante frasi del Vangelo: “Non siete voi che avete scelto me, sono io che vi ho chiamato”(Gv 15,16); “Questo è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3,17).

Quanta forza risuona nel messaggio di Paolo, quando ricorda com’è stato scelto e come, nel suo ministero di apostolo, ha potuto constatare che “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28).

Allora, la domanda che sorge spontanea è molto semplice: chi è, in fondo, colui che si consacra?

Quante volte, nella nostra vita, dovremo riconoscere che siamo andati avanti perché il Signore non si è tirato indietro? Quante volte ci accorgeremo che non sono le nostre qualità, i nostri meriti o le nostre virtù ad averci reso meritevoli del dono della scelta che il Signore ha fatto con noi?

Abbiamo una grande responsabilità di custodire e far crescere la grazia ricevuta dal giorno in cui abbiamo risposto di sì al Signore. Ci ricorderemo sempre che Dio chiama e non cambia parere col passare del tempo? A quale fedeltà ci sfida?

 

La testimonianza di san Daniele Comboni

“Avendo un estremo bisogno dell’aiuto del Sacro Cuore di Gesù, Sovrano dell’Africa Centrale e che è egli stesso la gioia, la speranza, la fortuna e il tutto dei suoi poveri Missionari, mi indirizzo a lei, amico, apostolo e fedele servitore di questo Cuore divino così pieno di carità per le anime, le più sfortunate e abbandonate della terra.

Oh, come sono felice di trascorrere una mezz’ora con lei, per raccomandare e confidare al Sacro Cuore gli interessi più preziosi della mia laboriosa e difficile missione, alla quale ho votato tutta la mia anima, il mio corpo, il mio sangue e la mia vita!” (Scritti 5255-56).

La consacrazione del comboniano, per essere vera e fonte di felicità, cercherà sempre di rispondere a questa chiara convinzione di Comboni, dovrà essere cioè consacrazione che nasce dall’esperienza dell’amore che sgorga dal Cuore di Gesù. Il Cuore di Dio che ha amato tanto l’umanità e che non ha avuto dubbi nel consegnarle suo figlio, l’unico, per amore.

È da questo amore che trae origine e si sostiene la nostra consacrazione. È e sarà sempre da questo Cuore aperto che potremo ricevere la luce e la forza per vivere soltanto per Dio e per la sua opera. È dal Cuore di Gesù che dovremo imparare come si diventa uomini di Dio, che trovano la loro gioia nel servire la missione con un cuore indiviso.

Sarà sempre il Cuore di Gesù che ci aiuterà a guardare al futuro senza cadere nello scoraggiamento, nella tristezza o nella delusione, perché dal Cuore di Dio nascono sempre cose nuove per il bene di tutti quelli che si aprono all’amore.

Come Comboni, dovremo imparare a non spaventarci di fronte alle difficoltà della missione che siamo chiamati a vivere. Sarà sempre un’opera laboriosa e difficile, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta della missione di Dio e non della nostra. È la missione del Signore, nella quale noi siamo chiamati a diventare semplici collaboratori, mediazioni del suo amore.

Come il nostro santo fondatore, anche noi siamo invitati, chiamati a vivere fino in fondo il dono della vocazione missionaria accettando di consacrare tutta la nostra anima, diventando uomini di fede profonda, accettando con gioia di dare testimonianza attraverso la nostra povertà, la nostra castità e la nostra obbedienza, e cercando sempre di creare ambienti di profonda fraternità.

Anche per noi, la grande sfida della consacrazione sarà la disponibilità a vivere sacrificando tutto per gli altri, per quelli che incontreremo nella missione. Questo vuol dire anche accettazione del martirio, che ci chiederà di fecondare il cuore dei nostri fratelli con la nostra vita consegnata nel quotidiano dell’esistenza, nel servizio umile e nascosto, nell’accettazione gioiosa della rinuncia di noi stessi per permettere a Dio di manifestare il suo amore.

Solo educati a questa scuola di amore che è il Cuore di Gesù, saremo capaci di vivere in tutta libertà la scelta per i più poveri e di dare un volto all’amore di Dio, attraverso la costruzione di un mondo più giusto, più solidale, più rispettoso e capace di generare quella felicità che tutti portiamo nel cuore come l’unico vero anelito della nostra vita.

Chiediamo la grazia di diventare dei consacrati gioiosi e felici perché portatori nel cuore del tesoro di quell’amore che sgorga dal Cuore trafitto del Signore che san Daniele Comboni scoprì come fondamento su cui costruire la sua missione e al quale si affidò senza mettere limiti.

La fiducia nel Cuore di Gesù diventi anche per noi sorgente perenne di un amore che ci aiuti a vivere la nostra consacrazione come il dono più bello che ci sia stato concesso.

Buona festa del Sacro Cuore.
P. Enrique Sánchez G. mccj
Superiore Generale

Convegno in occasione dei 150 anni del “Piano per la rigenerazione per l’africa”

congreso RomaAFRICA, CONTINENTE IN CAMMINO.

Cari amici, partecipando al Convegno del 13-14-15 Marzo 2015, “Africa in cammino” organizzato in occasione dei 150 anni del “Piano per la rigenerazione dell’Africa” del nostro fondatore S. Daniele Comboni, vi offro come riflessione la sintesi conclusiva di Fulvio del Giorgi, che coglie la sostanza dei lavori di questi tre giorni, vissuti intensamente e gioiosamente nello scambio e nell’incontro di tutta la famiglia comboniana.

Il Convegno ha visto la sua conclusione con la celebrazione eucaristica, celebrata da S.E.R. Card. Fernando Filoni.

Ringraziamo la madre generale Luzia Premoli che ha aperto i lavori donandoci il benvenuto ed esponendoci il programma di questi giorni e ringraziamo anche il padre generale Enrique Sanchez González che ha chiuso i lavori con un invito a sviluppare nella nostra vita e nella nostra missione le riflessioni che sono emerse nel convegno. “Abbiamo fatto un cammino insieme come un’opportunità per ricevere un’aria nuova, fresca, un’aria che riconosciamo che stà cambiando l’umanità e non possiamo negarlo. Ora partendo con questa sensibilità nuova – dice p. Enrique- il sogno del Comboni si rivela bello, attuale e una grande sfida.

Ricordiamoci che l’Africa non ha bisogno di benefattori, perché è capace e sempre più consapevole di se stessa e i nostri missionari se ne rendono conto sul campo.

Non è accidentale che i nostri istituti si stanno rinvigorendo attraverso tanti fratelli che vengono dall’Africa e questo dimostra quanto è veritiero il “Piano” del Comboni. L’Africa deve diventare protagonista della sua storia.

congreso RomaIl dono ricevuto da Comboni è un dono, non tanto per lui ma per tutti quelli che dopo di lui ne vivono la forza dello Spirito in esso contenuto.

Perché l’Africa ha qualcosa che nessuno ha. Ha una vita propria, è un dono particolare, prezioso per tutta l’umanità. Non si può spiegare, deve essere vissuto; è un’esperienza d’amore. Quindi auguro a tutti di continuare questo cammino, di continuare questa esperienza d’amore con una nuova freschezza per una nuova giovinezza africana”.

Vi lascio dunque questa bella sintesi sui temi del Convegno curata da Fulvio De Giorgi e che ho portata a casa per condividerla con voi! Un saluto e buona missione a tutti.

Rosanna Braglia, LMC Italia

 

 

congreso Roma“Vedendo tutto questo, se Daniele Comboni, fosse qui avrebbe il cuore pieno di consolazione e gioia, vedere l’Africa cosi cresciuta. Vedere i figli e le figlie dei suoi istituti coinvolti in questo grande progetto.

Vedere il suo sogno, in parte compiuto con tanti frutti, anche e soprattutto nel laicato delle donne e in parte, pista per le intuizioni ancora da seguire nel futuro.

Questo il principale frutto del nostro convegno che continua a chiamarci ad una svolta. E’ fondamentale dirlo, che tutti hanno sottolineato, è che non ci deve mai più essere: uno sguardo negativo, catastrofico e triste, sull’Africa.

Papa Francesco ci ricorda che “Può essere missionario solo chi cerca la felicità del prossimo!”.

Partendo dal pensiero del Comboni che diceva “E’ il Sacro Cuore di Gesù che mi fa sormontare tutte le enormi difficoltà per realizzare il mio ‘Piano di rigenerazione della nigrizia con la nigrizia stessa!’.

Le parole chiave, sono due: “PIANO” e “CUORE”.

Prima parola “PIANO”. Cos’è un Piano? E’ un progetto che mette alla prova le capacità critiche di ciascuno e che impegna le volontà sorrette da una grande speranza.

Sono chiamati tutti da ogni continente a decolonizzare la nostra speranza, i nostri disegni, piani, sguardi, affidandoli ad una speranza che è più grande di noi e che ci sorregge nelle fatiche.

La decolonizzazione dello sguardo, rende limpido il nostro occhio e ci fa vedere un’Africa che continua a crescere, alla quale l’Europa può essere patners dei fattori positivi. Un giovane Rinascimento africano in atto.

L’Europa può cooperare, camminando insieme in amicizia.

L’Africa degli africani ci ha detto che vuole vivere in pienezza la sua vita, accanto a tutti i popoli.

Dunque decolonizzando lo sguardo e superando stereotipi, la diaspora e l’emigrazione trans-continentale in tutte le direzioni sono una risorsa, nonostante sia causata da squilibri interni al Paese a causa di grandi sofferenze.

Ma è importante non fissarle per sempre in un orizzonte negativo di morte, ma liberarle e rigenerarle come occasione, come chance per un mondo più plurale e più bello.

Ecco ‘più bello’, le mostre fotografiche esposte qui, le sculture, il films, la musica offerta in questo convegno, ci fanno constatare l’insieme di grande bellezza e di creatività estetica che ci viene dalla nuova arte, dalla nuova cinematografia. E la nostra speranza vede cosi meglio la tramatura positiva che si ricostruisce in un progetto, e in un piano che cresce intorno a noi.

“Piano”, richiama ancora l’appianare; cioè colmare le valli e abbassare i monti, mettere tutti sullo stesso “Piano”.

E qui il discorso richiama quello di Matteo, quello di Gesù sulla montagna; Luca chiama il discorso del ‘piano’ della pianura e Luca dice anche “Guai a voi ricchi…”.

Se siamo sullo stesso ‘piano’ ci guardiamo direttamente negli occhi, cosi le ingiustizia, le disuguaglianze, diventano intollerabili. “Rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili” è la dinamica del MAGNIFICAT.

Capiamo cosi come ci ha detto Samia Nkrumah (ministro nel suo Paese) che è giusto che gli africani possono controllare la loro economia a beneficio degli africani stessi e che ritrovano la via del Pan-africanesimo.

Appianare, significa colmare le valli o i baratri della corruzione delle liste di governo.

Riconoscere che il cammino della democrazia africana deve essere autonomo e nuovo e non nelle forme europee; certo sarà un cammino che presenta luce e ombre, di governi corrotti e dittatoriali che neanche un fallimento delle leadership africane, deve rallentare la coscientizzazione dei cittadini, per migliorare le dirigenze politiche che siano disinteressate per formare agenti di “trasformazione sociale” come diceva Efrem Tresoldi (Nigrizia), citando Pierli.

“Appianare” significa abbattere le montagne delle inimicizie e degli odi, delle guerre interne e montagne di armamenti come ci ha mostrato Maurizio Simoncelli (Archivio Disarmo); “cercando sempre la via appianata della pace e della stabilità” come ha osservato Alfredo Mantica (interventi dell’Italia in Africa).

E allora le Afriche al plurale, verso le quali continua il nostro cammino, sono l’ Africa della giustizia, l’ Africa della Pace, l’ Africa della salvaguardia del creato, l’ Africa dei diritti.

Ma “Piano” ci dice pure che è meglio andare ‘piano’. Chi conosce le lettere che scriveva Comboni ai suoi missionari, diceva che “Si, molti missionari hanno fretta, ma voi andate piano!”.

Elogio alla ‘lentezza’, se vuol dire “paziente perseveranza, ascolto e discernimento, camminare insieme senza lasciare indietro nessuno”. Significa dunque un piano ecclesiologico inclusivo e partecipativo e dal profilo femminile, come ha detto suor Luzia Premoli (generale comboniane) e suor Elisa Kidanè (ComboniFem), che si realizza nelle comunità di base, come ci ha detto il cardinale Peter Turkson.

Da più parti si è fatto notare l’importanza delle conoscenze storiche per superare le ferite delle discriminazioni passate e delle guerre civili più o meno recenti.

Tutti i Paesi e i Continenti le hanno vissute, ma tutti dobbiamo dirci che per andare avanti occorre parlarsi e cercare insieme una purificazione della memoria e una storia se non condivisa, almeno inclusiva da diversi punti di vista.

Ci vuole pazienza, ricerca non semplificazione sbrigative e sommarie.

Pazienza = andare piano. Anche come Chiesa che riconcilia e che vive come famiglia di Dio, abbiamo il compito di interrogarci sulla storia della salvezza che si dipana nell’oggi di Dio e sulle responsabilità alle quali siamo chiamati.

La seconda parola è “CUORE”. IL Cuore di Cristo. Il cuore ha due fondamentali movimenti di sistole e diastole.

Nel Cuore di Cristo questi due movimenti sono l’incarnazionismo e l’escatologismo.

Da una parte l’incarnazione. Il Vangelo entra e si fa carne in tutte le culture di oggi per farle fiorire alla liberazione e alla salvezza.

Un Vangelo che entra, assume su di se, si incultura, si incarna oggi nelle complessità culturali, nel pluralismo delle identità in evoluzione, nei confini intellettuali ed esistenziali, nelle culture scartate, nei crescenti meticciati culturali. Oggi il Vangelo ha un volto meticcio.

Questa incarnazione allora sa scoprire, accogliere e valorizzare, come ci ha detto (il teologo) Martin N’Kafu, tutti i segni del tempo, ovunque siano. Solo cosi, si avrà una teologia africana, non perché rielaborata in Africa, ma perché sa accogliere e far fiorire tutti i semi del Verbo sparsi nelle culture, religioni africane, senza escludere nessun tessuto culturale, geografico e umano.

Questa incarnazione come ci ha detto Cécile Kyengue (parlamentare europea), cerca il primato della vita e perciò si oppone e lotta contro il traffico degli esseri umani e contro la nuova schiavitù; cioè contro gli orizzonti di violenza e di morte in cui è Cristo stesso incarnato nei piccoli, che viene violentato e ucciso.

In questa inculturazione col passo dell’incarnazione, un grande ruolo e una grande responsabilità è affidato alla comunicazione, ai media, e al giornalismo. P. Giulio Albanese e Fabrizio Colombo hanno sottolineato questo aspetto, insieme agli ospiti della tavola rotonda.

Quindi una crescita in positivo della comunicazione dell’Africa nell’integrazione digitale e cartacea, corre sul filo della rete, ma sempre rendendo visibile e trasparente il positivo che cresce in lei, come “LA PERLA”, definita da suor Elisa Kidanè, nel rispetto profondo della persona.

Non si tratta come dice suor Elisa di dare voce a chi non ne ha, ma si tratta forse, di non darne ulteriore voce a chi ne ha troppa.

E perciò continuare a decolonizzare lo sguardo anche nella stampa missionaria comboniana.

Ma accanto al movimento dell’incarnazionismo, il Cuore di Cristo ha il movimento dell’escatologismo, cioè la capacità di staccarsi da ogni ingiustizia, da ogni idolo, da ogni orizzonte intra-mondano, tutti i cristiani di ogni continente, siamo tutti extra-comunitari in questo mondo. “Siamo nel mondo, ma non siamo del mondo”.

Françoise Kankindi ha detto “Mi sento a casa in tanti posti”. Ciò è bello ma possiamo dire di più. “Il Regno di cui siamo cittadini, la nostra vera patria, non è di questo mondo”.

Termino con un’affermazione del 12° secolo, diceva un grande mistico, Ugo da S. Vittore “Colui che trova dolce la sua patria, non è che un tenero principiante. Colui, per il quale ogni terra è la propria, è già una persona forte”.

“Ma solo è perfetto colui, per il quale tutto il mondo, non è che un Paese straniero”, io ho preso questa frase da un autore bulgaro vissuto in Francia, il quale l’ha preso in prestito da Eduard Said palestinese vissuto negli Stati Uniti, il quale l’ha preso a sua volta da un autore tedesco esule in Turchia! “

Fulvio De Giorgi

 

 

Non possiamo seppellire il nostro spirito missionario!

Brasil

Il 15 marzo, a Curitiba, abbiamo proseguito i nostri incontri con le persone interessate al tema della vocazione dei laici missionari comboniani di questa regione. A questo secondo incontro di approfondimento del tema sulla vocazione e sulla missione, abbiamo avuto l’opportunità e ci siamo impegnati a pregare insieme nel giorno della festa di compleanno di St. Daniele Comboni.
In unione con tutta la famiglia comboniana, abbiamo pregato e riflettuto sulla sua vita e sul nostro impegno missionario per l’umanità.

E’ fonte di grande ispirazione vedere che Comboni non misurava gli sforzi per incontrare Cristo nel volto dei Fratelli Africani, percorreva grandi distanze, era di sostegno e di incoraggiamento per la Chiesa e portava alla luce le situazioni dove la vita era minacciata. La sua testimonianza attraeva tanta gente, incontrava le persone, si metteva in cammino, utilizzava tutte le risorse disponibili a quel tempo e non temeva le difficoltà.

Per riflettere sull’importanza della chiamata missionaria, abbiamo anche visto insieme il documentario “Mission and ecclesial communion” (Missione e comunione ecclesiale) della Campagna Missionari del 2010.

Anche nei nostri giorni, la missione richiede una risposta urgente e coraggiosa. La missione oltre i nostri confini e l’animazione missionaria sono due elementi essenziali della vocazione di tutti i battezzati. Questi momenti sono importanti per ridare vita alla nostra chiamata alla missione e ci sostiene nella formazione di una consapevolezza missionaria nella chiesa, con la speranza che in molta gente si risvegli tale vocazione.

BrasilBrasil

Abbiamo anche discusso di quando si è formata l’organizzazione degli LMC in Brasile attraverso una breve cronistoria di questi 20 anni di esistenza. Non dimentichiamo che Papa Francesco ci raccomanda nel suo messaggio durante il mese missionario che “…resta la grande urgenza della missione ad gentes, alla quale sono chiamati tutti i membri della Chiesa, in quanto essa è per natura missionaria: la Chiesa è nata in “uscita”.

Proseguiamo il nostro cammino, continuiamo ad essere un piccolo segno che condivide la vita e che si pone in difesa della promozione della vita di ciascuno.

LMC Brasile

[Mozambico] Assemblea Annuale 2014 degli LMC del Mozambico

I Laici Missionari Comboniani in Mozambico si sono riuniti dal 21 al 23 Novembre presso il Centro Catechistico di Carapira per il nono incontro annuale; l’argomento trattato è stato: “i 150 anni del piano di Comboni e le sfide per gli LMC in Mozambico”.

mozambique mozambique

Abbiamo iniziato con un piccolo momento di riflessione basato sul testo biblico di Luca 16:24. Abbiamo approfondito la proposta di Cristo, “di rinunciare a se stessi”, invitandoci a riflettere su quali sono le cose cui  dobbiamo rinunciare per vivere pienamente la vocazione missionaria alla quale siamo stati chiamati come LMC all’interno della realtà in cui siamo presenti, consapevoli dei nostri pregiudizi, idee, punti di vista, pratiche, comportamenti, aspettative, ecc.

Imozambiquen seguito, abbiamo individuato quelle realtà che ci sfidano, che mettono in discussione la nostra presenza, e le abbiamo messe nelle mani di Dio, presentandole come preghiere, attraverso il tradizionale rito Macua di “Makeya” chiedendo l’intercessione dei nostri antenati, i santi della chiesa e anche i missionari che sono passati attraverso questa terra di Mozambico e che hanno dato la loro vita per questo popolo.

Quindi il lavoro è iniziato con la lettura del precedente verbale, con la valutazione delle attività proposte, le relazioni annuali sulle attività personali e l’analisi degli aspetti relativi alla formazione dei candidati LMC. Abbiamo concluso la serata con la celebrazione della Messa con il gruppo missionario presso la casa delle suore Comboniane. Dopo cena, abbiamo fissato i temi da seguire per la formazione permanente degli LMC del prossimo anno. A conclusione del 1° giorno del nostro incontro annuale, abbiamo chiesto l’intercessione di Maria, nel giorno in cui la Chiesa celebra la Sua Presentazione.

mozambiqueIl mattino del secondo giorno, abbiamo trattato gli aspetti economici, presentato i conteggi e definito le attività necessarie per raggiungere l’autonomia finanziaria del movimento LMC in Mozambico, tenendo in considerazione gli accordi raggiunti durante gli incontri internazionali. Abbiamo valutato le attività di animazione missionaria nel corso dell’anno e pensato alle attività future. Abbiamo concluso la giornata con l’elezione del coordinatore e la suddivisione delle responsabilità che sono state stabilite come segue: Villa, coordinatore; Marcia e Ancha, Segreteria e comunicazione; Margarida, Tesoriere; Beatriz, Martinho e Flavio, formazione e animazione missionaria. Si è conclusa la seconda giornata con la Santa Messa e dopo cena, abbiamo invitato il gruppo missionario per un momento di festa, prima condividendo il lavoro fatto durante l’assemblea e poi con musica, torte, popcorn, riso, acqua …

Lmozambiquea domenica mattina, abbiamo partecipato alla celebrazione con la comunità di Carapira, dove alla fine abbiamo presentato il gruppo LMC attraverso un video  della comunità e una testimonianza missionaria. In seguito ci siamo riuniti per definire le attività della nostra  opera missionaria per il mese di dicembre e fare la foto ufficiale. Abbiamo concluso con una preghiera di ringraziamento per il lavoro ben fatto.

mozambiqueIn comunione con tutto il movimento, chiediamo a Dio che l’esempio di S. Daniele Comboni continui a ispirare il nostro cammino! mozambiqueSiamo insieme! Uniti nella preghiera e nella missione!

LMC del Mozambico

 

Elementi della spiritualità comboniana

Comboni

Stiamo celebrando i 150 anni del Piano di san Daniele Comboni. Il testo ha avuto più di un’edizione. La nostra riflessione sarà basata sulla IV ed., pubblicata a Verona dalla Tipografia Vescovile di A. Merlo, dal titolo “Piano per la rigenerazione dell’Africa proposto da Don Daniele Comboni missionario apostolico dell’Africa centrale, Superiore degli istituti dei neri in Egitto”.

ELEMENTI DELLA SPIRITUALITÀ COMBONIANA CHE EMERGONO DAL PIANO PER LA RIGENERAZIONE DELLA NIGRIZIA

Introduzione
La prima domanda che ci poniamo è se sia più opportuno chiamare il testo di Comboni piano o progetto. Anche se il termine ebraico che indica questa realtà è costantemente tradotto con progetto, piano o disegno, la questione merita di essere posta. La parola greca tradotta con progetto dà l’idea di movimento. La nozione di “piano”, dunque, indica qualcosa di statico, mentre “progetto” implica dinamicità. Il piano di solito è una fredda elaborazione, senza alcun coinvolgimento soggettivo, senza cuore; il progetto è vissuto dall’interno, con una carica soggettiva forte, ed è questo il caso del testo che san Daniele Comboni ha presentato alla Chiesa. C’è il coinvolgimento del cuore di Comboni nel testo del Piano, per questo è forse più opportuno parlare di “Progetto per la rigenerazione della Nigrizia”. San Daniele visse l’opera della Rigenerazione della Nigrizia dentro di sé (è l’immagine di Potier) prima di giungere alle sue implicazioni pratiche. Nelle righe che seguono continueremo a chiamare il testo di Comboni “Piano”, per rispetto alla memoria del nostro Padre fondatore, ma senza dimenticarne l’aspetto dinamico, quella dinamicità che nasce dalla contemplazione del Cuore di Cristo Buon Pastore, fonte della sua missione.

L’esperienza carismatica in San Pietro, in occasione della canonizzazione di Santa Margherita Maria Alacoque, è stato il momento fondante di questo Piano ma non l’unico, come sottolinea bene il Padre Generale: “Il Piano non è il testo, ma è la vita nascosta nelle parole, nei pensieri, nelle intuizioni, nei sogni e nei desideri che sono stati il motore capace di muovere le mani di Comboni per lasciare traccia di quello che lo Spirito voleva esprimere e che va molto al di là delle idee e delle strategie che diventeranno in qualche modo risposta al grido che sale e importuna le orecchie di Dio per suscitare la sua misericordia” (Il Piano di Comboni, Lettera del Superiore Generale, MCCJ Bulletin 258, gennaio 2014).

Possiamo dire che il Piano scaturisce, da una parte, da una spiritualità “con i piedi per terra”, fatta di studi e di ricerca, e, dall’altra, dall’esperienza dell’amore di Dio fatta da Comboni e che egli traduce in un testo a beneficio dei suoi fratelli e sorelle africani.

Il nostro contributo si divide in cinque punti: 1. Un Piano nato da uno sguardo diverso. 2. Un Piano mosso dall’indignazione. 3. Un Piano da realizzare a più mani. 4. Un Piano con un tocco di… “genere”. 5. Un Piano da pagare con la propria vita.

1. Un Piano nato da uno sguardo diverso

Sennonché il cattolico, avvezzo a giudicare delle cose col lume che gli piove dall’alto, guardò l’Africa non attraverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della sua Fede; e scorse colà una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comun Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il giogo di Satana in sull’orlo del più orrendo precipizio. Allora, trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per istringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli, sovra cui par che ancor pesi tremendo l’anatema di Canaam” (S 2742).

Il paragrafo più denso, che è alla base di tutto e che costituisce il fondamento in assoluto di tutto il resto del testo è il n. 2742: “il cattolico avvezzo a giudicare delle cose col lume che piove dall’alto…”. Comboni è questo cattolico che, a forza di giudicare sempre a partire dalle ispirazioni divine, ha assunto un’abitudine che lo porta a guardare l’Africa non a partire dagli interessi umani e a scoprire fratelli che hanno il suo stesso Padre e ai quali bisogna portare la Buona Novella della Salvezza. Evidentemente per giudicare dall’alto, bisogna rinascere dall’alto (Gv 3); rinascere dall’alto è un dono di Dio ma richiede anche un’ascesi (sforzo). La fonte di questo sguardo diverso sull’africano, considerato un fratello appartenente alla propria famiglia, che Comboni vuole stringere fra le braccia dandogli il bacio di pace e di amore, è la carità accesa dalla divina fiamma sul Golgota, uscita dal costato del Crocifisso. L’esperienza dell’amore del crocifisso è il motore dello slancio missionario che lo spinge verso questa periferia, l’Africa, vista dagli altri sotto il prisma degli interessi umani. L’esperienza della fede, che cambia il suo sguardo sull’africano, l’esperienza della carità divina che lo spinge verso queste “barbare terre” sono dunque fonte della sua fiducia nell’uomo africano che egli associa come protagonista all’opera di rigenerazione dell’Africa, “convertire l’Africa con l’Africa”. Oggi, nelle nostre comunità, nelle nostre missioni, questo sguardo di fede sugli eventi, sulle persone e sull’esperienza dell’amore del Crocifisso, che non è mai separato dall’amore del prossimo, è un elemento importante per la costruzione di una fraternità e confraternità che va al di là del colore della pelle, dell’etnia, della provenienza provinciale, ecc. Il Piano nasce dalla fede che opera attraverso la carità in vista di una liberazione dell’uomo africano: “La nostra Opera è basata sulla fede. È un linguaggio che lo intendono poco anche fra i buoni sulla terra. Ma l’hanno compreso i Santi, che soli noi dobbiamo imitare” (S 6933).

Il Piano ha un centro spirituale, il Cuore di Gesù, e dei centri materiali, gli istituti dove saranno preparati gli evangelizzatori e le evangelizzatrici, in cui possano vivere ed operare sia africani che europei (cfr. S 2764) e che andranno verso il centro dell’Africa.

“Possiamo dire che il Piano scaturisce, da una parte, da una spiritualità ‘con i piedi per terra’, fatta di studi e di ricerca, e, dall’altra, dall’esperienza dell’amore di Dio fatta da Comboni e che egli traduce in un testo a beneficio dei suoi fratelli e sorelle africani”.

2. Un Piano mosso dall’indignazione

Piano ComboniOra la desolante idea di vedere forse per molti secoli sospesa l’opera della Chiesa a vantaggio di tanti milioni di anime gementi ancora nelle tenebre e nelle ombre di morte, dee ferire profondamente e fieramente straziare il cuore d’ogni pio e fedele cattolico infiammato dello spirito della carità di Gesù Cristo. Egli è perciò, che a secondare l’impulso di questa sovraumana virtù, e a dileguare per sempre dal filantropo cattolico il desolante pensiero di abbandonare avvolte nell’infedeltà e nella barbarie quelle vaste e popolate regioni, che sono senza dubbio le più necessitose e le più derelitte del mondo, è d’uopo deviare dal sentiero fino ad ora seguito, mutare l’antico sistema, e creare un nuovo piano che guidi più efficacemente al desiato fine” (S 2752).

Il Piano nasce dall’indignazione provocata in Comboni dallo stato di abbandono in cui si trovava l’Africa dal punto di vista della fede, ma anche dello sviluppo sul piano umano. Comboni è quel cattolico pieno di pietas, infiammato della carità di Gesù Cristo, che si rattrista ed è desolato davanti alla situazione dell’Africa; che s’indigna “ci sarà perdonato, se l’impeto del cuore, dove protestiamo di sentir forte il grido della miserazione, che verso di tutti noi mandano quegl’infelici figliuoli di Adamo e nostri fratelli, spingesse la mente fuor della linea della verità e della certezza” (S 2754). Un’indignazione che lo spinge alla ricerca di un cammino per l’evangelizzazione dell’Africa, senza paura di sbagliare, senza una certezza assoluta; anche se sbaglia, sarà perdonato. La paura di sbagliare paralizza l’azione evangelizzatrice e ci chiude in noi stessi, limitando la nostra audacia di andare in cerca di nuove strade. Preferisco, dice Papa Francesco “una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (EG 49).

Dio stesso s’indigna davanti ad ogni forma di non dignità della persona umana: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze” (Es 3,7). È l’indignazione di Gesù davanti alle moltitudini prostrate come pecore senza Pastore. Come ogni vera indignazione, che nasce da una contemplazione, l’indignazione di Comboni non è rimasta sterile, ma lo ha portato alla compassione e all’azione. Un’azione che si caratterizza per l’intima condivisione di vita con l’Africa: “L’Africa e i poveri neri si sono impadroniti del mio cuore, che vive soltanto per loro, particolarmente da quando il Rappresentante di Gesù Cristo, il S. Padre, mi ha incoraggiato a lavorare per l’Africa” (S 941).

Molte delle nostre indignazioni davanti agli orrori del mondo rimangono sterili perché, mentre condanniamo le situazioni di guerra che ci sono nel mondo, allo stesso tempo riproduciamo nelle nostre comunità e nelle nostre missioni gli stessi meccanismi di guerra fra di noi, anche se su scala minore: “All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica” (EG 98).

Inoltre, la nostra indignazione rimane sterile quando ci indigniamo davanti alla povertà estrema nella quale si trovano migliaia di nostri contemporanei, ma siamo incapaci di piccoli sacrifici che la missione ci chiede. Pensiamo in questo momento a certi missionari che accettano la destinazione a condizione che, nel posto in cui andranno, ci siano i mezzi tecnologici, come ad es. internet. Quando c’è la passione per la missione e la compassione per le persone, il resto è superfluo.

3. Un Piano da realizzare a più mani

Familia CombonianaL’Opera dev’essere cattolica, non già spagnola o francese o tedesca o italiana. Tutti i cattolici devono aiutare i poveri Neri, perché una nazione sola non riesce a soccorrere la stirpe nera” (S 944).

Nel Piano appare chiaramente questa dimensione della collaborazione. L’appello alla collaborazione per l’opera della rigenerazione dell’Africa deriva dalla consapevolezza che san Daniele Comboni ha del fatto che l’opera è di Dio e non un affare personale, è affare della Chiesa: “Siccome l’opera che ho tra le mani è tutta di Dio, così è con Dio specialmente che va trattato ogni grande e piccolo affare della Missione” (S 3615).

Questa collaborazione si manifesta nel momento della formazione degli evangelizzatori ed evangelizzatrici. Pur valorizzando le ricchezze carismatiche di ogni Istituto religioso nella formazione degli africani e africane, san Daniele Comboni indica ciò che non deve mancare nel cammino formativo. Prima di tutto, lo spirito di Gesù Cristo (cfr. S 2770): si tratta di radicare nel loro cuore (nel cuore dei formandi, uomini e donne) lo spirito di Gesù Cristo.

Che cosa intende Comboni per spirito di Gesù Cristo? Nella vita di Gesù Cristo due sono gli elementi fondamentali: l’esperienza di Dio come Padre (Abba) e l’esperienza del Regno. Radicare lo spirito di Gesù Cristo nel cuore degli evangelizzatori e delle evangelizzatrici vuol dire portarli a fare esperienza di Dio come Padre, cioè aiutarli a fare esperienza del cristianesimo non come un insieme di leggi o di una grande idea, ma come un incontro con la persona di Gesù (cfr. Deus Caritas est, 1); è l’unico modo per sviluppare in essi la libertà dei figli di Dio contro qualsiasi paura di spiriti che paralizzino la crescita umana, spirituale e sociale.

Il secondo elemento è sviluppare negli africani la passione per l’annuncio del Regno di Dio, che è Regno di amore, di pace, di giustizia e di misericordia; l’unico modo per dissipare le dense tenebre che coprivano la vasta distesa dell’Africa Centrale (S 2741).

Un terzo elemento che caratterizza lo spirito di Gesù è l’umiltà: “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (cfr. 2Cor 8,9).

4. Un Piano con un tocco di… “genere”

Il piano quindi, che noi proponiamo è: la creazione di altrettanti Istituti d’ambo i sessi, che dovrebbero circondare tutta l’Africa, giudiziosamente collocati in luoghi opportuni alla minima distanza dalle regioni interne della Nigrizia, sopra terreni sicuri ed alquanto civilizzati, in cui potessero vivere ed operare sì l’europeo, che l’indigeno africano” (S 2764).

La valorizzazione della donna nell’opera dell’evangelizzazione da parte di san Daniele Comboni non è solo un’opzione strategica nel senso che le donne avrebbero resistito di più al clima duro dell’Africa (parlando delle europee) o sarebbero entrate più facilmente in certi ambienti ostili al cristianesimo. La valorizzazione della figura femminile nel suo Piano per la rigenerazione della Nigrizia è un’opzione di vita. È una delle conseguenze di quello sguardo contemplativo sulla realtà: per quelli che sono in Gesù Cristo, non c’è più greco o ebreo, circonciso o incirconciso… donna o uomo, c’è solo Cristo, che è tutto e in tutto (cfr. Col 3,9-11).

Si spiega così anche la devozione di san Daniele per la Madonna. Accanto al titolo “Vergine della Nigrizia”, troviamo, nei suoi Scritti, diversi titoli con cui Comboni si riferisce alla Madre di Dio. Uno dei nostri confratelli ha anche preparato una Litania in base ai titoli utilizzati da Comboni per rivolgersi a Maria.

San Daniele Comboni è in sintonia con il patrimonio della grande tradizione cattolica: lungi da qualsiasi devozionismo, Maria è il cuore della Chiesa. Nella Chiesa, diceva von Balthasar, Maria ha un posto più alto di Pietro e nell’Evangelii gaudium, Papa Francesco dice che Maria è più importante dei vescovi. Bisogna quindi rivalutare questa componente femminile nella Chiesa in equilibrio con quella maschile per non cadere, da una parte, nel maschilismo e nel clericalismo, e, dall’altra, nel femminismo esasperato o semplicemente in certe teorie di genere che tanto male fanno all’umanità. Nella vita di san Daniele questo equilibrio c’è stato, perché accanto alla Vergine Maria, c’è san Giuseppe, suo sposo, e nel carattere di Comboni – potremmo dire – i due elementi s’intrecciano: Comboni è in grado di difendersi con virilità quando è calunniato e di rendere verità ai fatti con parole a volte molto dure ma, allo stesso tempo, è capace di perdonare fino in fondo chi lo accusa falsamente. Alla forza, unisce l’elemento della misericordia, della compassione e della tenerezza, che sono tipicamente femminili. Non è un caso se la Commissione che ha l’incarico di eseguire il Piano si chiama “Società dei SS. Cuori di Gesù e di Maria per la rigenerazione della Nigrizia, sotto il patrocinio della Vergine Immacolata, di san Giuseppe, suo sposo, e dei principi degli Apostoli”.

5. Un Piano da pagare con la propria vita

Comboni y la VirgenSu questa grande idea si è fissato il nostro pensiero; e la rigenerazione dell’Africa coll’Africa stessa ci parve il solo Programma da doversi seguire per compiere sì luminosa conquista. Il perché nella nostra debolezza ci siamo creduti lecito di suggerire sommessamente una via, sulla quale camminando, più probabilmente giungere all’alto scopo, dove d’altronde si appuntarono sempre tutti i pensieri della nostra vita, e pel quale saremmo lieti di versare il nostro sangue fino all’ultima stilla” (S 2753).

Esiste uno stretto rapporto fra il Piano elaborato da san Daniele Comboni e la sua vita concreta. Tutti i suoi pensieri sono rivolti al Piano per il quale sarà disposto a dare il suo sangue fino all’ultima goccia. È l’immagine del Buon Pastore che è venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cfr. Gv 10,10).

Questa affermazione da parte di Comboni non è retorica. San Daniele, il 10 ottobre 1881, morirà a Khartoum, al vertice di una vita totalmente dedicata all’Africa e agli Africani. Dietro il Piano di Comboni ci sono nomi, cognomi, volti di africani e africane per i quali Comboni dà la propria vita. Possiamo dire che ciò che Papa Francesco afferma a proposito dei pastori della Chiesa è del tutto vero nel caso di san Daniele Comboni: possiamo sentire l’odore degli africani sotto la veste dell’infaticabile missionario dell’Africa. Affinché un Piano pastorale, dunque, affinché un progetto comunitario possa uscire dalla carta ed essere elaborato – ci insegna san Daniele Comboni – bisogna metterci cuore, amore, con la consapevolezza che dietro a quel Piano ci sono migliaia di vite che attendono la loro rigenerazione spirituale e umana allo stesso tempo, bisogna essere disposti a dare il proprio contributo, a dare il proprio sangue per la sua realizzazione. Perché a volte, infatti, i nostri piani pastorali non escono dalla carta? Forse mancano di quel coinvolgimento affettivo ed effettivo con la gente per cui il Piano diventa un pezzo di carta in più, oppure perché non siamo disposti a dare qualche goccia di sangue per la sua realizzazione, energia, tempo.

Conclusione

Alla fine di questa breve riflessione, possiamo dire che per comprendere il Piano, bisogna entrare in profondo dialogo con il suo autore, san Daniele Comboni, con la sua vita e con tutta la sua opera. Bisogna scoprire lo spirito che anima il Piano, al di là delle povere parole che lo traducono, per non perdersi in sterili dibattiti, quali ad es. “figlio di Cam” o altri del genere.

Salvar Africa con Africa

Il Piano traduce la passione di san Daniele per l’Africa, la sua preoccupazione di conquistare la perla nera alla Chiesa di Gesù Cristo. Il Piano è nato da una visione di fede che muove all’indignazione-compassione-azione davanti alla situazione di abbandono nella quale si trovava l’Africa. San Daniele ha capito che l’evangelizzazione dell’Africa non era un affare personale, ma della Chiesa. Ha cercato il confronto e il dialogo con il pontefice, con il prefetto di Propaganda Fide e con personalità legate all’esperienza africana, insomma ha cercato collaborazione coinvolgendo strettamente la figura femminile. Per l’elaborazione e l’esecuzione del Piano, san Daniele Comboni ha dato la sua vita, perché, dietro al Piano, ha capito che c’è una moltitudine di vite, una moltitudine di fratelli e sorelle che attendono il Messaggio della rigenerazione.

Novembre 2014

P. Fidèle Katsan, mccj